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Introduzione.
L'osservazione e lo studio della volta celeste sono pratiche antiche quanto
la storia dell'umanità. Tuttavia, solo nell'ultimo secolo l'uomo è riuscito in
quel salto tecnologico che ci ha permesso di "mettere il naso fuori dal
nostro effimero pianeta" e di avventurarci verso l'immensità del cosmo.
Questa lenta evoluzione in ambito spaziale continua tutt'ora, con la
progettazione di missioni esplorative che pian piano assumono i connotati
del fantascientifico.
Tra queste si inserisce a pieno titolo la missione Marco Polo, sviluppata da
un team di ricercatori dell'ESA e della Japanese Aaerospace Exploration
Agency e proposta nell'ambito del programma Cosmic Vision.
Il progetto Marco Polo fa riferimento a quella tipologia di programmi cui
appartiene Stardust, missione condotta tra il 1999 ed il 2006 dalla NASA, il
cui scopo primario è stato quello di effettuare un incontro ravvicinato con
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la cometa Wild-2 per poi prelevarne un campione dei gas e delle polveri
dalla coda e portarlo integro sulla Terra per delle analisi di laboratorio. Il
successo di questa missione ha quindi spinto i ricercatori a porsi obiettivi
sempre più ambiziosi e tra questi spicca quello di Marco Polo: raccogliere e
poi trasportare sul nostro pianeta campioni inalterati da un Near-Earth
Asteroid, ovvero un asteroide primitivo molto prossimo alla Terra. In tal
modo, si vuole contribuire a comprendere l'origine e l'evoluzione del
sistema solare, la sintesi degli elementi, l'origine della vita e anche a
fornire importanti informazioni sugli asteroidi di classe primitiva.
Il segmento spaziale del profilo di missione comporta trasferimenti
interplanetari di andata e ritorno; un'orbita intorno all'asteroide; la
discesa, il campionamento, e la ri-salita dalla superficie dell'asteroide; il
rientro sulla Terra.
Al fine di valutare la fattibilità della missione e per avere design
preliminari per il veicolo spaziale e per la capsula di rientro (nota anche
come Earth Re-entry Capsule), l'ESA ha finanziato tre progetti differenti
ad altrettanti consorzi europei: Astrium Ltd, OHB System e Thales Alenia
Space.
Le sfide principali di questo genere di missioni sono l'ingresso planetario
di veicoli dotati di grandi dimensioni, l'elevatissima velocità di rientro che
caratterizza i moduli ERC e la stabilità dinamica di corpi affusolati
durante l'entrata nell'atmosfera e durante la fase di discesa.
Sfortunatamente, sebbene diversi studi hanno certificano l'accuratezza e
l'adeguatezza delle strutture che compiono test sulla Terra e delle
strumentazioni per le simulazioni di ingresso orbitale, ancora non esistono
altri in grado di dare informazioni più dettagliate e più approfondite
riguardo questi argomenti.
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Il presente lavoro di tesi è volto, quindi, alla realizzazione di un'accurata
analisi aerotermodinamica di un'eventuale capsula della missione Marco
Polo, durante la fase di rientro ad alta quota. Più specificamente lo studio
sarà focalizzato sulla valutazione della stabilità longitudinale della capsula
e sulla stima dei valori del flusso di calore e del carico termico al punto di
ristagno, che rappresentano delle quantità fondamentali per il
dimensionamento del rivestimento termico e per la salvaguardia quindi
dei campioni. I veicoli in rientro da missioni orbitali e interplanetarie sono
caratterizzati, infatti, da velocità di circa 7 8 Km/s e 11 Km/s
rispettivamente, e, per effettuare l’atterraggio in condizioni di sicurezza è
necessario rallentare il veicolo, ovvero trasformare l’energia cinetica da
esso posseduta in altre forme che non danneggino la capsula ed il suo
contenuto.
Lo studio ha permesso, pertanto, la valutazione delle grandezze
aerotermodinamiche che caratterizzano il campo di moto durante un
tipico rientro atmosferico nell'intervallo di quote 70 ÷ 120 Km.
In questa trattazione verranno illustrate, pertanto, le problematiche legate
al rientro atmosferico ed i vari regimi di moto cui è soggetta la capsula
durante il rientro. In particolare, verrà descritto il regime di moto che
caratterizza le alte quote, ovvero il regime di transizione e la sua
complessa fenomenologia, che rende pressoché impossibile trovare una
soluzione esatta al campo di moto.
