rispetto ai primi. Allora perché giudicare sulla base soltanto della crescita del Pil, o
dell’aumento dei redditi individuali, o dell’industrializzazione, o del progresso
tecnologico, o della modernizzazione della società? Naturalmente si tratta di aspetti
che possono essere importantissimi mezzi per espandere le liberà di cui godono i
membri di una società, ma queste dipendono anche da altri fattori. Amartya Sen è
riconosciuto da molti studiosi come il principale economista che ha favorito il
superamento della visione ristretta del concetto di sviluppo. Secondo Sen, l’obiettivo
principale dell’economia è di natura più ampia, ed è riconducibile al miglioramento
delle condizioni di vita. L’approccio del PIL deve essere superato proprio perché
non cattura il ruolo significativo di altre variabili nel condizionare la qualità della
vita. Il reddito non è, pertanto, una variabile in grado di valutare in maniera
esaustiva il fenomeno dello sviluppo. Una concezione adeguata dello sviluppo deve
andare ben oltre l’accumulazione della ricchezza e la crescita del prodotto nazionale
lordo o di altre variabili legate al reddito; il processo valutativo deve assumere una
prospettiva che superi il concetto di crescita economica, senza tuttavia ignorare
l’importanza di tale aspetto.
Si rende necessaria un’analisi multidimensionale, che combini il risultato di
variabili quantitative e qualitative, quest’ultime generalmente più complesse e di
difficile misurazione.
Sen afferma che lo sviluppo è da legarsi concettualmente non ai mezzi di cui
si dispone, e quindi al denaro in tasca, ma ai mezzi usati per condurre una vita
“degna di essere vissuta”. Questa concezione promuove “la libertà di poter
scegliere” come un importante fattore di sviluppo. Lo sviluppo va inteso come un
processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani, nella sfera
privata, come in quella sociale e politica. Lo sviluppo richiede che siano eliminate le
principali fonti di illibertà: la fame, la miseria, la tirannia, la disattenzione verso i
servizi pubblici fondamentali, la mancanza di assistenza sanitaria e di tutela
ambientale, l’intolleranza, l’autoritarismo di uno stato repressivo.
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La teoria di Sen si fonda sul presupposto che la valutazione dello sviluppo va
affrontata a partire dai funzionamenti (functioning), ossia la capacità di
“funzionamento” dei mezzi di cui le persone dispongono. Con l’espressione
“funzionamenti” Sen intende “stati di essere e di fare dotati di buone ragioni per
essere scelti e tali da qualificare lo star bene”. I funzionamenti cui viene riconosciuto
valore vanno dai più elementari, come l’essere nutrito a sufficienza, essere in buona
salute, sfuggire alla morte prematura, essere felici, a condizioni personali molto
complesse, come l’avere rispetto di sé.
Con l’espressione “capacità” (capabilities) Sen intende, invece, la possibilità
di acquisire funzionamenti di rilievo, ossia la libertà di scegliere fra una serie di vite
possibili: nella misura in cui i funzionamenti costituiscono lo star bene, le capacità
rappresentano la libertà individuale di acquisire lo star bene.
Partendo da questo assunto di base, è necessario dotarsi di un criterio che
consenta di ordinare in maniera univoca le aree di sviluppo sulla base dei
funzionamenti. L’insieme delle opportunità o funzionamenti che una società offre ai
suoi cittadini rappresenta l’interfaccia della nozione di sviluppo. Un Paese è tanto
più sviluppato quanto più è ampia la gamma di opportunità di scelta concesse agli
individui per condurre un’esistenza apprezzabile, ossia quanto più è ampia la
possibilità di “funzionare”.
Il primo capitolo distingue tra le nozioni tradizionali di sviluppo e le
accezioni più evolute, introduce i lineamenti teorici del binomio sviluppo-libertà, e
delinea le basi concettuali del pensiero di Sen che ha scaturito una serie di studi
successivi che rappresentano tentativi di misurazione del nuovo concetto di
sviluppo.
Nel secondo capitolo si affronta l’argomento cruciale della valutazione degli
insiemi di opportunità di scelta, attraverso una breve inquadratura concettuale e
descrizione analitica dei diversi criteri di misurazione e diversi risultati presenti
nella letteratura recente in tema di libertà di scelta. In particolare, si introducono gli
7
assiomi del teorema Pattanaik-Xu (1990), con un’attenta analisi delle critiche
rilevanti cui essi sono sottoposti.
