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CAPITOLO PRIMO
Il clima organizzativo: una prospettiva storica.
Una prima comprensione del concetto di clima organizzativo si può
avere definendolo come quel «fenomeno relativamente stabile in relazione ad
un determinato gruppo di persone composto da un insieme di fattori o
variabili che consentono di avanzare delle previsioni riguardo al verificarsi di
episodi di conflittualità, ovvero all'instaurarsi di relazioni fondate sulla
collaborazione e fiducia reciproca» (Marocci & Pozzi, 2003).
Le radici di tale costrutto hanno in realtà origini remote, risalendo agli inizi
del '900 per poi svilupparsi ed ampliarsi lungo tutto il secolo fino ai giorni
nostri, grazie ai numerosi contributi forniti dalla letteratura in materia.
Un excursus storico in tal senso, non può che partire dal primo grande
contributo da parte di Kurt Lewin, padre e teorizzatore della c.d. Teoria del
campo della prima metà del '900.
Proprio grazie agli studi condotti da Lewin, insieme a Lippit e White, si può
parlare di una vera e propria nascita del termine "clima" (sociale) nell'ambito
della psicologia sociale; termine usato per indicare le condizioni psicologiche
create all'interno dei contesti analizzati (nella fattispecie, gruppi di ragazzi),
in funzione dello stile di leadership adottato.
Questi studi hanno evidenziato che lo stile incide e condiziona fortemente
tanto il clima sociale (del gruppo di riferimento), quanto il comportamento
dei relativi membri. In tal senso, infatti, la leadership influenzava fortemente
il comportamento individuale e, addirittura, il clima all'interno del gruppo.
L'importanza di tale fattore è inoltre emersa se si ha riguardo al passo
ulteriore compiuto dal Lewin, quello, cioè, di verificare (e dimostrare) come
lo stesso soggetto inserito successivamente all'interno di un gruppo con
leadership differente, modifica ed adegua il proprio modus agendi in funzione
dei tratti salienti della nuova leadership.
Ciò evidenzia che persona ed ambiente di azione, sono due variabili
interdipendenti: il comportamento di un soggetto si sviluppa non solo
all'interno di un dato contesto reale e concreto, ma anche (e soprattutto)
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psicologico; ciò assume un ruolo centrale nella determinazione della
condotta dell'individuo.
Ecco dunque emergere l'importanza e la centralità del concetto di "atmosfera
psicologica" nell'accezione proposta dallo stesso Lewin, in equivalenza a
quella di clima psicologico.
L'atmosfera (rectius: il clima) dunque, nelle sue diverse sfaccettature (ostile,
cordiale, amichevole, rassicurante), ha un'influenza notevole, o meglio,
incide in modo determinante sul comportamento del soggetto e ciò, si badi
bene, a prescindere dal grado di consapevolezza dell'agente.
L'autore focalizza l'attenzione in particolare su due elementi interconnessi
(persona ed ambiente), ritenendoli centrali per la comprensione e successiva
misurazione del clima psicologico.
Sebbene le intuizioni del Lewin non abbiano trovato immediato ed
adeguato riconoscimento, l'interesse per l'approfondimento del clima
psicologico era destinato a crescere.
In tal senso, un rilevante contributo va riconosciuto alle ricerche e riflessioni
condotte alla fine degli anni '50 da Argyris (1958) che, partendo dall'analisi di
un caso aziendale, propone una visione più ampia (e, dunque, un'analisi
multifattoriale) del clima organizzativo, visto come l'unione/interazione di
componenti individuali, formali, informali oltre che di natura culturale.
Le riflessioni dell'Argyris indicano nel clima organizzativo, il risultato di un
equilibrio costante tra la cultura trasmessa dai vertici organizzativi, i
comportamenti individuali, i risultati organizzativi ed i criteri di selezione
(C. Argyris, 1958).
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Il clima organizzativo dunque, nella teorizzazione dell'autore si pone come il
risultato di tale interazione e, contemporaneamente, come un vincolo/freno
ad ogni possibile cambiamento; esso, infatti, si presenta come fattore di
resistenza ben più potente rispetto alle possibilità (in termini di
cambiamento/modifica) a disposizione del singolo.
Il modello proposto considera tre variabili, di natura profondamente diversa,
in reciproca interdipendenza ed influenza:
1 Il caso richiamato è tratto da: C. Argyris (1958), «Some problems in conceptualizing
organisational climate: a case of study of a bank», articolo pubblicato sulla rivista trimestrale
inglese "Administative Science Quarterly", 2, 501-520.
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1) variabile di natura formale (cioè: politiche, procedure e ruoli formali);
2) variabile soggettiva (cioè: bisogni, valori e capacità individuali);
3) insieme delle variabili connesse agli sforzi individuali per adeguare i
propri ai fini organizzativi.
L'interazione di tali variabili, regola e definisce in termini di risultato, il clima
organizzativo (R. Maeran, 2002).
Ulteriore contributo al costrutto in esame, si è avuto grazie agli studi
condotti da Mc Gregor (1960), che riconosce la centralità del manager nella
creazione e, soprattutto, nella configurazione del clima aziendale: questo
(clima) è, infatti, il risultato della relazione derivante dall'interazione tra
manager e collaboratori; relazione a sua volta, fortemente influenzata dal
comportamento adottato dal manager (autoritario e di controllo ovvero
partecipativo e di fiducia) (D. M. Mc Gregor, 1960).
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In tal senso dunque, l'autore enfatizza l'atteggiamento manageriale,
considerandolo come la vera e propria "fonte" da cui deriva il clima
psicologico sotteso alla relazione.
