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Solo in questo caso i soccorsi avranno la possibilità di raggiungere rapidamente ed
agevolmente le aree colpite, evitando o limitando ulteriori conseguenze (ad esempio
incendi) che potrebbero provocare danni di entità paragonabile a quelli indotti dal sisma
stesso.
Autostrade, strade, ferrovie, stazioni, ecc. sono infrastrutture in cui, in molte ore del
giorno, si addensa un gran numero di persone esposte a rischio, in caso di scossa, tanto
quanto quelle che si trovano all’interno degli edifici; si ricorda in proposito ciò che
accadde nel terremoto di Loma Prieta, nel quale il collasso dei viadotti della sopraelevata
di Cypress Street ha provocato una buona parte delle vittime della scossa.
Le reti per la mobilità rivestono, in tale contesto, un ruolo centrale: esse rappresentano,
infatti, uno degli elementi costitutivi del più ampio sistema delle Lifelines, “ovvero dei
sistemi a rete che forniscono i servizi essenziali per la vita quotidiana delle comunità, ossia
i trasporti, l’energia elettrica, gas e combustibili liquidi, acquedotti e fognature,
telecomunicazioni – da cui dipende la salute, il comfort e, più in generale, il benessere
socioeconomico – consentendo, nel contempo, una efficace risposta in caso di emergenza”
(Paton D., Johnston D. (2006) Disaster Resilience. An integrated approach, Charles C.
Thomas Publisher, Ltd, Springfield, Illinois, USA). Le reti per la mobilità costituiscono
dunque, da un lato, elementi esposti e spesso ad elevata vulnerabilità rispetto ai diversi
fenomeni calamitosi e, nel contempo, attrezzature di importanza strategica sia per la vita
quotidiana di una collettività che per la gestione dell’emergenza, risultando indispensabili
per garantire l’accesso e l’esodo dalle aree colpite nella fase dell’immediato post evento.
Il danneggiamento o la ridotta funzionalità di tali reti può incrementare, anche
significativamente, le perdite di vite umane conseguenti ad un evento calamitoso,
oltreché indurre danni economici rilevanti anche su orizzonti temporali di medio-lungo
periodo.
È ancora abbastanza recente la consapevolezza che le reti per la mobilità costituiscono un
sistema, caratterizzato da rilevanti connessioni e interdipendenze: sia in quanto ciascun
elemento della rete è connesso a tutti gli altri, sia in quanto numerose sono le
interdipendenze non solo tra le diverse tipologie di infrastrutture a rete, ma anche tra
infrastrutture a rete e sistemi urbani. Strade e ferrovie, ad esempio, potrebbero non
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subire danni diretti in conseguenza di un evento calamitoso, ma danni o guasti, anche
rilevanti, conseguenti al danneggiamento di altre infrastrutture a rete: da quelle
elettriche a quelle fognarie. Analogamente, all’interno di un tessuto urbano, le reti viarie
e ferroviarie potrebbero subire perdite di funzionalità a causa di ostruzioni provocate dal
crollo, parziale o totale, di manufatti edilizi, elementi fondamentali di un efficiente
sistema di protezione civile per rischio sismico.
L’idea di applicare questa metodologia al mondo della difesa civile, è nata dall’incontro
con l’Ing. Eduardo De Francesco, specialista dell’analisi sui “Failure modes” in campo
militare e dirigente dell’azienda S.e.t.e.l., che ha svolto un seminario sull’Ingegneria del
Supporto Logistico, con gli studenti specializzandi in Ingegneria Ambiente e Territorio,
indirizzo Protezione Civile, durante il corso di “Trasporti e Logistica” del Prof. Francesco
Filippi. Per rendere più comprensibile l’argomento, poiché molto distante e difficile da
pensare adattabile a contesti diversi da quello nativo, si è cercato di traslare il modello
militare ad un problema di gestione delle vulnerabilità delle componenti di un sistema
urbano post-terremoto e avendo avuto un parziale riscontro in campo internazionale, si è
colta l’occasione di questa tesi, e l’interesse del sottoscritto, a sviluppare il modello. Vista
l’enorme complessità di un sistema urbano e le innumerevoli infrastrutture da cui esso è
composto, ci si è focalizzati sull’analisi del sistema viario in una fase critica di post
emergenza.