Infine, nel terzo capitolo si descrivono i principali indicatori utilizzati per la
misurazione dello sviluppo. L’analisi parte da un esame dell’utilizzo, ormai diffuso,
del Pil come parametro di riferimento e, in particolare, si riportano i risultati di
un’analisi empirica. Dal commento dei dati tratti da un’autorevole pubblicazione
statistica mondiale, ossia il Factbook 2008 dell’OCSE, emerge in linea generale un
quadro di arretratezza dell’Italia nel confronto con i trenta Paesi industrializzati
dell’Ocse. Inoltre, ci si rende conto che, affidando l’analisi a indici diversi, la
sentenza sulla situazione di disagio o di sviluppo che colpisce ciascun Paese varia
considerevolmente. A questo punto c’è da chiedersi su quale indicatore basare il
giudizio sulla situazione reale di un Paese. Si commentano alcune conseguenze che
possono derivare dall’utilizzo di indicatori che non sono in grado di misurare
l’effettivo grado di sviluppo di un Paese, e in particolare si evidenziano i limiti di
una valutazione ancorata ai valori del Pil, considerato “un mito da sfatare”, alla luce
di quanto affermato da autori come Sen.
Il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite ha assemblato le intuizioni
seniane nell’elaborazione della teoria dello sviluppo umano e tradotto le
considerazioni teoriche in un aggregato numerico, lo Human Development Index
(HDI), che ha permesso di ottenere una classifica mondiale dei Paesi, i cui punteggi
dipendono dalla speranza di vita alla nascita, dal livello di istruzione e dal reddito
pro-capite reale in parità di potere di acquisto (PPA$).
Dopo aver approfondito gli elementi e la metodologia di calcolo del suddetto
indice, l’analisi si sposta su un altro fattore da considerare per ottenere un criterio
più equo ed efficiente per misurare lo sviluppo: la mobilità intergenerazionale. I
risultati di un noto studio (D. Checchi, A. Ichino, A. Rustichini. 1999) sul confronto
tra Paesi in termini di sviluppo, “More equal but less mobile? Education financing
and intergenerational mobility in Italy and USA”, rivelano un’Italia più eguale ma
meno mobile rispetto agli Stati Uniti. La scarsa mobilità intergenerazionale in Italia
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è un importante fattore di non sviluppo, al pari della forte disuguaglianza che
caratterizza la distribuzione dei redditi per gli Stati Uniti.
È evidente, a questo punto, che è diversa e complessa la natura degli
innumerevoli elementi che non possono essere tralasciati nella valutazione del grado
di sviluppo di un Paese nella sua globalità e, talvolta, la difficoltà nella misurazione
e l’eterogeneità dei risultati, deriva proprio dall’impossibilità di quantificare in
maniera univoca e inoppugnabile l’incidenza di ciascuna di queste variabili
complesse.
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I. DIFFERENTI APPROCCI ALLO
SVILUPPO
1. Introduzione
“Lo sviluppo umano è il fine, la crescita economica un mezzo”. Con
l’enunciazione di questo principio si apre il settimo Rapporto dell’U.N.D.P. (United
Nations Development Programme) presentato a Tokyo nel 1996, e si apre una nuova
era in cui gli economisti iniziano a lavorare sulla separazione dei concetti di crescita
e sviluppo, focalizzando in particolare l’attenzione su una connotazione dello
sviluppo come un fenomeno con una dimensione più ampia.
La crescita economica ha sempre svolto il ruolo da protagonista sul
palcoscenico dello sviluppo. Tuttavia, se da un lato si può affermare che laddove c’è
crescita può esserci anche sviluppo, con la stessa semplicità e immediatezza si deve
rifiutare l’idea secondo cui, una crescita economica senza limiti coinciderebbe in
ogni caso con condizioni di sviluppo durevole. Molti studiosi si sono dedicati a
questo problema le cui radici storiche sono piuttosto lontane.
Per crescita economica è da intendersi l’incremento del valore complessivo
dei beni e servizi che vengono prodotti in un Paese in un certo lasso di tempo
4
. Tra
le teorie della crescita che si sono susseguite nel tempo, vi sono significative
differenze, soprattutto per quanto riguarda le ragioni della crescita, i modi per
realizzarla e gli indici per misurarla. D’altra parte, vanno evidenziati due aspetti che,
invece, sono in larga parte comuni a ogni teoria: la crescita è intesa come un fatto
quantitativo, e i suoi benefici consistono in un generale innalzamento delle
4
Solitamente il riferimento temporale è annuale.
