4
raggiungimento delle condizioni d'equilibrio, sia in sede istitutiva sia durante il
funzionamento dell’azienda.
1
A tal fine è necessario elaborare un piano economico, relativo ad un esercizio medio
dell’azienda da istituire, e verificare se dal confronto fra i ricavi attesi dalla vendita
dei prodotti e i costi sostenibili per lo svolgimento del processo produttivo emerga un
reddito tale da garantire la sussistenza delle condizioni di minimo d'equilibrio.
2
Intimamente connesso al problema della convenienza economica è quello della
determinazione del fabbisogno finanziario, iniziale e successivo, e del relativo piano
di copertura finanziaria.
Al preventivo economico si ricollegano il piano patrimoniale, che definisce il
fabbisogno finanziario generato dagli investimenti in fattori produttivi a fecondità
semplice e ripetuta, e il piano finanziario, che individua le fonti attraverso le quali
fornire idonea copertura al fabbisogno necessario ad impiantare l’azienda.
L’approccio previsionale seguito nella fase di istituzione dell’azienda, al fine di
ricercare la convenienza economica e la possibilità finanziaria di attuazione della
stessa, si risolve in un processo intellettuale che, più specificamente, prende il nome
di pianificazione.
3
Nell’ambito della pianificazione s'individuano due distinte fasi:
- la fase di ideazione, che riguarda l’individuazione degli obiettivi, il tempo
necessario per raggiungerli, l’esame delle condizioni interne ed esterne all’azienda,
lo studio delle possibili scelte da seguire e la scelta di quella ottimale;
1
PAOLONE G., D’AMICO L., L’economia aziendale nei suoi principi parametrici e modelli
applicativi, Giappichelli, Torino, 2001, pp.59 e ss.
2
AMADUZZI A., l’azienda, nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, UTET, Torino, 1978,
pag. 193 e ss. “L’imprenditore impianta invero l’impresa quando, riesce nei primi tempi a pagare tutti
i fattori produttivi che v'impiega, compresi fra essi l’interesse ordinario sul capitale investito ed il
compenso per la sua attività direttiva, e quando riesce a realizzare, per scarto positivo fra il totale dei
ricavi ed il totale dei costi di esercizio, almeno una minima quantità di reddito (profitto)”.
3
PAOLONE G., D’AMICO L., L’economia aziendale nei suoi principi parametrici e modelli
applicativi, Giappichelli, Torino, 2001, pp.59 e ss . Nelle azienda caratterizzate da un assetto
organizzativo di tipo elementare, la pianificazione si configura come un processo spontaneo, intuitivo,
automatico, inconscio e implicito, che prende forma del pensiero del soggetto aziendale, che ne tiene
conto nel coordinare ed organizzare le risorse e, nel controllarne i risultati; diversamente, nelle
aziende caratterizzate da elevata complessità, il processo di pianificazione è reso esplicito attraverso la
redazione di piani tra loro collegati.
5
- la fase di attuazione, che ha la funzione di trasmettere ai vari livelli della struttura
organizzativa gli obiettivi ed i piani in modo da renderli esecutivi e da correggere, in
sede di controllo, gli eventuali gap tra obiettivi preventivati e i risultati conseguiti.
La lettura geografico-economica dello sviluppo, l’individuazione dei fattori che
hanno prodotto la distribuzione della ricchezza delle imprese nel mondo, ha
utilizzato per lungo tempo modelli di localizzazione di tipo spaziale.
Sia nella spiegazione delle scelte spaziali dell’industria, sia in quella della
distribuzione tra città del settore terziario, per molto tempo ha prevalso la
modellistica che considera l’impresa come un soggetto perfettamente razionale,
operante in un mercato in concorrenza perfetta (salvo tentativi di correzione del tiro
in direzione dell’oligopolio) e assolutamente trasparente (sono note le localizzazioni
dei fattori produttivi, energia, materie e mercato, così come le logiche espansive dei
concorrenti).
In questo spazio semplificato, il problema fondamentale delle imprese si risolveva
(per eliminazione di tutte le altre variabili o per la loro incorporazione nell’unico
vincolo della distanza) nella minimizzazione del costo di trasporto legato
all’approvvigionamento dei fattori produttivi e alla distribuzione del prodotto finito.