Il presente lavoro potrebbe rappresentare la fase iniziale di una ricerca più ampia rivolta,
da un lato, alla definizione di un criterio per la valutazione della vulnerabilità dei tronchi
stradali e, dall’altro, di un modello in grado di definire, per dato evento sismico, uno
scenario attendibile sulla funzionalità della rete stradale, non soltanto in base alla
integrità strutturale, ma anche ai livelli di capacità residua. Una metodologia certamente
complessa per il grande numero di variabili che concorrono alla definizione del modello
ed, in molti casi, per l’aleatorietà dei parametri di riferimento.
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Nel presente rapporto si approfondisce la metodologia introdotta con un caso studio, che
permetta di valutare l’efficacia, i punti deboli, l’influenza delle approssimazioni fatte
nell’analisi FMECA, che si vuole applicare al mondo della Protezione Civile.
LA FMECA (acronimo dell'inglese Failure Mode, Effects, and Criticality Analysis - Analisi
dei modi, degli effetti e della criticità dei guasti, http://it.wikipedia.org/wiki/FMECA) è una
estensione della FMEA (Failure Mode and Effects Analysis), in aggiunta alla quale include
un'analisi di criticità usata per valutare, mediante opportuni diagrammi, la gravità delle
conseguenze di un guasto correlata con la probabilità del suo verificarsi.
L'analisi, che viene utilizzata nei settori più diversi, mette in evidenza le modalità di
guasto che hanno nello stesso tempo una probabilità di accadere relativamente alta unita
ad un'alta gravità di conseguenze, mettendo in evidenza i punti di debolezza di un
progetto, sui quali occorre intervenire con adeguate modifiche.
Il presente lavoro si articola in un capitolo introduttivo, nell’ambito del quale vengono
introdotte e illustrate le infrastrutture lifeline, caratterizzandole nelle loro componenti
principali. Le lifeline risultano un argomento diversamente trattato in campo nazionale e
internazionale, per questo si vuole dare una paronimica sullo stato dell’arte in Italia,
Nuova Zelanda, USA, Giappone, Australia ed Europa, confrontando i diversi approcci alla
gestione di esse.
Lo studio di scomposizione delle infrastrutture negli elementi principali, presentato nel
primo capitolo, è propedeutico a quello che si occupa di definire i modi di guasto, i failure
modes, dei sistemi lifeline e i relativi componenti. L’analisi dei modi di guasto è quella che
viene definita come FMECA, già nominata precedentemente, che viene descritta nei
processi fondamentali e resa più chiara proponendo degli esempi.
La metodologia introdotta viene applicata alle infrastrutture viarie; per fare ciò si
esplicitano le ipotesi di studio, successivamente, si propone la procedura di analisi per la
valutazione della vulnerabilità della rete stradale la quale si compone di più schede
contenenti i range di variazione di alcuni parametri caratteristici della suscettibilità dei
sistemi viari. A valle di ciò, sempre all’interno del capitolo denominato Metodologia
proposta, si descrivono i failure modes delle lifeline con particolare attenzione alle
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infrastrutture viarie; la descrizione si basa su studi di eventi passati che verranno più volte
nominati nell’arco del paragrafo.
Introdotta la metodologia e descritta nelle diverse schede di valutazione, si vuole
applicare tutto ciò affinché si possa verificare l’affidabilità del modello; il caso studio è
quello riferito alla pianificazione di un intervento in una fase post-sisma nel comune di
Avezzano (AQ). Nello stesso capitolo s’intende descrivere anche il software utilizzato,
TransCad.
Infine, nel capitolo conclusivo, si valutano gli aspetti positivi e negativi della metodologia
introdotta, l’efficacia di essa e quali aspetti futuri ci si può aspettare.
2. Lifeline
2.1 Definizione di lifeline
La società moderna è totalmente dipendente da una complessa ed articolata rete di
infrastrutture di importanza vitale per l’esistenza dei moderni insediamenti antropici
distribuiti sul territorio. A questi sistemi di infrastrutture, solitamente indicati nel loro
insieme col termine inglese lifelines, sono affidati numerosi servizi e funzioni
indispensabili per una normale utenza delle attuali realtà urbane nonché per lo
svolgimento di qualsiasi attività umana.
