praticamente analoga a quella disponibile oggi attraverso i prodotti elaborati
tecnologicamente3. Noi viviamo nell’epoca delle droghe sintetiche. Molte sottoculture
giovanili degli anni’ 90 hanno come epicentro il mito della pillola. Mito creato ad hoc
dalle organizzazioni criminali, che hanno nel traffico di stupefacenti la loro primaria
fonte di sostentamento e che per sfuggire alle liste delle sostanze proibite, hanno
inondato il mercato nero di surrogati sintetici molto più pericolosi.
In quest’ottica un Mondo senza droga sembra impensabile. Dagli albori della
società l’uomo ha sentito il bisogno di assumere sostanze psicoattive per ragioni
curative, celebrative o ludiche. La svolta proibizionista non ha arrestato il fenomeno,
anzi, lo ha implementato. Forse è per questo che bisognerebbe cambiare il modo di
approcciarsi ai pharmakon. I greci davano a questo termine un significato ibrido:
poteva significare medicina o veleno. Dipende dalla conoscenza, dall’occasione e
dall’individuo se l’una si trasforma nell’altra. L’alternativa non è tra un mondo con o
senza droga. La droga esiste e proibirne il consumo contribuisce solo ad aumentarne
un uso clandestino. Non dobbiamo, necessariamente, abbandonare una cornice
proibizionista, bisognerebbe smettere di demonizzarla indiscriminatamente e
approcciarsi ad essa in maniera pragmatica. 4La droga può assumere una valenza
neutra – il giudizio sugli effetti non precede l’esperienza di consumo ma subentra
soltanto in un momento successivo – o al contrario una connotazione sempre
negativa, perché se la droga è veleno deve essere debellata e qualsiasi suo uso è un
male assoluto . Questa sua veste sociale è, a sua volta, alla base di due modelli di
controllo che possiamo definire proibizionismo orizzontale e proibizionismo
verticale5.
Il proibizionismo orizzontale è caratterizzato da un controllo reciproco tra gli
individui situati sullo stesso piano. La droga assume una valenza neutra, nel senso che
non è aprioristicamente correlata all’idea del Male: il consumo non prevede
necessariamente una sanzione negativa. Per semplicità, possiamo dire che questo
modello disciplina tutte le sostanze che il legislatore non ha posto sotto proibizione.
3
Arnao, G, Proibito capire. Proibizionismo e politiche di controllo sociale, Edizioni Gruppo Abele, Torino,
1990
4
Escohotado, A, Piccola storia delle Droghe, Donzelli, Roma, 1997
5
Questo tema viene sviluppato, in particolare da Arnao, G, in Cocaina e Crack, anno 1993, cit
4
Il caso delle bevande alcoliche – il cui consumo è centrale nella nostra società – è
particolarmente utile per descrivere questa forma di controllo, proprio perché riflette
la natura squisitamente sociale della loro pericolosità. L’alcol diventa veleno solo se
viene superata una determinata soglia che la società stessa ha indicato come legittima.
Soltanto in questo caso l’uso diventa cattivo, cioè sbagliato; altrimenti rimane tra le
pratiche socialmente accettate. Il legislatore lascia al consumatore un margine di
autonomia nella sua esperienza di consumo ed interviene soltanto quando l’uso
eccessivo comporta un pericolo per terzi.
Il proibizionismo verticale non si pone in una posizione neutrale verso determinate
sostanze psicoattive, ma le considera, consapevolmente, negative. Questo modello
definisce cattivo il consumo di alcune sostanze e presuppone l’irrogazione di una
sanzione negativa per chi le consuma.
I due modelli di controllo appena delineati non si escludono a vicenda, ma
necessariamente coesistono in un medesimo contesto sociale. Il campo è diviso tra le
sostanze buone, il cui uso è lasciato alla responsabilità individuale e al controllo
orizzontale tra gli individui. E sostanze cattive, rigorosamente proibite, in qualunque
circostanza.
Se in passato esisteva un equilibrio fra i due modelli, nel corso del 900 abbiamo
assistito a un rafforzamento del secondo sul primo.
In primo luogo l’approccio verticale è stato esteso ad un numero sempre maggiori
di sostanze psicoattive, tutte sostanze che prima del proibizionismo non esistevamo e
che sono state create proprio per eludere la lista delle droghe cattive.
In secondo luogo questo modello ha affascinato molti Paesi – quasi tutti – e dagli
Stati Uniti si è propagato in tutto il Mondo.