Questo approccio spiega soltanto parzialmente la realtà. In primo luogo, perché in
molti casi (tipicamente per esempio nella teoria delle località centrali di Christaller)
4
il fine di questi modelli non è la spiegazione della realtà così com’è, ma piuttosto
l’identificazione di una norma, di una regola cui la realtà dovrebbe corrispondere se
valessero gli assunti (uno per tutti quello della perfetta razionalità dei soggetti)
stabiliti a priori. In altri termini, l’obiettivo non è tanto spiegare come la realtà è ma
piuttosto come dovrebbe essere, se si potessero correggere varie distorsioni, come gli
ambienti non noti ma anzi turbolenti nei quali l’impresa opera, come la varietà di
gusti e poteri d’acquisto dei consumatori che molto poco ha a che fare con la
distanza, e via dicendo.
4
Teoria delle località centrali di Christaller: essa studia come i prodotti e le funzioni di servizio si
articolano sul territorio, dando vita ad una gerarchia urbana. Le ipotesi alla base del modello sono:
superficie isotropia, domanda e popolazione uniformemente distribuite sul territorio, trasporto
possibile in tutte le direzioni allo stesso costo unitario infine, ottimizzazione della funzione dei
fornitori e dei consumatori
6
Accanto a questo “difetto” legato alla peculiare natura della spiegazione deduttiva
per teorie e per modelli, la loro scarsa capacità esplicativa dipende, oggi, dal fatto di
essere in larga misura superati dall’evoluzione della realtà con la quale si
confrontano.
Se le ipotesi di Weber potevano avere un saldo addentellato con il quadro concreto
quando l’industria era in buona parte impegnata in produzioni di base
5
, quando, in
altri termini, la localizzazione del carbone o dei minerali di ferro costituivano
davvero un vincolo, e lo stadio d’evoluzione del sistema dei trasporti non consentiva
di superare il problema della distanza e dei costi ad essa connessi, adesso il quadro è
molto diverso.
L’approccio teorico all’analisi della distribuzione delle attività produttive è
profondamente cambiato, soprattutto perché il sistema produttivo ha preso a
comportarsi in maniera non più riconducibile alla logica semplificatrice dei modelli.
Da un lato per la mutazione profonda nella composizione settoriale della produzione;
dall’altro per la progressiva riduzione del vincolo esercitato dalla distanza grazie agli
straordinari progressi nei trasporti e nelle comunicazioni.
La produzione industriale dei paesi industrializzati non è più quella della metà
dell’Ottocento, né quella dell’immediato dopoguerra.
Il bisogno dei materiali di base, così come la diffusione di beni di consumo di massa,
fenomeni tipici in certi periodi storici, ha lasciato il posto a prodotti
tecnologicamente complessi, spostando la produzione dei paesi sviluppati dal
manufatto concreto all’innovazione di prodotto e di processo legata a quello stesso
manufatto, rendendo l’industria sempre più un fatto immateriale e portando al
decentramento della manifattura anche a distanze elevate.
La tecnologia regola ormai da tempo il modo di produrre e lo sviluppo della
tecnologia porta con sé l’avanzata del settore terziario che, prima negli Stati Uniti, e
qualche tempo dopo in tutti i paesi industrializzati, è divenuto la principale fonte
d’occupazione e ricchezza.
Il ruolo assunto dal terziario come principale settore occupazionale nei paesi
sviluppati, nella transizione dell’economia industriale all’economia post-industriale,
5
Si fanno correttamente rientrare in questa categoria la metallurgia e la chimica di prima lavorazione
in quanto producono principalmente input per le altre industrie.
7
dipende in larga misura dall’eccezionale espansione dei servizi alle imprese, quelli
che consentono di produrre innovazione nei prodotti e nei processi;
E’ l’industria stessa che dà avvio al processo di terziarizzazione, espandendo al suo
interno una serie di funzioni di sostegno alla produzione concreta, che diventeranno
via via più importanti fino ad essere oggi uno dei settori trainanti della produzione
secondaria e terziaria.
