PREMESSA
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PREMESSA
Il presente lavoro è stato svolto presso il Centro Funzionale
Multirischi della Regione Marche, a compimento del ciclo di studi previsto
per il Corso di Laurea Magistrale in Sostenibilità Ambientale e Protezione
Civile, attivo presso la facoltà di Scienze dell’Università Politecnica delle
Marche di Ancona.
Questa tesi ha lo scopo di :
individuare una metodologia semplice ma efficace per la
valutazione della vulnerabilità da esondazione, applicabile a
qualsiasi bacino idrografico.
ottenere una base di lavoro sviluppabile e aggiornabile;
fornire agli operatori di Protezione Civile uno strumento efficace da
consultare in fase di pianificazione e gestione dell’emergenza.
Lo studio ha visto come fase iniziale
(i) la valutazione delle metodologie di analisi della
vulnerabilità sviluppate in ambito nazionale e comunitario
al fine di individuare degli indici di vulnerabilità ;
(ii) la valutazione delle informazioni disponibili presso la
Regione Marche ed eventualmente reperibili.
Successivamente i criteri e gli indici sviluppati sono stati applicati al
territorio del bacino del Musone per ottenere le mappe di vulnerabilità ed è
stata fatta un’analisi interpretativa dei risultati ottenuti.
L’ultima fase dello studio ha previsto la preparazione dei dati
spaziali per l’elaborazione di un modello idraulico che consentirà di
produrre le mappe delle aree esondate riferite a un tempo di ritorno.
L’elaborazione delle mappe di vulnerabilità e la preparazione dei dati
spaziali per il modello idraulico sono state fatte utilizzando i “Geographic
Information System” (G.I.S), strumenti indispensabili per la pianificazione
territoriale e per tutte le operazioni di visualizzazione ed analisi relative
alla gestione del territorio nei suoi più disparati aspetti.
INTRODUZIONE
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1. INTRODUZIONE
Dal punto di vista climatico, negli ultimi dieci anni si è assistito a un
sensibile aumento dei fenomeni estremi. Stiamo assistendo ad inverni
sempre più rigidi seguiti da estati torride con locali eventi di precipitazioni
più intense, il cui impatto sul territorio ha conseguenze spesso devastanti.
Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio ai dissesti
idrogeologici, rientra senza dubbio la sua conformazione geologica e
geomorfologica, caratterizzata da un’orografia giovane e da rilievi in via di
sollevamento.
In Italia il dissesto idrogeologico è diffuso in modo capillare e
rappresenta un problema di notevole importanza; la superficie delle aree
ad alta criticità idrogeologica si estende per 29,517 Kmq ossia il 9,8 %
dell’intero territorio nazionale, di cui 12,263 Kmq a rischio alluvione.
Il rischio idrogeologico è fortemente condizionato anche dall’azione
dell’uomo. La densità della popolazione, l’abbandono dei terreni montani,
l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole
poco rispettose dell’ambiente e la mancata manutenzione dei versanti e
dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il dissesto e messo
ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano.
Spesso si riscontrano situazioni di insufficienza idraulica per
l’elemento di deflussi di piene, che rendono inadeguate le dimensioni delle
reti di drenaggio esistenti.
Se è impossibile pensare di impedire alla natura di fare il suo corso,
è invece fondamentale operare concretamente per mitigare il rischio e
limitare l’esposizione dei cittadini e i danni attesi in caso di calamità.
La frequenza di episodi di dissesto idrogeologico, che hanno
spesso causato la perdita di vite umane e ingenti danni ai beni, ha imposto
una politica di previsione e prevenzione non più incentrata sulla
riparazione dei danni e sull’erogazione di provvidenze com’era in passato,
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ma imperniata sull’individuazione delle condizioni di rischio e sull’adozione
di interventi per la sua riduzione.
Secondo un recente rapporto stilato dalla Protezione civile e da
Legambiente, i Comuni a rischio idrogeologico sono 8 su 10. Su 6.633
comuni il 24,9% si trova in aree franabili, 18,6% in aree alluvionali e il
38,4% in aree franabili e alluvionali. Nel 42 % dei Comuni non viene svolta
regolarmente la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua e delle opere di
difesa idraulica. Una fragilità che è particolarmente elevata (come si vede
dalla tabella1) in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle
d’Aosta e nella Provincia Autonoma di Trento (dove il 100% dei comuni è
classificato a rischio), seguite da Marche e Liguria (99%), da
Lazio e Toscana (98%). Sebbene in molte regioni la percentuale di
comuni interessati dal fenomeno possa essere leggermente inferiore, la
dimensione del rischio è comunque preoccupante, come testimonia
l’alluvione del 2010 che ha colpito una vasta area del Veneto, regione in
cui si registra la percentuale più bassa di comuni interessati da fenomeni
di dissesto idrogeologico (pari comunque al 56% del totale), ma in cui
evidentemente l’entità del rischio, seppure in aree di estensione più
concentrata in alcuni territori, è molto elevata.
