5boschive e risultano integrate con le stesse nella misura del 20-30%
dei casi.
La statistica considerata non permette di poter distinguere tra
segherie lavoranti il legname nazionale e segherie che lavorano
legname importato e neanche tra le segherie e le altre aziende che
preparano industrialmente il legno.
E’ un settore, quello delle segherie, che occupa 17.447 addetti
con una media di 5,1 per azienda. Anche in questo caso il dato è teso a
dimostrare il carattere artigianale e familiare di queste imprese. Il
lavoro è fornito per il 30% dai titolari ed i loro familiari e per il 70%
da dipendenti.
Si nota comunque una più forte caratterizzazione industriale
delle segherie rispetto alle imprese boschive, che si manifesta
comunque con una certa necessità di strutture e servizi.
L’industria del legno italiano è dipendente in forte misura dalle
importazioni, dato che le produzioni interne sono praticamente poco
rilevanti. Diversi Autori hanno considerato che proprio le imprese
boschive e le segherie siano il punto più debole dell’intero sistema
foresta-legno italiano (Bagnaresi, 1984; Merlo, 1987). Questo
soprattutto perché non si è riusciti a realizzare una razionale gestione
delle produzioni forestali del nostro Paese.
Sicuramente, come riferito dai risultati di recenti ricerche
(Cesaro et al., 1991), si può considerare come le imprese boschive e le
segherie, che utilizzano legnami nazionali, presentano carenze in
termini strutturali e produttività basse. Le imprese boschive, infatti,
hanno produttività pari a 3 m3/giorno/addetto contro i 7/8 m3 dei Paesi
dell’Europa Centrale. Anche nelle segherie, tuttavia, la produttività
giornaliera è molto ridotta: poco più di 2 m3.
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6Le imprese, come già detto, sono per lo più a carattere familiare
e, quando utilizzano legname nazionale, si ottiene materiale piuttosto
carente dal punto di vista tecnologico, soprattutto perché disforme.
E’ proprio la ridotta dimensione di tali imprese a spiegare la
presenza di ridotte innovazioni tecnologiche, la loro inadeguata
organizzazione e gli investimenti sicuramente limitati.
La dimensione medio-piccola delle nostre imprese dà vita a vari
problemi organizzativi e tecnici. L’eventuale crescita delle segherie
verso maggiori dimensioni tende a generare maggiori flussi di
importazioni e quindi di commercio di legname estero. Questa
situazione porterà evidentemente ad un crescente disinteresse per i
mercati italiani di materia prima.
Se ci si proponesse la valorizzazione delle imprese boschive e
delle segherie di piccole–medie dimensioni, si dovrebbero prevedere
processi di innovazione tecnologica ed organizzativa, ma anche una
più efficiente regolazione del mercato del legname in piedi con, ad
esempio, la presenza di contratti associativi fra chi produce, chi
utilizza e chi trasforma. Si dovrebbe, quindi, limitare il meccanismo
delle aste incapace di garantire continuità e sicurezza nell’azione di
approvvigionamento (Serpieri, 1922).
Con la presenza di imprese di ridotte dimensioni solo la
produzione specifica, quindi di assortimenti personalizzati, può essere
l‘unica via per competere sul mercato del legname che risulta
dominato da un offerta proveniente dall’estero molto omogenea e a
prezzi più bassi.
La forma cooperativa per imprese boschive e segherie, che si
era auspicata per limitare le carenze tecnologiche e organizzative ma
anche per limitare problemi di approvvigionamento e di commercio,
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7pare non abbia ancora definito i risultati prospettati inizialmente. Tale
forma associativa, infatti, è ormai insostituibile a livello di
produzione, mentre lo stesso non si può dire per le imprese boschive e
le segherie.
E’ comunque importante evidenziare che nella seconda metà
degli anni ’80, sia le imprese boschive che le segherie hanno potuto
manifestare un aumento della produzione anche del 20-30% e che
l’occupazione non si è affatto ridotta, essendosi registrato un buon
aumento di produttività.
