7
L’ambiente organizzativo può essere definito come “l’insieme di tutti quegli
elementi, al di fuori dei confini dell’organizzazione, che sono in grado di
influenzare l’organizzazione stessa o una sua parte”
1
.
L’ambiente è suddivisibile in settori, contenente ciascuno elementi simili, e
ulteriormente distinguibili tra settori appartenenti all’ambiente generale e
settori appartenenti all’ambiente operativo (di riferimento).
L’ambiente generale può essere individuato nel contesto generale
economico, politico, culturale e tecnico nel quale è inserita
un’organizzazione. E’ formato da quei settori che non hanno un impatto
diretto sulle attività quotidiane dell’organizzazione, ma che la influenzano
indirettamente, come ad esempio le caratteristiche dell’ordinamento
giuridico.
L’ambiente operativo è invece costituito dalle organizzazioni e dagli
individui con i quali l’organizzazione interagisce direttamente, come ad
esempio potrebbero essere i partner di una joint venture.
TAB. a: esempio di ambiente di un’organizzazione.
ORG.
Settore d’appartenenza
Settore dei fornitori
Settore del mercato
Risorse Umane
Settore internazionaleRisorse Finanziarie
Settore tecnologico
Condizioni Economiche
Settore governativo
Settore socio - culturale
Ambiente naturale
1
R.L. Daft, Organizzazione aziendale, Apogeo, Milano, 2001, pag. 134.
8
In questi anni la RPC può offrire molte potenzialità agli investitori stranieri:
per cercare di sfruttarle è opportuno approfondire la conoscenza di questa
nazione, comprendendo i vantaggi che possono derivare dalla decisione di
investire nella RPC, cercando di capire quali siano le principali difficoltà che
si dovranno affrontare per poter operare positivamente nei rapporti con gli
attori economici di quel sistema socio – economico.
Il punto di vista è dunque quello dell’organizzazione italiana che si
relaziona con gli altri attori del sistema socio - economico cinese. Non è il
punto di vista dell’imprenditore che si chiude in se stesso, cercando di
parare i colpi della concorrenza proveniente dal paese asiatico e che
reclama politiche protezionistiche, ma è quello dell’impresa che decide di
implementare una strategia per affrontare la competizione economica su
scala mondiale e per far questo vuole anche prendere in considerazione le
opportunità provenienti dalla RPC.
Dopo aver analizzato da un punto di vista generale i principali temi
economici e sociali che caratterizzano la RPC di questi anni, saranno
esaminati i settori dell’ambiente organizzativo che, secondo gli studi finora
condotti, influenzano maggiormente le aziende che agiscono in Cina.
Verranno analizzate le principali caratteristiche del settore delle risorse
umane e del mercato del lavoro, le peculiarità socio – culturali e la loro
influenza sulle relazioni interorganizzative, i vincoli e le opportunità
organizzative che derivano dall’attuale ordinamento giuridico cinese
nonché le politiche d’attrazione degli investimenti esteri. Nell’ultimo
capitolo saranno analizzate le principali caratteristiche dell’attuale presenza
delle aziende italiane nella RPC.
L’economia della RPC dalla fine degli anni ’70 ad oggi è stata caratterizzata
da un tasso di crescita del prodotto interno lordo di circa il 9 %, superiore
sia a molte economie di paesi in via di sviluppo, sia alle economie dei
paesi avanzati. Le dimensioni di questa crescita sono simili a quelle che
negli anni passati hanno caratterizzato gli altri paesi del sud – est asiatico,
9
come Giappone o Corea, ma ciò che distingue nettamente il caso cinese
sono le dimensioni. Molti osservatori pronosticano che nei prossimi anni il
PIL cinese supererà il PIL degli USA, fino ad oggi l’economia più grande
del mondo, la questione sembra limitarsi al “quando” questo accadrà,
dando per scontato che avvenga. In ogni caso è ormai chiaro che la RPC è
un attore rilevante dell’economia mondiale e che la sostenibilità del suo
ciclo economico sia cruciale per la stabilità dei mercati internazionali.
