PRESENTAZIONE
Questo lavoro di ricerca cerca di indagare se esista una relazione tra lo stile di attaccamento, che
viene a crearsi in età infantile con le figure di riferimento, e con lo sviluppo delle abilità
cognitive maturate nel tempo; in particolare si suppone che a differenti tipi di attaccamento
corrisponderanno diverse attitudini e abilità. Gli argomenti trattati, verranno inizialmente
affrontati separatamente e poi verrà presentata una breve rassegna inerente agli studi condotti su
entrambi i temi, portando alcune variabili che faranno parte dell’ipotesi della mia ricerca.
Successivamente dopo accurata analisi, verranno accostati uno all’altro, portando studi che
racchiudono una correlazione tra entrambe le parti. I teorici hanno ritenuto il modello Sicuro un
fattore predittivo, poiché, la figura d’attaccamento sensibile e responsiva che si trova in questo
modello, garantirebbe al bambino, un adattamento migliore e faciliterebbe il suo sviluppo
complessivo. Studi condotti da Heard e Barret metteranno in risalto, come bambini senza disturbi
neurologici, impareranno a leggere più tardi se privi di attaccamento sicuro, e come partendo da
questa base, altri studiosi son giunti alla conclusione che un attaccamento positivo possa essere
un buon fondamento per l’interesse precoce sia per la lettura da parte del bambino sia per la
presenza di abilità prescolari. In ultima parte per confutare la mia tesi, sono stati presi random,
da un campione più ampio, due soggetti a cui sono stati somministrati tre tipi di test, due per
quanto riguarda l’attaccamento, parliamo di Adult Attachment Interview e di Adult Attachment
Projective, l’ultimo invece per quanto riguarda la misurazione del Quoziente Intellettivo,
attraverso un test chiamato Wais-R. Partendo dagli strumenti, fino alle conclusioni,
ho cercato così di confermare la mia tesi: “Amore ed Intelligenza: sviluppo
delle abilità cognitive nell’adulto a partire dalle relazioni affettive nell’infanzia”.
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LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Tutti noi, dalla nascita alla morte siamo al massimo della felicità
quando la nostra vita è organizzata come una serie di escursioni,
lunghe o brevi, dalla base sicura fornita dalle nostre figure di attaccamento”
(John Bowlby)
CAPITOLO 1
1-Un ampio sguardo al modello clinico cognitivista generale e italiano: descrizione e
caratteristiche.
Nel corso dei secoli, varie sono state le correnti volte alla presa di coscienza di tutto ciò che
riguarda i comportamenti messi in atto dall’individuo, mediante un percorso che, partendo
dalle caratteristiche esterne del soggetto e tutto ciò che ne sottende, diventarono via via più
attente agli stati interni non oggettivamente visibili all’occhio dello sperimentatore e alle
conseguenze che questi provocano sul medesimo e su tutto ciò che lo circonda. Dal
comportamentismo si è passati quindi ad un filone che prende il nome di cognitivismo clinico
e che interessa gli ultimi vent’anni di studio estero e italiano. Il Cognitivismo Clinico sviluppa
il suo percorso da una posizione di tipo costruttivista verso una prospettiva di tipo evolutivo.
Nel corso degli anni settanta iniziarono a svilupparsi le prime terapie, focalizzando
l’attenzione clinica non solo sul comportamento manifesto ma anche su variabili interne
all’individuo. Il bambino iniziò ad essere considerato nei suoi sistemi rappresentativi, sebbene
venissero considerati alla stessa stregua dei comportamenti manifesti, applicandovi gli stessi
principi. In particolare Meichenbaum rifacendosi alle teorie di Vygotskij e di Lurija sul ruolo
del linguaggio nell’attivazione e nell’inibizione del comportamento motorio di un individuo,
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fossilizzò la propria attenzione sul ruolo dei processi rappresentativi interni, come
immaginazione e dialogo interno, nel controllo del comportamento e considerò il linguaggio
interiorizzato, cioè il pensiero, come principale regolatore e guida del comportamento esterno
e come variabile nella determinazione dello stile di risoluzione dei problemi e della capacità
di autocontrollo. A tutto questo si aggiunse l’osservazione di alcuni disturbi comportamentali
infantili (deficit d’attenzione,iperattività e impulsività), ricollegabili appunto a un deficit di
mediazione cognitiva e delle capacità di autoregolazione tramite linguaggio. L’attenzione
iniziò a spostarsi dall’esterno all’interno, concentrandosi principalmente sull’esperienza
interna dei pazienti e sui loro sistemi di regole e di convinzioni, portando alla definizione dei
primi veri e propri modelli di terapia cognitiva,postulando una dipendenza tra comportamenti,
emozioni e cognizioni, secondo un modello A-B-C in cui A sta per un dato evento attivante, C
per le particolari conseguenze comportamentali emotive e infine B per il sistema interno di
