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l’uomo non fu più costretto ad accontentarsi di ciò che trovava, ma divenne
artefice delle proprie fonti di nutrimento, stravolgendo, così, la relazione con
l’ambiente (AMMERMAN J.A.,1985). L’uomo passò, inconsciamente, da una
accettazione della Natura che offre sostentamento ed è la riserva stessa
della vita, da accettare così com’è, ad una posizione di sfruttamento, per cui
l’ambiente deve essere impiegato al meglio per produrre cibo. Il primo è un
approccio rispettoso della Natura, perché è essa che permette di vivere, il
secondo è un approccio di ribellione , in cui l’uomo capisce che può uscire
dagli schemi dettati dalla Natura.
E’ chiaro che di tutti questi passaggi mentali e comportamentali l’uomo del
Neolitico fu un attore inconsapevole e che tutto ciò avvenne più o meno
involontariamente, ed è altrettanto chiaro che le tecniche, le azioni, le attività
di allora non furono in grado di stravolgere in modo irrecuperabile gli equilibri
naturali.
Le differenti visioni del rapporto dell’uomo con l’ambiente sono ancora oggi
riscontrabili, per quanto possibile, se si confrontano le cosiddette “popolazioni
primitive” tutt’oggi presenti qua e là sulla Terra e “l’uomo moderno”. Le prime
sono caratterizzate, infatti, nella vita quotidiana e negli aspetti religiosi da un
forte legame con la Natura ed i suoi elementi, mentre “l’uomo moderno” tali
legami li ha distrutti e dimenticati.
Oggi l’uomo tecnologico del Duemila, figlio dell’uomo della Rivoluzione
industriale e pronipote di quell’uomo che in Medio Oriente migliaia di anni
orsono uscì dagli schemi fondamentali della Natura, comincia a porsi dei
quesiti che prima non vennero mai presi in considerazione. Prende coscienza
che il nuovo rapporto con la Natura ha dei limiti e molti problemi, ed ai quali
cerca delle soluzioni, prende atto delle proprie colpe e responsabilità. Lo
sviluppo economico pare sia finalizzato a sé stesso, che non tenga conto
della esauribilità delle risorse naturali, e che il progresso coincida con il
consumo di Natura e con l’aumento di beni di consumo (MORONI A. 1981 ).
Tale economia illimitata, propria della società moderna, non è riuscita a
soddisfare bisogni primari in molte parti del mondo. In compenso è riuscita a
creare una domanda di beni superflui in zone economicamente più ricche:
questo ha accentuato e velocizzato la compromissione di molti equilibri
naturali, portando alla estinzione di moltissime specie animali e vegetali,
paradossalmente soprattutto in quelle aree in cui il consumo di risorse è
minore. Questi fatti sottolineano ed amplificano gli errori della economia
basata sul valore di mercato, trascurando il valore intrinseco nell’equilibrio
naturale.
Tutto questo è oggi ancor più intensificato da una visione consumistica del
mondo, per la quale il “consumo” di beni spesso futili è alla base della propria
economia. Moltissime risorse naturali vengono oggi sprecate nella
produzione di beni e servizi “utili ” solo nel mondo consumistico, e che
possono essere utilizzati dalla minor parte della popolazione mondiale.
L’utilità di questi prodotti non è reale, ma viene resa tale in una società in cui
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sono stati persi valori e priorità naturali, ed in cui, spesso, “l’apparire è più
importante che essere”.
Tale situazione critica, cui è stato dato il nome di “crisi ecologica” (WHITE
L. 1967)si può migliorare modificando i modi di vita attuali, intesi come
modelli comportamentali, imposti dal gruppo ai propri componenti in risposta
ai problemi adattativi ad un certo ambiente, in virtù della sopravvivenza di
una certa cultura, ovvero il complesso dei modi di vita di un gruppo, e che è
possibile intendere in relazione all’ambiente.
|Da G. Spinelli in “L’E.A. dalla storia alla strategia-Manuale di E.A.,Veneto
Agricoltura|.
Alla fine del’800, per porre rimedio allo scempio ambientale e culturale che
era già stato perpetuato in nordamerica (vedi la decimazione della
popolazione di bisonti e delle culture indiane ), vennero istituite le prime aree
protette (Yellowstone National Park ), per tutelare ambienti di particolare
pregio ed importanza. Da allora sono passati oltre 100 anni, e nel mondo
sono nate molte altre centinaia di riserve e parchi nazionali, nei quali la
Natura viene protetta, ciascuno con finalità e scopi differenti, e che si sono
evoluti nel tempo, anche per fare fronte ai nuovi bisogni dell’uomo. Così,
ultimamente, ci si chiede sempre più spesso quali siano gli scopi ed i
significati delle aree protette nel nuovo millennio. Facendo un confronto tra le
filosofie nordamericane ed europee, emergono differenze di impostazione
della politica protezionistica, frutto anche della diversità storiche e culturali tra
i due continenti. Secondo Zucconi, negli USA ed in Canada, i parchi nazionali
assumono la funzione di uno “scrigno”, in cui è custodita tutta le grandiosità e
la bellezza degli spazi incontaminati che si estendevano davanti agli occhi dei
primi coloni giunti dall’Europa, e dove è conservato “il respiro d’immensità
dell’America”. I parchi rappresentano, in sostanza, delle aree da contemplare,
in segno di rispetto della storia della natura e della sua conquista da parte
dell’uomo. Per noi europei invece, più umilmente, custodiscono la bellezza e
l’importanza della natura, ma anche una lunga memoria storica dell’uomo. In
Europa racchiudono un complesso mosaico di culture e tradizioni antiche di
centinaia d’anni, che, invece, in America sono andate distrutte (la cultura
indiana sopravvive a stento solo in qualche riserva ). Ed è sulla molteplicità di
tradizioni che le aree europee sembrano puntare, sviluppando e valorizzando
antiche tradizioni ecocompatibili, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Infatti
è proprio dal nostro patrimonio storico che è nato il concetto di
ecosostenibilità, del compromesso tra attività umane ed ambiente naturale.
