7
estranea). Ma Taruffo, sebbene distingua queste due tipologie, le
ritiene entrambe ammissibili, cosa non condivisibile in base ad
argomentazioni persuasive della dottrina, come si vedrà. Montesano
rifiuta l’atipicità che si riferisce al procedimento di assunzione
probatoria perché, ammetterla, significherebbe permettere al giudice
di servirsi della propria scienza privata per ricostruire i fatti, divieto
previsto dall’art.97disp. att. al c. p. c. a tutela delle garanzie delle
parti e del contraddittorio.
4
Analoga norma non esiste nel c. p. p.,
ma l’atipicità va, comunque, riferita alla fonte di prova e non alla
modalità della sua assunzione, anche se il legislatore nell’ultima
parte dell’art.189 c. p. p. afferma che il giudice deve sentire le parti
sulle “ modalità di assunzione” della prova atipica. Fare
diversamente potrebbe compromettere i principi del contraddittorio e
della difesa delle parti.
Il concetto di atipicità, anche solo con riferimento alla fonte di prova,
comprende tipologie così eterogenee, che con difficoltà si
riconducono ad unità, sia per la diversa natura e sia per la diversa
efficacia. Con tale termine ci si riferisce ad ogni fonte di prova non
espressamente prevista come tale dall’ordinamento, ma osservando,
nel contempo, che in concreto il concetto di prova atipica si articola
nelle seguenti situazioni: A)impiego a fini probatori di strumenti non
previsti dal codice, siano esse prove nuove o prove sostitutive di
normali prove tipiche. B)impiego a fini probatori di strumenti
previsti dal codice ma destinati ad altro scopo (es. sentenza, perizia,
comportamento processuale come mezzo di convincimento). C)uso a
fini probatori di strumenti previsti dalla legge a tale scopo ma
raccolti in una sede diversa da quella in cui sono valutati (prove
assunte in un altro processo). Questa unica, sia pur variegata
definizione, fa si che eventuali principi elaborati in materia siano
applicabile ad ogni categoria di prova atipica.
5
4
MONTESANO Le “prove atipiche” nelle “presunzioni” e negli “argomenti” del giudice civile
in Studi in memoria di Salvatore Satta , Padova, 1982, p. 234.
5
RICCI G. F. Premesse ad uno studio sulle prove atipiche, Tipografie riunite Arezzo, 1990, p.46
8
RICOSTRUZIONE STORICA RELATIVA ALLE PROVE
ATIPICHE
NEL PROCESSO CIVILE
La dottrina processualistica formatasi sotto il codice di procedura
civile del 1865, tendenzialmente aderente al principio della
tassatività dei mezzi di prova, aveva in nuce la problematica delle
prove atipiche, anche se ancora non le trattava come istituto a sé
stante, ma come elementi idonei ad integrare il convincimento del
giudice e come dati di fatto anomali rispetto all’elenco tassativo dei
mezzi di prova. In questo senso vi era chi attribuiva valore
probatorio alla sentenza resa inter alios, affermando che questa non
poteva opporsi a terzi come cosa giudicata, ma poteva essere
“elemento di convincimento per decidere una controversia diversa”.
Successivamente parte della dottrina inserì questa fattispecie
nell’ambito delle presunzioni semplici, il cui carattere di atipicità
sembrava idoneo a recepirle. E, come vedremo in seguito, l’atipicità
intrinseca dell’indizio sarà una delle argomentazioni che legittima
l’ammissibilità delle prove atipiche.
La prima enunciazione esplicita del principio della non tassatività dei
mezzi di prova si ebbe con il Lessona e con Mortara. Lessona
considera ammissibili le prove atipiche in relazione al fatto che il
sistema processuale dell’epoca non doveva considerarsi un sistema
chiuso.
6
Anche Mortara dichiara per la prima volta l’utilizzabilità di
prove non codificate desunta dall’assenza di norme impeditive nel
codice del 1865.
