7
Il trattato di Maastricht rafforza questa Comunità:
• creando all’interno un’unione economica e monetaria che conduca alla moneta unica;
• potenziando la politica sociale, la politica per la ricerca e l’industria, la politica per
l’ambiente;
• creando e sviluppando la possibilità di intervenire nei settori della sanità, della cultura,
dell’istruzione, del consumo.
Il trattato consentirà alle istituzioni di decidere in modo più efficace e più
democratico grazie ad un maggiore ricorso in alcuni settori al voto a maggioranza
qualificata in seno al Consiglio dei Ministri e attraverso un’associazione più stretta del
Parlamento europeo al processo decisionale.
Il Consiglio dei Ministri dell’Economia e delle Finanze, allo scopo di facilitare la
convergenza delle politiche economiche degli Stati membri, agirà come Governo
economico europeo:
™ fisserà, ogni anno, gli orientamenti della politica economica degli Stati membri e della
Comunità;
™ procederà regolarmente a una valutazione globale per sorvegliare l’evoluzione
economica di ciascuno Stato membro; se viene constatato che la politica economica di
uno Stato membro non è coerente con gli indirizzi fissati o rischia di compromettere la
realizzazione degli obiettivi U.E.M., il Consiglio dei Ministri potrà rivolgergli delle
raccomandazioni, anche pubbliche. Nei casi più gravi sono perfino previste delle
sanzioni.
™ sorveglierà sui disavanzi pubblici degli Stati membri affinché essi non siano eccessivi.
2
K. D. BORCHARDT, L’unificazione europea, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle comunità europee,
Lussemburgo, 1995
8
Il Trattato prevede quattro parametri da rispettare:
a) l’inflazione (prezzi al consumo) non deve essere superiore al massimo dell’1,5%
rispetto alla media dei tre paesi che hanno sperimentato il più basso tasso di inflazione;
b) i tassi di interesse a lungo termine non più alti del 2% rispetto alla media dei tre paesi
con i più bassi tassi di interesse e quindi più stabili sul fronte inflazionistico.
c) il disavanzo annuo dello Stato non deve essere superiore al 3% del PIL;
d) il debito pubblico non può superare il 60% del PIL.
3
Il punto a) è il parametro più facile da raggiungere e che sarà meglio rispettato; il
punto b) indica la fotografia, gestita dai mercati, della credibilità di un Paese; il punto c) e
il punto d) indicano i margini di buona e sana gestione economica entro cui gli Stati
membri potranno condurre la propria politica economica nazionale.
Tuttavia, la scoperta che l’Italia fosse uno dei paesi che non soddisfa nessuno dei
criteri richiesti per la convergenza ha scosso l’opinione pubblica, che solo negli ultimi anni
stava gradualmente prendendo coscienza del problema.
L’Italia sta cercando di uscire da una recessione particolarmente grave a causa del
vincolo dei conti pubblici. La situazione è andata peggiorando negli anni, ma per molto
tempo è mancata la volontà politica di impegnarsi in un’opera coerente, in quanto
pianificata, di risanamento.
Non avendo approfittato di un periodo più favorevole, il Paese deve ora affrontare il
risanamento dei conti pubblici nello stesso momento in cui i mercati internazionali sono
attraversati da tempeste monetarie, le industrie non riescono a recuperare la competitività
perduta e rischiano di perdere il treno della globalizzazione, cala l’occupazione e crollano i
consumi.
3
TRATTATO DI MAASTRICHT, Art. 104C
9
Il problema fondamentale diventa, allora, l’assoluta mancanza di fiducia, all'interno
del Paese ma anche all’estero, nei confronti dell’Azienda Italia, che pone tutta una serie di
ostacoli nel mettere a punto una manovra di risanamento. L’unico modo di riconquistare
fiducia resta quello di affrontare la situazione non con provvedimenti di emergenza che nel
lungo periodo danno scarsi risultati, non rastrellando pochi miliardi per colmare il
disavanzo pubblico (che non va colmato ma risanato), ma adottando rimedi che
costruiscano un nuovo modo di gestire la finanza pubblica e di intervenire nella realtà
economica recuperando, quindi, quell’importantissimo strumento che è la
programmazione, dando ad ogni provvedimento un senso economico, proiettando, così,
anche al di fuori dei confini nazionali, l’immagine di un Paese che è in crisi ma che
conosce, per averle analizzate a fondo, le sue potenzialità e cerca di risollevarsi. Dunque
non è banale scrivere ancora di deficit pubblico se si tralascia la sfera della pura teoria e si
cercano le politiche di rientro valutandone tutti i possibili effetti e guardando alle cifre in
modo obiettivo.