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8Le produzioni legnose della Sardegna
Secondo i rilievi effettuati dal Corpo forestale e di vigilanza
ambientale della Regione Autonoma della Sardegna, che si riferiscono
alla situazione del dicembre 1997, nell'Isola sono presenti 590.928 ha
di superficie forestale, con soprassuoli arborei o a prevalenza arborea.
Del totale considerato, 354.129 ha sono governati a fustaia e
236.799 a ceduo. Applicando la definizione di bosco della F.A.O.
utilizzata per l’inventario forestale mondiale del 2000, tuttavia, si
dovrebbero considerare come superfici forestali anche i 504.918 ha
che risultano ripartiti in macchie più o meno evolute, con 436.300 ha,
e formazioni minori (vegetazione rupestre, riparia e garighe), con
68.618 ha (Beccu, 1998a).
Il totale delle superfici forestali della Sardegna sarebbe quindi
pari a 1.095.847 ha che determinano un indice di boscosità del 45,49%
e con un rapporto ha/100 abitanti pari a 66,49. Questi valori sono
sicuramente elevati e documentano una situazione diversa rispetto a
comuni convinzioni, secondo le quali l’Isola sarebbe povera di
superfici boschive, anche a causa delle notevoli utilizzazioni effettuate
nell’800 che avrebbero determinato la scomparsa di estesi soprassuoli.
Altre fonti (ISTAT, 2000; ISTAT, 2001) sicuramente non
applicano la definizione di bosco fornita dalla F.A.O. e, quindi,
stabiliscono un valore di superficie boscata pari a 530.675 ha, con un
relativo indice di boscosità del 22,03% e con un rapporto ha per 100
abitanti di 32,20.
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9E’ evidente come la superficie boscata sarda, assume, usando
una definizione di bosco più classica, un valore che è circa la metà di
quanto osservato tenendo conto anche delle superfici di valore
puramente estetico – ambientale, prese invece in considerazione dalla
F.A.O.
Altre recenti fonti, (ISTAT, 1997; Minnei, 2000), confermano
quanto appena detto: la superficie forestale sarda sarebbe pari ad un
totale di 529.909 ha. Questi, sono ripartiti in varie categorie: cedui
(187.519 ha, il 32,65% del totale regionale), macchia mediterranea
(95.185 ha che sono pari al 17,96% del totale regionale e il 35,74%
del totale nazionale) e infine le fustaie (247.205 ha pari al 46,65% del
totale).
Tra i cedui, prevalgono quelli semplici, (173.050 ha) rispetto a
quelli composti (14.469 ha). Tra le fustaie, prevalgono quelle di
latifoglie (176.738 ha), rispetto alle resinose (43.030 ha) e a quelle
miste (27.437 ha).
Inoltre, è importante considerare come dal 1994 al 1997, si è
avuto per la Sardegna, un aumento delle superfici boscate pari al
4,279%: si è infatti passati dai 507.230 ha ai 529.909 ha e con un
incremento medio annuo di superficie pari a 7.559,66 ha, dovuto
molto probabilmente anche ai diffusi rimboschimenti effettuati
dall’attuale Ente unico.
Volendo completare la rassegna storica, esistono statistiche
elaborate da fonti diverse in vari periodi (Corpo forestale della RAS,
1975; Inventario forestale nazionale, 1985; Inventario forestale
regionale, 1992). Queste ultime accertano situazioni notevolmente
differenti rispetto a quelle considerate, sia per la differenza temporale,
sia forse per i diversi criteri adottati nella determinazione delle
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superfici forestali dell’isola. Ad esempio, si ha per l’inventario
forestale regionale del 1992, una superficie boscata pari a 838.777 ha,
un indice di boscosità del 34,83% e un rapporto ha per 100 abitanti di
50,90. In quest’ultimo caso, la situazione è molto vicina alla media
aritmetica dei valori riscontrati nel 1998 dal Corpo forestale e di
vigilanza ambientale e dall’Istituto Centrale di Statistica.
