Capitolo 1
La frequentazione in grotta in Mesoamerica:
Caratteri generali
Le popolazioni preispaniche attribuivano una serie di significati
alle grotte, che vennero diffusamente utilizzate e frequentate in
tutto il Mesoamerica
1
, a partire dal Pleistocene fino all’orizzonte
Post-classico.
La massiccia presenza di cavità naturali in tutto il territorio
mesoamericano, ha favorito la frequentazione e lo sfruttamento dei
contesti ipogei a molteplici fini. Grotte e anfratti rocciosi vennero
utilizzati come abitazioni, temporanee o permanenti, come miniere
e come depositi per alimenti. In alcuni casi avevano la funzione di
osservatori astronomici, soprattutto nei contesti urbani, in relazione
a piramidi e complessi monumentali
2
.
Inoltre, specialmente nelle regioni carsiche, caratterizzate da scarsa
disponibilità di acqua superficiale, le grotte vennero frequentate per
l’approvvigionamento idrico.
Lo stretto contatto delle popolazioni precolombiane con questi
ambienti, accanto alla necessità di sfruttarne le risorse, ha
contribuito all’attribuzione di valore simbolico e religioso alle
grotte, in quanto elementi significativi di un tipo di paesaggio
percepito come sacro
3
.
1
Con il termine Mesoamerica si indica un’area che comprende gli attuali territori del Messico centro-
meridionale, Guatemala, Belize, El Salvador e parte del Nicaragua, Honduras e Costarica. L’antropologo
Kirchoff (1967) nel 1943 utilizzò tale termine per definire una superarea culturale formatasi in epoca
precolombiana grazie alla millenaria convivenza di numerosi gruppi etnici, che, pur mantenendo la propria
diversità, specialmente linguistica, trovarono una sostanziale unità culturale nella condivisione di alcuni
elementi pan-mesoamericani, come la coltivazione del mais, il calendario rituale di 260 giorni e la struttura
sociale fortemente piramidale.
Per approfondimenti sulle superaree, le regioni culturali e la periodizzazione del mesoamerica vedi “Il
passato indigeno”, 1998, Lòpez Austin, e Lòpez Lujàan
2
Ad esempio l’osservatorio di Xochicalco ( “Cueva de los Amates”) e la “grotta astronomica” che si trova
dietro la Piramide del Sole a Teotihuacan ( Manzanilla 1996)
3
Sul concetto di paesaggio sacro si rimanda al paragrafo 1.1.
Testimonianze archeologiche ed etnografiche dimostrano che le grotte
sono da sempre il luogo preferenziale per lo svolgimento di attività rituali
di vario genere.
Alla luce di quanto detto, secondo Torresilla e Villarejo (2003) le teorie
sviluppate sulla funzionalità delle caverne si possono raggruppare in due
grandi categorie: sacra/cerimoniale e profana /domestica.
Questa trattazione non si soffermerà sulla seconda tipologia
4
e si
occuperà principalmente della prima, in quanto attinente allo studio che si
andrà a presentare.
Dal momento che la maggior parte delle investigazioni in grotta è
stata condotta nell’area maya
5
, faremo una sintesi dei principali
caratteri legati alla frequentazione rituale ipogea di tale regione,
considerando che tali caratteri sono per lo più comuni a tutto il
Mesoamerica.
1.1 Le grotte come entrata all’inframondo nel contesto del
paesaggio sacro
Nel pensiero maya il mondo è suddiviso sostanzialmente in tre
livelli: quello sotterraneo o inframondo ( definito dal termine
Quiché, Xibalba), quello terrestre, dove risiedono gli uomini, e
quello celeste.
L’inframondo è considerato come la sede delle “essenze” o “semi”
di ogni individuo di passaggio sulla terra. Si tratta dunque del
luogo dove si recano i defunti e dove viene conservato il principio
vitale dei bambini non ancora nati.