7
Entrambi gli autori non individuano un criterio
specifico per valutare le prove innominate, salvo il riferimento al
generalissimo criterio del rispetto del contraddittorio nell’assunzione
delle prove atipiche. Il merito di formulare il primo criterio per
valutare le prove atipiche e il merito di aver creato l’autonoma
categoria delle prove innominate spetta a Carnelutti.
8
Il criterio è
quello dell’analogia: rinvenire rispetto alla prova atipica la
corrispondente prova tipica (per caratteristica e funzione) la cui
disciplina legale potesse essere applicata. Per contro se la prova
6
LESSONA Trattato delle prove in materia civile, Firenze, 1922
7
MORTARA Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1923
8
CARNELUTTI Lezioni di diritto processuale civile, III, 2, Padova 1923, pp. 342-344
9
atipica non avesse avuto nessun riscontro tra le prove tipiche,
sarebbe stata valutata, sempre in virtù dell’analogia, secondo il
disposto dell’art.1354 del codice del 1865 previsto per le prove
critiche: secondo il prudente apprezzamento del giudice come
avveniva per le presunzioni il cui valore non era stabilito dalla legge.
L‘ammissibilità delle prove innominate viene sostenuta da Carnelutti
sulla base del principio del libero convincimento del giudice (teoria
soggetta a critiche da parte di autori postumi).
La dottrina successiva, che arriva alla fine degli anni settanta, non si
occupa molto del problema. Si possono comunque riscontrare due
tendenze opposte. Da una parte Cappelletti M. che si riallaccia al
libero convincimento del giudice per la valutazione delle prove
atipiche.
9
Dall’altro il napoletano Laserra, che sostiene una
posizione a prima vista più conservatrice, ma in realtà ricca di
fecondi sviluppi. Inizialmente infatti è propenso alla tassatività in
materia probatoria deducibile dalla minuziosa e categorica
regolamentazione legislativa della struttura e del procedimento dei
mezzi tipici catalogati. Accortosi della distanza della propria
posizione rispetto alla realtà processuale sosterrà che le prove
innominate “possono tutt’al più, nel processo civile di cognizione
contenziosa, valere come dati fondanti inferiori, e cioè come dati
insufficienti, in ogni caso, a costituire da soli la totalità ermeneutica
probatoria” (e questo ricorda chiaramente il valore dell’argomento di
prova, valore che da illuminati autori sarà successivamente attribuito
proprio alla prova atipica).
10
Il primo contributo importante in tema di prova atipica giunge agli
inizi degli anni settanta con Taruffo N., che contrariamente alla
posizione che aveva affidato la valutazione delle prove atipiche al
libero convincimento del giudice, sostiene che “la regolamentazione
analitica e spesso assai rigorosa di alcune prove, presente nel diritto
positivo, non rileva nel senso di dimostrare l’inammissibilità delle
prove atipiche, ma può costituire una ragione per ritenere che il
legislatore, nell’ammetterle (o meglio, nel non escluderle
espressamente), non abbia inteso equipararle alle prove vere e
9
CAPPELLETTI La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, I , Milano,1962, p. 270.
10
LASERRA Critica delle cosiddette “prove innominate” in Giur. It., 1960, I, p. 838.
10
proprie, bensì sottoporle al regime che l’art.2729 c. c. prevede per la
valutazione degli indizi”. (Per le questioni relative all’efficacia vedi
ultima parte di questo capitolo).
11
La dottrina successiva intraprende due distinti percorsi: c’è chi tende
a privare le prove atipiche di una propria autonomia categoriale
(Cavallone) e chi, sebbene con posizioni contrastanti, ammette tutta
la rilevanza delle prove atipiche nel giudizio. Tra questi Montesano
L. che attribuisce alle prove atipiche un valore analogo agli
argomenti di prova, che non sono propriamente prove, ma “strumenti
logico- critici per valutare le prove tipiche” . (Sul punto si tornerà
diffusamente nell’ultima parte del capitolo).