I soli dati relativi alle superfici forestali, tuttavia, non sono
sufficienti a definire le specificità e le caratteristiche del bosco sardo,
soprattutto se includiamo tra queste le aree non precisamente boschive
che la definizione dalla F.A.O. considera in maniera indistinta rispetto
ai soprassuoli prevalentemente arborei.
Al fine di definirne la produttività e consistenza, il bosco
dovrebbe essere considerato unicamente per le sue componenti
produttive (legno più i prodotti secondari), ma la definizione della
F.A.O. è chiaramente più in linea con la tendenza a considerare il
bosco anche come generatore di vari servizi ambientali, certamente
non di poco conto e anzi talvolta costituenti la maggiore porzione di
valore totale di un’area boscata. Risulta evidente, pertanto, una certa
sovrastima delle superfici derivante dai calcoli presentati in
precedenza.
Il 64% delle superfici boscate è collocata ad un’altimetria al di
sotto della fascia dei 500 m sul livello del mare. Il 34% è compresa tra
i 500 e i 1000 m di altitudine e il restante 2% è presente al di sopra dei
1000 m.
Circa 221.847 ha sono soprassuoli arborei e arbustivi a densità
da scarsa a molto scarsa, con 10-20% di copertura del suolo per i
soprassuoli arborei e 20-50% per quelli arbustivi (Beccu, 1998a).
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La restante superficie comprende un panorama di situazioni
diversificate: vi sono compresi soprassuoli con densità inferiore a
quella normale, con chiarie più o meno ampie e prive di soprassuolo o
occupate da formazioni di Cistus monspeliensis L.
All'interno di questo insieme di superfici eterogenee, si deve
effettuare una certa distinzione tra le superfici forestali di proprietà
pubblica o amministrate dall'Ente Foreste della Sardegna
(rispettivamente 73.659 e 96.568 ha) ed i boschi appartenenti alle
proprietà private.
Il settore pubblico ha effettuato, nei decenni passati, un insieme
d’interventi colturali ai soprassuoli naturali e artificiali: sfolli,
diradamenti negli impianti più giovani, aumento di densità nei boschi
radi, tagli selettivi per eliminare le conifere negli impianti misti,
nonché le varie operazioni di conversione (Beccu, 1998a).
Nel settore privato gli impianti e soprattutto i boschi di conifere
sono caratterizzati da un generale abbandono. Una volta esauriti i
finanziamenti pubblici, ma soprattutto ridottesi le prospettive di dare
vita ad un utile adeguato dal prodotto legnoso finale, evidentemente
sono stati ridotti i vari interventi di manutenzione di cui ogni bosco ha
necessità. Tale situazione è ancora riscontrabile anche nei boschi
privati naturali, dove mancano cure elementari ed è forte l’abbandono.
In molti casi, inoltre, non sono presenti vie d’accesso e sistemi
antincendio. Per questo motivo sono facilmente attaccabili dal fuoco
ed esposti a costanti e inevitabili rischi. Dal punto di vista fitosanitario
diversi boschi sono segnati dagli incendi che, in passato ma anche
attualmente, hanno percorso e creato gravi danni e hanno permesso
l’insediarsi della carie del legno sulle piante danneggiate.
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La produzione di materiali legnosi della Sardegna è
considerabile, come nella maggior parte delle regioni italiane, modesta
e di scarso valore commerciale. Le fustaie di latifoglie indigene danno
vita in media a provvigioni legnose inferiori ai 100 m3/ha, anche se
non mancano buone fustaie con 180/220 m3/ha e talvolta anche più
(Beccu, 1998b).
Per le querce governate a ceduo a maturità (con turni che vanno
dai 20 ai 30 anni) la provvigione varia da un minimo di 45/60 m3/ha
ad un massimo di 70/80 m3/ha, mentre, nelle stazioni meno fertili, è
rara la provvigione che a maturità superi i 40/45 m3/ha.
Le sugherete, oltre ai danni da incendio e gli attacchi degli
insetti defogliatori, sono soggette a frequenti tentativi di
trasformazione fondiaria volti a convertire tali formazioni in pascoli
arborati.