Scopo di questo lavoro è quello di analizzare la dinamica delle più importanti
grandezze della contabilità nazionale, per capire quali sono le voci di spesa o le minori
entrate maggiormente responsabili del disavanzo di bilancio accumulato negli ultimi anni,
quale sarà la loro evoluzione futura e lungo quali strade intervenire per riportare la
situazione sotto controllo.
L’economista Luigi Spaventa
4
sottolinea che “in una situazione di debito pubblico
anormalmente elevato, in cui il costo reale del debito è maggiore del tasso di crescita
dell’economia, la condizione prima ed indispensabile per arrestare la crescita del rapporto
tra debito e PIL è il conseguimento di un avanzo in bilancio al netto degli interessi” .
10
Dunque si incentrerà la discussione sul disavanzo di bilancio e sulle sue voci più
“pesanti” perché, pur esistendo un allarmante problema di debito pubblico, esso non
dipende direttamente dalle politiche del governo ma dall’ammontare di debito ereditato dai
periodi precedenti, mentre il disavanzo dipende da quanto si decide in questi mesi in merito
alla politica fiscale, alla politica delle spese e alla politica di gestione del debito pubblico,
in termini di tassi di interesse e tassazione dei titoli pubblici.
Nel primo capitolo si analizzano i diversi aspetti del debito pubblico per cercare di
rispondere a domande del tipo: come è nato? Quando è nato? Perché è nato? A tal fine si
ricorre all’analisi teorica, sia del modello classico che di quello moderno e, in più, se ne dà
una classificazione.
Nel secondo capitolo si analizzano i legami e le correlazioni esistenti tra debito
pubblico ed alcune variabili economiche, come l’inflazione, il tasso di interesse, il tasso di
crescita economica, affinché se ne valuti la sostenibilità: in particolare, si cerca di capire
quali potrebbero essere le conseguenze e i rischi a cui un elevato indebitamento potrebbe
portare.
Nel terzo capitolo viene esposta un’accurata cronologia degli avvenimenti storici
più importanti, dal 1950 ad oggi, che hanno consentito la costruzione dell’UE; inoltre, se
ne presentano le istituzioni e se ne analizzano le funzioni, i compiti specifici e i rapporti
con i governi centrali dei singoli Stati membri; infine, si cerca di illustrare, per grandi linee,
le principali voci del bilancio dell’Unione europea, come queste siano finanziate dagli Stati
membri e come vengano spese, cioè quale sia la destinazione finale.
Nel quarto capitolo si passa ad una analisi più dettagliata dei conti pubblici italiani,
iniziando dalle entrate, in particolare quelle tributarie; si osserva l’andamento delle imposte
dirette e indirette più importanti, cercando di spiegare le cause di variazioni improvvise e
4
L. SPAVENTA, La crescita del debito pubblico: sostenibilità, regole fiscali e regole monetarie, in
11
fuori della norma e cercando di individuare le strade percorribili per aumentarne il gettito;
quindi, si tenta un’analisi delle agevolazioni, delle esenzioni, delle elusioni e delle evasioni
per vedere quanta parte della situazione attuale può essere migliorata intervenendo su tali
fenomeni e quanta, invece, può solo contare su una radicale riforma del nostro sistema
fiscale. Si prosegue, poi, con un’analisi accurata delle spese capitolo per capitolo,
considerando la loro classificazione economica oppure la loro classificazione funzionale a
seconda dei dati che si hanno a disposizione e degli aspetti che si dovranno approfondire di
volta in volta.
Nel quinto capitolo si analizzano i risultati di uno studio sugli effetti che
l’invecchiamento demografico potrebbe avere sui principali comparti della spesa pubblica:
la sanità, la scuola e le pensioni. Il capitolo è articolato in due parti: nella prima parte,
vengono presentati e confrontati gli scenari demografici presentati dall’ISTAT e dalla RGS
(Ragioneria Generale dello Stato); nella seconda parte, vengono evidenziate ed analizzate
le differenze indotte sulle previsioni relative a ciascun comparto di spesa (sanità, scuola,
pensioni). L’intento è quello di fornire, attraverso i dati esposti, una ulteriore conferma
della necessità di riforme di cui il nostro Paese ha bisogno, non solo alla luce degli accordi
di Maastricht, dunque, ma anche alla luce dello sviluppo demografico del popolo italiano.