12
Cavallone, per contro, critica la riunione delle prove atipiche in una
medesima e autonoma categoria e la conseguente identità di efficacia
probatoria. Sarebbe più utile, sostiene l’autore, che il legislatore
disciplinasse in modo minuzioso e analitico ogni nuovo e atipico
strumento probatorio, indicandone le condizioni e i limiti di
applicabilità. Consequenzialmente a ciò, Cavallone contesta
l’equiparazione dell’efficacia delle prove atipiche all’indizio e
all’argomento di prova. Per quanto riguarda l’indizio, Cavallone
sottolinea come la prova non in catalogo possa avere
indifferentemente ad oggetto tanto la verifica di un fatto principale
che quella di un fatto secondario, mentre il ragionamento presuntivo
parte da un fatto secondario per arrivare ad un fatto principale.
Neppure concorda con l’equiparazione all’argomento di prova, in
quanto il giudice, avendo a disposizione due prove contrastanti, si
affiderà per decidere, per esempio, alla prova atipica, che, quindi,
diventerà determinante per il suo convincimento e non avrà più il
semplice valore di argomento di prova, dal quale non si può certo far
dipendere la decisione.
13
Per concludere è opportuno riportare alcune posizioni
giurisprudenziali, la cui tendenza è quella di considerare la prova
atipica come indizio. Ciò che cambia è la modalità di operare di
questo: talvolta come presunzione sic e simpliciter in grado di
11
TARUFFO op. ult. cit. p. 397
12
MONTESANO op. ult. cit. p. 236
13
CAVALLONE Oralità e disciplina delle prove nella riforma del processo civile in Riv. dir.
proc., 1984, p.724.
11
fondare da sola il convincimento del giudice (Cass.2 agosto 1969 n.
2913); tal’ altra in concorso con altre presunzioni (Cass.10 luglio
1965 n. 2728); oppure come semplice valore corroborante del
convincimento del giudice (Cass.2 agosto 1969 n. 2913). Quindi in
giurisprudenza come in dottrina manca un ’univocità di pensiero.
14
NEL PROCESSO PENALE
Tutto ciò per quanto attiene al processo civile, ma con altrettanta
complessità la tematica delle prove atipiche è stata trattata
nell’ambito penalistico.
Per una ricostruzione storica della problematica delle prove è
opportuno far riferimento al testo di Zappalà.
15
L’autore, dopo una
premessa sul diritto francese che ha fortemente influenzato i giuristi
italiani (v.Codice di napoleone del 1808), analizza preliminarmente
il codice di procedura penale del 1865. Ne individua i caratteri
fondamentali: libero convincimento del giudice, separazione tra fatto
e diritto, libertà della prova. Nel 1892, col ministro Bonacci, inizia la
riforma del codice. In modo particolare vengono eliminati dal codice
del 1865 gli elementi fondamentali posti a fondamento della libertà
della prova. Per esempio l’art.339, in base al quale i reati si provano
con i verbali, con i rapporti, con i testimoni o con ogni altro mezzo
non vietato dalla legge. Ma la soppressione dell’art.339 e di ogni
accenno alla libertà della prova non aveva suscitato nessun effetto
sostanziale sulla libertà in materia probatoria in quanto tale principio
faceva parte ormai della coscienza giuridica moderna ed era tanto
radicato da far considerare superflua ogni disposizione legislativa
diretta a prevederlo.
Il progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale del
1978 è molto diverso dalla disciplina precedente. L’art.179 di tale
progetto introduce nelle disposizioni generali il principio di
tassatività dei mezzi di prova. La commissione opta per tale
principio per evitare l’impiego di strumenti che, in quanto privi di
regolamentazione, potrebbero facilmente aprire la strada ad abusi.
Inoltre anche se la tassatività dei mezzi di prova potrebbe
14
DE SANTIS F. Il documento non scritto come prova civile, Napoli, 1988, p.115.
15
ZAPPALA’ Il principio di tassatività dei mezzi di prova nel processo penale, Milano, 1982.
