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Il pompaggio di acqua dolce nelle zone costiere gioca senza dubbio un ruolo
decisivo: se infatti in linea teorica, secondo la legge di Ghyben (1899) –
Herzberg (1901), l’interfaccia acqua dolce–acqua salata si trova ad una
profondità rispetto al livello del mare pari a circa 40 volte l’altezza del livello
piezometrico, un abbassamento di un metro del livello piezometrico per
effetto del pompaggio di un pozzo può causare la risalita di un cono salino di
circa 40 metri.
L’intrusione marina può causare notevoli disagi ambientali e un decadimento
della qualità delle acque sotterranee fino a renderle inutilizzabili per usi
potabili e spesso anche per fini irrigui. Per questo motivo spesso si accenna al
fenomeno in termini di contaminazione salina.
In questo senso la contaminazione salina può compromettere l’attività
agricola, bloccare l’attività delle centrali elettriche ed alterare la flora fino a
diverse decine di chilometri nell’entroterra. Il degrado delle acque sotterrane
è ancora più sentito per la captazione per uso potabile che vede venir meno la
possibilità di continuare ad attingere alla preziosa risorsa.
In Italia, in linea generale i livelli statici delle falde captate con pozzi spesso
vanno abbassandosi con gradienti allarmanti: a Milano, per esempio, si è
registrato in un singolo anno, 1962, una depressione dinamica di oltre 2,5
metri (Cotecchia, 1993). I fenomeni di salinizzazione delle falde dovuti
all’intrusione marina, nelle aree costiere, si riscontrano ormai in numerose
aree del territorio, dal versante sud-orientale della Sicilia alla Piana di
Palermo e, spostandosi verso Nord, fino agli alvei dei corsi d’acqua
marchigiani e all’acquifero padano (Cotecchia, 1993). Questi fenomeni
rischiano di essere ulteriormente aggravati dal sovrasfruttamento delle risorse
idriche: l’estrazione indiscriminata dell’acqua dal sottosuolo pugliese è solo
uno degli innumerevoli esempi della contaminazione salina che produce danni
ancora più irreparabili che il semplice depauperamento della risorsa
(Cotecchia, 1977). In Puglia, a partire dagli anni cinquanta si è visto crescere
l’emungimento incontrollato fino a raggiungere una densità di 40 pozzi per
6
km
2
. Su un totale d 100 mila pozzi, i 4/5 circa sono oggi abusivi nonostante la
presenza di una Legge Regionale del 1983 che ne condiziona drasticamente
gli usi e le concessioni.
Il problema ambientale della contaminazione salina è risentito anche a livello
internazionale ed è stato ampiamente documentato in bibliografia. In questo
senso risulta appropriato l’esempio dell’acquifero costiero della striscia di
Gaza che ha subito un incremento eccessivo del pompaggio negli ultimi
decenni causando un importante abbassamento del livello piezometrico,
alterando la situazione naturale del trasporto di sali verso il mare ed
invertendo il gradiente del flusso idrico sotterraneo (Yakirevich et al., 1998).
L’estrazione di acqua incontrollata per mezzo di pozzi assume senza dubbio
un ruolo determinante nel fenomeno dell’intrusione marina. E’ fuori dubbio
che qualsiasi intervento strutturale, dalle più comuni prese di captazione alle
costruzioni di porti e di darsene, deve tenere conto del problema, pianificando
correttamente la gestione delle risorse idriche sotterranee e cercando le
soluzioni che riducano quanto più possibile il rischio di aumentare la
salinizzazione delle falde idriche.
Il presente studio è focalizzato sull’intrusione marina in un acquifero
carbonatico. Gli acquiferi costieri di natura carbonatica presentano, oltre al
comune effetto indesiderato della salinizzazione delle acque sotterrane, un
ulteriore problematica relativa al possibile incremento della porosità della
roccia nel tempo per opera dell’acqua di mare.
1.2 Variazione della porosità in acquiferi carbonatici
Il carsismo è un fenomeno ampiamente documentato in letteratura, esso si
basa sul delicato equilibrio tra i carbonati e bicarbonati sciolti in acqua e
l'acidità della stessa. Quando l'equilibrio viene meno a causa di un aumento
dell'acidità, il sistema risponde aumentando la solubilità della calcite
ristabilendo così l'equilibrio. Anche il rapporto tra gli ioni magnesio e calcio è
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un fattore che incide sulla solubilità della calcite, in particolare una rapporto
Mg/Ca inferiore ad uno ne aumenta sensibilmente la solubilità e quindi la
porosità.