Le lifelines, in sostanza, sono sistemi a rete che si sviluppano nel territorio, in superficie,
in elevazione o nel sottosuolo; esse mettono in relazione e collegano i vari sistemi spaziali
garantendo a questi ultimi una moltitudine di servizi essenziali ed assolutamente
indispensabili per la sopravvivenza dell’attuale società: il trasporto, la distribuzione delle
risorse energetiche (gas, elettricità, combustibile), il funzionamento dei servizi igienici e
sanitari e di comunicazione (acquedotti, fognature, le telecomunicazioni, ecc..).
La parola inglese lifeline è un termine composto che riassume perfettamente quanto
sinora esposto: life-line, ossia, letteralmente, linee della vita, cioè l’insieme dei sistemi a
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rete (costituiti da elementi lineari) che servono a garantire tutti quei servizi indispensabili
per la sopravvivenza degli insediamenti antropici territoriali.
Sinteticamente si possono definire lifelines l’insieme di attrezzature, strutture,
equipaggiamenti e servizi che fanno parte di tutte le infrastrutture antropiche (tanto in
insediamento urbano quanto rurale) essenziali per garantire le funzionalità vitali di questi
sistemi.
È possibile suddividere le lifelines nelle differenti aree di interesse qui sotto elencate:
ξ Trasporti;
ξ Energia elettrica;
ξ Gas e combustibili liquidi;
ξ Acquedotti e fognature;
ξ Telecomunicazioni.
Evidentemente ciascuno di questi sistemi presenta caratteristiche funzionali e tecnico-
costruttive proprie, per cui potrebbe sembrare azzardato accomunarli sotto una stessa
definizione. Tuttavia, essi hanno una particolarità in comune: sono tutti sistemi a rete che
garantiscono funzionalità vitali per qualsiasi tipologia di insediamento. In previsione o in
caso di una eventuale emergenza quindi, anche se da un punto di vista tecnico-operativo
è difficoltoso e spesso impossibile mettere in atto “terapie” di intervento comuni o
accorgimenti costruttivi che riducano la vulnerabilità, da un punto di vista di
pianificazione territoriale l’approccio ed i criteri di trattamento nei confronti di questi
sistemi sono assolutamente analoghi.
Per questa ragione si parla di una propria ingegneria sismica delle lifelines (Lifelines
Earthquake Engineering, http://www.asce.org/community/disasterreduction/tclee_home.cfm)
con il quale si vogliano indicare tutte le conoscenze e metodologie per progettare questi
sistemi secondo una pianificazione che ne riduca al minimo l’esposizione e per costruire
seguendo le tecnologie che, per ogni tipo di infrastruttura, riducano al minimo la
vulnerabilità. L’ingegneria delle lifeline non è riferita esclusivamente ad eventi sismici ma,
in generale a qualsiasi tipo di emergenza derivante da un generico disastro naturale o
antropico: catastrofi metereologiche o idrogeologiche, inondazioni, incendi, ecc..
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Progettare secondo i detti criteri i sistemi delle lifeline significa avere maggiori garanzie di
affidabilità e di efficienza in qualunque condizione di emergenza.
Questi aspetti della progettazione e della gestione delle infrastrutture, a lungo trascurati
in passato, sono stati presi in considerazione ed approfonditi solo da qualche anno.
Recenti accadimenti ed esperienze hanno dimostrato l’estrema importanza di un corretto
funzionamento delle lifelines proprio nelle condizioni di emergenza che seguono un
qualunque evento catastrofico.
2.2 L’importanza delle lifelines in condizioni di emergenza
Le lifeline devono essere in grado di funzionare immediatamente dopo un evento
calamitoso, per consentire una rapida ed efficace attuazione delle procedure di assistenza
e di soccorso e supportare tutti i servizi di emergenza. Una interruzione nella rete dei
trasporti, ad esempio, rende impossibile ai mezzi di soccorso l’accesso alle zone colpite:
questo aspetto, che potrebbe sembrare trascurabile, assume nella realtà un peso
determinante. La rapidità e la prontezza nel fornire operazione di soccorso valide ed
efficaci si è rivelata infatti un elemento essenziale per la salute (o addirittura la
sopravvivenza) delle popolazioni colpite.
