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fino ad oggi ottenute sui meccanismi che sottostanno questo fenomeno, la medicina deve
ancora acquisire nuove conoscenze per la totale comprensione delle basi neurobiologiche
del dolore affinché nel futuro sia possibile una migliore gestione clinica dei pazienti e sia
possibile una terapia farmacologica mirata, capace di intervenire sui processi associati
alle diverse sindromi algiche.
Sono vari i trattamenti farmacologici che consentono di alleviare, se non in alcuni casi
abolire, la sensazione dolorosa: in modo particolare l’uso di farmaci analgesici quali i
FANS e gli Oppiacei. Mentre i FANS vengono tranquillamente prescritti per la
moderazione del dolore, sugli Oppiacei rimane ancora qualche incertezza da parte sia del
medico, per quanto riguarda la prescrizione, sia del paziente e dei familiari, per la
somministrazione; d’altro canto sono numerosi gli studi che dimostrano l’efficacia degli
Oppiacei nella cura del dolore, laddove farmaci più maneggevoli come i FANS
rimangono in realtà inefficaci. L’efficacia analgesica dei Narcotici non ha però impedito
di adottare una severa Legislazione riguardante la prescrizione e la vendita di tali
farmaci, in particolar modo nel nostro Paese.
Per l’importanza posseduta da tale classe di farmaci, la seguente trattazione ha lo scopo
di prendere in esame gli analgesici Oppiacei, analizzando in un primo momento il
meccanismo d’azione, l’efficacia analgesica, gli effetti collaterali, le vie di
somministrazione e successivamente il loro utilizzo nel tentativo di sedare diversi tipi di
dolore.
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“Tutti dobbiamo morire. Ma che io possa
preservarlo dai giorni della tortura: ecco ciò
che sento come mio grande privilegio.
Il dolore domina l’umanità più della morte”.
Albert Schweitzer
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CAPITOLO I
1. IL DOLORE
Da sempre il dolore è stato oggetto d’interesse per il genere umano, suscitando timore e
superstizione nell’antichità, studio e analisi in tempi successivi. Ricerche accurate
effettuate nei secoli sull’argomento hanno consentito solo oggi di poterlo comprendere e
controllare nel migliore dei modi.
L’International Association for the Study of Pain ha definito il dolore “un’esperienza
sensoriale ed emotiva spiacevole associata ad un danno tessutale, in atto o potenziale, o
descritto in termini di tale danno” (IASP, 1979). Prima di adottare tale definizione, molti
ricercatori e clinici di chiara fama affermarono che il dolore non fosse definibile tant’é
che uno dei fondatori della moderna algologia, scrisse: "Sono così lontano dall’aver
trovato una soddisfacente definizione di dolore che ogni tentativo mi sembra inutile”
(Lewis, 1942). Per anni la difficoltà è stata quella di voler descrivere in poche parole una
condizione che aveva risvolti psicologici, fisiopatologici, emotivi ed affettivi.
Etimologicamente la parola inglese “pain” (dolore) deriva dal latino “poena” e dal greco
“poine”, termini che sottintendono una punizione e la sofferenza che ne consegue: difatti
per dolore s’intende una sensazione spiacevole e violenta, che provoca una repentina
alterazione emotiva del soggetto (disagio e sofferenza). Tale sensazione, se persiste,
produce squilibrio fisico e psichico rendendo il soggetto dolorante inabile sia
fisicamente sia emotivamente, tanto da sovvertire il suo comportamento abituale ed
impedire lo svolgersi delle normali attività quotidiane. Se da un lato la percezione del
dolore risulta sgradevole, dall’altro diviene necessaria per la sopravvivenza in quanto
segnala la presenza di un pericolo diretto contro l’integrità dell’organismo e genera nel
soggetto una coerente risposta comportamentale di difesa.