12
pregiudicare la ricerca della verità, tutela altri principi altrettanto
importanti come il diritto di difesa, la soggezione del giudice alla
legge , etc…
Zappalà conduce un’attenta indagine sul principio di libertà e
tassatività della prova, riferiti entrambi al momento di scelta,
acquisizione, ammissione degli strumenti istruttori, ben diversi dai
concetti di legalità e libero convincimento del giudice, che, invece, si
riferiscono al momento valutativo. Le critiche di Zappalà nei
confronti di chi sostiene il principio della libertà dei mezzi di prova
si muovono su un piano normativo e uno extra normativo.
C’è chi ravvisa il principio di libertà dei mezzi istruttori su dati
normativi. Per es. Leone sostiene la regola della prova libera in base
all’art.308 c. p. p. del codice del 1978, che esclude per il processo
penale le limitazioni che le leggi civili prevedono per le prove.
16
Zappalà non ritiene questo tipo di argomentazione sufficiente.
MOLTI AUTORI FONDANO LA NON TASSATIVITA’ DEI MEZZI
DI PROVA SUI PRINCIPI PROCESSUALI
C’è chi investe sulla linea extra normativa: cioè sui principi.
Peculiare in tal senso è il principio del libero convincimento, che
attiene alla libera valutazione degli strumenti istruttori. Il problema,
sottolinea Zappalà, è che erroneamente da esso viene fatto derivare il
principio di libertà dei mezzi di prova; e talvolta in base a pronunce
giurisprudenziali, ci si è spinti oltre, dilatando il principio del libero
convincimento del giudice fino a farvi comprendere anche i mezzi
istruttori irregolarmente acquisiti. Si capisce in questo caso come
possano essere raggirate le garanzie difensive (vedi per esempio
Cass.10 maggio 1971, che legittima in virtù del libero convincimento
del giudice, l’acquisizione al processo di un interrogatorio
dell’imputato assunto dagli organi di polizia nel tempo in cui era
richiesta la presenza del difensore). Quindi il giudice deve essere
considerato sì libero, in virtù del principio in discussione, nella
valutazione delle prove, ma non devono mancare i limiti imposti
dalla legge nella scelta e nella raccolta del materiale probatorio. Per
giunta il libero convincimento attiene alla valutazione delle prove, e
16
LEONE G. Trattato di diritto processuale penale vol. II, Napoli, 1961.
13
quindi fa riferimento al giudice, invece la libertà dei mezzi di prove
fa riferimento alle modalità e agli strumenti del procedimento
probatorio, e in quanto regole processuali devono essere imposte dal
legislatore.
In base a queste considerazioni la premessa si potrebbe ribaltare:
proprio il libero convincimento del giudice implicherebbe
necessariamente il principio di tassatività dei mezzi e dei modi di
ricerca della verità.
Altrettanto importante è il principio della ricerca della verità
materiale. Molti autori ritengono che la concezione del libero
convincimento del giudice come potere assoluto privo di limiti derivi
dal principio della ricerca della verità materiale.
17
Considerazione
dalla quale si desume una distinzione tra verità materiale \reale e
verità formale \fittizia. La prima è il fine a cui tende il processo
penale in cui prevale l’interesse generale o pubblico, ragion per cui il
giudice si deve poter avvalere del principio della prova libera. La
seconda è propria del processo civile, che principalmente tenderebbe
a perseguire fini privatistici: da ciò l’accertamento di una verità
“fittizia”. Ma questa distinzione tra verità formale e verità materiale
non si può accogliere: la verità è una sola e collegare la verità
materiale all’idea di una ricerca senza limiti conduce al mito della
verità assoluta; l’uomo, però, può aspirare solo ad una verità relativa
in relazione al singolo caso concreto.
18
Quindi i limiti imposti dal legislatore relativamente ai mezzi e ai
modi di indagine non impediscono il raggiungimento della verità, ma
rappresentano i metodi di ricerca della verità stessa; per di più non
ammettere limitazioni alle prove perché obiettivo del processo è la
verità materiale non è accettabile in quanto il fine del processo è sì la
verità, ma la verità ottenuta in un certo modo, nel rispetto della
moralità.