Lo sviluppo del terziario segue l’accendersi della competizione basata su tecnologia,
innovazione e sulla ricerca da parte della grande industria capitalistica sorta nel 1900
di forme organizzative più varie e flessibili.
L'estrema dispersione della produzione in una complessa rete organizzativa e
spaziale dell’impresa, ed il fatto che dalla metà degli anni ’80 lo spazio operativo
dell’economia diventa globale, porta lo sviluppo non solo del terziario ma anche del
quaternario, di quel comparto che riunisce tutte le funzioni d’orientamento,
direzione, controllo nei campi dell’economia, della finanza, della cultura, della
ricerca, dell’informazione che segue il processo di globalizzazione.
Questo processo ha significato un’evoluzione eccezionale nel modello organizzativo
dell’industria, una trasformazione della configurazione interna che l’ha portata a
diventare, da impresa monolitica e monoprodotto tipica della rivoluzione industriale,
un’organizzazione flessibile, sminuzzata in funzioni e parti ciascuna con propri
obiettivi e fattori localizzativi.
La forma organizzativa più avanzata si definisce come impresa rete, organizzata sul
piano internazionale in una fitta rete d'alleanze e accordi inter-aziendali.
Cosa a che fare questa tipologia di organizzazione con i fattori di localizzazione
tradizionalmente considerati nei modelli spaziali da Weber in avanti?
Evidentemente pochissimo, visto che ormai ogni più piccola unità funzionale
dell’impresa ha un proprio ambito localizzativo da ricomporre all’interno di quella
vasta organizzazione che è divenuta la grande impresa.
A questa serie di modificazioni organizzative e localizzative dell’impresa
corrisponde un progressivo mutamento nei paradigmi interpretativi messi a punto
dall’economia e dalla geografia.
8
In una prima fase, si tende, infatti, ad interpretare le scelte localizzative dell’impresa
come una proiezione spaziale del modello organizzativo interno, da cui nascono le
ben note ipotesi della Divisione Internazionale del Lavoro.
Eppure la realtà sembra smentire anche questo tipo di semplificazioni, chiamando
direttamente in causa il territorio come uno dei fattori che regolano le scelte
strategiche dell’impresa e dunque il suo comportamento spaziale.
In un secondo momento mi sono soffermato sull’industria conserviera italiana, sulla
sua storia che, seppur non nascendo ha un primo sviluppo prevalentemente in
Campania. Sulla mancanza della materia prima (pomodoro fresco), analizzando le
cause della mancata delocalizzazione degli impianti in altre regioni italiane dove è
stata dirottata la produzione agricola del pomodoro fresco.
Inoltre ho approfondito il fenomeno della diversificazione della produzione agricola
nel territorio campano dove, appunto prima veniva in prevalenza coltivato il
pomodoro fresco destinato all’industria conserviera e, dove oggi è presente un’
attività florovivaistica eccellente sia per qualità che per quantità di fiori prodotti.
Tutto ciò ha creato, nuovi sbocchi occupazionali sia in Campania che in Puglia
infatti:
- in Campania le aziende d'autotrasporto hanno inevitabilmente aumentato i loro
fatturati, prima il trasporto del prodotto fresco avveniva dal luogo di produzione alla
fabbrica (molte volte si trattava di pochi chilometri), oggi, il trasporto avviene dal
luogo di produzione che per l’80% è localizzato in Puglia;
- in Puglia è aumentata l’occupazione in agricoltura, in quanto quello che era prima
prodotto in Campania, ora di conseguenza è prodotto in tale Regione.
9
1.1. Le chiavi di lettura
L’obiettivo di questo studio è analizzare l’evoluzione dei principi e dei fattori di
localizzazione dell’impresa, a partire dalla base conoscitiva fornita dai modelli
spaziali per il secondario e terziario.
Dando per acquisita la logica ed il significato di questi modelli, s'intende allora
procedere ad una ricostruzione della logica localizzativa d’impresa, seguendone le
trasformazioni nel tempo, fino ad ipotizzare il quadro dei fattori di localizzazione ai
giorni nostri.