Nel 2003 la RPC ha avuto un PIL di 1410 miliardi US $, posizionandosi al
settimo posto tra le economie mondiali (a tassi di cambio di mercato) e al
secondo posto se si calcola il PIL a parità di potere d’acquisto. Per il 2005
il Fondo Monetario Internazionale (IMF) prevede che il PIL cinese si
attesterà sui 1840 miliardi US $, una crescita dell’8,5 %, mentre nel 2006
supererà i 2000 miliardi US $, crescendo dell’8 %. Tra gli obiettivi
dichiarati dal PCC vi è quello di riuscire a quadruplicare il PIL tra il 2002 e
il 2020.
Il ritmo di questa crescita non è mai stato costante, ma si possono
individuare almeno tre differenti fasi del ciclo economico cinese negli ultimi
due decenni del XX sec. e nei primi anni del XXI sec. La prima fase ha
avuto il suo picco nel 1984, anno in cui si è segnato un tasso di crescita
del PIL del 15,2 %, con conseguenze sull’inflazione dei prezzi al consumo,
in quell’anno al 8,8 %. La crescita ha subito un rallentamento negli anni
successivi per poi riprendere nei primi anni ’90, con il PIL in crescita di
circa il 14 % tra il 1992 e il 1993 e l’inflazione al 27 % nel 1994. La terza
fase si è avuta primi anni del XXI sec., dopo un periodo di deflazione di
circa sei anni a causa dello scoppio della bolla speculativa nel settore delle
costruzioni. Oggi l’economia della RPC sta nuovamente crescendo in modo
forte grazie alle politiche statali di sostegno all’economia, legate in
particolar modo alla riforma del settore delle imprese di proprietà dello
stato, alla crescita della domanda interna e alla crescita della domanda
proveniente dall’estero. Va sottolineato come questa crescita si sia sempre
caratterizzata per essere concentrata in particolari aree del paese, cioè
10
nella fascia costiera e nelle metropoli più importanti, mentre nelle aree
rurali e in modo particolare all’interno e nella parte occidentale del
territorio lo sviluppo è stato senza dubbio notevolmente inferiore.
La possibilità di mantenere elevati tassi di crescita nel corso dei prossimi
anni dipende dal modo in cui Pechino affronterà e porterà a compimento
le riforme necessarie a ridurre i forti squilibri interni che la grande crescita
economica ha generato.
E’ questa la sfida della quarta generazione del potere cinese (dopo Mao
Zedong, 1949-1976; Deng Xiaoping, 1977-1997; e Jiang Zemin, 1997-
2002), al momento guidata da Hu Jintao, che ricopre la carica di
segretario generale del Partito Comunista Cinese, Presidente della RPC e
Presidente della Commissione politica militare del partito, e da Wen Jiabao
come Primo Ministro.
Gli obiettivi politici sono chiari: continuare sulla strada delle riforme nata
con la Politica della Porta Aperta di Deng Xiaoping alla fine degli anni ’70
al fine di realizzare il socialismo di libero mercato, così come sancito
dall’Assemblea nazionale del popolo nel marzo del 1993. Questo concetto
è giustificato dal fatto che alcuni strumenti economici, a lungo etichettati
come capitalisti, sono in realtà neutrali e possono essere impiegati per
favorire la crescita economica del paese. Socialismo e libero mercato non
sono in contraddizione perché il mercato non porta necessariamente al
capitalismo e anche nelle economie capitaliste vi sono forme di
pianificazione economica. Nel 1993 sono stati emendati otto articoli della
Costituzione cinese, dando dignità costituzionale al concetto di socialismo
di libero mercato e salvando il ruolo guida del partito, che deve
necessariamente guidare il processo di riforma
2
.
2
M. Weber, Il miracolo cinese, Il Mulino, Bologna, 2003, pagg. 42 – 44.
11
Quali sono le principali variabili sulle quali Pechino dovrà lavorare nei
prossimi anni per cercare di mantenere elevato il ritmo di crescita e
renderla sostenibile?