D’altra parte, una qualsiasi operazione di soccorso necessita, per essere efficace, di una
organizzazione basata sul coordinamento di più forze ciascuno con le proprie competenze
e risorse umane ed economiche. È evidente che il collasso delle lifelines delle
telecomunicazioni influenzerebbero negativamente l’organizzazione dei soccorsi,
provocando difficoltà e lentezza nella gestione dei contatti e, di conseguenza, un cattivo
sfruttamento delle risorse disponibili. Allo stesso modo, il mancato funzionamento delle
lifelines di distribuzione dell’energia elettrica o dell’acqua renderebbe inservibile o
quantomeno scarsamente efficienti molti degli elementi ritenuti strategici per la salute
pubblica soprattutto in condizione di emergenza (ospedali, strutture protezione civile,
caserme militari, vigili del fuoco, ecc..).
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È molto importante che tutto l’ insieme dei sistemi delle lifelines, eventualmente
danneggiati, siano riparabili piuttosto rapidamente per provvedere al miglioramento degli
spostamenti e dei servizi richiesti per il sostentamento della popolazione e per avviare il
più rapidamente possibile il processo di ricostruzione post-terremoto.
Quanto detto sinora mette in evidenza l’importanza e l’utilità di poter usufruire di lifelines
efficienti nella fasi immediatamente successive all’evento catastrofico. Non bisogna
dimenticare che una corretta progettazione delle lifelines può essere utilissima anche per
prevenire molti degli effetti dannosi indotti dal sisma; si pensi ad esempio agli incendi
provocati dalla rottura delle tubazioni urbane del gas o delle linee elettriche interrotte,
con conseguenze pari a quelle del sisma stesso (come è successo nella città giapponese di
Kobe colpita dal terremoto nel 1995). È quindi essenziale cercare di minimizzare i danni
indiretti degli eventi catastrofici quali incendi, interruzioni delle vie di comunicazioni o
telecomunicazioni in grado di rendere difficoltose le operazioni di soccorso.
Le lifeline sono tipicamente geograficamente disperse e funzionalmente complesse, cioè
dotate di numerose ridondanze. I due fattori fanno si che una rottura in un punto non
implichi direttamente la perdita di servizio dell’intero sistema (Seismic risk and
engineering decisions, C. Lomnitz and E. Rosenblueth, 1976) e che, quindi, lo studio della
lifeline debba tenere in considerazione entrambi i fattori.
Un concetto generale, adattato alle lifeline dallo studio degli edifici, è che queste, durante
l’evento sismico, si possano danneggiare ma che ci sia solo un limitato rischio che la
rottura porti a mettere in pericolo vite umane. Questo principio è applicabile a strutture
di deposito delle acque in zone fittamente popolate, grandi ponti e alle condutture di
materiali infiammabili o esplodenti (gas, combustibili, ecc.). Comunque, è abbastanza
facile individuare molti “guasti” che possono indirettamente creare grandi sofferenze
umane e perdite economiche anche se il rischio di morte è molto basso. Esempi di questo
fenomeno sono rappresentati dalla mancanza dell’acqua necessaria per un tempestivo
contenimento degli incendi o l’interruzione delle maggiori vie di comunicazione
necessarie per portare soccorso alle zone colpite, ecc. (Lomnitz C. e Rosenblueth E.,
Seismic risk and engineering decisions, 1976). E’ sostanzialmente impossibile prevenire
tutte le perdite di servizio dovute ad un evento sismico di grande intensità o, anche, di
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media intensità. E’ quindi necessario definire un concetto di accettabile livello di perdita
di servizio. Il servizio perso durante un sisma di grande intensità sarà tipicamente
ripristinato in fasi successive: un livello di funzionamento minimo essenziale nei tempi più
brevi possibili e il ripristino completo anche in alcuni mesi.
I sistemi di lifelines rappresentano, quindi, un elemento essenziale che va preso in
considerazione in tutte le aree antropizzare che presentino una pericolosità sismica.
È importante che, in queste zone, esse siano progettare secondo criteri opportuni che
fanno sempre riferimento a 2 regole fondamentali: la determinazione della migliore
localizzazione territoriale, evitando per quanto possibile, i luoghi a più alta pericolosità;
l’applicazione di tecnologie costruttive finalizzate alla riduzione della vulnerabilità.