Il capitolo sesto è quello conclusivo: vengono profilate le politiche di rientro del
deficit pubblico più interessanti in quanto saranno apparse le più coerenti con le analisi
effettuate negli altri capitoli, senza, ovviamente, la pretesa dell’esaustività rispetto
all’argomento del risanamento, soprattutto considerando che far rientrare il disavanzo è
solo il primo passo verso una politica di gestione del debito pubblico più razionale e
lungimirante, come non lo è stata finora.
AA.VV. (a cura di A. GRAZIANI) La spirale del debito pubblico, Bologna, Il Mulino, 1988
12
CAPITOLO 1
DEBITO PUBBLICO: ORIGINI E STRUTTURA.
1.1- Il debito pubblico nella visione classica.
L’attività principale degli enti pubblici è quella di offrire beni e servizi; a tal fine
si procurano i mezzi finanziari necessari con metodi differenti, a seconda del tipo di beni
e servizi offerti e delle funzioni che tali enti ricoprono.
Ad una diversa tipologia di beni e servizi offerti corrisponde una differente
classificazione delle entrate pubbliche:
5
a) Entrate ordinarie, sono quelle che si rinnovano regolarmente in ogni esercizio e che
attingono alla produzione corrente;
b) Entrate straordinarie, sono quelle che ricorrono saltuariamente e che attingono al
patrimonio della collettività.
In particolare, tra le entrate straordinarie, rientrano: l’imposta straordinaria,
l’emissione di carta moneta, il debito pubblico. Ecco spiegata la ragione per cui fino a
non molti anni fa il debito era studiato nell’ambito della finanza straordinaria. Al
contrario, oggi, si ricorre al debito pubblico come fonte di finanziamento delle spese
ordinarie, seppure con un carattere ben differente da quello delle imposte, che
costituiscono un prelievo senza contropartita di reddito dai contribuenti.
Il finanziamento in disavanzo delle spese pubbliche, però, fa sorgere non pochi
dubbi circa l’indebitamento pubblico, per esempio è rischioso caricare eccessivamente i
bilanci futuri di crescenti oneri per il servizio del debito.
5
A. DI MAIO - A. PEDONE, Elementi di scienza delle finanze, La Nuova Italia, Firenze, 1985.
13
Il ricorso all’indebitamento rappresenta, ormai, una scelta politica piuttosto che
una alternativa di politica economica.
Mentre nel passato il debito serviva soprattutto a finanziare le guerre, oggi, invece,
i diversi assetti politico-istituzionali fanno prevalere logiche contrapposte nelle quali, da
un lato si collocano tesi liberistiche, dove si auspica il minimo intervento pubblico,
dall’altro, invece, viene esaltato il ruolo statale nell’economia, il debito è inteso come
strumento fondamentale per l’esercizio dell’azione pubblica.
6
La storia del pensiero economico incentra la propria riflessione teorica sulle
conseguenze del debito, essenzialmente in tre punti:
1) come giustificare una politica di finanziamento della spesa con debito piuttosto che con
imposte;
2) quale livello può raggiungere il debito senza creare rischi di crisi;
3) chi paga per il debito.
All’inizio dell’XIX, secolo il tema della scelta tra debito e imposta è stato
imperniato sulla tesi dell’equivalenza tra debito e tassazione a livello macroeconomico, e
fornendo le condizioni per la neutralità anche a livello microeconomico.
7
Il valore attuale di un titolo del debito pubblico B (che coincide con l’imposta
straordinaria T, donde T=B) emesso per n anni con cedola annuale posticipata pari a rB è
uguale a:
rB(1+r)
-1
+ rB(1+r)
-2
+ ............rB(1+r)
-n
+ B(1+r)
-n
=B =T.
Questo semplice calcolo attuariale evidenzia che, per il singolo, in valore attuale, è
equivalente pagare oggi un’imposta straordinaria piuttosto che pagare un flusso futuro di
imposte ordinarie più il rimborso del debito.