Da questo punto di vista l'acqua marina aumenta il fenomeno del carsismo più
di quanto non avviene normalmente nell'entroterra per infiltrazione di acqua
meteorica. Se infatti l'acqua piovana è resa debolmente acida dall'anidride
carbonica atmosferica in essa disciolta ed arricchita dal processo di
infiltrazione nel suolo, l'acqua marina ne risulta arricchita dalle intense attività
di decomposizione e respirazione microbica e dalla precipitazione dei
bicarbonati stessi di cui l'acqua marina è sovrasatura. L'acqua dolce, infatti, è
in equilibrio con la calcite. Il mescolamento con l'acqua marina, sovrasatura
rispetto alla calcite, provoca l'insaturazione della miscela e quindi un ulteriore
dissoluzione della roccia nell'intera zona di transizione. Questo fenomeno
rende estremamente interessante l'evoluzione della porosità delle rocce
carbonatiche. La dissoluzione dei carbonati nelle zone costiere e nelle isole
può dare luogo a grotte e condotti carsici fino a 10 metri di diametro in
appena 10.000 anni (Mylroie e Carew, 1990; 2000; 2003).
I primi studi effettuati su questo fenomeno sono stati compiuti associando
programmi per l'equilibrio geochimico a modelli di trasporto per sostanze non
conservative. Il risultato è però un complesso sistema non lineare di equazioni
differenziali di trasporto avvetivo-diffusivo che richiedono un notevole sforzo
computazionale. Questi studi sono stati eseguiti inizialmente da Sanford e
Konikow (1989a,b) considerando la densità per unità di flusso di due
costituenti, uno marino conservativo espresso dalla salinità e l'altro, calcite
disciolta, non conservativo, espresso dalla concentrazione di calcio.
In un primo momento è stata risolta l'equazione di flusso per entrambi i soluti
ed è stata calcolata la quantità di calcite che si può sciogliere in un arco di
tempo prestabilito grazie all'apposito programma sugli equilibri chimici
PHREEQE (Parkhurst e Apello, 1999). I risultati sono stati quindi
nuovamente impiegati per le simulazioni. I risultati evidenziavano un
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notevole sviluppo della porosità nella zona di mescolamento acqua dolce-
acqua salata per un acquifero costiero con caratteristiche idrauliche omogenee
in un arco di 10.000 anni. Successivamente sono state considerate anche
condizioni idrauliche eterogenee. La lacuna di questo modello risiede
nell'utilizzo di un parametro empirico di calibrazione, la dispersività, al fine di
ottenere risultati in accordo con le osservazioni sperimentali.
Successivamente Liu e Chen (1996) applicarono un modello molto simile in
cui cambiava il valore della dispersività utilizzata. Da allora non è stato
pubblicato più nessun altro articolo sino a quando Rezaei et al. (2005)
svilupparono un modello più preciso grazie ad un maggior numero di dati e
parametri impiegati: al fine di ottenere una tecnica computazionale più
avanzata sono stati utilizzati ben 10.000 elementi rispetto ai 600 usati da
Sanford e Konikow. Anche questo modello era basato sullo stesso approccio
ed i risultati ottenuti sulla distribuzione della porosità e la sua evoluzione
temporale erano simili a quelli ottenuti da Sanford e Konikov.
Una strutturazione alternativa e più semplice del modello sull'evoluzione della
porosità negli acquiferi carbonatici nella zona di contatto acqua dolce-acqua
salata in condizioni stazionarie e di cinetica di reazione alta è stato proposto
da Phillips nel 1991. Phillips ha infatti dimostrato che se la dissoluzione della
calcite è sufficientemente rapida tanto da poter assumere che la soluzione sia
in equilibrio con la calcite ovvero in condizione perennemente satura si può
ottenere un utile semplificazione del modello. Gli studi di Philips hanno
condotto alla seguente equazione a cui è legata la porosità:
Qc = Φ · D · (∇ s)
2
· d
2
ceq/ds
2
(1)
dove Qc è l'ammontare della calcite disciolta, Φ è la porosità, D il coefficiente
di dispersione, ∇ s il gradiente di salinità rispetto alle coordinate spaziali
impiegate e d
2
ceq/ds
2
la derivata seconda della concentrazione di equilibrio
della calcite in funzione della salinità della soluzione corrispondente.
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Questo semplice risultato permette di scindere il complesso sistema non
lineare di equazioni differenziali ottenuti dai modelli sopra citati.
Per risolvere questo nuovo modello è stato inizialmente calcolato, mediante il
programma SEAWAT (Guo e Langevin, 2002), il gradiente di salinità nella
zona di contatto e la velocità di flusso. Successivamente grazie all'uso di
PHREEQC è stato ottenuta la concentrazione di equilibrio in funzione della
salinità. Ricavato Qc, il passaggio per ottenere la variazione di porosità è
immediato ed è dato da:
dΦ/dt = Qc · M/Ρ (2)
dove M è la massa molecolare della calcite e Ρ è la densità del calcare.