Le ragioni di questo successo non sono tanto da ricercare dall’esigenza sanitaria di
tutelare la collettività, quanto dal desiderio politico di un controllo verticale su alcuni
specifici gruppi sociali.
Con il proibizionismo assistiamo alla nascita di una nuova accezione del termine
droga, quella di capro espiatorio: la classe dirigente mediante un massiccio
bombardamento mediatico e mediante un controllo diretto sulla classe medica, crea
un nemico interno contro cui canalizzare le paure e i disagi della gente. Si dà una
5
valenza scientifica alla droga espiatoria6 per legittimare una scelta politica già
avvenuta. Scelta politica che non ha come scopo primario quello di debellare il
fenomeno. Il problema droga, di per sé marginale a inizio secolo, si è ingigantito nei
giorni nostri, diventando una delle primi punti nelle agende politiche dei governi di
tutto il Mondo. Nonostante il proibizionismo, il numero dei consumatori è aumentato,
la qualità delle droghe è peggiorato ed è il traffico di stupefacenti la fonte primaria di
approvvigionamento di ogni organizzazione criminale.
La non soluzione del problema è una delle finalità primarie: le droghe diventano
simboli che nascondono le vere cause del conflitto sociale. La guerra alle droghe si
trasforma in guerra contro gruppi minoritari considerati scomodi come i cinesi nel
tardo Ottocento, ma anche gli Hippies, i contestatori negli anni ’60 o i “negri”
americani di inizio secolo.
6
Verga, M, La Droga espiatoria, un’analisi critica del proibizionismo, Guerini scientifica 2004
6
PRIMO CAPITOLO. ANALISI STORICA SUI FONDAMENTI DEL
PROIBIZIONISMO
Partiamo con esporre il caso dei cinesi che da metà ‘800 giungono in massa negli
Stati Uniti, soprattutto in California: nel 1880 la comunità cinese contava già 100000
unità. I cinesi – grandi lavoratori – venivano impiegati nei lavori più degradanti: dalla
costruzione della rete ferroviaria dell’ovest, ma anche nelle fattorie e nelle miniere.
Con loro portano le loro tradizioni e i loro usi, tra cui la pratica secolare di consumare
l’oppio. Pratica che non desta nessuna preoccupazione: gli stessi contratti di lavoro,
offerti ai cinesi, includono mezza libbra di oppio al mese. A destare preoccupazione
erano i cinesi stessi. Da un lato risultavano comodi, essendo degli instancabili
lavoratori, ma d’altro dimostrarono subito le loro doti di abili commercianti e di
ottimi imprenditori. Inoltre si aggiungeva la loro tendenza ad auto – escludersi
formando comunità a sé, inaccessibili,anche per via di una lingua difficile e per
vincoli familiari solidissimi. Caratteristiche che ben presto alimentarono il sospetto in
un popolo già diffidente come quello statunitense.
E così con la prima crisi dell’industria ferroviaria del 1873 e la depressione
economica che investì la California sul finire dell’800, il movimento anticinese si
rafforzò.
Fumare l’oppio viene osteggiato non tanto come abitudine dannosa, ma come
abitudine cinese. L’oppio viene accusato di essere fonte di corruzione per i bianchi e
di mettere in pericolo le giovani donne. A seguito di questa campagna discriminatoria,
tra il 1877 e il 1896 ventidue stati approvano delle leggi contro il fumo dell’oppio. A
livello federale il Congresso porta le tasse sull’oppio da 6 a 10 dollari alla libbra.
Vi sono pochi dubbi che queste norme avessero dei fondamenti razzisti. Il divieto
era rivolto solo any white person: solamente a partire del 1893 era da intendersi
rivolto a tutti i cittadini. Che cosa facessero i cinesi aveva poca importanza.
L’importante era creare una demarcazione fra bianchi e gialli. A fine ‘800 questo
sentimento anti – cinese emerse con tutta la sua forza, infatti furono presi tutti una
serie di provvedimenti normativi chiaramente orientati a colpire una minoranza
scomoda e concorrente. Il più eclatante di questi provvedimenti fu il Chinese
7
Exclusion Act (1889), con il quale si impediva ogni ulteriore immigrazione di cinesi
negli USA.
Il movimento anticinese – non soddisfatto – si accanì contro la restante comunità
cinese. Giusto per dare una misura di tale odio riporto le parole di Gompers,
presidente dell’ American Federation of Labor: “ Le differenze razziali fra i bianchi
d’America e gli asiatici non potranno mai essere superate. I bianchi, che sono
superiori, devono escludere gli asiatici, che sono inferiori, mediante la legge, o
qualora sia necessario, mediante la forza delle armi. I gialli sono abituati per loro
natura a mentire, a imbrogliare ed ad uccidere e novantanove cinesi su cento sono
dediti al gioco di azzardo”.