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1.1 Positività del dolore
La comparsa di una sintomatologia dolorosa ha funzione protettiva nei confronti
dell'organismo: difatti permette non solo di percepire la lesione in atto ma anche di
adottare eventuali provvedimenti difensivi finalizzati al ripristino dell'integrità
anatomico-funzionale, onde evitare danni maggiori. Ne è un semplice esempio il dolore
avvertito quando si tocca con la mano un oggetto molto caldo: questa sensazione
dolorosa determina l'immediato allontanamento della mano prevenendo un' eventuale
ustione e certamente ulteriore danno. Pertanto il dolore deve essere considerato un
"fattore positivo" perché consente all'organismo di sottrarsi al danno che lo ha generato
e, ponendo un limite alle attività, previene l’estendersi o l’aggravarsi del danno; inoltre
la sua positività è evidente se si pensa che il dolore rappresenta il motivo principale
che induce il paziente a consultare uno specialista col fine di trovare un trattamento
terapeutico adeguato, radicale o di sollievo, in modo da allontanare lo stimolo doloroso
(Veronesi et al., 2005). In seguito diventa un importante elemento per la formulazione
della diagnosi da parte del medico. Se ne deduce che la sensibilità al dolore è volta a
garantire l'integrità e la protezione dell'organismo ed una sua mancanza (osservata
nell'Uomo in rarissime patologie genetiche) espone il soggetto ad agenti lesivi rendendo
difficile la sopravvivenza.
1.2 Soggettività del dolore
Una delle difficoltà più grandi riscontrabili nell’analisi del dolore è ritenerlo
un’esperienza oggettiva, simile in particolar modo per quei pazienti affetti dalla
medesima patologia: è vero che la via di trasmissione dolorifica è alla base di ogni tipo
di dolore, anche se differente, ma è altrettanto vero che la percezione dolorosa (cioè la
modalità con cui il dolore si manifesta tipo intensità del dolore, durata ecc.) differisce da
soggetto a soggetto poiché viene modulata da fattori fisici e psichici.
Difatti intensità e durata della percezione dolorosa non dipendono soltanto dall’entità
dello stimolo nocivo, dalla sede dolorante e dalla condizione fisica generale (fattori
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fisici) ma anche dallo stato emotivo e psichico del soggetto, dalle condizioni culturali e
ambientali e dall’esperienza individuale (fattori psichici ).
Lo stato emotivo del soggetto riveste il ruolo più importante nella percezione del dolore:
ansia, paure ed esperienze dolorose precedenti possono aumentare la sensazione
dolorosa più di quanto lo sia realmente; ciò risulta evidente analizzando i termini
lessicali usati dal paziente stesso per descrivere il dolore, quali ad esempio ostinato,
atroce o insopportabile. Anche le condizioni culturali incidono sulla percezione
dolorifica: si riportano casi di popolazioni che, senza l’ausilio d’anestetici, praticano
piccoli interventi chirurgici.
Pertanto un approccio corretto all’analisi del dolore (eseguita dal medico o dal paziente
stesso) deve tener conto che la sofferenza con cui il dolore si manifesta non è sempre
proporzionale alla gravità della malattia.
1.3 Stimoli algogeni
Vista la notevole varietà di situazioni che possono provocare dolore, è opportuno
suddividere gli stimoli algogeni (o dolorifici) in due classi principali: stimoli esterni e
stimoli interni.
Per stimolo esterno s’intende un’azione lesiva estranea all’organismo e di natura
chimica, termica, elettrica o meccanica; tale stimolo genera una lesione diretta del
tessuto colpito.
Al contrario, per stimolo interno s’intende un’azione lesiva propria dell’organismo e
causata da un’alterazione metabolica; tale stimolo genera l’insorgere di una patologia.
E’ bene specificare che uno stimolo, di qualunque natura esso sia, causa dolore solo nel
caso in cui raggiunga una certa intensità (valore soglia): tale intensità è in grado di
attivare i recettori del dolore, detti anche nocicettori.
