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ambientale, anche perché tale tematica risulta essere estremamente sentita e non
mancano le forme di mobilitazione esterne al piano prettamente istituzionale.
L’oggetto che questa tesi vuole evidenziare è la relazione tra il contesto
ambientale e quello economico, in particolare in una delle sue forme più
evidenti, cioè il commercio. Come detto da Klaus Töpfer (2004), Direttore
Esecutivo del United Nations Environment Programme (UNEP):
“…the need to censure that trade and environment policies are
mutually supportive is more pressing today than even before.
However, successful integration of these policies can only be
achieved through a constructive dialogue based on far broader
awareness and understanding of the complex interlinkages
between trade and our environment…”.
Questo, se vogliamo, è il senso della tesi, che comincia analizzando
quanto è stato fatto nell’ambito internazionale, in particolare all’interno delle
Nazioni Unite, portando in rilievo quelli che sono i principi che dovrebbero
indirizzare le politiche di tutela ambientale. Vengono poi brevemente evidenziati
alcuni aspetti di diversi accordi commerciali regionali, il che dimostra come la
questione ambientale stia assumendo un’importanza sempre maggiore, anche nei
contesti regionali e locali. La ricostruzione di quanto fatto dal GATT e dal suo
successore, il WTO, precede la parte più consistente di questa trattazione, cioè
l’analisi delle principali tematiche, le issues che rappresentano l’essenza delle
relazioni tra commercio e ambiente.
Le conclusioni porteranno ad evidenziare come il rapporto che si vuole
studiare sia un processo che include diversi fenomeni correlati
all’industrializzazione, alla liberalizzazione dei mercati e alla crescita
economica, che incidono direttamente sia sull’ambiente naturale, strictu sensu,
sia sulla percezione e la sensibilità che la società civile ha verso il problema
ambientale. In particolare, si vedrà come il WTO, nel contesto internazionale,
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sia l’istituzione impegnata maggiormente nel tentativo di trovare delle soluzioni
valide ed efficaci per la risoluzione dei problemi correlati al rapporto tra
commercio e ambiente. Ma, a questo punto, si torna a quanto detto in
precedenza: la tematica ambientale, e le sue relazioni con il commercio,
rappresentano una novità nell’agenda politica internazionale, motivo per cui il
dibattito è ancora molto acceso e le soluzioni a cui si accennava sono, a volte,
astratte e, comunque, ancora potenziali.
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Capitolo 1 - Amministrazione ambientale internazionale
A. Un resoconto storico
Il sistema di amministrazione ambientale internazionale attuale può essere
fatto risalire alla United Nations Conference on the Human Environment,
svoltasi a Stoccolma nel 1972. Diversi accordi ambientali internazionali, in
particolare alcuni sull’inquinamento del mare, sono infatti stati sottoscritti prima
della Conferenza di Stoccolma, la quale però rappresentò il primo grande evento
in materia, generando in seguito un’abbondante attività sia a livello nazionale
che a livello internazionale. La Conferenza di Stoccolma aprì inoltre la strada a
nuove forme di partecipazione nell’ambito delle Nazioni Unite, stabilendo un
collegamento tra i procedimenti istituzionali e formali delle stesse Nazioni Unite
e le attività delle NGOs. Il maggior risultato di tale Conferenza fu comunque
l’istituzione del United Nations Environment Programme (UNEP), che avrebbe
dovuto fungere da catalizzatore per quanto riguarda la tematica ambientale
nell’ambito delle Nazioni Unite, anche se i suoi mezzi, come si avrà modo di
sottolineare in seguito, sono sempre stati estremamente limitati rispetto alle
dimensioni dei suoi compiti. Comunque, nel corso degli anni, l’UNEP ha
promosso la stipula di molti accordi internazionali e, allo stato attuale, ha la
responsabilità amministrativa delle maggiori convenzioni e di molti accordi
regionali. Fu presto chiaro che la Conferenza di Stoccolma si incentrò sulla
questione ambientale senza però tenere nel giusto interesse la questione dello
sviluppo, che non fu inserita nell’agenda ambientale.