Tabella 1: Fonte: Report ministero dell'Ambiente e della tutela del Territorio " Rischio idrogeologico in Italia"- 2008
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Si evidenzia inoltre come l’ 85% dei comuni intervistati da
Legambiente abbia nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in
prossimità degli alvei e in aree a rischio frana e il 31% presenti in
tali aree interi quartieri. Nel 56% dei comuni campione si trovano in aree a
rischio addirittura fabbricati industriali.
Soltanto il 5% dei comuni ha intrapreso azioni di delocalizzazione di
abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nel 4% dei
casi si è provveduto a delocalizzare gli insediamenti industriali.
Il 73% dei comuni, che hanno partecipato all’indagine, ha realizzato opere
di messa in sicurezza dei corsi d’acqua e dei versanti, interventi che però
spesso rischiano di accrescere la fragilità del territorio piuttosto che
migliorarne la condizione e di trasformarsi in alibi per continuare ad
edificare lungo i fiumi.
L’82% dei comuni si è dotato di un piano di emergenza da mettere
in atto in caso di frana o alluvione. Nel 66% dei comuni esiste una
struttura di protezione civile operativa 24 ore su 24.
La percentuale più elevata di comuni che svolgono un positivo
lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico è in Veneto (43%). Al
secondo posto il Friuli Venezia Giulia e le Marche, regioni in cui il 40%
delle amministrazioni comunali risulta svolgere un positivo lavoro di
prevenzione del rischio. In coda Abruzzo e Sardegna, regioni in cui il 96%
delle amministrazioni comunali intervistate non svolge una positiva opera
di prevenzione di frane e alluvioni.
Tabella 2: Urbanizzazione delle aree a rischio idrogeologico in Italia. Fonte: Legambiente.
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La Regione Marche si presenta particolarmente esposta al rischio
idrogeologico ed in particolare al rischio idraulico: il territorio marchigiano
è infatti caratterizzato da numerosi corsi d’acqua di piccole e medie
dimensioni a regime prevalentemente torrentizio. Questi presentano
diversi aspetti che tendono ad estremizzarne il comportamento dando
luogo a un notevole divario tra le portate di magra e quelle di piena e a
modalità di risposta idrologica spesso repentine, e talvolta violente, alle
precipitazioni intense. Questo comportamento è aggravato anche dalla
morfologia del territorio che presenta rilievi anche di notevole entità ad una
distanza relativamente ridotta dal mare. Questo tipo di morfologia
comporta due aspetti:
1. I bacini della regione sono caratterizzati da un’ampia parte iniziale
montana con forti pendenze ed una parte finale collinare e
pianeggiante e presentano mediamente tempi di corrivazione
piuttosto brevi.
2. La parte montana, piuttosto consistente, con il suo innevamento
può influenzare notevolmente l’entità dell’afflusso in alveo: è
capitato infatti che precipitazioni non di rilevanza eccezionale
Figura 1: Percentuali del territorio a rischio idrogeologico delle regioni.
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abbiano messo in crisi tali bacini proprio a causa dell’apporto
derivante dal concomitante scioglimento del manto nevoso; a
queste latitudini inoltre, (la regione è compresa tra il 42° ed il 44°
parallelo) tale fenomeno può avvenire più frequentemente ed in
modo più repentino che non, ad esempio, sull’arco alpino.
Un'altra particolarità della morfologia marchigiana è l’alternanza di
dorsali montuose e fasce collinari: i corsi d’acqua attraversando le zone di
confine tendono a scavare profonde gole e creare variazioni di assetto del
letto fluviale che possono portare a situazioni critiche. La parte collinare e
pianeggiante della regione è caratterizzata da forte antropizzazione e
conseguente impermeabilizzazione del suolo (sono presenti numerose
attività industriali), generale stato di abbandono degli alvei fluviali, e da
suoli con litologie a buona componente argillosa, ad alta erodibilità e
bassa permeabilità; essa è pertanto particolarmente esposta a rischio
idraulico.
