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Introduzione
La rappresentazione grafica è uno dei possibili e preferenziali canali espressivi a
disposizione del bambino, sin dai primi mesi di vita, che rende concreta e tangibile una
sua rappresentazione interna, dando origine all’espressione di “concetti spontanei”,
riguardo la percezione di sé e delle persone significative della sua vita (Vygotskij, 1978).
Famiglia e disegno sono le due parole chiave di questa tesi, la quale si pone come
principale obiettivo quello di indagare, attraverso l’analisi e la conoscenza approfondita
del disegno infantile, i segni e le tracce in esso lasciate dal bambino, per scoprire le
emozioni e i sentimenti esternati nei confronti del nucleo familiare. Un attento esame dei
disegni dei bambini può permettere, infatti, di sospettare o individuare la presenza di
eventuali situazioni conflittuali, traumi o comunque dinamiche familiari di disagio che
possono colpire il piccolo, lasciando in esso dei segni, a volte indelebili, rintracciabili
nella sua produzione grafica.
La tesi è sviluppata su tre capitoli, ognuno dei quali si concentra su un aspetto in
particolare, così da riuscire ad indagare in modo più approfondito tutte le sfaccettature
dell’analisi delle dinamiche familiari attraverso il disegno dei bambini.
Il primo capitolo tratta l’evoluzione del disegno infantile, in particolare: le prime
teorie che si sono occupate dello studio del tratto grafico, citando autori come Luquet,
Arnheim, Ricci, Ferraris, Kellogg ; gli aspetti evolutivi della rappresentazione grafica,
partendo dalle fasi dello scarabocchio, fino ad arrivare allo sviluppo della figura umana;
l’analisi del disegno, mezzo di espressione della vita emotiva del bambino, nei suoi aspetti
strutturali e proiettivi, prendendo quindi in considerazione elementi relativi lo spazio,
l’uso del foglio e altre dinamiche procedurali, così come i temi maggiormente
rappresentati.
Si prosegue poi con il secondo capitolo, nel quale viene trattato il secondo argomento
principale, ovvero la famiglia, esaminandola sotto diverse angolature: la sua importanza
nella vita del bambino e nella formazione della sua personalità, e i cambiamenti che ha
subito negli ultimi decenni, portando così a modificazioni nelle dinamiche create al suo
interno; l’interpretazione del disegno della famiglia, e quindi l’analisi degli aspetti grafici
e formali riscontrabili nel prodotto finito, per riuscire a capire quali sono quei segni e
raffigurazioni che rimandano a significati più profondi e nascosti, della vita del bambino,
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che un occhio inesperto non riuscirebbe a cogliere; la ricerca di tracce e segni di disagio o
traumi nei bambini vittime di violenza o abbandono, attraverso la presentazione di alcune
loro rappresentazioni grafiche sulla famiglia, e il confronto con quelle di soggetti ritenuti
“normali”, per riuscire a vedere le differenze esistenti nei disegni di soggetti con
dinamiche familiari così diverse.
Infine, il terzo capitolo tratta il tema del disegno come test proiettivo, e quindi il suo
ormai diffuso e valido utilizzo nella psicoterapia, come strumento di indagine di tutto ciò
che il bambino non è in grado di esternare verbalmente, e che esprime invece
spontaneamente attraverso il disegno. In particolare ci si è soffermati sul Test del Disegno
della Famiglia, e quindi sulla presentazione dei principali criteri per la sua applicazione e
interpretazione, sottolineando sempre come questo test sia molto valido, ma solamente se
collocato all’interno di un contesto ben chiaro e definito, utilizzato come ausilio di altri
test psicodiagnostici, e non preso in considerazione singolarmente, come unico strumento
d’indagine. Per aggiungere alla teoria un aspetto maggiormente pratico, è stato eseguito
infine un piccolo progetto, in collaborazione con una scuola d’infanzia e una primaria, nel
quale sono stati somministrati ad alcuni bambini i tre test del disegno della famiglia: Test
della famiglia Immaginaria, Test della famiglia Cinetica e Test della famiglia Animale. In
questo modo è stato possibile realizzare dal vivo un esempio di applicazione del disegno
della famiglia, in particolare ad alcuni soggetti con dinamiche familiari difficili, partendo
da alcuni dati biografici e di anamnesi per poi concentrarsi sugli aspetti prettamente
strutturali e formali dei disegni realizzati.
Sarà quindi possibile vedere, attraverso questa presentazione, come nei disegni
emergano eventi della vita dei bambini, traumi o particolari stati emotivi interni, non
sempre facilmente esprimibili per mezzo della comunicazione verbale, sia per difficoltà
linguistiche legate all’età, sia per la mancanza, molte volte, di una creazione di un clima
adeguato, da parte dell’adulto, nel quale il piccolo riesca a sentirsi libero di aprire il
proprio cuore all’altro. Per questo, è importante lo studio approfondito di tutto ciò che
concerne l’interpretazione del disegno infantile, in modo da riuscire ad aiutare i bambini
in difficoltà che non possono trovare sostegno e rifugio sicuro nella propria famiglia e che
hanno il diritto di trovare un modo per liberarsi della sofferenza con cui sono costretti a
convivere ogni giorno.