In questo percorso, sarà d’aiuto l’utilizzo di una duplice griglia di lettura:
- quella fornita dalla suddivisione teorica dello sviluppo delle economie capitalistiche
in periodi storici caratterizzati da diverse forme di produzione, tipologie d’impresa e
tipi di tecnologia;
- quella fornita dallo schema riassuntivo dei fattori di localizzazione dell’impresa,
utile a valutarne la diversa portata nei vari periodi storico-economici.
Via via che si osserveranno i diversi cicli economici che hanno interessato lo
sviluppo dei paesi occidentali, si noterà come questi siano stati caratterizzati da
diversi principi organizzativi interni all’impresa, modi di produzione, tecnologie
disponibili, gradi di interazione dell’impresa con il suo ambiente.
Questa trasformazione, come si vedrà, corrisponde in parte ad un diverso
comportamento dell’impresa sul piano concreto, in parte all'accresciuta capacità
interpretativa delle discipline che tradizionalmente studiano il fenomeno, via via che
queste recepiscono gli stimoli e gli interrogativi posti dalla realtà.
In particolare, sul piano concettuale e, avendo come riferimento sia i modelli spaziali
sia la periodizzazione dello sviluppo, si tratterà di inserire progressivamente alcune
variabili del tutto nuove nel problema localizzativo:
- dapprima s'introdurrà il problema dell’organizzazione interna all’impresa, dalla
quale dipendono ampiamente i suoi comportamenti spaziali;
- poi sarà considerato l’ambiente, quindi si vedrà come da mero spazio di proiezione
dei comportamenti dell’impresa, l’ambiente diventi un fattore attivo col quale gli
operatori economici impareranno ad interagire in modo continuo;
10
- si osserverà allora il passaggio concettuale, in economia e in geografia, dall’idea di
spazio come fattore passivo ad un'ipotesi di ambiente e territorio attivi nel
comportamento dell’impresa;
- infine, sarà approfondito il processo di produzione dell’innovazione che, da
processo lineare considerato esterno all’impresa, diventerà uno dei fattori competitivi
più importanti e, dunque, uno degli elementi in grado di influenzare le scelte
dell’impresa sul piano territoriale.
11
1.2. I cicli economici
La suddivisione dello sviluppo delle economie avanzate in onde o cicli lunghi circa
50- 55 anni viene dapprima da Kondratieff nel 1925, e dopo, negli anni ‘30 da
Schumpeter che riconosce, in queste diverse fasi, dei cicli di innovazione. Ne
discende una scomposizione del percorso dello sviluppo capitalistico in fasi storiche
caratterizzate da una tecnologia dominante, uno specifico modo di produzione, alcuni
processi territoriali particolari.
Questa suddivisione, spesso criticata perché presuppone una linearità del processo di
sviluppo, ha una sua validità ai fini della semplificazione e comprensione
dell’evoluzione delle economie di mercato, della trasformazione dell’impresa e della
sua geografia.
Lo schema proposto prevede quattro cicli principali, in corrispondenza
dell’affermazione di una tecnologia dominante
6
(fig..1).
Il primo periodo investe la Gran Bretagna, va dalla seconda metà del Settecento alla
prima dell’Ottocento (1770-1825), e ruota intorno alla messa a punto della macchina
a vapore per la produzione d'energia e la sua applicazione al telaio nell’industria
tessile; e sulla metallurgia basata sull’estrazione del carbone.
La seconda ondata caratterizza la seconda metà dell’Ottocento (1825-1880) e si basa
sull’applicazione del vapore nel sistema dei trasporti; in questa fase, l’industria
inglese si rafforza, la produzione comincia a diffondersi e gli scambi ad
intensificarsi.
La terza ondata (1880-1930) segna sostanzialmente la diffusione dell’elettricità (ma
anche del telefono, di nuovi processi chimici basati sul petrolio, del motore a
scoppio) dando il via allo sviluppo dell’industria chimica e automobilistica, cui si
aggiunge il successivo sviluppo della rete dei trasporti.
La quarta ondata (1930-1980) afferma definitivamente la dominazione degli Stati
Uniti, con il trionfo della produzione di massa e l’avvio della multinazionalizzazione.