4
Sulle principali funzioni pratiche vedi “Cronología y función de las cavernas en el área maya: ¿espacio
ritual o profano?”, Torresilla e Villarejo (2003); “Precolumbian cave utilization in the maya area”, Andrea
Stone (1997);
5
L’area maya comprende Belize, Guatemala, Messico meridionale l’Honduras occidentale e El Salvador.
2
Le fonti storiche
6
, rappresentano il mondo sotterraneo in vari modi,
a seconda delle tradizioni regionali: vengono descritti i percorsi e le
tappe del viaggio compiuto dal defunto attraverso molteplici piani,
scale, prove da superare, incontri con creature sovrannaturali e
animali simbolici
7
.
Inoltre il mondo sotterraneo è concepito come “umido” e legato alle
divinità dell’acqua e della fertilità, proprio per la presenza di fiumi
sotterranei, che in alcune aree carsiche, come il nord della penisola
dello Yucatan (Campeche,Yucatan, Quintana Roo), costituivano la
principale risorsa idrica nelle stagioni secche. Per questo motivo in
grotta si conducevano anche cerimonie in onore del dio della pioggia e
riti propiziatori di fertilità agricola.
Sembra dunque evidente che l’inframondo fosse considerato come
dimora degli dei: lo confermano sia dati storiografici sia
archeologici. M. Coe ha riconosciuto in due figure di un dipinto
nella grotta di Naj Tunich (Brady e Stone 1986) gli “Eroi Gemelli”
Hunahpu e Xblanque, protagonisti del Popol Vuh, il testo sacro dei
Quiché: questo racconto mitologico si svolge in un mondo
sotterraneo chiamato Xibalba e narra dello scontro tra i due eroi
che diedero luogo alla vita sulla terra e gli dei. La leggenda vuole
che lo scontro sia avvenuto in un campo del gioco della palla
situato nell’inframondo e un secondo dipinto a Naj Tunich,
rappresenta delle figure umane impegnate nel gioco della palla. Il
legame tra il gioco e la grotta è testimoniato dal quadrifoglio,
simbolo dell’entrata in grotta o dell’interno della terra, che
compare spesso nelle rappresentazioni del campo da gioco.
6
Landa, Las Casas e il Popol Vuh per i maya; il codice Colombino-Becker per i mixtechi, etc.
7
Gli animali più ricorrenti sono il cane (nella tradizione nahuas funge da accompagnatore), il rospo e la
tartaruga, sul cui dorso il defunto viene trasportato attraverso questo mondo prevalentemente acquatico.
3
Il legame tra inframondo e grotte è inserito nel più ampio contesto
delle credenze, del sistema cosmologico e del concetto di
paesaggio sacro, generato dal modello socio-spaziale maya.
Stone (1990) definisce così il concetto di paesaggio sacro:
“La sacralità della grotta si fonda su un modello cognitivo dello spazio,
nel quale le aspre, remote caratteristiche del paesaggio naturale, una
categoria di spazio sociale che potrebbe essere definita “regione
selvaggia”, venivano considerate come un’inversione dello spazio
mondano e, perciò, assumevano qualità sacre. Luoghi nella ragione
selvaggia erano considerati ideali per fare richieste alle divinità, che si
credeva risiedessero in forme naturali del paesaggio. Tali luoghi della
natura selvaggia, punti di incontro con le divinità, si trasformarono in
santuari topografici, molti dei quali, forse la maggior parte, erano
rappresentati da grotte”.
L’attività religiosa in grotta si è perpetuata dopo la conquista
spagnola fino ai giorni nostri e questa continuità ha permesso di
ricostruire in maniera attendibile la simbologia e i significati legati
alla ritualità delle popolazioni preispaniche .
Dagli studi etnografici ed etnostorici emerge l’importanza assunta
dalla terra nella religione maya: tutto ciò che rappresenta la terra e
che permette di stabilire un contatto profondo con essa, assume
qualità sacrali. Ne consegue che nell’immaginario simbolico maya
il binomio montagna/grotta equivalga al punto di massima
vicinanza tra terra e uomo.