convinzioni, cioè l’insieme delle modalità specifiche e selettive di percezione, definizione,
interpretazione e valutazione dello stimolo messe in atto dal soggetto. Quindi dalla sua
particolare esperienza cognitiva. Molti studiosi han preso parte a questi studi, elaborando di
volta in volta teorie a riguardo. Ellis (1913-2007), ad esempio, focalizzando l’attenzione
sull’aspetto contenutistico del sistema di convinzioni, identifica una serie di cosiddette
convinzioni “irrazionali”, che interferirebbero sul benessere dell’individuo, non
corrispondendo alla realtà. Beck ( Providence,1921) invece parla di “pensieri automatici”
connessi alle sequenze sintomatiche, cioè ideazioni caratterizzate da estrema rapidità e
automaticità, non sempre accessibili alla coscienza. Uno degli aspetti più significativi che
hanno caratterizzato il cognitivismo clinico è quello di voler rinvigorire la teoria e la prassi
clinica a partire da quello che concretamente pensa e prova il paziente. Infatti nei primi anni
di pratica della terapia cognitiva non si è potuto non considerare ciò che scaturiva
dall’osservazione clinica della conoscenza individuale e dell’esperienza soggettiva del
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paziente, elementi non facilmente conciliabili rispetto ai modelli della conoscenza e dei
disturbi clinici che erano propri di questo approccio (Guidano,1991). Nell’ambito della
concomitanza di problematiche cliniche e teoriche, due autori italiani Vittorio Guidano e
Giovanni Liotti, hanno sviluppato un modello clinico e terapeutico che ha provocato una
svolta sostanziale nell’evoluzione del cognitivismo clinico, non solo italiano. In particolare, la
concezione della conoscenza personale in termini costruttivisti, la centralità della teoria
dell’attaccamento nel delineare il contesto interpersonale nell’ambito del quale si costituisce
la conoscenza individuale; e infine la particolare concezione della metodologia terapeutica,
che prevede un uso strategico delle varie tecniche terapeutiche cognitiviste, in funzione
dell’organizzazione relazionale e del Sé del paziente. Guidano e Liotti, posero l’accento sulla
conoscenza umana, intesa come dimensione attiva,generativa ed intenzionale dei processi
della conoscenza individuale. L’individuo è un soggetto che organizza attivamente i propri
processi conoscitivi. L’aspetto principale del funzionamento mentale non è dunque la
formazione o rottura di legami associativi in risposta a stimoli esterni, quanto piuttosto la
formulazione attiva di aspettative, ipotesi e teorie in grado di guidare l’azione e la percezione
e quindi di costruire la conoscenza individuale del mondo. Inoltre gli autori considerano la
conoscenza umana da un punto di vista evolutivo, cioè una volta riconnessi in forma unitaria e
organizzata i singoli elementi e processi che si presentano in modo frammentato all’attenzione
del clinico, sorge un problema della loro genesi, la necessità di comprendere meglio
l’organizzazione della conoscenza personale osservandone le caratteristiche nel corso dello
sviluppo individuale. Ciò si sviluppa seguendo una serie di tappe prefissate; la modalità tacita
appare per prima durante la prima infanzia;ad essa seguono l’emergere delle altre modalità
della conoscenza nel corso dell’infanzia, dell’età prescolare e della fanciullezza e il loro
organizzarsi in una modalità dinamica e complementare, che comunque vede la sequenza
cronologica dello sviluppo ontogenetico rispecchiare il ruolo primario degli aspetti taciti
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nell’organizzazione della conoscenza. “Il modo in cui le persone ricordano le loro prime
esperienze e il significato che ad esse attribuiscono diviene per il terapeuta cognitivo una vera
e propria miniera d’oro.” (Guidano e Liotti,1983). Guidano in particolare si interessava del Sé
come processo autoreferenziale, con riferimento alla teoria dei sistemi autopoietici di
Maturana e Varela (1980). Il termine autopoiesi è stato coniato nel 1972 da Humberto
Maturana a partire dalla parola greca auto, ovvero se stesso, e poiesis, ovverosia creazione. In
pratica un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente se stesso ed al
proprio interno si sostiene e si riproduce. Un sistema autopoietico può quindi essere
rappresentato come una rete di processi di creazione, trasformazione e distruzione di
componenti che, interagendo fra loro, sostengono e rigenerano in continuazione lo stesso
sistema. Inoltre il sistema si autodefinisce. Ovvero il dominio di esistenza di un sistema
autopoietico coincide con il dominio topologico delle sue componenti. In una tale prospettiva
teorica e clinica, la teoria dell’attaccamento di Bowlby, è quella che si avvicina ed integra sia
gli aspetti relativi alla maturazione della conoscenza sia le influenze dei contesti ambientali e
interpersonali propri della storia di ogni individuo.