6
M. ARCELLI, Debito pubblico, Credito e Sviluppo: l’esperienza italiana e le prospettive, Giuffrè Editore,
Milano, 1993.
7
D. RICARDO, Principles of Political Economy and Taxation, 1817.
14
Il vero onere dell’indebitamento pubblico, secondo Ricardo, consiste nel minore
stock di capitale produttivo lasciato in eredità ai posteri, con l’ipotesi di imposta
straordinaria.
Solo se la generazione presente all’emissione del debito percepisca per intero tutte
le future passività d’imposta ad esso connesse, e sia mossa da spirito altruistico verso le
generazioni successive, si avrebbero comportamenti neutrali. Tuttavia, gli effetti del
debito sulla accumulazione del capitale potrebbero essere eliminati solo mediante una
riduzione dei consumi presenti e un aumento dei lasciti ereditari, tali da mantenere
inalterato il profilo temporale dei risparmi.
8
Ciononostante, Ricardo stesso non riteneva la realtà abbastanza aderente a questo
modello teorico tanto che considerava che l’imposta, a differenza del debito, avesse un
effetto restrittivo sulla spesa privata; di conseguenza, solo il debito era in grado di ridurre
il risparmio e di accrescere il consumo.
Poiché nell’impostazione classica “la parsimonia e non l’operosità, è causa
immediata dell’aumento di capitale” (Adam Smith), in quanto la spesa pubblica è per
definizione improduttiva, la ricetta di politica economica di Ricardo è, comunque, quella
rigida ed immutata dell’ortodossia classica: il bilancio in pareggio.
Diversamente, Keynes riteneva che il deficit, nelle fasi recessive, doveva servire
per finanziare le opere pubbliche; questo si spiega sia tenendo conto dell’ipotesi di non
piena occupazione, sia tenendo conto del rifiuto dell’ipotesi di neutralità ricardiana.
L’emissione di debito sposta le risorse da chi le mantiene inutilizzate a chi ha
maggiore propensione a spendere, aumentando il livello di attività e quindi il prodotto. I
keynesiani negano, perciò, che il maggior consumo di oggi sia pagato con un minor
consumo di domani: cioè non vi è riduzione degli investimenti privati per effetti di
8
M. ARCELLI, Debito pubblico ...(op. cit.), Giuffrè Editore, Milano, 1993
15
spiazzamento, e il più alto livello di investimenti pubblici è sempre finanziato da una
riduzione del consumo e dall’aumento del risparmio di oggi.
Circa l’ipotesi di neutralità, tra le obiezioni più interessanti si nota l’impostazione
di Modigliani
9
, il quale evidenzia i principali aspetti della questione: in una logica di
lungo periodo, nella quale si considerano anche le variabili fisse, e non solo i flussi,
l’autore afferma che l’emissione di debito è, in linea generale, vantaggiosa per la
generazione presente, ma impone un onere lordo per quella futura, anche in presenza di
una debole domanda aggregata accompagnata da disoccupazione. Egli indica la misura
dell’onere pari agli interessi corrisposti sul debito (nel caso in cui il tasso di interesse
applicato sia una buona approssimazione della produttività del capitale).
Comunque, l’onere lordo può essere compensato, in tutto o in parte, se
l’emissione del debito sia destinata a spese pubbliche che contribuiscano ad incrementare
lo stock del capitale e il reddito delle generazioni future.
1.2- Il debito pubblico nella visione moderna.
Il particolare contesto storico, politico ed economico in cui stiamo vivendo che, a
partire dagli anni settanta, ha mostrato inconsueti livelli di disavanzi e di debiti in molti
importanti paesi sviluppati, primo fra tutti gli Stati Uniti, coincide con il generale
ripensamento della teoria economica a tutti i livelli: più precisamente il dibattito teorico
sugli effetti economici del debito pubblico;
Il “crowding out”, cioè lo spiazzamento dell’investimento o del consumo privato ad
opera della spesa pubblica finanziata con emissione di debito, è il punto fondamentale della
disputa tra keynesiani, monetaristi e neoclassici.