Nel 1985 le Nazioni Unite istituirono la World Commision on
Environment and Development, la quale, nel 1987 pubblicò il suo primo
rapporto, Our Common Future. I risultati che furono presentati diedero una
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prima e sistematica definizione al concetto di sviluppo sostenibile e, soprattutto,
posero le basi per la revisione di tutte le attività ambientali a livello
internazionale. Tale verifica si sostanziò nella United Nations Conference on
Environment and Development (UNCED), svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992.
l’UNCED sviluppò un programma molto ambizioso finalizzato al perseguimento
dello sviluppo sostenibile, programma contenuto nel documento finale della
Conferenza e conosciuto come Agenda 21. la Conferenza di Rio agevolò
l’istituzione della United Nations Commission on Sustainable Development e
riaffermò l’importanza del ruolo di una governance globale, che poteva essere
agevolata solo allargando la base organizzativa e partecipativa all’interno delle
Nazioni Unite nell’ambito delle tematiche ambientale e dello sviluppo
sostenibile. L’UNCED rappresentò poi l’ambito all’interno del quale i paesi
poterono concludere il Framework Convention on Climate Change e la
Convention on Biological Diversity, attraverso negoziati brevi e assai fruttuosi.
B. I principi
Preliminarmente bisogna sottolineare come la struttura di un regime
ambientale internazionale debba riflettere le peculiarità del problema che va ad
affrontare. Così, un regime finalizzato alla tutela delle biodiversità necessiterà di
mezzi differenti da quelli che si dovranno utilizzare per la protezione degli
oceani dall’inquinamento petrolifero o da quelli che saranno finalizzati al
controllo del commercio delle specie protette. Ciò nonostante, tutti i regimi
ambientali tendono a rispettare alcuni principi fondamentali e a sviluppare gli
stessi attraverso le loro istituzioni. Molti di questi principi furono stabiliti nella
Rio Declaration on Environment and Development, concepita sempre
dall’UNCED nel 1992. Tra questi principi i più rilevanti sono:
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PREVENZIONE – Generalmente risulta essere estremamente
costoso e difficoltoso, se non impossibile, porre rimedio ad un
danno ambientale già verificatosi, per cui si ritiene utile cercare
di evitare qualsiasi problema a priori. Tale principio risulta
quindi evidente, ma bisogna considerare che ha importanti
implicazioni nella realtà, in quanto richiede politiche incisive,
concrete e valide, fondate sulla percezione della possibilità del
danno.
PRECAUZIONE – Calcolare le probabilità di un danno
ambientale rappresenta un compito estremamente arduo, sia
perché le conoscenze in materia risultano sempre rudimentali sia
perché la scienza continua a progredire e ad ampliare le
medesime conoscenze. Purtroppo, però, la scienza non è in
grado né di dare sempre delle risposte certe né di porsi alla
guida dei processi finalizzati alla tutela dell’ambiente, per cui,
spesso, le politiche ambientali e le misure che queste
determinano nascono dall’incertezza. Sostanzialmente, come
stabilito dalla Rio Declaration, il “precautionary principle”
ritiene ingiustificato un non agire determinato dalla mancanza di
un’evidenza scientifica, specialmente quando questo non agire
potrebbe avere conseguenze devastanti.
SUSSIDIARIETÀ – Una delle maggiori sfide per le
organizzazioni di amministrazione ambientale è sicuramente il
collegamento tra le conseguenze individuali e quelle globali
delle loro azioni. Si sta così affermando che le regole sviluppate
ad un certo livello devono poter essere applicate in un’ampia
varietà di ambienti, regionali o locali. Il “principle of
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subsidiarity” richiama quindi l’attenzione sul ruolo e sulle
responsabilità degli attori politici, i quali devono tenere in debita
considerazione anche il livello più basso di organizzazione
politica che sia in grado di agire nella direzione della tutela
dell’ambiente.
RESPONSABILITÀ COMUNE MA DIFFERENZIATA – È
intuibile come i regimi ambientali richiedano la partecipazione
di numerosi paesi, le cui risorse saranno indubbiamente
differenti. Ciò detto, è altrettanto intuibile come non tutti i paesi
abbiano le medesime responsabilità per i problemi creati
all’ambiente nel passato. Così, mentre da un lato tutti i paesi
devono essere consapevoli della comune responsabilità che
hanno nei confronti dell’ambiente, dall’altro lato gli stessi paesi
cercano di sviluppare un sistema di responsabilità che sappia
tenere in debita considerazione le annotazioni di cui sopra.
APERTURA – Questo principio si basa su due elementi, cioè la
trasparenza e la partecipazione pubblica ai processi decisionali.
Entrambi gli elementi risultano fondamentali ad una valida
amministrazione ambientale, dato che la tutela dell’ambiente
richiede la partecipazione di un gran numero di persone a vario
titolo e in diversi livelli.