19
C’è inoltre chi sostiene che ciò che non è vietato è consentito
20
e
chi ritiene ammissibili tutti i mezzi di prova idonei a far conseguire
17
FLORIAN E. Delle prove penali ,I ,Milano, 1961, p.184 e ss.; SABATINI voce prova in Noviss.
dig. it., Torino, 1968
18
RICCI G. F. Principi di diritto processuale generale, Torino, 1995, p. 298
19
DE LUCA Logica e metodo probatori, Mialno, 1964, p.45
20
SABATINI op. ult. cit.
14
la certezza nel caso concreto in virtù di fini pubblicistici del processo
penale.
21
In rapporto al primo punto si può controbattere che se la
legge avesse voluto l’adozione del principio della libertà delle prove
lo avrebbe indicato. Relativamente al secondo punto si può far
riferimento al procedimento probatorio che prevede tre momenti
distinti: ammissibilità, rilevanza, veridicità. Anche se l’ammissibilità
condiziona le altre fasi del procedimento ne rimane distinta: il
problema dell’ammissibilità dei nuovi mezzi di prova non si può,
quindi, risolvere in base alla verità o alla certezza che il mezzo
fornisce.
PRINCIPI COSTITUZIONALI: UN OSTACOLO
ALL’AMMISSIBILITA’ DELLA PROVA ATIPICA
Zappalà continuando nella contestazione del principio di non
tassatività prende in esame la carta costituzionale. Innanzitutto
facendo riferimento ai diritti di libertà previsti agli artt.13, 14, 15
Cost., che implicitamente assicurano esigenze di legalità
relativamente ai meccanismi processuali; ma le considerazioni più
importanti sono relative agli artt.24co1e2, 25co.2, 27co.2.
Gli artt.24co.1e2, 25co.2 Cost. contribuiscono a dare fondamento
costituzionale al fatto che le norme in materia probatoria siano
“norme di garanzia”. Da ciò consegue l’inammissibilità nel processo
penale degli strumenti di prova atipici: in quanto non previsti
espressamente dalla legge essi mancherebbero di una disciplina
garantistica.
La dimensione garantistica dell’art.25co2 Cost. spinge anch’esso
verso un regime di legalità in materia probatoria nel senso che le
parti processuali dovrebbero sempre sapere attraverso quali
strumenti le singole fonti di prova possono essere utilizzate dal
giudice, onde evitare che questi tragga il convincimento sui fatti di
causa da un suo personale processo mentale alla cui formazione e al
cui controllo le parti sono estranee.
22
21
MANZINI V. Trattato di diritto processuale, cit. p. 133
22
MONTESANO op. ult. cit.
15
Anche l’art.27Cost. tende alla legalità in campo probatorio: nessuna
sanzione penale può essere inflitta se la colpevolezza non venga
accertata nelle forme previste dalla legge.
Zappalà è in disaccordo anche con quelle considerazioni che
vengono di solito addotte per giustificare la non tassatività dei mezzi
di prova: 1) l’assenza di una norma di chiusura. 2) L’associazione
della prova atipica all’indizio di per sé atipico
PERIZIA: UN ISTITUTO IDONEO A RECEPIRE LA PROVA
ATIPICA
Non concorda con la prima considerazione perché ritiene che gli
strumenti istruttori disposti dal legislatore siano idonei a contenere
ogni immaginabile fonte materiale di prova. Inoltre l’affermazione di
Taruffo
23
relativamente al fatto che unica condizione di legittimità
nell’acquisizione della prova atipica sarebbe costituita
dall’osservanza della regola del contraddittorio, viene contestata
anche da Cavallone
24
, che la ritiene erronea e pericolosa: “ erronea
perché evidentemente essa si risolve… nel paradosso secondo cui
tutte le regole attinenti ai limiti di ammissibilità e alle modalità di
acquisizione delle prove possono essere tranquillamente ignorate, o
private di contenuto normativo, solo che si abbia cura di definire
atipico ciò che con esse non si concilia; pericolosa perché diffondere
un siffatto insegnamento tra i giuristi significa incoraggiarli a
perseverare nella già deplorata convinzione che tutto ciò che
compare sulla scena del processo debba per ciò solo necessariamente
entrare a far parte delle risultanze istruttorie utilizzabili ai fini del
giudizio di fatto “.