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2. I NOCICETTORI
I nocicettori (termine ottenuto dalla fusione delle parole “noxa” e “recettore”) sono
recettori sensoriali periferici coinvolti nella percezione dolorosa, specializzati nel
segnalare stimoli potenzialmente nocivi e nel difendere l’integrità dell’organismo
(Sherrington, 1906). Gli stimoli algogeni capaci di attivare i nocicettori sono differenti
(ad esempio stimoli di natura meccanica, termica, elettrica, chimica) purché tutti
raggiungano una certa intensità: l’elevato livello di soglia dei nocicettori appare logico
da un punto di vista finalistico in quanto devono segnalare solo stimoli di potenza
sufficiente a nuocere. Tali recettori sono presenti in quasi tutti i tessuti del nostro corpo
(nella cute, nelle guaine e nei visceri) e agiscono attraverso la liberazione, nel tessuto
danneggiato, di sostanze chimiche aventi la funzione di attivare le terminazioni nervose
dolorifiche; le sostanze chimiche più note come algo-mediatori sono: lo ione K+,
l’acetilcolina, l’istamina, la serotonina, le chinine e le prostaglandine.
Istologicamente il nocicettore costituisce la terminazione periferica (o distale) nervosa
della fibra sensitiva primaria C o Aδ: se ne deduce che i nocicettori, in base alla fibra cui
sono legati, possono essere classificati in due grandi classi, Aδ e C.
2.1 Nocicettori meccanici Aδ
I nocicettori meccanici Aδ (meccano-nocicettori) sono recettori collegati alle fibre
mieliniche Aδ e rispondono solo a stimoli meccanici ad alta intensità (nocicettori ad alta
soglia) specie se provocati da oggetti appuntiti o taglienti capaci di ledere i tessuti. Al
contrario, non rispondono alla stimolazione meccanica non dannosa ed agli stimoli
chimici, pertanto vanno distinti dai meccano-recettori a bassa soglia di eccitazione
collegati alle fibre Aβ. La fibra Aδ è di medio diametro (Fig. 1.1), ricoperta da un sottile
strato di mielina che s’interrompe ad intervalli regolari in strozzature o nodi di Ranvier
in modo da consentire la conduzione “saltatoria”, quindi più rapida, delle correnti
elettrotoniche tra due nodi di Ranvier successivi (Santiago et al., 2000).
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2.2 Nocicettori polimodali C (meccanici-termici-chimici)
I nocicettori polimodali C sono collegati alle fibre C amieliniche e rispondono a stimoli
nocicettivi ad alta intensità e di diversa natura (stimoli meccanici, termici
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, chimici). La
risposta dei nocicettori polimodali può aumentare secondo la modalità di stimolazione:
in particolare, quando lo stesso stimolo viene applicato ripetutamente sulla zona lesa, si
provoca un’aumenta sensibilità recettoriale detta anche “sensitizzazione periferica”; tale
condizione, tipica del danno tessutale, porta un’aumentata intensità di risposta
recettoriale nei confronti di stimoli meccanici, termici o chimici sia dolorosi
(iperalgesia) sia potenzialmente non dolorosi (allodinia). La fibra C è di piccolo
diametro (Fig. 1.1) ed amielinica in modo da consentire la conduzione “continua”,
quindi più lenta, del potenziale d’azione (Tillman, 1992).
2.3 Dolore rapido e dolore tardivo
Le fibre Aδ sono mielinizzate (isolate) quindi a conduzione rapida, mentre le fibre C
(non mielinizzate) sono a conduzione lenta, pertanto si distingue il tipo di fibra coinvolta
dal tipo di dolore provato: dopo uno stimolo doloroso, la prima sensazione (primo
dolore) è un dolore rapido, acuto, pungente, che coinvolge le fibre Aδ (~20 m/s) e
recettori meccanici mentre la seconda sensazione (secondo dolore) si manifesta più
lentamente ma in modo duraturo e profondo ed è un dolore tardivo, sordo o bruciante,
che coinvolge le fibre C (~2 m/s) e recettori polimodali meccanici, termici e chimici.
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La soglia d’eccitazione termica è compresa fra 38°-50°C.