D’altra parte il piano terrestre presenta dei luoghi ritenuti sacri in
quanto percepiti come punti di contatto con le altre dimensioni
cosmiche. La grotta è infatti considerata come la “bocca della terra”, un
luogo di passaggio per il mondo sotterraneo, sede di ricchezze di ogni
tipo e luogo d’origine di astri e popolazioni
8
.
8
Vari miti si riferiscono alla creazione del Sole e della Luna facendoli sorgere da una grotta. Inoltre, l’intera
umanità o certi gruppi (per esempio le sette tribù di Chicomòztoc) emersero dal ventre della terra.
4
I due termini più ricorrenti nella letteratura etnografica, per indicare
luoghi di particolare rilievo, sono proprio grotta e montagna (Vogt 1981),
legati concettualmente dal fatto che l’una risulta “scavata” nell’altra.
9
Esisto molti altri elementi del paesaggio ritenuti sacri in quanto legati alla
montagna, all’acqua e a tutto ciò che rappresenta una cavità del terreno,
quindi le attività cerimoniali si svolgono spesso in prossimità di sorgenti,
cenotes, luoghi in cui emergono o scompaiono fiumi sotterranei.
Le grotte assumono un ruolo di fondamentale importanza, non solo come
luogo sacro, ma anche come vero e proprio centro del sistema
cosmologico e ideologico maya, legato ad una visione quadripartita
dell’universo, che trova applicazione anche nel contesto sociale.
10
Il cosmo mesoamericano è suddiviso in quatto parti da due assi
perpendicolari tra loro e il punto di intersezione, quindi il centro
dell’intero sistema, è costituito da un cenote, che rappresenta il punto di
collegamento tra i tre livelli dell’universo. Dunque la grotta è considerata
come luogo d’ingresso sia al mondo sotterraneo sia a quello celeste.
11
La mitologia maya prevede, inoltre, che in corrispondenza di tale centro
si trovi un grande albero di ceiba, per mezzo del quale le divinità siano in
grado di passare da un piano all’altro dell’universo. Barbara Mac Leod e
Tennis E. Puleston (1980) sostengono che le grandi colonne, costituite
dall’intreccio di stalattiti e stalagmiti fuse tra loro, presenti all’interno di
alcune grotte, come quella spettacolare del Gruppo 1 di Balankanche
12
,
siano assimilabili proprio al tronco di un’enorme ceiba.
Tale ipotesi è sostenuta anche da riferimenti iconografici: nel Codice di
Dresda troviamo un’illustrazione in cui vengono rappresentati i tre alberi
9
Recenti studi etnografici effettuati da Adams e Brady (1994) confermano la stretta relazione tra montagna e
grotta: vengono individuate 13 montagne sacre in area Q’eqchi, ognuna dalle quali presenta una grotta, che
risulta il punto migliore per effettuare riti rivolti al “dio della terra”. La grotta rappresenta la sintesi degli
elementi terrestre, acquatico e inframondano, dunque il luogo sacro per eccellenza.
10
Redfield e Villa Rojas (1962) descrivono l’influenza di tale modello sulla struttura degli abitati maya moderni,
per cui al centro del villaggio si trova un cenote. Scelta motivata anche dalla scarsità di acqua superficiale in aree
carsiche.
11
Si veda anche J.Brady (1997).
12
Per una descrizione dettagliata vedi E. Wyllys Andrews IV “Balankanche,Throne of the Tiger Priest” (1970).
5
direzionali del mondo, ai quali si associa un elemento del glifo di cauac
( il dio/mostro della terra), che indica le proprietà della pietra. Un albero
di pietra non può essere altro che una stalagmite.