Per quanto sinora esposto è indispensabile che in qualunque processo moderno di
valutazione del rischio sismico sia preso in giusta considerazione lo studio delle reti delle
lifelines, da integrare con le tradizionali analisi degli edifici. Il presente lavoro proseguirà
proprio in questa direzione, dedicandosi in particolare ad un tipologia di lifeline: la rete di
trasporto delle infrastrutture viarie.
2.3 Descrizioni infrastrutture lifelines
Affinché si possa caratterizzare il comportamento delle lifelines durante un evento
maggiore, è bene che queste vengano descritte in tutte le loro componenti.
Questo risulta un processo lungo ed elaborioso poiché ogni singolo sistema di rete è
contraddistinto da sottosistemi, ciascuno dei quali è somma di ulteriori componenti; è
perciò essenziale individuare quali di questi è importante per il sistema nel suo
complessivo.
Si viene quindi a presentare un problema di granualità, ossia l’individuazione del livello di
dettaglio esatto dello studio. Essendo questo uno studio da poco intrapreso, non esiste
letteratura a riguardo, perciò le componenti essenziali delle lifeline sono valutate
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“intersecando” gli schemi dei sistemi di rete stessi con i problemi riscontrati nelle analisi
post-evento.
Un altro problema riscontrato in questo studio propedeutico alla locazione dei punti
critici, è il considerare l’elemento lifeline come un elemento distribuito su una zona ampia
e non localizzata in un punto preciso. Questo problema è sorto sempre in questa fase di
schematizzazione degli impianti nelle sue parti essenziali; le lifeline sono geograficamente
disperse su aree ampie ed esposte anche su range di rischi diversi, ad usi della comunità e
interazioni con altri settori diversi; è fondamentale quindi, riuscire a trovare i punti deboli
per non lavorare su troppi dati, che su un lavoro a lungo termine possono essere
fuorvianti.
Individuata la struttura principale di ciascuna tipologia di questi impianti, lo schema sarà
unico e ridondante nello spazio; questo è un aspetto positivo per il passo successivo,
quando si tenterà d’individuare i punti critici di ognuno di essi.
Di seguito verrà proposta la sola descrizione dell’infrastruttura del trasporto, gli altri
network lifeline saranno descritti con maggiora accuratezza nell’ALLEGATO A.
2.4 Infrastrutture dei trasporti
Anche il sistema dei trasporti, con le reti stradali e ferroviarie, sistemi metropolitane o
tramvie, sono infrastrutture cosiddette “lifeline”; esse sono infatti sistemi a rete che
collegano tra loro diverse località con finalità di trasporto di persone e merci. Le uniche
infrastrutture che non potrebbero rientrare nella definizione sono porti e aeroporti,
infatti la tipologia di vettori utilizzati nel trasporto aereo e navale non necessita di nessun
collegamento lineare o a rete, ma bensì da semplici strutture lineari distribuiti sul
territorio, porti e aeroporti. Tuttavia questi sono dei bacini d’utenze molto vasti e
necessitano di un’adeguata rete di trasporto viaria locali dalla quale dipendono
totalmente. Da ciò si evince come sia estremamente importante valutare nel suo insieme
i vari sistemi di trasporto con le loro relative infrastrutture, considerandone di volta in
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volta il loro ruolo svolto all’interno del territorio, il bacino d’utenza e le interrelazioni con i
nodi di scambio intermodali.
La caratteristica principale che distingue le infrastrutture di trasporto dalle altre lifeline è
l’utilizzazione diretta da parte dell’uomo, che le sfrutta in prima persona per sodd isfare le
proprie esigenze di mobilità. Tutti gli altri sistemi di lifelines, infatti, nonostante
interagiscano anche molto da vicino con l’uomo, non sono mai utilizzati in prima persona
da questo. Sebbene buona parte di essi, per via degli elementi trasportati (un esempio è il
gas) esponga indirettamente l’uomo ad un notevole rischio in caso di evento maggiore, si
tratta sempre di rischi indiretti che ricadono sulla popolazione.