Vi sono alcune questioni che finora non hanno avuto soluzione e che
dovranno per forza di cose essere affrontate, sia dal punto di vista
economico, che dal punto di vista sociale ed ambientale: lo sviluppo delle
aree rurali, l’implementazione di un nuovo sistema di welfare, la riforma
del sistema bancario e la questione dell’inquinamento sono i fattori che
secondo gli studiosi dovranno essere ai primi posti nell’agenda politica del
PCC
3
.
Finora le aree rurali non sono state interessate da un forte sviluppo
economico: le politiche di sviluppo fin da primi anni ’80 hanno sempre
favorito le aree urbane e costiere, determinando enormi squilibri tra
queste zone e le province agricole che oggi sono caratterizzate da un
minore grado di sviluppo rispetto alle zone orientali della nazione. Il
governo sta attualmente implementando delle apposite politiche di
sviluppo denominate Go West Policy volte a ridurre il differenziale di
sviluppo economico e sociale tra l’ovest e il resto del paese. Tra queste, in
primo luogo vi è la volontà di ridurre la pressione fiscale sui contadini: il
Primo Ministro Wen Jiabao intende riuscire ad eliminare le tasse che
questa classe sociale deve pagare entro il 2009; altri provvedimenti sono
quelli tesi ad aumentare gli investimenti nell’economia rurale, cercando
anche di indirizzare le risorse che potrebbero risultare in eccesso nelle
aree più avanzate del paese verso le aree più sofferenti, in tal modo si
potrebbe anche perseguire uno sviluppo più omogeneo del paese ed
evitare eccessivi surriscaldamenti dell’economia.
3
A. Amighini, S. Chiarlone, Quanto è sostenibile una crescita così tumultuosa, East,
Baldini Castoldi Dalai, Milano, n. 3 febbraio 2005, pagg. 86 – 89.
E. Prasad, China's Growth and Integration into the World Economy: Prospects and
Challenges, International Monetary Fund Occasional Paper, Washington D.C., 2004,
pagg. 1 – 4.
M. Weber, Cinque sfide per la nuova classe dirigente cinese, East, Baldini Castoldi Dalai,
Milano, n. 3 febbraio 2005, pagg. 102 – 104.
12
Un’altra variabile che Pechino deve affrontare è il completamento della
riforma del settore delle imprese statali, indissolubilmente legata alla
riforma del sistema di welfare, in particolare per la questione della
disoccupazione e delle pensioni, nonché della sanità. Nelle campagne oggi
il 90 % della popolazione non ha una copertura sanitaria, nelle città il 60
%; ad esempio, lo stato trasferisce agli ospedali pubblici solo il 10 % dei
fondi di cui necessitano e quindi le strutture sanitarie non possono che
chiedere ai pazienti dei pagamenti sempre maggiori. Secondo
l’Organizzazione Mondiale della Sanità il sistema sanitario cinese è
paragonabile a quello di molti paesi africani. Sono necessari dei
miglioramenti, ma è significativo ricordare come in circa vent’anni la spesa
sanitaria coperta dallo stato si è dimezzata, il governo centrale oggi copre
solo il 40 % di tutte le spese complessive per la salute. Le incertezze sulle
spese sanitarie sono uno dei motivi, insieme alle spese per l’istruzione dei
figli, dell’alto tasso di risparmio dei cittadini cinesi, stimato tra il 30 e il 40
% del reddito, una percentuale molto più elevata rispetto ai paesi
sviluppati.
Connesso alla questione dei risparmi dei cittadini vi è la necessità di
riforma del sistema bancario cinese, secondo gli osservatori una delle
maggiori sfide alla sostenibilità economica dello sviluppo. Il settore al
momento è dominato dalle banche statali le quali non solo amministrano
la grande massa di risparmi della popolazione, ma rappresentano anche la
principale fonte di finanziamento per le imprese: infatti, non esiste ancora
un mercato per i corporate bond e il mercato azionario è ancora in
secondo piano rispetto al sistema del finanziamento bancario. Nel corso
degli anni ’80 e ’90 le banche hanno sostenuto l’economia cinese,
accumulando nel corso del tempo moltissimi non performing loans (crediti
inesigibili) derivanti per la maggior parte dalle sofferenze delle imprese
statali, stimati alla fine degli anni ’90 in circa il 25 % di tutti i crediti in
essere.