Mac Leod e Puleston suggeriscono che le attività rituali in prossimità di
speleotemi si svolgessero in contesto sia ipogeo che epigeo. I frammenti
di concrezione calcarea venivano condotti in superficie e fatti oggetto di
venerazione
13
. Le stalagmiti, prelevate dal loro contesto originario,
mantenevano un valore sacrale intrinseco e contribuivano alla
riproduzione cerimoniale/simbolica della grotta.
La grotta riproduce in uno spazio limitato e accessibile l’immagine del
mondo: la combinazione montagna/grotta/acqua racchiude in se tutta la
forza sacrale e creativa della natura. La montagna rappresenta la terra e il
contatto con il mondo celeste; la grotta è la bocca del “mostro terrestre”,
la dimora degli dei della pioggia (Tlaloc), della fertilità, della morte e del
vento; i fiumi sotterranei rappresentano le acque dell’inframondo e
l’origine della vita ; infine, la colonna centrale funge da strumento di
comunicazione tra i livelli del cosmo e, quindi, come veicolo di
trasmissione del potere dagli esseri celesti o inframondani agli umani,
motivo per cui in grotta si svolgono i riti di iniziazione e di passaggio di
potere religioso e/o civile.
1.2 Archeologia in grotta: attività rituali in contesti ipogei
Come precedentemente accennato, le grotte dell’area maya sono state le
più investigate dagli archeologi. La grande quantità di dati ci permette di
avere una visione piuttosto completa delle diverse pratiche religiose
ipogee condotte nel corso dei secoli.
13
Ad esempio, una stalattite venne posta come stele all’entrata della Grotta dei Petroglifi, (Reents Budet e MacLeod
1986); una stalattite scolpita, raffigurante il ritratto del sovrano Uccello Giaguaro IV, si trova di fronte all’entrata del
suo tempio, struttura 33, a Yaxchilan, Messico. Le stalattiti venivano poste anche tra una serie di altre stele incise di
fronte alla Struttura 41, Yaxchilan, un edificio commissionato da Scudo Giaguaro, padre di Uccello Giaguaro (Tate
1992)
6
I resti archeologici testimoniano infatti che le grotte furono utilizzate
come luoghi di culto dal Formativo al Post-classico (2200 a.C. -1500
d.C.).
J.Eric Thompson (1975) fu il primo a sostenere che uno degli usi
principali delle grotte maya fosse quello di deposito di oggetti offerti
cerimonialmente.
La varietà delle offerte votive ha prodotto una serie di categorie di resti:
ceramica, artefatti vari, dipinti, strutture in muratura, resti ossei, alimenti
e altri oggetti in materiale deperibile, che si sono occasionalmente
conservati grazie a particolari condizioni climatiche e ambientali (le
grotte secche).
Una categoria a parte, che rende evidente l’importanza rivestita dalle
grotte nella mentalità e nell’ideologia maya, è costituita dalle grotte
artificiali, studiate principalmente da Brady (2003).
Resti ceramici
La maggior parte dei reperti rinvenuti in grotta è costituita da ceramica.
Gli studiosi si basano spesso sull’individuazione delle tipologie e dei
complessi ceramici per ricostruire la cronologia relativa e assoluta delle
diverse fasi di frequentazione delle grotte.
Anche gli studi funzionali si basano principalmente sull’analisi formale della
ceramica rinvenuta in grotta: calcoli percentuali e studi di distribuzione
permettono di individuare non solo le fasi e le aree di occupazione, ma
anche le diverse attività svolte nel corso del tempo.
Ad esempio, lo studio di tipo formale condotto da Torresilla e Villarejo
(2003) sulla ceramica delle grotte maya e, in particolare, della grotta di
Loltun, è finalizzato all’individuazione delle principali funzioni assolte dalla
grotta nelle sue varie fasi di frequentazione. La prevalente presenza di
“ollas” ( giare/doli) relativa alla fase pre-classica della grotta di Loltun, che
7
coincide con il momento di massimo utilizzo, fa pensare ad una intensa
attività di raccolta d’acqua.