Ed è proprio in questa direzione che si muovono la moderne tecniche di
educazione ambientale, sensibilizzando il pubblico ad azioni meno incisive
sull’ecosistema.
Come s’è detto, la risoluzione dei problemi ecologici ed ambientali spetta,
sotto molti punti di vista, ai soggetti politici, alle pubbliche amministrazioni, ai
governi nazionali ed internazionali, al mondo economico, se non altro per il
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potere di coordinamento loro affidato dalla società o per la capacità loro
propria di influire sulle scelte e sui comportamenti individuali.
Ma cosa può fare il cittadino comune? E’ veramente alla mercé dei poteri o
può, in qualche modo, contribuire anch’egli alla risoluzione di tali problemi?
Sicuramente la società può e deve cambiare il proprio comportamento,
ancora prima degli amministratori, riscoprendo antichi valori, ed
abbandonando moderni comportamenti legati alla quantità delle cose. Questo
mutamento è possibile con una corretta educazione non solo ambientale, ma
anche sociale, portata al rispetto della nostra diversità, sia essa umana,
animale o vegetale. Rispetto che non deve essere confinato alle aree
protette, ma soprattutto agli ambienti ad esse esterni, perché, purtroppo, la
Natura non conosce i confini posti dall’uomo, ed un bel parco di qualche
ettaro ben poco può se tutt’attorno viene devastato dall’uomo.
SCOPI DELLO STUDIO
Gli scopi della ricerca sono quelli di stabilire, tramite una analisi ed un
confronto dei programmi e delle attività svolte dagli operatori, eventuali
differenze metodologiche, interpretative ed organizzative dell’educazione
ambientale tra due Paesi, Italia e Germania, portatori sicuramente di culture e
rapporti con la natura differenti.
Spesso si sente dire che i Paesi del nord hanno una attenzione ed una
sensibilità ecologica molto più sviluppata della nostra, dei paesi latini.
Perché? Sono frutto forse di una migliore educazione, o derivano da un
diverso rapporto ancestrale con l’ambiente naturale? Si è cercato di capire,
inoltre, quali sono gli enti e le strutture preposte a questo tipo di attività, a
quale tipo di pubblico si rivolgono e con quali strumenti.
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RIASSUNTO
L’educazione ambientale, nata circa 25 anni fa, ha un ruolo sempre più
incisivo nella politica protezionistica e ambientale. Dalle organizzazioni
internazionali – l’ONU e l’UNESCO in prima linea - le sono stati attribuiti
importanti obiettivi, che dovrebbero riuscire a modificare il rapporto dualistico
uomo – natura, agendo sul comportamento individuale e cambiando il
sistema economico e produttivo attuale, mirando ad una situazione più
sostenibile.
Dopo un periodo iniziale di confusione diffusa e di incertezza
metodologica, caratterizzato da diversi modelli di EA, pare che almeno alcuni
suoi aspetti fondamentali, come “il fare” ed il contatto diretto con il territorio,
siano oggi condivisi all’unanimità, sebbene con differenti filosofie
interpretative, non solo tra i due paesi, ma anche tra i singoli operatori.
I soggetti che fanno educazione ambientale rappresentano in tutti e due i
paesi un vero dedalo di esperienze: a facilitarne l’orientamento, esiste in Italia
un Sistema Nazionale per l’Educazione Ambientale che raccoglie esperienze
e mette in comunicazione gli operatori in una sorta di rete comunicativa. Gli
strumenti utilizzati, comunque, risultano essere praticamente sempre gli
stessi: il gioco, l’elaborazione personale, il confronto tra i partecipanti, la
produzione di manufatti, l’approccio all’ambiente naturale con tutti i sensi
percettivi, lo sviluppo di una curiosità in modo autonomo, l’utilizzo di
metodologie che non prevedano forzature nell’apprendimento, rifacendosi
piuttosto alla sensibilizzazione “inconscia”. Le strutture sono i centri di
educazione ambientale, i Laboratori Territoriali, musei e centri visitatori, che
hanno stanno sviluppando un nuovo concetto di visita e che sono attrezzati
per la fruizione da parte di un pubblico privato e di scolaresche.
Tutti gli operatori si propongono alla scuola, individuata come principale
utente: è importante, quindi, che soprattutto nelle classi dei più giovani si
applichi un programma di educazione ambientale continuativo.