13
Per cercare di affrontare il problema nel 1999 il governo ha deciso di
costituire quattro nuove società finanziarie denominate Asset Management
Companies con l’obiettivo di sollevare le banche statali dall’enorme mole di
crediti inesigibili delle imprese statali. Gli effetti si sono visti: nel 2003
secondo l’IMF i non performing loans si sono attestati tra il 15 % e il 20 %
del totale dei crediti. Nonostante i progressi oggi il sistema bancario resta
ancora molto inefficiente e poco trasparente, troppo spesso la gestione del
credito è ancora legata alle logiche politiche. Il 2006 si preannuncia come
un anno molto importante: secondo gli accordi con il WTO dovrà essere
garantita da quella data la piena operatività alle banche straniere, le
banche cinesi dovranno affrontare la concorrenza delle istituzioni
finanziarie mondiali, il modo in cui riusciranno a farlo sarà determinante
per il mantenimento della crescita economica.
Probabilmente il fattore più importante è rappresentato dal problema
dell’inquinamento. Potrebbe non avere senso parlare di sviluppo e di
crescita quando questi siano perseguiti a scapito delle risorse ambientali.
Purtroppo l’idea di uno sviluppo sostenibile nella RPC appare molto difficile
da realizzare.
Sedici delle venti città più inquinate al mondo sono metropoli cinesi e si
stima che nella RPC almeno 300.000 persone ogni anno muoiano a causa
di problemi respiratori. I principali problemi sono legati alle risorse idriche,
e all’inquinamento atmosferico.
Le risorse idriche cinesi sono concentrate prevalentemente nella parte
meridionale del paese, e la disponibilità per persona è tra le più basse del
mondo. Negli anni passati gli investimenti per la costruzione di
infrastrutture per la fornitura e per la depurazione dell’acqua sono stati
insufficienti e quindi quando anche dove l’acqua non è scarsa, raramente è
pulita. Si stima che circa metà della popolazione, 600 milioni, possano
disporre di forniture idriche inquinate. Secondo la State Enviromental
14
Protection Administration (SEPA) il 70 % dell’acqua dei sette principali
bacini idrici cinesi non può essere utilizzata dalla popolazione.
Il grande utilizzo di carbone sia per usi industriali (il 70 % dell’energia
elettrica è prodotta grazie a questa materia prima), che civili (per il
riscaldamento delle abitazioni) ha reso la Cina il paese con la più elevata
emissione di anidride solforosa del mondo e circa un quarto del territorio è
interessato dal fenomeno delle piogge acide, con conseguenze negative
sull’agricoltura e sulle risorse idriche. La crescita economica che ha
interessato il paese ha continuamente aggravato la situazione: nel 2002
secondo i test effettuati dalla SEPA oltre due terzi delle trecento città più
grandi non erano in linea con gli standard sulla qualità dell’aria determinati
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La World Bank ha stimato che ogni anno i danni ambientali ammontino a
circa l’8 – 12 % del PIL cinese.
Il governo centrale è conscio del problema, ma la strada da percorrere per
affrontare tali problematiche è molto lunga. Nel corso degli ultimi anni
Pechino ha ratificato alcune importanti convenzioni internazionali in
materia ambientale: come ad esempio la Convenzione di Basilea sui rifiuti
pericolosi, nel 1989; la Convenzione sui cambiamenti climatici di Rio, nel
1992; la Convenzione sulla desertificazione, nel 1994.
Il 30 agosto 2002 la RPC ha ratificato il Protocollo di Kioto, ma questa
decisione non deve essere letta in chiave troppo ottimistica: essendo
considerato paese in via di sviluppo la RPC non è sottoposta a nessun
vincolo, come invece accade per i paesi industrializzati.