Le grotte Cenote di Manì, Oxkintok e Calcehtok, Aktun Cuy e Aktun Ka,
sempre nel periodo pre-classico, dovevano servire allo stesso scopo
14
.
In una zona carsica e quindi povera di acque superficiali come lo Yucatan,
l’acqua delle grotte rappresentava quasi l’unica risorsa idrica nelle stagioni
secche: questo spiegherebbe la massiccia presenza in grotta di forme
ceramiche, spesso ingobbiate, adatte all' immagazzinaggio e al trasporto di
liquidi.
Secondo diversi studiosi, la distinzione tra utilizzo rituale e pratico di una
grotta si basa sulla qualità della ceramica rinvenuta: la ceramica fine,
soprattutto quella dipinta, sembra abbondare nelle fasi di frequentazione
rituale, mentre la ceramica grezza, indica una fase di utilizzo pratico,
riconducibile ad attività di estrazione di argilla, materie prime, acqua. Questa
distinzione può risultare errata in diversi casi, che dimostrano come la
ceramica comune venisse diffusamente utilizzata in contesti rituali.
Prendiamo il caso della grotta di Actun Balam, in Belize (Pendergast, 1969):
il materiale ceramico, rinvenuto in un mucchio in prossimità dell’entrata, pur
essendo di scarsa qualità , è stato depositato sicuramente a scopo rituale.
In altre grotte sono stati individuati simili accumuli di frammenti ceramici in
corrispondenza di aperture nel soffitto comunicanti con la superficie
sovrastante: è l’esempio della grotta di Pusihla in Belize scavata dal British
Museum
15
, dove la presenza un “mound” a forma di cono posto al di sotto di
un camino, fa presupporre che il materiale ceramico sia stato gettato nella
grotta durante cerimonie svolte in superficie.
Un caso simile è rappresentato dalla grotta de Los Quetzales (Brady, Rodas
1995), in Guatemala, posta al di sotto del sito di Las Pacayas: nella piazza
cerimoniale del sito troviamo l’entrata principale, in corrispondenza della
14
Un altro caso è rappresentato dalla Gruta de Chac, dove frammenti di migliaia di giare sono il risultato
dell’attività di approvvigionamento d’acqua.
15
Vedi Joyce (1928/1929).
8
quale si trova un accumulo di materiale ceramico. Brady e Rodas
sottolineano la notevole differenza qualitativa esistente tra la ceramica
policroma ricorrente nelle ultime due grotte e quella comune e priva di
pregio presente nella prima.
Gli studiosi giungono alla conclusione che le tre grotte assolvono tutte alla
stesso ruolo cerimoniale, quindi, la differenza qualitativa del materiale
rinvenuto non è dovuta ad una differenza funzionale, bensì al diverso status
sociale dei protagonisti dell’attività rituale che ha generato i depositi in
questione.
Bisogna considerare inoltre che la ceramica di uso “domestico”, come
sostenuto da Brady e altri
16
, poteva essere comunque utilizzata in contesti
rituali per bruciare incenso o copal. Gli odierni maya Quiche utilizzano ogni
tipo di contenitore per bruciare incenso (Tedlock 1982), purché sia nuovo
17
.
Diversi vasi di tipo “domestico”, principalmente ciotole basse, rinvenuti
nella grotta di Naj Tunich (Brady 1992) e nelle grotte studiate nel
Petexbatun, presentano al loro interno tracce di annerimento da fumo. L’uso
di bruciare incenso nei vasi è comprovato da una delle pitture sulle pareti
della grotta di Naj Tunich, che rappresenta una figura seduta davanti ad
una ciotola da cui fuoriesce del fumo (Stone 1989b: fig. 22-18)
Inoltre, nella Grotta del Rio Frio C è stata trovata una serie di ciotole
impilate una sull’altra con del copal indurito all’interno (Reents-Boudet e
MacLeod 1986).
L’incenso non veniva arso solamente in vasi di uso comune, ma anche in
appositi incensieri, spesso dipinti e decorati con applique di vario genere.