Inizia l’epoca del pieno utilizzo del petrolio, della chimica e dei nuovi materiali
sintetici, dello sviluppo di settori ad alta tecnologia come l’elettronica, la televisione,
l’industria aerospaziale, tutte innovazioni che danno una spinta poderosa alla
6
CONTI S., Geografia Economica, Torino, Utet, 1996.
12
multinazionalizzazione dell’industria e portano alla definitiva affermazione del
potere egemonico degli Stati Uniti già avviato nella terza fase.
Il modello prevede anche una quinta fase, una sorta di previsione di quello che
sarebbe dovuto succedere di lì a molti anni, nell’epoca della microelettronica e delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
13
1.3. La classificazione dei fattori di localizzazione
Un quadro riassuntivo dei fattori di localizzazione è utile ad identificare l’insieme
degli elementi che possono condizionare la scelta spaziale dell’impresa, e serve per
osservarne l’evoluzione via via che procedono le ondate di Kondratieff.
È bene dire subito che i fattori localizzativi sono più numerosi rispetto a quelli trattati
di solito nei modelli.
Nella logica weberiana si tiene conto in primo luogo, dei fattori tecnici esterni
all’impresa, cioè la disposizione nello spazio dei materiali (materie prime ed
energia), della forza lavoro, del mercato di sbocco dei prodotti e la ricerca di un
punto di localizzazione che consenta di minimizzare il costo del trasporto totale.
In realtà, come si vede nella classificazione proposta da Toschi
7
(fig.2) gli elementi
in grado di condizionare la scelta ubicativi dell’impresa, sono piuttosto numerosi.
7
TOSCHI U., Geografia Economica, Torino, Utet, 1967, pag. 269.
15
1.4 I cicli economici di Kondratieff
Un ciclo economico, in base agli studi di Kondratieff effettuati negli anni venti, i
cicli economici si ripeterebbero a intervalli compresi tra i 50 e 55 anni, essi,
riguardano: i prezzi, i tassi d’interesse ed altre variabili.
La formalizzazione di un modello dettagliato è dovuta proprio al professor Nickolai
Kondratieff, economista russo spedito da Stalin a “terminare” i suoi studi in un
Gulag, dove morì nel 1938, che come suggerisce il nome, era un economista russo, il
quale riteneva che l’iterazione tra fenomeni correnti generasse un pattern ripetitivo su
un periodo di tempo lungo. Per aver contraddetto le tesi marxiste
riguardo all’ estinzione dei sistemi capitalisti, il governo sovietico lo spedì in Siberia,
dove morì ad un’età di 46 anni. Egli integrava un’analisi economica
e politica all’interno di un contesto storico fatto di guerre, scoperte importanti e
cambiamenti nell’opinione pubblica, giungendo al risultato che in un’economia
capitalistica si sarebbero susseguiti dei trend, ognuno della durata approssimativa di
55 anni.
I suoi studi furono tradotti all’inizio degli anni ’30, e si scoprì che Kondratieff aveva
previsto non solo la depressione di quegli anni, ma anche la bolla speculativa che la
aveva preceduta. In seguito cominciarono diversi studi sui cicli economici e
Schumpeter pubblicò il suo lavoro in due tomi. Gli anni che seguirono furono
dominati dalle teorie Keynesiane fino a quando negli anni ’70 una crescita stagnante
accompagnata da inflazione (stagflazione) generata dalle politiche monetarie ricordò
molto gli anni 1912-1921, e questo rese di nuovo attuali le teorie di Kondratieff,
proprio a distanza di 50-60 anni.
Un “ciclo economico” è scomponibile in 4 fasi, cui corrispondono diversi “umori
psicologici” e, quindi comportamenti diversi da parte degli individui.
Tali fasi sono: la crescita, la recessione primaria, il periodo di stabilità e la
depressione secondaria.
Nella prima fase, che richiede in genere circa 25 anni, per completarsi l’inflazione
gioca un ruolo importante, ed accompagna la crescita. Questo è un periodo in cui il
benessere si diffonde, sottoforma ad esempio di risparmio ed accumulo di ricchezza.
Aumenta l’occupazione ed i salari, nuovi prodotti e bisogni sono diffusi, e la
tecnologia viene migliorata. L’aumento della produzione e del volume dei beni