Introdurremo, quindi, il metodo con cui abbiamo scelto di operare, il
Direct Simulation Monte Carlo (DSMC), il cui pregio fondamentale è quello
di fornire una valida alternativa per la risoluzione di quei campi di moto
caratterizzati dal regime rarefatto. Nel presente lavoro, in particolare, sono
stati utilizzati due codici che si basano sulla teoria del DSMC: il DS2V per
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calcolare le quantità locali ed il DS3V per calcolare i coefficienti
aerodinamici globali in funzione del l'angolo di attacco.
Si discuterà quindi dei risultati ottenuti, sia in relazione a quelli ottenuti
con il codice DS2V, sia in relazione alle simulazioni effettuate in DS3V.
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1. Le missioni spaziali e Marco Polo
Il desiderio di conoscenza dell'universo trova le sue origini in epoche
antiche quanto la nascita dell'uomo.
I primi astronomi si occuparono dell'osservazione e della previsione dei
movimenti degli oggetti celesti servendosi unicamente della propria vista
o di qualche attrezzo rudimentale. Con il passare dei secoli, il
perfezionamento di strumenti sempre più innovativi e specializzati ha
favorito una continua evoluzione delle tecniche di studio: con l'invenzione
del telescopio, per esempio, l'uomo è riuscito ad indagare più a fondo
sulle dinamiche celesti, aprendo una finestra sull'universo e le sue regole.
Tuttavia, a partire dal XX secolo, l'avvento delle missioni spaziali ha
permesso all'umanità di avventurarsi verso il buio vuoto dello spazio,
cambiando per sempre il punto di vista sul nostro pianeta e sulla relazione
che ci lega all'Universo in cui risiediamo. L'esplorazione del cosmo, nostra
frontiera al di là del sistema solare, avvenuta prima con satelliti, poi con
sonde robotiche ed infine con l'uomo, ha dato vita ad un'ampia industria
spaziale che influenza le nostre economie e le nostre vite.
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Le basi del volo spaziale e dell'esplorazione moderna furono poste dal
matematico russo Konstantin Tsiolkovsky (1857-1935) che nei suoi lavori
descrisse esempi di razzi multi-stadio e di navicelle alate. Tali "prototipi"
avrebbero poi ispirato la realizzazione dello Space Shuttle, sviluppato nel
1970, della stazione MIR e dell' International Space Station. Quando poi,
nell'Ottobre del 1942, il razzo V-2, ideato da Wernher von Braun e dal suo
team di ricercatori a Peenemünde in Germania, compì per la prima volta
una traiettoria di volo balistica e quindi sub-orbitale, l' "era spaziale" poté
considerarsi cominciata. L'Unione Sovietica, infatti, dopo la Seconda
Guerra Mondiale, approfittò della possibilità di modificare i razzi militari
recuperati, come i V-2, in vettori per il lancio di satelliti e nel 1948 avviò il
programma Sputnik, il cui primo obiettivo venne raggiunto il 4 Ottobre
1957, giorno in cui fu lanciato nello spazio lo Sputnik 1 (Fig.1.1) che
divenne il primo satellite artificiale in orbita della storia.
Fig. 1.1 - Il satellite artificiale Sputnik 1.
Dopo circa un mese, il 3 Novembre 1957, venne lanciato anche lo Sputnik
2, con a bordo il cane Laika, che divenne il primo essere vivente ad aver
orbitato intorno alla Terra. Quest'ultima missione non prevedeva il
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recupero della capsula ospitante la cagnetta, cosa che era ovviamente
richiesta per un'ipotetica missione con equipaggio umano. Il 12 Aprile
1961 i sovietici riuscirono così nell'impresa di lanciare il Vostok-1 con un
essere umano a bordo: si trattava di Jurij Gagarin, il primo uomo nello
spazio. La Vostok-1 fu anche la prima missione a prevedere un rientro, e
necessitò quindi di un mezzo, la capsula di rientro appunto, in grado di
riportare sulla Terra il passeggero integro. Nella capsula era presente un
unico abitacolo e lo spazio era appena sufficiente a contenere una sola
persona.
I successi delle missioni Sputnik e Vostok furono per l' Unione Sovietica,
oltre che motivo di vanto, un segno della loro superiorità nei confronti dei
rivali nella "corsa allo spazio", gli Stati Uniti, che però di lì a poco
avrebbero lanciato Alan B. Shepard a bordo della Mercury per un volo sub-
orbitale e successivamente John H. Glenn, che divenne il primo uomo a
completare tre orbite intorno alla Terra. Nello stesso anno, inoltre, gli
statunitensi inviarono la prima sonda in viaggio interplanetario verso
Venere, la Mariner II, mentre, nel 1964 Mariner IV fu inviata verso Marte.