L’esempio più impressionante è costituito dagli incensieri decorati del
Classico Tardo rinvenuti nelle grotta di Balankanche, raffiguranti il volto
del dio Tlaloc: la presenza di cenere all’interno di molti di essi, conferma
che vennero effettivamente usati per bruciare incenso (Andrews, E.W.
1970).
16
“Glimpses of the dark side of the Petexbatun Project” 1997.
17
Il concetto di “nuovo” si lega alla simbologia connessa ai riti di fertilità in onore del dio Tlaloc.
9
I vasi policromi e di pregio raramente presentano annerimenti, quindi, si
devono ipotizzare altre funzioni: potevano costituire essi stessi oggetto
d’offerta, oppure contenere l’offerta
18
.
Sottolineiamo inoltre, che alcune forme sembrano essere legate al loro
esclusivo uso in grotta: le così dette shoe-pots, cioè dei contenitori la cui
forma richiama quella di una scarpa sono stati individuati da Brady in diversi
contesti ipogei : l’esempio più recente è costituito da un ritrovamento
effettuato nella Grotta di Actun Tunichil Muknal (Brady 2005), dove uno
shoe-shaped vessel è stato rinvenuto in mezzo ad un gruppo di stalagmiti
(fig. 11.9).
Recipienti di varie forme e tipi, compresi vasi di pietra
19
, servivano inoltre
per raccogliere la “suhuy ha”(acqua vergine), acqua pura e carica di
significato simbolico, utilizzata esclusivamente a scopi rituali (Thompson
1959).
Dati archeologici confermano l’ipotesi di Thompson: “cajetes” (ciotole),
e soprattutto “ollas” venivano collocati sotto gli stillicidi attivi in anfratti
di così difficile accesso, da far pensare che l’acqua raccolta non potesse
essere finalizzata ad un consumo meramente pratico.
Questo procedimento di raccolta risulta economicamente svantaggioso: si
ottiene una scarsa quantità d’acqua, in molto tempo e con grande
dispendio di energie.
Fonti d’epoca coloniale descrivono l’uso dell’ “acqua vergine” per i riti
di purificazione e si credeva che quest’acqua venisse raccolta in grotta
(Thompson, 1975).
Alcuni vasi presentano segni di frattura intenzionale, mutilazioni e fori: la
rottura di ceramica in grotta potrebbe essere stato un tipo di offerta rituale,
18
Nella Cueva de Sangre è stato rinvenuto un frammento di ceramica dipinto capovolto e in connessione con una
tibia umana. Il che significa che la tibia doveva trovarsi originariamente all’interno del vaso, in qualità di offerta.
(Brady et al. 1997).
19
In Yucatan l’acqua vergine veniva raccolta anche in contenitori di pietra chiamati “haltun”.Questi blocchi
tagliati in modo grossolano con una depressione poco profonda, si incontrano frequentemente nelle grotte dello
Yucatan sotto gli stillicidi dal soffitto.
10
come accade oggi nelle montagne, dove la i maya frantumano ceramica nei
santuari dedicati agli antenati sulla cima delle montagne.
Nella grotta di Eduardo Quiroz, in Honduras (Pendergast 1964), la
presenza di una gran quantità di frammenti ceramici in tutte le nicchie e le
fessure della grotta, fa pensare che i vasi venissero rotti appositamente e
poi infilati nelle fenditure delle pareti
20
. I pezzi ceramici si trovano in
luoghi per lo più al di sopra del livello del pavimento: questo indica che
non possono essersi rotti e aver raggiunto il luogo di rinvenimento per
cause naturali.
Elementi strutturali
In molti casi, come quello di Naj Tunich
21
, i resti archeologici
testimoniano che grotte di grandi dimensioni venissero frequentate in tutta
la loro estensione, fino agli angoli più remoti. Dunque i maya non si
limitavano ad entrare in una caverna e compiere il gesto rituale, ma si
inoltravano in cavità profondissime e percorrevano articolati tunnel nella
totale oscurità per celebrare i loro riti. Il cammino all’interno di questi
cunicoli, il silenzio e il buio, erano le condizioni fondamentali per entrare in
contatto con il sovrannaturale.