16
- Secondo il modello neoclassico, (1870-1930: Mill, Malthus, Ricardo, Schumpeter), la
tendenza del sistema alla piena occupazione è assicurata dalla flessibilità dei prezzi e dei
salari, e la spesa pubblica in disavanzo non serve. Più tardi, un inserimento nel modello
delle aspettative razionali degli operatori ha arricchito la comprensione degli effetti della
politica di bilancio sulla domanda aggregata:
a) il lungo periodo spiega e influenza il breve periodo;
b) i tassi a lungo termine e quelli a breve sono tra loro collegati dalle ipotesi sulle
aspettative.
In questo più complesso quadro i moltiplicatori della politica di bilancio possono
essere negativi anziché positivi.
- Secondo i keynesiani (1936: Keynes), invece, un aumento del debito in condizioni di
liquidità abbondante, quali sono le recessioni, non provoca rialzi significativi nei tassi
d’interesse; inoltre, la sensibilità degli investimenti al tasso d’interesse in quelle
condizioni è piuttosto bassa.
- Secondo i monetaristi (1940: Friedman), invece, i parametri rilevanti sono tali da
determinare forti rialzi dei rendimenti, e forti effetti sulla spesa privata.
I nuovi economisti di orientamento conservatore (macroeconomia classica: Lucas)
sconsigliano il debito pubblico, non perché sia pericoloso, ma perché inutile: se aumenta il
debito, i consumatori reagiranno aumentando il risparmio, riducendo il consumo e
lasciando una ricchezza invariata alle generazioni successive; questo succede perché
l’operatore razionale è consapevole che se il Governo oggi si finanzia con dei titoli, domani
sarà costretto a finanziare con imposte il servizio del debito, specie se si opera all’interno
di un sistema in equilibrio.
9
F. MODIGLIANI, Long-run Implication of Alternative Fiscal Policies and the Burder of the National
Debt, in “The Economist Journal”, 1961.
17
Vi è un altro rischio che riguarda il caso di un sistema caratterizzato da una forte
mobilità potenziale dei fattori produttivi: quello che l’aspettativa di maggiori tasse spinga i
produttori a localizzarsi là dove tale rischio è minore.
10
Bisogna tenere presente che, in alcuni paesi come l’Italia, il limite in cui opera il
vincolo di bilancio sembra essere divenuto così lungo, a causa del protrarsi dei disavanzi,
da non rendere credibile il problema di un aumento delle imposte.
E’ stato suggerito che l’imposta venga applicata a livelli di reddito più elevati:
infatti, se la redistribuzione dei disavanzi nel tempo consente un volume di reddito
complessivamente superiore a quello che si sarebbe avuto in assenza di tale politica,
l’avanzo primario potrà essere realizzato mantenendo invariato il consumo complessivo.
11
Evidentemente, una tale tesi verte sulla possibilità che la politica fiscale possa determinare
un rialzo del trend di crescita del reddito.
Un’altra ipotesi suggerisce che, se lo Stato ha speso per effettuare investimenti che
si ripagano da sé, si può avere un debito senza oneri; in questo modo l’avanzo primario
viene scisso, e si isolano alcune entrate collegate direttamente al reddito prodotto
dall’investimento.
Si presenta, quindi, la distinzione tra debito a fondo perduto e debito che ha fruttato
un incremento del capitale produttivo: quest’ultimo, anche nell’ipotesi ricardiana, dovrebbe
far parte della ricchezza.
Anche se nella realtà, assai spesso, una situazione di disavanzo può apparire come
la conseguenza di un’incapacità del Governo di risolvere il problema distributivo e, quindi,
come un tentativo di rinviare la soluzione a tempi migliori, tuttavia, anche tale
comportamento può essere considerato razionale:
10
P. ISARD, The Relevance of Fiscal Coordination for the Success of European Monetary Integration, IMF
Working Paper, 1989.
11
E. D. DOMAR, The Burden of the Debt and the National Income, in “American Economic Rewiev”,
Dicembre 1992.
18
• infatti, se la situazione dovesse effettivamente migliorare, cioè, se il reddito dovesse
crescere, il conflitto redistributivo dovrebbe attenuarsi; in questo modo, si avrebbe una
maggiore possibilità di riportare il bilancio in equilibrio;
• se, invece, i tempi non dovessero migliorare, allora, l’unico esito, sarebbe il ripresentarsi
del problema in forme più gravi.
1.3- Classificazioni del debito pubblico.
Il debito pubblico viene classificato in:
12
1) debito estero;
2) debito interno.