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condizioni di vita della popolazione, ossia quelli che possiamo indicare più
correttamente con il termine di sviluppo.
La crescita economica è ciò che permette di rendere sempre più grandi le
dimensioni di quella “torta” che rappresenta la ricchezza di un Paese, e se questa
torta si fa sempre più grande, le persone non potranno che stare meglio. Sulla base di
queste premesse, l’obiettivo prevalente di ogni Paese è allora quello di puntare a un
tasso di crescita del reddito pro-capite quanto più elevato possibile.
In questa prospettiva è facile comprendere perché, a partire dagli anni ‘50,
l’incremento del Pil è diventato il più importante, se non l’unico, punto di
riferimento su cui si è concentrata l’attenzione degli economisti e dei governi. Oggi
ci si rende conto sempre di più che si tratta di un indice in grado di quantificare solo
il benessere materiale di un Paese e, in un’ottica in cui il concetto di sviluppo e
quello di benessere materiale possono non coincidere
5
, si rende necessario andare
alla ricerca di parametri valutativi che tengano conto di altri aspetti, che non si
arrestino all’analisi del profilo quantitativo, per misurare lo star bene di un Paese.
La crescita economica è uno dei concetti fondamentali non solo per
l’economia, quanto per l’intera umanità nel suo complesso, è quindi ovvio che ciò
che con tale espressione si suole indicare sfugga al linguaggio puramente economico
per modificarsi a seconda dei contesti e dei periodi.
Lo scopo della crescita economica dovrebbe essere quello di migliorare la
vita delle persone aumentandone le possibilità di scelta. Il concetto di sviluppo, in
una lettura più moderna, include nel processo di crescita una serie di categorie non
strettamente economiche.
Lungo e articolato è stato il processo evolutivo che ha portato da una visione
come quella degli anni ‘50 di quasi identità tra crescita e sviluppo, a quella dei
giorni nostri di crescita come semplice mezzo da guidare e indirizzare.
5
Al riguardo si rimanda ad un’attenta lettura dell’esempio riportato nel paragrafo 1.3.1 Relazione
contrastante tra Pil e condizioni di vita in diversi Paesi del mondo.
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L’idea di fondo era che i guadagni derivanti dal processo di crescita del Pil
pro-capite e complessivo avrebbero fato ricadere, prima o poi, i loro effetti positivi
sull’intera popolazione sottoforma di nuovi posti di lavoro, maggiori opportunità
economiche, standard di vita più elevati, riduzione della povertà e delle
disuguaglianze. L’evidenza statistica ha dimostrato che non è sempre così: larghe
fasce di popolazione, in molti Paesi, non sono riuscite e non riescono tuttora a
cogliere i frutti della crescita. La povertà persiste e si fa ancora più grave e
drammatica quando il tenore di vita medio si innalza.
Il pakistano Mahbub Ul Haq, ispiratore e ideatore dei Rapporti sullo sviluppo
umano, nel 1971 scriveva:
“Ci avevano insegnato ad occuparci solo del prodotto interno lordo
perché poi questo si sarebbe preso cura della povertà. Ribaltiamo
questa opinione, occupiamoci della povertà perché ciò, a sua volta, si
prederà cura del prodotto interno lordo. In altri termini,
preoccupiamoci del contenuto del prodotto lordo, ancor più del suo
tasso di incremento…”.
2. Il concetto di crescita non coincide con quello di sviluppo
L’evoluzione dell’Economia dello Sviluppo
Pochi concetti economici hanno assunto nel tempo un ventaglio di significati
ampio come quello di sviluppo. H.W.Arndt afferma a proposito:
“Lo sviluppo, nella vasta letteratura esistente sull’argomento,
sembra comprendere tutti gli aspetti della società ottimale, la strada
che ognuno di noi percorre verso la propria utopia”
6
.
L’Economia dello Sviluppo è una disciplina che si distingue come branca autonoma
a partire dagli anni ‘50, quando gli economisti hanno iniziato ad analizzare
specificamente i problemi dei Paesi in via di sviluppo, e da allora è stata coinvolta in
6
Cit. H.W.Arndt “Lo sviluppo economico. Storia di un’idea”( 1990).
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