È verosimile che il semplice raggiungimento del luogo dove effettuare il
gesto rituale, rientrasse nella performance cerimoniale stessa.
Le modifiche strutturali apportate all’interno delle grotte sono spesso
finalizzate alla creazione di percorsi “obbligati” e “tappe” per lo svolgimento
dei rituali.
Un esempio è costituito dalla grotta di Eduardo Quiroz, dove muri bassi
formano degli scalini e una sorta di separazione tra la prima e la seconda sala.
Non è chiara la funzione svolta da questi muretti, spesso presenti all’interno e
all’esterno delle grotte, ma è probabile che demarcassero dei distretti o
scandissero delle fasi dell’iter rituale.
20
La frattura intenzionale dei vasi avveniva probabilmente durante le cerimonie di rinnovo annuale
21
È una delle più grandi grotte dell’America Centrale, con oltre tre km di tunnel mappati ( Brady e altri 1992)
11
All’interno delle grotte venivano creati veri e propri luoghi preferenziali per
la deposizione di offerte, come a Naj Tunich (Brady 1989), dove una
piattaforma con tre scalini funge da base alla massima concentrazione di
artefatti di tutta la grotta.
Ci sono molti casi in cui pavimenti in stucco, o in lastre di pietra,
indipendenti da altri elementi architettonici (Las Cuevas, Anderson 1962),
realizzati per regolarizzare il terreno, servissero non solo per facilitare il
transito, ma anche per creare delle aree adibite al culto.
La costruzione di altari è giustificata da questa esigenza: segnalano
anch’essi dei punti dove fermarsi per compiere il gesto rituale.
Un inequivocabile altare è stato trovato in un passaggio nascosto a Naj Tunich
( Stone 1989 ): una pila di pietre calcaree sovrastata da una lunga pietra conica
a sostegno di due orli di “ollas”.
Un'altra sorta di costruzione tipo-altare, trovata in una stanza nascosta in
profondità a Naj Tunich, consiste in una forma a scatola, di circa un metro di
lunghezza, fatta di speleotemi con sette stalattiti rotte poste sulla sommità
(Brady 1992: fig. 3).
Anche le entrate venivano spesso sottoposte a modifiche.
Nella grotta de Los Quetzales, l’entrata nord è stata chiusa e ricoperta dalla
pavimentazione della piazza (ricordiamo che la grotta si trova al di sotto del
sito monumentale de Las Pacayas), mentre l’apertura molto più piccola, posta
in corrispondenza al punto d’incontro delle due piazze principali del sito, è
stata rielaborata e ristretta con un muro di pietre finemente lavorate. Questo fa
presumere che venissero create delle entrate preferenziali attraverso la
chiusura degli altri possibili accessi e la “monumentalizzazione” delle stesse.
L’entrata nord della Cueva del Sangre è segnalata in superficie da una
piccola struttura circondata da un muro (Brady 1997) e diversi monticoli
sembrano restringere l’accesso da nord.
In questo esempio sembra chiaro l’intento di rendere visibile e riconoscibile
l’entrata principale della grotta, ma nella maggior parte dei casi si riscontra
12
un semplice restringimento dell’ingresso: questa operazione sembra fosse
finalizzata ad occultare l’accesso, piuttosto che ad indicarlo.
Passaggi artificialmente ridotti possono essere visti ad esempio nella grotte
di Las Cuevas (Anderson 1962), di Eduardo Quiroz (Pendergast 1971) e di
Río Murciélagos.
La grotta di Balankanche, vicino Chichen Itza, fu completamente sigillata
da un muro in pietra, posto a circa 250 m dall’entrata (Andrews, E.W.
1970:fig. 2).