Nel caso di sistemi di trasporto esiste invece, una esposizione diretta al rischio, in tal
modo se una infrastruttura viaria è a rischio anche le persone che la percorrono ne
sarebbero esposti. Questa caratteristica è estremamente importante per una valutazione
completa del rischio perché l’oggetto principale dell’analisi di esposizione è costituito
proprio dalla popolazione che potrebbe essere colpita.
Un ulteriore aspetto da approfondire è legata alla tendenza, recente, di incrementare il
rischio sulle infrastrutture viarie, realizzando reti di cablaggio o installazione di tubazioni
nel corpo stradale, con evidenti risparmi economici e semplicità di progettazione,
gestione e manutenzione. Metanodotti, tubazioni idriche e cavi elettrici e delle
telecomunicazioni vengono spesso fatti passare all’interno di sezioni stradali con i
vantaggi di: sfruttando un tracciamento esistente la posa in opera è molto semplificata, in
quanto avviene in parti della sezione stradale appositamente predisposte ed affittate ai
vari enti dalla società di gestione della strada; sia in fase di installazione che gestione e
manutenzione rimarrà sempre garantita una grande accessibilità ad ogni parte della rete.
Con tale integrazione diventa molto difficoltoso, valutare gli effetti di un sisma solo su
una lifeline, trascurando le altre. Le lifeline sono, dunque, interconnesse e
interdipendenti.
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Esiste una descrizione delle componenti di una infrastrutture viaria, riportata in seguito di
nella fig. 6 :
Figura 1: componenti infrastruttura viaria (Fonte: “Mitigation of seismic damage to lifelines: highways
and railroads”, Buckle I. Cooper J.)
Da questa si evince la complessità nella valutazione degli effetti di un qualsiasi evento su
questa infrastruttura critica. La definizione di Ian G. Buckle e James D. Cooper molto
interessante e perfettamente corretta ed illuminante nell’individuazione dei componenti
di ciascuna tipologia di infrastruttura viaria, risulta un po’ troppo appesantita per una
valutazione di vulnerabilità sismica e fa correre il rischio di attribuire un peso eccessivo ad
elementi poco importanti per questo tipo di analisi.
Per questo ci si limita tra i componenti individuati da Buckle e Cooper, solo quelli che
costituiscono fisicamente e strutturalmente l’infrastruttura viaria:
ponti;
rilevati;
trincee;
gallerie.
Per concludere è possibile proporre una definizione di infrastruttura viaria più adatta al
nostro studio: una infrastruttura viaria è un sistema complesso costituito dall’insieme di
diversi componenti ciascuno con caratteristiche intrinseche e costruttive proprie
(“Mitigation of seismic damage to lifelines: highways and railroads”, Buckle I. Cooper J).
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3. Il diverso approccio alle lifelines
3.1. Introduzione
La crescita esponenziale delle aree metropolitane nel secondo dopoguerra, ha
comportato il contestuale sviluppo dell’infrastrutturazione, essenziale a garantire la
sopravvivenza di agglomerati sempre più estesi, sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in
via di sviluppo. I terremoti avvenuti dal ’50 in poi hanno quindi colpito una realtà più
complessa di quella del passato, provocando danni ingenti non più solo alle abitazioni, ma
in modo crescente ad altri sistemi territoriali, in particolare ai servizi a rete. E’ quindi ben
comprensibile come da una trentina d’anni, prevalentemente negli Stati Uniti e in
Giappone, e con maggiore attenzione dopo i terremoti di Whittier Narrow del 1987, di
Northridge del 1994 e di Kobe del 1995, si è sviluppata una parte dell'ingegneria sismica
indirizzata allo studio delle infrastrutture a rete (lifelines earthquake engineering). In Italia
l'argomento relativo alla vulnerabilità sismica delle lifelines è stato fino ad oggi
scarsamente affrontato, non perché il problema non esista, ma perché non si sono
verificati finora eventi sismici in aree fortemente urbanizzate, e quindi infrastrutturate,
che abbiano causato una vera e propria "emergenza reti", di conseguenza non si è
neanche sviluppata una apposita normativa. Risulta perciò un problema recente, che è
stato studiato dalle diverse comunità internazionali anche in modo diverso, a seconda
delle proprie esigenze. I diversi stati “coinvolti” da questa analisi di vulnerabilità delle
lifeline spaziano sull’interezza del globo, dall’ Europa, soprattutto nell’area mediterranea,
al Giappone, alla Nuova Zelanda e Australia, agli Stati Uniti. Tutti questi paesi però sono
accumunati dalla stessa propensione a subire danni, spesso catastrofici per l’alta
complessità delle aree urbane, dall’impatto di eventi naturali di grande intensità.