POLLUTER-PAYS PRINCIPLE – Il “polluter-pays principle”
fu proposto per la prima volta dall’OECD nel 1972, volendo
imporre il principio che gli inquinatori si sarebbero dovuti
sobbarcare interamente i costi derivanti dalla regolamentazione
ambientale e dall’imposizione degli standards, senza che gli
stessi potessero essere agevolati da qualsivoglia forma di
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sussidio. Tale principio si è poi evoluto nella direzione di una
internalizzazione dei costi, per cui gli inquinatori avrebbero
dovuto pagare l’intero costo del danno ambientale che le loro
attività avevano determinato. Fu sottolineato come la maggior
parte di questi costi sarebbe ricaduta sui prezzi dei beni e,
quindi, sui consumatori, ma si ritenne che questo avrebbe
scoraggiato il consumo dei beni a maggiore intensità di
inquinamento.
C. Amministrazione ambientale nazionale
A livello nazionale, i principi di cui sopra sono messi in pratica attraverso
una grande varietà di strumenti, tra cui vanno segnalati i seguenti:
misure di tutela delle specie e degli habitat;
tasse e spese ambientali;
negoziazione di accordi volontari;
schemi di deposito e rimborso;
restrizioni di determinati beni.
Alla base di queste misure vi sono gli standards ambientali, i quali
risultano di assoluta rilevanza nell’ambito del rapporto tra commercio e
ambiente, in particolare quelli imposti sui beni commerciati. Vi sono numerose
tipologie di standard e l’analisi di questa questione verrà ripresa nel prosieguo
del presente lavoro. Per quanto concerne però l’amministrazione ambientale
nazionale è importante evidenziare come esistano almeno cinque grandi gruppi
di standards:
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ξ Environmental quality standard – Vengono utilizzati per
descrivere lo stato dell’ambiente, indicando, ad esempio, la
concentrazione di determinate sostanze nell’aria, nell’acqua o
nel suolo. Possono inoltre essere critical loads, riportando cioè il
livello di agenti inquinanti sotto il quale gli elementi
dell’ambiente non risultano danneggiati. Vi sono infine i
population standard, che richiedono la tutela di determinate
specie che rischiano di essere danneggiate o di essere messe in
pericolo.
ξ Emission standard – Identificano, per determinate sostanze, la
quantità che l’ambiente è in grado di tollerare. Possono avere un
impatto significativo nei processi di produzione che vanno a
regolare più o meno direttamente, anche in considerazione del
fatto che risulta più utile evitare che determinati agenti
inquinanti vengano prodotti, piuttosto che dover intervenire a
posteriori.
ξ Product standard – Specificano determinate caratteristiche che
si ritiene siano necessarie ad evitare danni ambientali causati
dall’uso o dall’eliminazione dei prodotti. L’ambito di
applicazione più ricorrente di questa tipologia di standards è
quello della tutela della salute umana.
ξ Process and production standard – Specificano quali devono
essere i processi di produzione e quali tipi di impatto possono
questi avere sull’ambiente. Gli standards basati sui processi e sui
metodi di produzione sono particolarmente importanti
nell’ambito del commercio internazionale, anche perché sono
completamente assenti a livello nazionale.
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ξ Performance standard – Richiedono determinate azioni, come
per esempio una tassazione ambientale, che si ritiene siano
necessarie per migliorare l’amministrazione ambientale.
D. Aspetti ambientali dei principali accordi commerciali regionali
Dopo aver brevemente visto gli sviluppi storici della questione ambientale
e le principali implicazioni che la stessa ha con il commercio, e prima di passare
ad un’analisi particolarmente approfondita del rapporto tra commercio e
ambiente nell’ambito della massima istituzione in materia, cioè il WTO, può
essere utile passare in rassegna tre diversi accordi commerciali particolarmente
diversi tra loro – NAFTA, EU, Mercosur – per poter valutare i diversi approcci
che sono stati adottati per affrontare le tematiche commerciali e ambientali.
1. Il North American Free Trade Agreement – Il NAFTA è un accordo
commerciale tra Canada, Messico e Stati Uniti, entrato in vigore dal 1
Gennaio 1994. All’interno del NAFTA è stata creata la Commission
for Environment Cooperation (CEC), la quale deve promuovere la
cooperazione in ambito ambientale tra i tre paesi membri e dalla quale
possono essere invocati provvedimenti per la risoluzione delle dispute
qualora un paese fallisca ripetutamente nell’applicare la legislazione
ambientale. Passando invece ad un’analisi più approfondita degli
articoli che costituiscono il NAFTA, emergono alcuni elementi
particolarmente interessanti:
ξ Articolo 11 (investimenti) – Prevede che le parti non tralascino
la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente, al fine di
attirare qualsivoglia forma di investimento, il che rappresenta