Stone (1995) sostiene che questo tipo di blocchi e costrizioni facciano
riferimento al concetto di “regione selvaggia”( per cui si rimanda al
paragrafo 1.1) come luogo remoto ed inaccessibile. Sembrerebbe che i
passaggi di difficile accesso, bloccati da muri e altro, fossero percepiti
come fortemente carichi di qualità sacrali.
Il restringimento delle entrate delle grotte dimostra il fatto che lo spazio
sacro fosse per i maya, nella sua forma più fondamentale, racchiuso, intimo
e remoto.
Il restringimento delle stanze e dei passaggi nelle grotte richiama anche la
natura privata dei rituali in grotta, che spesso riguarda riti altamente
personali di passaggio, tra i quali l’autosacrificio rituale.
Alcune costruzioni rinvenute nelle grotte maya sono piuttosto elaborate,
come abbiamo visto nella grotta di Naj Tunich, con complesse strutture
tombali, pavimentazioni raffinate e altari; o come nella grotta di Quen
Santo, sugli altipiani del Guatemala, dove troviamo una struttura
intonacata, unica nel suo genere, con un portale trilitico (ad architrave)
poggiato su una piattaforma, che si rifà al modello dei templi maya (Seler
1901: fig. 239).
Questi esempi rappresentano delle eccezioni, visto che i muri venivano
usati soprattutto per modificare la topografia naturale, soprattutto al fine
di regolarizzare gli ammassi di pietre non coerenti. Queste operazioni di
livellamento si trovano all’interno, ma soprattutto all’esterno delle grotte.
13
È il caso dei massi franati su un pendio a Naj Tunich, Guatemala,
trasformati in rozze terrazze grazie all’aggiunta di elementi murari.
Un'altra forma di modifica intenzionale della grotta è rappresentata dalla
rottura e spostamento degli speleotemi (stalattiti, stalagmiti e formazioni
calcaree di vario genere).
Lo speleologo Allan Cobb, nel contesto del “Petexbatun Cave Survey”
22
, ha
notato gli effetti di questa pratica in tutte le grotte dell’area studiata. Mentre,
la rottura di stalagmiti e delle formazioni presenti sul piano pavimentale
possono essere casuali o finalizzate alla regolarizzazione del terreno
23
, quella
delle stalattiti, difficilmente raggiungibili, sembra intenzionale.
Nella grotta di Eduardo Quiroz, precedentemente citata, si trova un’area
cerimoniale, costituita da una serie di banchi ricoperti da offerte, in
corrispondenza della quale il soffitto non presenta stalattiti, visibili in tutto il
resto della sala. Segni di incrostazione e gli stessi banchi calcarei
testimoniano che in quel luogo avveniva lo stillicidio: sembra chiaro dunque
che le stalattiti siano state intenzionalmente asportate dai Maya.
Nella Cueva de Sangre sono stati rinvenuti grandi depositi di speleotemi,
appositamente rotti e allontanati dal loro contesto originario, per riunirli in un
luogo all’interno della grotta o per condurli altrove.
Difatti, speleotemi rotti sono stati rinvenuti anche in contesti superficiali
(Brady et al. 1997), come nel sito residenziale di Dos Pilas.
Dal fatto che questi oggetti venissero portati deliberatamente in superficie, si
deduce che gli speleotemi venissero utilizzati a fini rituali, in depositi e
sepolture. In alcuni casi venivano scolpiti e utilizzati come “idoli”
24
.
In questi contesti le formazioni calcaree sono considerate oggetti di culto,
come se inglobassero il potere sacrale della grotta.
25
22
Si rimanda a nota 17.
23
A Naj Tunich la Struttura 2 poggia su una pavimentazione in lastre di pietra, realizzata dopo aver tagliato le
stalagmiti sporgenti.
24
Interessante a riguardo lo studio di Brady (1999) sugli speleotemi lavorati della grotta di Jabonche.
25
Si veda il paragrafo 1.1, in particolare la nota 14.
14