Il primo, quello piazzato sui mercati esteri, raccoglie il risparmio fuori del paese e
aumenta contemporaneamente, il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) del paese su cui è stato
collocato. E’ previsto che, dopo un determinato periodo, venga restituito al paese debitore
il capitale versato più gli interessi passivi; è impiegato produttivamente solo se concorre ad
incrementare il gettito fiscale necessario per pagare gli interessi passivi.
Il secondo, invece, è collocato sul mercato interno e, dato che non comporta nessun
incremento del PNL, è sottovalutato dagli operatori più ottimisti.
Ciononostante è bene osservare che un uso inefficace potrebbe provocare il
pagamento di interessi passivi, i quali, incrementando l’eventuale disavanzo pubblico,
potrebbero pesare sulla spesa pubblica degli esercizi futuri. J. Buchanan
13
non condivide
tale teoria, in quanto sostiene che non vi sia alcuna sostanziale differenza tra debito estero e
12
A. DI MAIO - A. PEDONE, Elementi di ...(op. cit.), Firenze, La nuova Italia, 1985
13
J. BUCHANAN, The Economic Consequences of the Deficit, in “Economia delle scelte pubbliche”, 1986
19
debito interno, perché sono entrambi onerosi. Parla di capitale sottratto all’economia
privata e utilizzato per finanziare spese correnti di consumo, per cui, il servizio del debito
dovrà inevitabilmente derivare dal reddito dei contribuenti.
I prestiti possono classificarsi in :
1) forzosi, se sottoscritti obbligatoriamente da alcuni risparmiatori e prelevati
coattivamente dal Governo;
2) liberi od ordinari, se vengono sottoscritti liberamente dai risparmiatori, perché da questi
ritenuti convenienti o soddisfacenti;
Una ulteriore distinzione si ha in base alle modalità di emissione:
a) Emissioni alla pari, se la somma con cui si acquista il titolo è uguale al suo valore
nominale; sul valore nominale vengono calcolati gli interessi e viene, poi, rimborsato
alla scadenza;
b) Emissioni sotto la pari, se il prezzo di acquisto è inferiore al valore nominale del titolo
e, di conseguenza, sarà inferiore anche il tasso di interesse nominale;
c) Emissione diretta, se lo Stato offre in proprio i titoli ai sottoscrittori, con l’evidente
vantaggio di non dover pagare alcun aggio agli intermediari, ma con l’equivalente
rischio di non riuscire a collocare l’intera somma;
d) Emissione indiretta, con la quale si hanno i vantaggi e gli svantaggi inversi, perché vi è
la presenza degli intermediari;
20
e) Emissione mista, se lo Stato offre al pubblico direttamente il prestito tramite il sistema
bancario, che garantisce la sottoscrizione in proprio di quei titoli che non trovino
collocazione presso i risparmiatori.
Gli interessi erano, fino a poco tempo fa, stabiliti in misura fissa:
- se il tasso normale di mercato diminuiva, si determinava l’aumento del valore del titolo;
- se il tasso di mercato aumentava, si determinava la diminuzione del valore del titolo.
Negli ultimi tempi, però, a causa dell’elevata inflazione, si è passati a tassi di
interesse variabile che, assumendo la forma di indicizzazione finanziaria, hanno permesso
l’emissione di titoli a scadenza pluriennale.
In base alla scadenza il debito può classificarsi in :
I ) debito fluttuante: la denominazione “fluttuante” indica che l’ammontare del debito varia
continuamente nel corso dell’anno. E’ un debito che il Tesoro contrae per far fronte a
transitorie esigenze di cassa. Ad esempio lo Stato in gennaio ha spese superiori alle
entrate, ma normalmente in marzo ha entrate superiori alle spese. Allora lo Stato in
gennaio contrae un prestito con scadenza in marzo. Con questo prestito fa fronte alla
deficienza di cassa di gennaio; e, in marzo, con l’eccedenza che ha delle entrate sulle
uscite, rimborsa il prestito a coloro che lo avevano sottoscritto. In pratica oggi in molti
Stati il debito fluttuante non serve solo a finanziare momentanee esigenze di cassa, ma
anche veri e propri squilibri tra entrate e uscite, cioè eccessi sistematici di spese
pubbliche rispetto alle entrate pubbliche.