Solo dopo decenni di assoluta indifferenza a questi problemi la classe
politica di Pechino sembra interessarsi ai problemi ambientali, ma
l’istituzione che dovrebbe guidare le politiche ambientali e controllarne
l’effettiva applicazione, la SEPA, non ha ancora né i fondi né gli uomini per
intervenire attivamente sul territorio e si scontra ogni giorno con la classe
politica delle province che pur di mantenere elevato il tasso di crescita
15
economica e incrementare l’occupazione accetta che le imprese continuino
ad inquinare
4
.
Un significativo apporto alla soluzione delle problematiche ambientali
potrebbe venire dalle aziende straniere che operano sul territorio cinese.
Grande importanza dovrebbe assumere il modo in cui le aziende
occidentali con filiali in Cina decidono di comportarsi rispetto alle
tematiche ambientali. Il management delle aziende dovrebbe riconoscere
che la propria organizzazione è parte integrante della comunità e
dovrebbe considerare l’impatto delle proprie decisioni sui c.d.
stakeholders
5
esterni all’organizzazione. La questione ambientale dovrebbe
essere parte integrante della pianificazione delle organizzazioni,
soprattutto in un paese come la RPC che, come è stato evidenziato, finora
non si è interessato di queste tematiche, ma che gli osservatori
internazionali ritengono indispensabili per poter gradualmente mutare la
grande crescita economica cinese in uno sviluppo che tendi ad essere
sostenibile.
Un contributo in tal senso potrebbe giungere dalle grandi organizzazioni
multinazionali che hanno implementato strategie di comportamento che
cercano di ridurre l’impatto sull’ambiente delle loro produzioni e che sono
consapevoli del fatto che le loro azioni si ripercuotono sulle comunità nelle
quali si sono insediate. Ad esempio, la multinazionale statunitense Alcoa,
leader mondiale nella lavorazione dell’alluminio, implementa in tutti gli
stati nei quali opera, tra i quali anche la RPC, il programma Ten Million
Trees, al fine di contribuire alla riforestazione del pianeta: per fare questo
intende piantare dieci milioni di alberi entro il 2020 cercando in questo
modo di contribuire all’assorbimento dell’anidride carbonica prodotta dai
4
AA.VV, China’s growing pains, The Economist, Londra, 21 agosto 2004, pagg. 55 – 57.
M. Weber, Il miracolo cinese, pagg. 143 – 146.
5
Secondo R.L. Daft, Organizzazione aziendale, Apogeo, Milano, 2001, gli stakehoders
possono essere definiti come qualsiasi gruppo sociale interno o esterno ad una
organizzazione che abbia un interesse nei confronti del comportamento e dei risultati
raggiunti dalla stessa.
16
suoi impianti di lavorazione. Tali esempi potrebbero fungere da modello
anche per le altre organizzazioni.
Nonostante le problematiche appena esaminate la crescita economica
della RPC non da segni di cedimento, ma questo progresso economico è
ottenuto a scapito del benessere delle economie dei paesi avanzati?
Talvolta si sostiene che la crescente presenza sui mercati mondiali dei
prodotti della RPC sia una minaccia per il tessuto economico dell’Italia e
che sia necessario ricorrere a misure protezionistiche. Molti studi
sostengono però il contrario: le opportunità in termini di possibilità di
importazioni verso la RPC e in termini di investimenti diretti sono
moltissime. E’ stato dimostrato come la concorrenza subita da taluni
comparti labour intensive dell’economia italiana (es. tessile), sia affiancata
da ottime performance nei settori a maggiore contenuto tecnologico e
innovativo (es. macchinari), ma che il mercato cinese offra notevoli
possibilità di penetrazione anche in altri settori
6
.
E’ possibile sfruttare le opportunità dell’ambiente organizzativo cinese per
l’importazione dall’Italia del nostro Made in Italy, i cui prodotti sono molto
apprezzati dalle nascenti classi medie e benestanti cinesi, ma si può essere
presenti nella RPC anche come produttori che intendono vendere sul
mercato interno oppure esportare verso gli altri paesi del mondo.