Ulteriori fattori che aumentano la vulnerabilità del territorio sono la
bassa protezione vegetale del suolo (le aree boschive sono presenti in
massima parte nella porzione appenninica della regione) e l’intensa attività
agricola che caratterizza gran parte della porzione collinare e costiera
della regione, nonché la scarsa attenzione da parte degli operatori del
settore nello svolgimento delle pratiche di aratura dei suoli. Sui versanti
collinari infatti, in corrispondenza del periodo di aratura, è piuttosto
frequente l’instaurarsi di fenomeni di erosione lineare concentrata da parte
delle acque meteoriche.
Il progressivo intervento antropico, concentrato prevalentemente
nelle piane alluvionali, ha interferito notevolmente con gli assetti naturali,
condizionando i fiumi entro “sistemi rigidi”, spesso sottodimensionati
destinando aree golenali e di espansione libera alla realizzazione di
insediamenti urbani ed industriali che frequentemente sono soggetti a
fenomeni di esondazioni da parte di fiumi e torrenti anche di modestissime
dimensioni.
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Da considerare inoltre l’effetto che ha avuto nel tempo la presenza
di opere trasversali sull’equilibrio del sistema alveo-fiume; sono presenti
infatti invasi lungo le aste fluviali del Foglia, del Metauro, del Musone, del
Chienti, del Tenna, dell’Aso e del Tronto.
Lungo il reticolo idrografico della regione, infatti, è frequente
osservare intensi processi erosivi o di sovralluvionamento. I primi sono
concentrati principalmente a valle delle opere idrauliche in alveo; i secondi
sono essenzialmente dovuti al trasporto solido ed alla diminuzione
dell’energia di trasporto. Le acque, in concomitanza al dilavamento subito
dai versanti non più protetti dalla vegetazione, apportano notevole quantità
di sedimenti con granulometrie piuttosto fini, difficilmente asportabili anche
dalle piene più importanti.
L’evoluzione e la dinamica di queste ultime ha evidenziato nel corso
degli anni dove siano concentrate le maggiori criticità, ovvero quali siano
le aree a maggior rischio e soprattutto quali siano le condizioni
meteoclimatiche più favorevoli alla formazione di piene straordinarie.
Fenomeni di esondazione significativi sono stati innescati da
precipitazioni anche di non rilevante intensità, associate allo scioglimento
del manto nevoso presente sulle porzioni montane e collinari ed in
presenza di avverse condizioni meteo-marine: condizioni meteo-marine
sfavorevoli (forti venti da est o moto ondoso particolarmente rilevante)
possono causare un effetto ostruttivo alle foci con l’effetto di aggravare la
situazione di crisi in atto. Fenomeni localizzati di particolare intensità
durante il periodo autunnale hanno messo in crisi i bacini costieri,
fortemente antropizzati, causando ingenti danni alla popolazione, alle
attività industriali ed agricole.
Nella regione Marche i comuni a rischio idrogeologico sono ben 245
e nel dossier “Ecosistema Rischio 2010” la percentuale dei comuni
marchigiani con abitazioni nelle aree golenali e negli alvei dei fiumi risulta
dell’83% e il 38% delle amministrazioni presenta interi quartieri in zone a
rischio.
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Nel presente studio viene esaminato il solo aspetto della
vulnerabilità degli elementi esposti al rischio, analisi che viene spesso
trattata con superficialità attribuendo un valore massimo ad alcuni
elementi solo per il fatto che ricadono all’interno delle aree perimetrate e
valore nullo al resto.
Si mostra di seguito, a titolo di esempio, un estratto dalla tabella
dell’allegato 2- analisi speditiva della valutazione del rischio di piena dei
PAI, delle Linee guida ISPRA, in cui viene mostrato come nella Regione
Marche per l’elaborazione del PAI si siano effettuate analisi
sull’esposizione e sul rischio senza tenere in considerazione l’aspetto
della vulnerabilità.
Tabella 3:Attività realizzate dai comuni marchigiani. Fonte: Legambiente
INTRODUZIONE
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La scelta dell’area di studio per questa analisi è ricaduta sul
territorio del bacino idrografico del fiume Musone date le evidenti
problematiche presenti soprattutto nel tratto vallivo, fortemente
antropizzato, caratterizzato da una cattiva regimazione dei suoli e dalla
presenza di un invaso significativo nella parte montano/collinare.
Tabella 4:estratto dalla tabella dell’allegato 2 –analisi speditiva della valutazione del rischio di piena nei PAI. Fonte: Linee guida
82/2012 ISPRA
STATO DELL’ARTE SULL’ANALISI DELLA VULNERABILITA’
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2. STATO DELL’ARTE
2.1. Definizioni e concetti
La letteratura attuale comprende più di 25 differenti definizioni,
concetti e metodi di sistematizzare vulnerabilità. Anche se la vulnerabilità
deve essere vista nella sua natura multiforme, le diverse definizioni e
approcci mostrano che non è chiaro che cosa si intenda per vulnerabilità.