E’ abbastanza chiaro che in un clima del genere l’uso dell’oppio – in quanto
sostanza cattiva – diventa l’elemento legittimante di una politica repressiva il cui
scopo dichiarato è l’eliminazione del Male, ma il cui scopo reale è la supremazia del
conflitto sociale tra bianchi e gialli. D’altronde tra gli statunitensi l’uso dell’oppio,
oltre che diffuso, era socialmente accettato. L’oppio diventò cattivo e pericoloso nel
momento in cui si deve giustificare la repressione per chi lo consuma.
Non avvenne, diversamente, per la cocaina all’inizio del ‘900. Si notarono ben
presto gli effetti nocivi e la dipendenza della polvere bianca, ma anche in questo caso
le ragioni medico – scientifiche non stanno alla base delle scelte normative sul tema.
Le leggi che disciplinano l’uso e il consumo sono da far ricondurre alla credenza
popolare di inizio secolo per la quale l’uso di cocaina era intimamente correlato alla
bestialità dei neri coinvolti in crimini efferati7.
Sebbene la violenza dei bianchi contro i neri è stata – quasi sempre – statisticamente
superiore a quella dei neri verso i bianchi, i Media davano risalto solo ai crimini
commessi contro i bianchi Americani. In questo modo si legittimavano le rappresaglie
dei bianchi e tutta la violenza dei neri era attribuita all’uso di cocaina.
L’apice del delirio mediatico si toccò qualche mese prima della promulgazione
dell’Harrison Act – di cui parleremo in seguito - in un articolo firmato dal dottor
Huntington e pubblicato dal New York Times, in cui si sosteneva che la cocaina
rendesse i neri invulnerabili alle pallottole e quindi capace di dotarli di poteri
soprannaturali.
7
Hamowy, R. (a cura di), Dealing with drugs, Introduction, cit, anno 2000
8
Ma il caso – cocaina non rimase isolato e tornò in auge negli anni ’70. Le ragioni
del suo ritorno possono essere individuate nelle contemporanee restrizioni che
subirono le anfetamine. Tipico di un sistema proibizionista sostituire il consumo di
droghe proibite con sostanze più facilmente reperibili.
La diffusione della cocaina, ma soprattutto della sua variante povera, il crack, sono
emblematiche per dimostrare la natura politica che sta dietro alle attuali politiche di
controllo degli stupefacenti.
Fino alla fine degli anni ‘ 70 tutti gli americani sapevano che l’uso di cocaina stava
prendendo massicciamente piede, ma non era percepito come un problema. Anzi. Era
socialmente accettato e, alcuni casi, simbolo di successo visto che i suoi maggiori
fruitori erano persone trendy, alla moda e potenti. Inizia a diventare un problema a
metà degli anni ’80, quando l’uso di cocaina non fu più circoscrivibile solo ai
manager bianchi, in quanto si assiste alla diffusione della sua variante povera, il
crack.
Il crack si diffuse specialmente nei quartieri poveri, i suoi consumatori erano
specialmente ispanici e neri. I giovani disadattati lo trovarono subito attraente e
nacquero delle vere e proprie guerre per controllare il mercato criminale. Il consumo
di crack, patrimonio quasi esclusivo dei neri, diventò fin da subito un facile capro
espiatorio. Infatti l’assenza di qualsiasi tipo di criterio medico – scientifico emergeva
con imbarazzante evidenza analizzando il diverso trattamento giuridico con cui
venivano trattati crack e cocaina. La legge federale antidroga prevedeva una
condanna minima a dieci anni per chi venivano sorpreso con 50 g di crack, mentre
richiedeva 5 kg di cocaina per comminare una condanna simile. La disparità razziale
era evidente, essendo la prima, la droga dei poveri “negri”, la seconda dei manager
rampanti.
Infine per capire come la matrice razziale sia alla base di questi provvedimenti basta
ricordare alcune statistiche sulla popolazione carceraria.
La fonte è lo Uman rights watch world report 2002.
La popolazione carceraria totale è di 6500000 di persone circa. Ben 62,6 % sono
neri o ispanici sebbene rappresentino solo il 24 % della popolazione totale. Circa il 24
% dei neri con età compresa tra i 25 e i 29 anni è in carcere, mentre per i bianchi nella
stessa fascia d’età, il valore è pari all’1,1 % .
9