Buona parte delle sugherete sono a densità rada e prive di
rinnovazione. La loro produzione media di sughero grezzo non è
maggiore di 6/8 q a turno e questo è, di sicuro, un indice di notevole
precarietà selvicolturale.
Negli eucalipteti maturi si ottengono, nelle aree migliori,
provvigioni medie di 1800/2200 q/ha, mentre gli impianti realizzati in
aree improprie, scarsamente fertili, mostrano sia uno stato di
vegetazione, sia degli incrementi legnosi sicuramente meno
considerevoli.
I boschi naturali della Sardegna sono costituiti per lo più da
essenze di scarso pregio mercantile. Queste danno soprattutto legna da
ardere, prodotto che dà vita localmente ad un modesto mercato, anche
se è bene precisare che lo stesso è soddisfatto in buona misura dai
flussi di importazione di legna ardere.
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Tale situazione è dovuta agli alti costi di taglio, esbosco e
trasporto del legname locale. E' logica conseguenza quindi che
l’interesse si sposti altrove per i boschi vicini alle vie di facile accesso
e alle aree che possono garantire una buona produzione legnosa.
Nei boschi artificiali la situazione è diversa. Questi sono
utilizzati al solito con turni di 10-12 anni per dare vita a legna da
ardere e legname per cassettame.
Ancora diversa è la situazione dei boschi di conifere. I
rimboschimenti nelle aree litoranee, realizzati per sistemare e
rinsaldare le dune costiere, hanno dato vita ad interessi diversi da
quelli forestali. Infatti negli stessi si realizza una forte richiesta
d’insediamenti turistici che non riduce forti preoccupazioni riguardo
alla loro futura esistenza (Beccu, 1998b).
Negli altri soprassuoli investiti da impianti di conifere si
praticano da alcuni decenni tagli parziali, non sempre definibili come
tagli d’utilizzazione. Per alcuni boschi sono tagli di trasformazione da
impianti monospecifici in boschi composti e misti. Per altri
soprassuoli sono tagli di diradamento destinati a mantenere il loro
equilibrio, la produttività e l’efficienza. In questo caso il prodotto è
destinato alla lavorazione industriale e, quindi, alla produzione di
puntellame, tavolame e assortimenti vari di paleria.
La situazione complessiva vede, in definitiva, i boschi sardi
soggetti ad un uso minore rispetto alla loro capacità produttiva.
Questo deriva da ragioni principalmente riconducibili alla non
economicità delle operazioni selvicolturali. Il quadro del comparto,
tuttavia, non è omogeneo ed esistono anche situazioni di paradossale
diversità da quanto emerge per la presenza di tagliate regolari e con un
certo controllo.
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Sicuramente il bosco sardo nella sua generalità non smentisce
una certa povertà, soprattutto in riferimento alla produzione di
legname, mentre è certo più valida l‘azione di difesa del suolo e della
regimazione idrica, nonché l‘importanza a scopi estetico-paesaggistici.
L’Isola è quindi ricca di boschi poveri o meglio di boschi
poverissimi. Tale affermazione deriva dalle nuove definizioni di bosco
e quindi, da questo punto di vista, la situazione regionale non è troppo
diversa da quella nazionale.
E' anche vero però che ogni bosco assolve a diverse funzioni:
non solo quella meramente produttiva (legname), ma anche di
caratterizzazione del paesaggio (funzione estetica), di contenimento e
regimazione delle acque, di difesa del suolo dall’erosione e di
ricreazione (turismo). I nostri boschi, pertanto, dando il giusto valore
agli aspetti ambientali, non dovrebbero essere considerati così poveri,
viste le molteplici funzioni a cui assolvono.
Non si può trascurare, inoltre, che l’opinione pubblica ha
maturato negli ultimi decenni una notevole sensibilità verso la
conservazione dell’ambiente e una maggiore consapevolezza
dell’esistenza delle foreste, del loro ruolo e delle loro funzioni.
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