6
C. Della Monica, Bianchi: nella nuova fase vedo molte opportunità, East, Milano, Baldini
Castoldi Dalai, n. 3 febbraio 2005, pagg. 96 – 101.
L. Ghezzi, L. Giacomelli, Il progresso economico cinese e i riflessi sull’economia italiana,
Studi e Note di Economia, 3/2003, pagg. 97 – 127.
17
CAP. 1 IL SETTORE DELLE RISORSE UMANE
Una delle dimensioni appartenenti all’ambiente di un’organizzazione che
maggiormente influenza la definizione della sua strategia e il suo
comportamento è la dimensione definibile come settore delle risorse
umane. Le principali variabili di questa dimensione che influenzano
indirettamente o direttamente l’organizzazione, e che qui verranno
analizzate rispetto al caso cinese, sono la struttura del mercato del lavoro,
l’ordinamento giuslavoristico, il livello medio del costo del lavoro e delle
retribuzioni, il livello d’istruzione delle risorse umane che si possono
reperire laddove si è deciso di localizzare l’organizzazione.
Analizzando il caso della RPC queste tematiche assumono un’importanza
notevole almeno sotto due profili: l’enorme dimensione del mercato del
lavoro, che annovera più di 900 milioni di persone in età lavorativa, e il
bassissimo livello delle retribuzioni. Appare quindi importante comprendere
a fondo quali siano i principali fenomeni sociali, economici e politici che in
questi anni caratterizzano il settore delle risorse umane nella RPC, poiché
essi possono avere una notevole influenza sulle organizzazioni che
decidono di investire in quel contesto.
18
1.1 La struttura del mercato del lavoro
Comprendere i processi che sottendono all’evoluzione del mercato del
lavoro nella RPC negli ultimi 25 anni è molto importante per la corretta
analisi del fenomeno Cina. Le politiche messe in atto per riformare il
mercato del lavoro e quelle che il Partito Comunista Cinese non è invece
riuscito ancora ad attuare sono state, e continuano ad essere, da un lato il
motore e dall’altro il maggior limite alla transizione da un modello di
economia pianificata ad un modello di economia socialista di libero
mercato
7
in cui il settore privato acquisti sempre più importanza rispetto
all’economia pubblica dominata, fino ai primi anni ’80 dalle State Owned
Enterprises (SOE), cioè dalle imprese controllate direttamente dalle
autorità statali nelle aree urbane e dalle attività collettivizzate nelle
campagne.
Fino a 25 anni fa le possibilità, dal punto di visto lavorativo, per i cittadini
della RPC erano molto chiare: gli abitanti delle città potevano lavorare
presso le SOE, mentre gli abitanti delle campagne erano impiegati nelle
comuni rurali; prima delle riforme cambiare occupazione era proibito, era
demandato alle autorità statali il compito di allocare la forza lavoro.
Le trasformazioni indotte dalla “politica della porta aperta”, lanciata da
Deng Xiaoping nel 1978, hanno segnato l’inizio di un lungo processo
cambiamento anche del mercato del lavoro, ancora oggi lungi dall’essere
portato a termine, e hanno allo stesso tempo determinato una serie di
squilibri che nemmeno l’enorme crescita economica degli ultimi anni
sembra riuscire a risolvere.
La riforma del mercato del lavoro continua ad essere una delle sfide più
difficili che il governo cinese deve fronteggiare; il modo in cui le leggi, i
regolamenti e le istituzioni locali disciplinano tale cambiamento solleva
7
B.M. Fleischer, D.T. Yang, Labor laws and regulations in China, China Economic
Review, settembre 2003, pag. 7.
M. Weber, Il miracolo cinese, Il Mulino, Bologna, 2003, pagg. 42-43.
19
delle questioni molto importanti dal punto di vista politico, economico e
sociale.
Dai primi anni ’80 ad oggi siamo dinanzi ad un processo socio-economico
che ha determinato uno strettissimo legame tra la possibilità di
implementare le riforme, la crescita economica e la struttura del mercato
del lavoro.