Anche gli studi condotti dal Likert (1961), hanno contribuito in modo
considerevole all'analisi del costrutto "clima organizzativo".
L'autore, facendo ricorso alla nozione di "atmosfera emozionale", indica sia
l'insieme delle percezioni che gli individui hanno nell'ambito del proprio
contesto lavorativo, sia l'influenza che queste hanno sui loro comportamenti.
Likert, infatti, ritiene che per una migliore comprensione (in una prospettiva,
ovviamente, di miglioramento) del clima aziendale, sia di centrale
importanza la comprensione e rilevazione delle percezioni individuali: capire
come i membri di un'organizzazione vivono il loro contesto, è funzionale alla
comprensione ed all'intervento sul contesto stesso.
Le teorie e gli studi che hanno caratterizzato i primi autori e fin qui
esaminate, sono fortemente incentrate sul ruolo e sullo stile della leadership,
ritenuta determinante nella creazione (e conseguente percezione) del clima
organizzativo.
Ma un ulteriore passo, non senza qualche difficoltà è (ad oggi) rappresentato
dal tentativo di dare una definizione di cosa si debba intendere per clima
2 Il richiamo è a: D. M. Mc Gregor, The human side of enterprise, New York, Mc Graw Hill,
1960.
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organizzativo; tentativo complesso ed arduo come di seguito sarà
evidenziato.
Definire il clima organizzativo: difficoltà e contraddizioni.
Il tentativo di dare una definizione del costrutto in esame risale agli
anni '60, allorquando si percepisce in misura crescente l'esigenza di
individuare in modo più chiaro e netto l'insieme degli elementi che
caratterizzano un'organizzazione e che influenzano ed orientano i
comportamenti dei suoi membri.
In tal senso, la possibilità di dare una definizione univoca ha incontrato
numerose difficoltà dovute alle diverse interpretazioni concettuali che, pur
diverse tra loro, non erano di per sé mutuamente escludentesi.
I primi contributi alla definizione di clima organizzativo risalgono,
rispettivamente, alla scuola della Gestalt ed alla Psicologia Funzionalista per
le quali (pur nella diversità di approccio e teorizzazione), un comune
denominatore è costituito "dall'opinione che le persone tendono ad ordinare
in modo spontaneo le esperienze maturate nel contesto lavorativo al fine di
elaborare degli schemi di riferimento, considerati indispensabili parametri
cui fare ricorso per valutare la maggiore o minore adeguatezza del proprio
comportamento".
Importa sottolineare che la difficoltà nel definire il clima organizzativo è da
rinvenirsi anche (ma non solo) negli elementi che lo compongono, ora
considerati solo di natura oggettiva (quali, ad esempio, la struttura
organizzativa, l'organizzazione, la leadership), ora come sommatoria delle
percezioni individuali (e dunque fortemente soggettiva, quali le percezioni
degli individui sulla realtà organizzativa).
Successivamente, altro contributo è costituito dagli studi condotti da
Forehand & Gilmer (1964), che definiscono il clima organizzativo come
"l'insieme delle caratteristiche che descrivono un'organizzazione e che la
distinguono dalle altre organizzazioni", che "sono relativamente durevoli nel tempo
ed influenzano il comportamento degli individui nell'organizzazione" (G. A.
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Forehand, & B. H. Gilmer, 1964).
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In tal senso quindi, gli autori evidenziano ciò che ritengono essere le due
caratteristiche fondamentali del costrutto: la multidimensionalità e la realtà
fenomenica.
La prima mette in evidenza la complessità del fenomeno, inteso come il
prodotto di una pluralità di cause (e, conseguentemente, fonte di una
pluralità di effetti); la seconda invece, evidenzia la concretezza delle realtà
organizzativa, realtà fenomenica di cui il clima organizzativo costituisce uno
degli elementi (che, peraltro, non può identificarsi né definirsi come la mera
sommatoria delle differenti opinioni individuali).
Nel 1968, Tagiuri arricchisce la definizione di clima costruita in
precedenza, proponendone una, alternativa, che prende in considerazione un
dato ulteriore. L'autore, infatti, ritiene questa carente sotto il profilo della
scarsa importanza riconosciuta alle percezioni individuali.
Il Tagiuri quindi, definisce il clima come "una qualità relativamente durevole
dell'ambiente interno di un'organizzazione, che viene esperita dai suoi membri,
influenza il loro comportamento e può essere descritta in termini di valori di una
particolare serie di caratteristiche dell'organizzazione" (R. Tagiuri, 1968).
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Contemporaneo allo studio del Tagiuri è il contributo dato da Litwin e
Stringer (1968) che nel loro studio sul clima organizzativo, analizzano
l'esistenza e la conseguente entità delle interconnessioni tra: stile di
leadership - clima organizzativo - motivazioni e comportamenti degli
individui.
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Per gli autori, il clima si pone come variabile di mediazione tra fattori
oggettivi (quali ad es. la struttura organizzativa, i processi decisionali, la
leadership) e soggettivi (le tendenze motivazionali).
Non a torto viene definito come quel "filtro attraverso il quale passano i
3 Il riferimento è all'articolo contenuto in: G. A. Forehand, & B. H. Gilmer, (1964),
Environmental variation in studies of organizational behavior . Psycological Bullettin, 62,
361-382.
4 La definizione è contenuta in: R. Tagiuri (1968), The concept of organizational climate , in
Tagiuri R. & G. H. Litwin, Organizational climate: explorations of a concept. Boston: division
of Research, Graduate School of Business Administration, Harvard University
5 Il riferimento è allo studio contenuto nel volume: "Motivation and organizational
climate", Boston (1968) ,Harvard Business School Press.