In particolare ritiene che la perizia sia lo strumento probatorio
opportuno e necessario per acquisire al processo i nuovi mezzi di
indagine processuale, i quali necessitano conoscenze tecniche
specifiche, che il giudice non possiede, ragion per cui si deve
rivolgere al perito. Rimane dunque il problema delle risultanze
peritali da parte del giudice che non possiede gli strumenti intellettivi
per valutarne l’attendibilità. Il giudice può solo esperire quel
23
TARUFFO op. ult. cit.
24
CAVALLONE Critica delle teorie delle prove atipiche in Riv. dir. proc., 1978
16
controllo che la stessa collettività può esercitare sulla perizia in
particolare e sulle risultanze processuali in generale: il giudice può
valutare la razionalità e la coerenza del procedimento logico seguito
dal perito, la sua autoritarietà scientifica, e il fatto che i metodi di
indagine seguiti dall’esperto siano notoriamente acquisiti al
patrimonio scientifico.
Relativamente al secondo punto, Zappalà sostiene, con Cavallone,
che non è corretto parlare di atipicità dell’indizio: consistendo infatti
la prova indiziaria in un “fatto noto” e in un’inferenza che conduce
al fatto ignorato, non c’è alcuna ragione per ritenere che il giudice si
procuri la conoscenza del factum probans (o indizio) ricorrendo a
fonti diverse da quelle…che altre volte gli procurano direttamente la
conoscenza del factum probandum (o fatto ignorato).
17
L’AMMISSIBILITA’ DELLE PROVE ATIPICHE
INTRODUZIONE E ART.189 C. P. P.
Una volta stabilito cosa siano le prove atipiche ed effettuato un
excursus storico è consequenziale affrontare il problema più
significativo in materia: l’ammissibilità delle prove atipiche. Se per
il processo penale non vi siano più dubbi sull’ammissibilità delle
prove fuori catalogo in seguito alla previsione dell’art.189 del nuovo
codice di procedura penale del 1988, che legittima espressamente
questa categoria, per il processo civile l’analisi è più complessa.
Molti sono gli autori in materia civile che ammettono le prove non
previste dalla legge, ma in questo settore manca una norma analoga
all’art.189 del c. p. p. E neppure si può far riferimento a questa e
applicarla pedissequamente, date le profonde differenze tra i due tipi
di processo. L’impronta originaria del processo civile è di stampo
accusatorio (si veda l’art.115 c. p. c. che sancisce il principio
dispositivo in materia probatoria), ma quest’orientamento si sta
invertendo (si veda la forte matrice inquisitoria del processo del
lavoro: es. art.421 c. p. c.). Invece nel processo penale precedente al
codice del 1988, il giudice aveva ampi poteri inquisitori in materia
probatoria. Ora il codice del 1988 ha introdotto il principio
dispositivo (v. art.190). Relativamente alle prove atipiche, l’art.189
del suddetto codice non ha dettato alcuna aprioristica preclusione nei
confronti delle prove non disciplinate dalla legge. Spetterà al giudice
di volta in volta valutare se una data prova atipica, di cui la parte
chiede l’ammissione, possa essere acquisita. Questa valutazione deve
fondarsi su due prescrizioni contenute nell’articolo 189 :
™ la prova deve essere idonea ad assicurare l’accertamento del fatto
™ la prova non deve pregiudicare la libertà morale della persona
Ciò significa che la prova non potrà essere ammessa quando la stessa
implica il ricorso a metodiche tali da vanificare o compromettere la
normale attitudine della persona all’autodeterminazione e
all’esercizio delle facoltà mnemoniche e valutative. Dopo di che
qualora venga riconosciuta l’ammissibilità della prova, sarà ancora
18
compito del giudice definire in concreto le modalità dell’assunzione
pur dovendo sentire le parti.