Una delle conseguenze della volontà di diventare un’economia socialista di
libero mercato è il ridimensionamento del sistema d’impresa statale. Nel
corso degli anni ’90 Pechino ha mostrato l’intenzione di ristrutturare e
ridurre gradualmente il numero di SOE.
Le conseguenze di questo progetto di riforma si sono riflesse sul mercato
del lavoro. La ristrutturazione delle SOE ha creato un notevole surplus di
manodopera poco qualificata e con un’età non più giovane che va a
competere con gli appartenenti alle classi d’età più giovani, che in questi
anni escono in numero sempre maggiore dagli istituti di formazione cinesi.
Solo un ciclo economico positivo può stimolare la domanda di lavoro delle
imprese private, così da poter cercare di assorbire il surplus di offerta di
manodopera che le riforme stesse determinano.
La sempre minore importanza nell’economia cinese delle SOE ha
determinato la nascita di un mercato del lavoro sempre più orientato ai
bisogni del settore privato: alla fine degli anni ’90 per la prima volta nelle
città gli occupati nel settore statale sono stati superati dai lavoratori del
settore privato (Tab. 1.1). Un’altra conseguenza della riforma delle SOE è
stato l’aumento dei flussi migratori dalle regioni interne verso le zone
costiere (in particolare verso le regioni del Fujian, Guangdong, Shangdong
e Zhejiang) laddove più si concentrano gli Investimenti Esteri Diretti (IDE),
attirati fin dai primi anni ’80 dall’istituzione delle Zone Economiche Speciali
(ZES) (v. Cap. 4).
Le dimensioni del problema sociale sono consistenti. Nonostante la
mancanza di dati ufficiali aggiornati (caratteristica comune a tutti i campi
20
d’indagine qui proposti), si stima che vi sia un surplus di forza lavoro di
almeno 150 milioni di persone nelle campagne, ai quali si aggiungono i
circa 11 milioni di lavoratori provenienti dalle SOE. Uno dei freni alla
completa attuazione della riforma delle SOE è proprio questo: la
disoccupazione che essa inevitabilmente viene a creare, con effetti molto
preoccupanti sulla società, come ad esempio si è evidenziato durante la
crisi asiatica della seconda metà degli anni ’90.
Gli studiosi del Fondo Monetario Internazionale (IMF) stimano che,
nonostante si possa prevedere una crescita media del PIL cinese del 7 %
nei prossimi anni, il tasso di disoccupazione potrebbe comunque crescere
dall’attuale 3 – 4 % fino al 10 % nei prossimi 4 anni
8
.
Una delle sfide che il governo di Pechino dovrà affrontare sarà quella di
riuscire ad assorbire tale surplus. Una possibile soluzione potrebbe essere
quella di stimolare il settore privato, in particolar modo nelle industrie
maggiormente labour intensive (come ad esempio nell’industria tessile),
che negli ultimi anni si sono dimostrate in grado di creare molti posti di
lavoro, magari in virtù di processi di delocalizzazione che interessano
taluni settori produttivi del nostro paese. Oltre a ciò le politiche del
mercato del lavoro dovranno anche focalizzarsi sulla riforma del welfare,
sul miglioramento del sistema dell’istruzione e sulla riduzione delle barriere
alla mobilità interna.
L’immensa popolazione della RPC è una delle maggiori risorse, ma allo
stesso tempo anche uno dei problemi più difficili da affrontare per le
politiche di Pechino.
Nei primi giorni del 2005 il governo ha ufficialmente dichiarato che la
popolazione supera quota 1,3 miliardi di individui, ma questo dato va
sicuramente inteso per difetto (Tab. 1.2).
Pur evidenziandosi un forte flusso migratorio interno verso le città, la
popolazione cinese permane prevalentemente rurale per circa il 60 %
8
E. Prasad, China's Growth and Integration into the World Economy: Prospects and
Challenges, pag. 51, International Monetary Fund Occasional Paper, Washington D.C.,
2004.