In questo capitolo del lavoro si illustreranno i diversi approcci assunti dalle diverse
comunità per caratterizzare questo tipo di problematica.
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3.2. La situazione nell’Unione Europea
Gli studi di valutazione della vulnerabilità delle infrastrutture critiche, definite come
lifelines, sono distanti da quelli che verranno menzionati successivamente ed inoltre
tendono a focalizzarsi su sfaccettature diverse nei differenti paesi facenti parte
dell’Unione Europea.
I paesi del Mediterraneo, quelli prossimi alla zona di contatto fra la zolla africana e quella
euroasiatica, sono i più propensi agli studi di vulnerabilità sismica cercando di definire
degli standard idonei; gli altri paesi non hanno grandi rischi influenti la vita quotidiana
perciò tendono a fare degli studi di vulnerabilità a livello teorico, basandosi su eventi
accaduti in altri paesi, focalizzando l’attenzione sull’organizzazione dell’intervento e la
sincronizzazione delle forze nelle fasi di post-emergenza, a valle degli attentati accaduti
negli anni passati.
Non esistono perciò delle normative sviluppate a riguardo, soprattutto per quanto
concerne le infrastrutture lifeline, esistono, solo, dei documenti che accennano
dell’esistenza e delle conseguenze che potrebbero verificarsi quando queste
infrastrutture possono guastarsi.
3.2.1. Progetti europei
Ci sono, e ci sono stati, degli studi trasversali di multi-risk management svolti da più
soggetti internazionali per sviluppare una metodologia di gestione di rischi, tra i quali
Project Armonia, Eu-Medin, LessLoss, Medigrid, tutte sviluppate e supervisionate dalla
European Research in Natural Hazard and Disaster Risk Management della Commissione
Europea.
Questa agenzia dell’Unione Europea ha iniziato lo studio nel 1986 con l’obbiettivo di
valutazione dei rischi, previsione e gestioni degli stessi; sono stati compiuti progressi nella
ricerca in campo sismico, incendi boschivi, frane, inondazioni, eruzioni vulcaniche,
valanghe e rischi tecnologici, in particolare con lo sviluppo di modelli in grado di gestire i
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rischi e le conseguenze relative. Lo scopo di EU-MEDIM (l’acronimo di EU Mediterranean
Distaster Information Management) è quello di promuovere il coordinamento tra le
diversi operatori per migliorare la preparazione e prevenzione, comunicazione e il rapido
scambio di dati e conoscenze per una migliore gestione dell’emergenza e mitigazione.
L’obbiettivo altrettanto importante è quello di contribuire all’aumento della sicurezza per
i cittadini e quello di ridurre l’impatto sulle attività socio-economico. Tutto questo può
essere raggiunto mediante la promozione e diffusione dei risultati raggiunti nei vari step,
cercare una strategia d’intervento efficace per il futuro, metodologie, coordinamento
delle attività della comunità.
Un altro progetto europeo svolto è quello definito come ARMONIA, il quale è un progetto
volto alla mappatura dei multi-rischi presenti in una zona per una valutazione degli
impatti. Questo studio è stato promosso per valutare la vulnerabilità delle aree popolate
ai disastri naturali e lo scopo è quello di fornire all’Unione Europea delle metodologie in
grado di produrre delle mappature dei rischi per ottimizzare la pianificazione territoriali
nelle aree contraddistinti da probabili disastri naturali. Gli oggetti da raggiungere sono
quelli di integrazione e ottimizzazione delle metodologie per i diversi rischi in aree
soggette ad eventi più disparati, un armonizzazione dei differenti processi di mappatura
per una migliore standardizzazione dei dati, output e terminologie per tutti gli utenti ed
infine la costruzione di uno strumento decisionale da applicare nelle aree propense per la
mitigazione del rischio attraverso una migliore pianificazione del territorio.