Il 1964 è anche l'anno del Gemini, programma di sperimentazione di
capsule orbitali con due astronauti a bordo, e del Ranger 7 che riuscì ad
impattare il suolo lunare, ponendo difatti le basi per un possibile
allunaggio. La missione Ranger era inserita nell'ambito del programma
Apollo, il cui obiettivo era quello di far arrivare l'uomo sulla Luna entro il
1970, obiettivo che venne raggiunto il 21 Luglio del 1969, giorno in cui un
essere umano, Neil Armstrong, pose per la prima volta piede sul nostro
satellite.
A seguito degli enormi passi avanti fatti in ambito tecnologico dagli Stati
Uniti e dall'U.R.S.S., che nel 1971 lanciò la prima stazione orbitante Saljut
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1, in Europa prese sempre più corpo l'idea della creazione di un potere
indipendente nel campo spaziale, ed il 30 Maggio 1975, con la fusione dell'
European Launcher Development Organisation e dell'European Space Research
Organisation, fu fondata l' European Space Agency.
Approfittando della notevole contrazione che aveva subito la corsa allo
spazio delle due superpotenze verso la fine degli anni '70, l'ESA si affermò
come precursore nell'esplorazione spaziale, riunendo la NASA e il Regno
Unito sotto il progetto dell'International Ultraviolet Explorer, il primo
telescopio orbitale, che venne lanciato nel 1978 e che operò correttamente
per 18 anni. Dopo i numerosi successi nell'orbita terrestre, nel 1986 l'ESA
lanciò la missione Giotto, la prima missione nello spazio profondo per
studiare la cometa di Halley e la Grigg-Skejllerup.
L'incremento del numero di missioni, della loro complessità e quindi delle
relative spese, rese necessaria la realizzazione di una navicella che sarebbe
stata completamente riutilizzabile e che avrebbe abbattuto gli ingenti costi
di produzione e di gestione. L'idea di progettare una navetta del genere fu
già sviluppata negli Stati Uniti ad inizio anni '70 nell'euforia dei successi
delle missioni Apollo, tuttavia la Guerra Fredda e la Guerra nel Vietnam
frenarono il progetto che poté essere inaugurato solo più tardi con il nome
di Space Transportation System, più noto come Space Shuttle. Il primo volo
spaziale di uno Space Shuttle, il Columbia, avvenne il 12 Aprile 1981 con la
missione STS-1: la navetta, con al comando l'esperto astronauta John W.
Young e con Robert Crippen come pilota, realizzò diciassette orbite in
poco più di due giorni, rientrando in sicurezza presso la Edwards Air Force
Base.
Il progresso nell'esplorazione spaziale avuto negli ultimi 50 anni e le
continue scoperte hanno indotto l'uomo ad indagare più a fondo sulla
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natura del nostro universo e la realizzazione dell'International Space Station,
una stazione spaziale orbitale permanente, ed il successo di missioni come
la Mars Pathfinder, durante la quale il rover Sojouner per la prima volta
toccò il suolo marziano, rappresentano solo i primi passi. Il futuro della
ricerca spaziale sarà segnato da programmi sempre più ambiziosi e da
missioni che fino a qualche tempo fa sarebbero sembrate pura
fantascienza. Un esempio è la sonda Stardust, lanciata dalla NASA il 7
febbraio 1999: durante la missione la sonda ha raccolto dallo spazio alcune
molecole e frammenti provenienti dalla cometa Wild-2, grazie ad uno
speciale materiale a bassissima densità chiamato aerogel, e ha anche
incontrato la cometa Tempel-1 il 14 febbraio 2011. La missione è terminata
il 24 marzo 2011, quando la sonda ha esaurito tutto il combustibile.
Durante il rientro, la capsula ha mostrato, in fase di decelerazione da
Mach 10 a Mach 7, una riduzione della stabilità statica longitudinale di un
fattore pari a 2.5. I forti venti, inoltre, l'hanno fatta deviare di qualche
miglio dalla traiettoria prevista, atterrando nel deserto dello Utah il 15
gennaio 2006 (Fig.1.2). In seguito, il container è stato portato nel Johnson
Space Center dove sono stati prelevati i campioni successivamente inviati ai
laboratori di tutto il mondo (per l'Italia se ne occupa l'Istituto Nazionale di
Astrofisica).
Fig.1.2 – Capsula di rientro della missione Stardust poco dopo il suo atterraggio