Il vantaggio di questo metodo è duplice: da un lato richiede uno sforzo
computazionale inferiore poiché non è più necessario risolvere alcun sistema
complesso di equazioni differenziali. Questo permette, quindi, di adoperare
una discretizzazione migliore del sistema oggetto di studio. Dall'altro lato la
dispersività non è più utilizzata come parametro di calibrazione poiché è
considerata alla scala della matrice. Per l'applicazione di tale modello è stato
eseguito uno studio sull'equilibrio chimico di una soluzione rappresentativa
della miscela acqua dolce-acqua salata. La soluzione è composta da CO
2
disciolta, la cui pCO
2
= 1·10
-2
atm e CaCO
3
disciolto in equilibrio con la
calcite alla temperatura di 25°C. Da tale studio è emerso un risultato molto
interessante che dimostra che il valore massimo della concentrazione di
equilibrio del calcio è intorno al 15% di salinità. Tuttavia viene illustrato che
l'andamento della derivata seconda assume valore stabile dopo il 3% di
salinità e un decremento rapido da 3 fino allo 0%. Ciò indica che pur avendo
la massima concentrazione di equilibrio del calcio al 15% di salinità, il
fenomeno di dissoluzione del carbonato è fortemente accentuato per valori
inferiori al 3% della salinità.
Questo stesso risultato è documentato anche da Simoni et al. (2005).
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E' altresì interessante sapere che questa metodologia è applicabile in
condizioni di salinità sia stazionarie che transitorie come può accadere, per
esempio, a seguito di infiltrazione di acqua dolce.
Romanov e Dreybrodt (2006) riportano una serie di esempi in cui è
confrontato il principio di Phillips sopra menzionato al fine di verificarne
l'applicabilità, testarne la validità e confrontarne i risultati con i dati
sperimentali. In particolare nel primo esempio si paragonano i risultati
ottenuti dall'approccio di Philips col modello sulla dissoluzione della calcite
elaborato da Rezaei et al. (2005) mediante l'applicazione del programma
RETRASO, per il trasporto di sostanze non conservative, e PHREEQC, per
l'equilibrio geochimico. Nel secondo caso è verificata la validità del concetto
da un punto di vista teorico sulla base della legge di conservazione di massa:
in un data sezione di un acquifero carbonatico, qualora la porosità non sia
omogenea, la differenza tra la massa di calcio entrante nell'unità di tempo e
quella uscente, sia per diffusione che per avvezione, deve corrispondere al
calcio rilasciato per dissoluzione nella sezione stessa. Nel terzo esempio si
esegue una comparazione del metodo con i dati sperimentali ottenuti da prove
di laboratorio svolti da Singurindy et al. (2004). In tutti i casi la concordanza
tra i dati ed i concetti del modello di Philips basato sulla salinità e quelli di
confronto riportati nei tre esempi sono soddisfacenti e avvalorano l’ approccio
adottato.
Infine sempre Romanov e Dreybrodt (2006) illustrano l'applicazione
dell'approccio di Phillips sull'evoluzione della porosità in un sistema teorico
di isole carbonatiche in condizioni di conducibilità idraulica sia omogenea che
eterogenea.
In Italia l'evoluzione della porosità negli acquiferi carbonatici interessati da
intrusione di acqua marina è poco documentato. Dalla bibliografia
internazionale è fuori dubbio che uno studio accurato del fenomeno in
discussione non può prescindere da uno studio idrogeologico della zona di
contatto acqua dolce-acqua salata, dall'analisi dell'equilibrio geochimico delle
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sostanze coinvolte e dall'applicazione dell'equazione di flusso. In particolare
esiste un nuovo approccio che riesce a definire la quantità di calcite disciolta
se sono definite l'equazione di flusso e la distribuzione di salinità della zona di
contatto acqua dolce-acqua salata. L'ingressione marina nell'acquifero
carbonatico di Castellammare di Stabia è stata analizzato anche attraverso
questo ultimo approccio.
1.3 L’acquifero costiero dei monti Lattari ed il fronte sorgivo di
Castellammare di Stabia
Lo studio della presente tesi è focalizzato sul fronte sorgivo di Castellammare
di Stabia, cittadina localizzata a Sud della provincia di Napoli, nel territorio
compreso tra la zona vesuviana e la penisola Sorrentina. La città sorge in una
conca del golfo di Napoli, protetta a sud dalla catena dei monti Lattari, rilievi
carbonatici che si estendono per circa 280 km
2
, mentre ad oriente si perde
nelle campagne attraversate dal fiume Sarno (Fig. 1).
Figura 1. Inquadramento geografico dell’area di studio.