Siamo ancora di fronte ad un paradosso: ci proponiamo di misurare la
vulnerabilità, ma non possiamo definirla con precisione.
Anche se non esiste una definizione universale di vulnerabilità,
diverse discipline hanno sviluppato le proprie definizioni e pre-analitiche
visioni di ciò che significa vulnerabilità. Una panoramica delle diverse
definizioni è data da Thywissen (2003).
Tuttavia, al fine di discutere concetti diversi su come sistematizzare
la vulnerabilità, è utile anche dare una breve introduzione dei termini
rischio e pericolosità.
In accordo con Nott (2006) il rischio può avere una varietà di
significati ed a volte è usato nel senso della probabilità o possibilità che un
evento accada entro un determinato periodo di tempo. In alternativa, il
rischio può fare riferimento agli effetti conseguenti al verificarsi di un
evento. In quest'ultimo senso, il rischio si riferisce al numero atteso di
perdita di vite umane, feriti, danni alle cose e l'interruzione delle attività
economiche a causa di un particolare fenomeno naturale o pericolo, se
visto da un punto di vista umano.
Blaikie et al., (1994) definiscono pericolosità come probabilità di
accadimento di eventi (pericoli) estremi, che possono influire
singolarmente o in combinazione, in un luogo e in un determinato arco di
tempo.
Ci sono diversi tipi di pericolo o tipi di calamità, ma in generale
possono essere classificati come rischi naturali e di origine antropica.
Poiché il tempo di comparsa dei pericoli naturali non può essere definito
STATO DELL’ARTE SULL’ANALISI DELLA VULNERABILITA’
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esattamente, le conseguenze dei pericoli naturali appaiono più gravi
rispetto alle conseguenze dei pericoli di natura antropica (Alcantara-
Ayala,2002).
L’immagine seguente mostra la distribuzione dei disastri provenienti
da tutto il mondo:
2.1.1. Vulnerabilità ed esposizione
Le analisi e le procedure per determinare e valutare i fattori naturali
della propensione al dissesto e della pericolosità sono molto approfondite
mentre “le analisi degli elementi antropici che possono essere vulnerabili e
le procedure per valutarne la vulnerabilità nell’ insieme non sempre sono
ugualmente esaustive, sistematiche e dettagliate” (Besio, 2001), come
pure gli studi volti ad analizzare e classificare la vulnerabilità degli
elementi esposti risultano ancora carenti (Margottini,2007).
Figura 2: Differenti tipi di disastro nel mondo. Fonte Alcantra-Ayala,2002
STATO DELL’ARTE SULL’ANALISI DELLA VULNERABILITA’
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Come questa sezione illustrerà, la misura della vulnerabilità risulta
dalla combinazione di fattori o processi fisici, sociali, economici e
ambientali. Questi fattori vanno a rappresentare le principali caratteristiche
che determinano l’aumento o la diminuzione delle probabilità di
conseguenze del rischio.
In accordo con la definizione data dalla Protezione Civile Nazionale,
per valutare concretamente un rischio, quindi, non è sufficiente conoscere
il pericolo, ma occorre valutare la vulnerabilità degli elementi presenti in
quella determinata area.
I significati attribuiti al termine vulnerabilità spesso sono differenti e
variano in funzione della scala di studio (area vasta, ambito urbano,
quartiere, ecc..).
Il concetto di vulnerabilità si è evoluto delle scienze sociali ed è
stato introdotto nel 1970 come risposta alla percezione della pericolosità
orientata al rischio del disastro (Schneiderbauer e Ehrlich, 2004). Sin dal
1980, il dominio delle strategie orientate alla previsione del rischio sulla
base di interventi tecnici è stato sempre più messo in discussione
dall’alternativa di utilizzare la vulnerabilità come punto di partenza per la
riduzione del rischio.
Sebbene ancora ci sono molte incertezze su ciò che è compreso
nel termine, Cardona (2004) sottolinea il fatto che il concetto di
vulnerabilità ha aiutato a chiarire i concetti di rischio e di emergenza.
Una definizione molto ampia di vulnerabilità la fornisce
l’International Strategy for Disaster Reduction, organismo internazionale
per la prevenzione dei rischi, che considera la vulnerabilità ai disastri
come “funzione delle azioni e dei comportamenti umani” (UN/ISDR,2004).
Essa descrive il livello di suscettività di un sistema socioeconomico a
subire o meno gli impatti dovuti al verificarsi di catastrofi naturali,
tecnologiche e ambientali.