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CAPITOLO 2
1-Uno stretto legame tra il modello clinico cognitivista italiano e la teoria
dell’attaccamento di Bowlby.
Il Cognitivismo clinico italiano nel corso degli anni settanta,iniziò ad avvicinarsi
gradatamente alla teoria dell’attaccamento di Bowlby (1969/1982, 1973,1979,1980, 1988)con
grande curiosità ed interesse. In quel momento storico, la suddetta teoria, era guardata con
diffidenza dalla parte più ortodossa del mondo cognitivo-comportamentale, perchè rispetto
alle teorie fin ora espresse, introduceva un modello semplice ed economico, ed era considerata
troppo “cognitiva” e “superficiale”, non adatta a valorizzare i processi inconsci, rispetto ad
altre teorie evolutive più “profonde” già disponibili. “E’ proprio nelle condizioni di avversità
che suscitano sentimenti di rabbia, paura e tristezza, sia essa esplicita ed espressa che
potenziale e inespressa, che probabilmente si verificheranno dei crolli del funzionamento
mentale. Ed è precisamente in questi casi che la capacità o l’incapacità di esprimere i propri
pensieri e sentimenti agli altri, e di cercare il conforto e l’aiuto degli altri, si rivelano variabili
di così fondamentale importanza. Coloro che, durante l’infanzia, si sono incontrati, in
condizioni di avversità, con una risposta comprensiva, anche nelle crisi attuali conserveranno
la speranza che si verifichi qualcosa di simile. Coloro che nell’infanzia hanno invece
incontrato rimproveri e disprezzo si aspetteranno lo stesso trattamento quando si troveranno a
confronto con le difficoltà della vita adulta. Troppo spesso queste semplici verità, da lungo
tempo note ai terapeuti sensibili, sono state oscurate da teorie fuorvianti”( Bowlby,1988).La
teoria clinico cognitivista invece, inizia fin da subito ad interessarsi della teoria
dell’attaccamento, presentando quest'ultima, alcuni aspetti di compatibilità con il proprio
modello. In primo luogo, si parla di “elaborazione dell’informazione” basandosi
sull’osservazione sistematica e ripetuta nel tempo delle interazioni madre-bambino, piuttosto
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che sulle fantasie retrospettive del paziente. L’oggetto d’indagine non è l’itinerario di
sviluppo reale seguito dal soggetto, ma il suo stato mentale e attuale riguardo alla sua storia
d’attaccamento ed il suo specifico modo di ricostruire e riordinare narrativamente nel presente
quelle esperienze. In secondo luogo, la teoria dell’attaccamento distanziandosi dalle vecchie
concettualizzazioni motivazionali di carattere pulsionale o energetico, abbraccia nuovi
modelli scientifici di tipo cibernetico, come quello di “sistema di controllo comportamentale”.
Il sistema comportamentale regola l’attaccamento come biologicamente fondato e deputato ad
assicurare la sopravvivenza dell’individuo, assegnandogli un ruolo di grande centralità nel più
ampio assetto motivazionale umano. Per ultimo,Bowlby propone dei processi di
interiorizzazione della relazione, in termini di internal working model, concependo il sistema
conoscitivo umano come un insieme di schemi, costrutti, regole che guidano l’assimilazione
dell’esperienza, della elaborazione della informazione, l’agire e il sentire dell’individuo. La
teoria dell’attaccamento, su queste basi, ha dato avvio ad una nuova teoria della motivazione
umana. Il bisogno di relazione diventa primario, un tempo era visto come mezzo volto al
raggiungimento di altri scopi pulsionali, la relazione diventa essa stessa il fine.
Vi sono diverse prospettive a riguardo :
a)-la posizione biologica, in cui l’essere umano è, semplicemente, relazionale, possedendo fin
dalla nascita un’impalcatura biologica costituita da disposizioni innate a percepire e ad agire
che si sono selezionate filo-geneticamente per il loro elevato valore adattativo, promuovendo
la protezione e la sopravvivenza: condizioni necessarie al soddisfacimento di ogni altro
bisogno o motivazione personale e interpersonale.
b)-la posizione fenomenologica - descrittiva, in cui il bisogno di relazione si osserva in ogni
esperienza umana: l’uomo desidera la relazione, la brama; e questa intenzione di relazionalità
è un dato osservativo inoppugnabile. Le persone cercando disperatamente di conservare le
loro relazioni, pur ripetendole in modo doloroso, perché spesso proprio all’interno di quel