25
PROVE ATIPICHE E PROCESSO CIVILE
Tornando al processo civile, all’inizio di questo paragrafo è stato
detto che molti esponenti della dottrina sostengono l’atipicità dei
mezzi istruttori, ma diverse sono le fondamenta su cui queste
convinzioni si basano .
Alcuni autori sostengono l’atipicità del sistema probatorio sulla base
dell’assenza di una norma di chiusura.
Ma questa non è un argomentazione sufficiente.
Neppure sufficiente ad ammettere l’atipicità delle prove sono
elementi di diritto positivo, quali gli artt.219 co.1, 269 co.2, 452 co1,
c. c., che fanno riferimento a locuzioni che alludono alla possibilità
per il giudice di far uso in certe materie di “ogni mezzo di prova”. E
da ciò si potrebbe desumere che in tali casi il giudice possa utilizzare
anche prove non “in catalogo”.
Comunque queste non sono altro che supposizioni, in quanto nessun
elemento ci consente con certezza di desumere da tali locuzioni
conseguenze di così ampia portata. Per esemplificare basta far
riferimento all’art.269 c. c., che nient’altro potrebbe consentire, se
non il superamento dei limiti imposti dal codice alle tradizionali
prove: per es. in materia di diritti indisponibili non è ammesso il
giuramento; dall’art.269 si potrebbe desumere che in materia di
dimostrazione della paternità, il giuramento potrebbe dare un
contributo.
Da tutto ciò emerge chiaramente che gli argomenti trattati, in modo
particolare l’assenza di una norma di chiusura, non sono sufficienti
ad introdurre nel nostro ordinamento il principio dell’atipicità della
prova.
Né si può trovare avvallo, nel sostenerne l’atipicità, nel principio del
libero convincimento del giudice, come è stato fatto. Questo perché
si corrono dei rischi: infatti il principio del libero convincimento del
giudice è stato più volte invocato soprattutto al fine di legittimare la
25
CONSO GREVI Profili del nuovo codice di procedura penale, Padova, 1996, p.239-245.
19
motivazione sintetica, che non consente un controllo efficace sulla
logicità della decisione del giudice.
Si capisce come la motivazione sintetica possa pregiudicare le
garanzie delle parti se fossero ammesse le prove atipiche: infatti il
controllo più efficace sulla legittimità del provvedimento sta nella
motivazione; ma se per emettere il provvedimento il giudice si è
avvalso di prove non disciplinate dalla legge e la motivazione non ne
dà un esaustivo resoconto, il diritto di difesa sarebbe sicuramente
compromesso.
PROVA ATIPICA E PROVA ILLECITA: DIFFERENZE
E’ importante sottolineare la differenza tra prova atipica e prova
illecita. La prova atipica è quella non prevista dall’ordinamento;
quella illecita è invece tipica, ma assunta in violazione di una norma
di legge, dei requisiti di ammissibilità o infine di regole che ne
disciplinano l’assunzione. Però le due tipologie sono in un certo
senso correlate.
Prima di tutto, la prova assunta senza il rispetto totale o parziale di
una norma di legge non è sempre priva di valore. Così si è espressa
più volte la Cassazione e così hanno sostenuto più autori .
26
Quindi
non si può concludere per una totale irrilevanza della prova in tutte
le ipotesi in cui essa sia stata assunta in deroga a qualche precetto di
legge.
Da ciò, e qui la correlazione, si desume che se un sistema fondato
sulle regole di esclusione non riesce ad immunizzarsi totalmente nei
confronti delle prove illecite, a maggior ragione un tal sistema non
potrà certo respingere le prove atipiche, che non costituiscono affatto
un’anomalia come le prime, poiché non si presentano come mezzi
istruttori raccolti contro il sistema, bensì come mezzi non previsti
dallo schema.
26
DENTI Interrogatorio formale di parte non legittimata a confessare in Giur. it., 1960, I, 2, p. 836
e ss.; CAPPELLETTI Efficacia di prove illegittimamente ammesse e comportamento delle parti in
Racc. di scritti in onore di A. C. Jemolo, II, Milano, 1963, p. 175 e ss.