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I. EVOLUZIONE DEL DISEGNO INFANTILE
Tutti i bambini, già dalla primissima infanzia, sentono il bisogno di scarabocchiare e
rappresentare forme umane, oggetti e situazioni personali ed è importante che abbiano la
possibilità di esprimere questa loro spontaneità nel modo più naturale possibile. Infatti, il
disegno è uno strumento utile per capire le caratteristiche della personalità del piccolo e per
valutare come percepisce, vede e rappresenta la realtà.
“Se vogliamo conoscere un bambino non facciamogli domande, guardiamo i suoi
disegni e impariamo a leggere i messaggi che questi contengono. I bambini non disegnano
solo ciò che vedono ma ciò che sentono- nel disegno possiamo leggere le loro paure, i loro
desideri, le loro emozioni .” (Manes, 2004, p.9)
1.1 Origine degli studi del tratto grafico
Il disegno infantile è considerato uno dei modi principali di esprimersi del bambino e
per questo è stato oggetto di studi approfonditi da parte di numerosi autori e teorie, già a
partire dalla fine del XIX secolo.
Le ricerche più importanti fanno riferimento a due orientamenti riguardo l’espressione
grafica: il primo la considera come pre-esercizio, una sorta di preparazione a produrre
rappresentazioni grafiche degli oggetti reali, in cui il bambino mentre disegna fa esperienza di
abilità che gli saranno utili nella vita adulta; per il secondo, l’attività grafica è utilizzata dal
bambino come scarica pulsionale in cui emergono contenuti inconsci che si possono esternare
solamente con il disegno. Entrambi gli orientamenti saranno presenti, con differenti focus
d’indagine e applicazione, nelle teorie sul disegno che verranno trattate successivamente.
Nella parte iniziale del primo capitolo verrà fatta un breve excursus storico sulle
principali teorie del disegno infantile con l’obiettivo di fornire un resoconto di come è stato
studiato e analizzato il tratto grafico, a partire dalle prime considerazioni sullo scarabocchio,
fino al disegno vero e proprio, da quattro prospettive differenti.
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1.1.1 Prospettiva intellettuale
Le prime ricerche condotte sul grafismo infantile furono motivati dal bisogno di
delineare le sorgenti del disegno e le principali tappe dello sviluppo, con la consapevolezza
che i disegni dei bambini traducono una conoscenza non visiva ma intellettuale delle cose, per
cui ciò che viene riprodotto, non è tanto la realtà esterna che tutti possiamo vedere, ma la
rappresentazione che il bambino ha di essa o il suo mondo interiore.
E’ dunque importante studiare lo sviluppo cognitivo, i cambiamenti della
rappresentazione grafica e, a livello evolutivo, le fasi che caratterizzano lo sviluppo del
disegno, in modo da riuscire a distinguere quelli che sono gli “errori” tipici dell’età in
questione, dai segni che il bambino utilizza per esprimere qualcosa che realmente esiste
dentro di lui.
Nella rivista “Enfance” del 1950, interamente dedicata al disegno infantile, Henry
Wallon (1950) sostiene che il disegno, alle sue origini, è una semplice conseguenza del gesto,
il quale produce una serie di tracciati, la cui comparsa è estremamente casuale.
Successivamente, quando la traccia sulla superficie, da conseguenza del gesto, ne diventa la
causa, allora il bambino compie quel gesto con l’obiettivo di lasciare una traccia.
La non intenzionalità è sostenuta anche da Pierre Naville (1950) che considera il
tracciato come un prolungamento del gesto, e dunque un semplice atto motorio, espressione
delle funzioni di vita vegetativa e istintiva.
Anche Oliviero Ferraris considera lo scarabocchio come un evento in grado di
suscitare piacere visivo e motorio, guidato esclusivamente dall’intenzione di lasciare un
segno, e lo fa su qualsiasi superficie incontri. Nel suo famoso manuale “Il significato del
disegno infantile, scrive infatti: “Alle origini l’attività grafica è essenzialmente un fatto
organico: il segno è la conseguenza del gesto che descrive la sua traiettoria su una superficie
capace di registrarla” (Oliviero Ferraris, 2012, p.14).
In generale, dunque, i primi autori che hanno affrontato il tema dello scarabocchio, lo
hanno fin da subito considerato un semplice movimento con il quale il bambino esercita gli
arti, che nasce dall’incontro tra un gesto e una superficie sulla quale appoggiarsi, quini senza
alcun scopo o senso.
Successivamente, si comincia ad attribuire allo scarabocchio alcune connotazioni in
più, come quella creativa e ludica, per cui si affiancherebbe al puro atto motorio, anche un
piacere nel creare linee che deriverebbe sia dalla liberazione di energie, sia dalla scoperta del