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diritto comune delle società di capitali e la disciplina delle società
quotate e rischiando in tal modo di creare ulteriori disincentivi
all'ingresso di imprese sui mercati regolamentati .
Dopo l'entrata in vigore del decreto n.58, il governo dell'epoca mise
mano a ciò di questo decreto avrebbe dovuto rappresentare un
naturale completamento e cioè la riforma delle società di capitali,
dove pur esistendo tipi formalmente codificati non corrispondevano
discipline realmente differenziate, ed era necessario prendere atto
che la vera causa normativa sarebbe dovuta soffermarsi non tanto
sulle dimensioni delle società, bensì sulla composizione del capitale
sociale, attraverso forme di governo e forme di tutela dei terzi
differenziate e specifiche al tipo di società prescelto. Considerata
poi la particolare struttura produttiva italiana, basata su imprese di
dimensioni piuttosto contenute rispetto alla media europea su una
rigidità che sfocia in un eccesso di regolamentazione e su un
sistema fortemente eterogeneo, per poter competere a livello
comunitario era idonea l'introduzione di una maggiore autonomia
statutaria, anche perché ridotti margini di flessibilità possono essere
fonte di inefficienze.
Una maggiore autonomia consente all'imprenditore di disegnare la
forma organizzativa più adatta per l'esercizio dell'impresa,
sopperendo in parte alla limitata concorrenza in Europa e spingendo
lo stesso ad una maggiore competitività.
Tali esigenze le troviamo perfettamente rispecchiate nella legge
delega 3 ottobre 2001,n.366 , dove dai principi generali enunciati
(art.2, 1) emergono gli obbiettivi di fondo:
a) Favorire la crescita e la competitività delle imprese anche attraverso
l'accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali;
b) Semplificare la disciplina delle società anche ampliando l'autonomia
statutaria;
c) Rendere i diversi modelli societari più aderenti alle esigenze
economiche delle imprese.
3
Per quanto riguarda la crescita e la competitività, è sembrato necessario
che anche il diritto societario contribuisse a ridurre i vincoli finanziari
allo sviluppo delle imprese e facilitando l'ingresso ai mercati di
qualunque natura.
L'apertura ai mercati finanziari che consentiva l'espansione, era però
condizionata all'accettazione di regole di trasparenza dei conti e di
regole attributive di poteri di controllo a favore dell'investitore esterno.
Nella legge delega si può leggere un ampliamento degli strumenti di
raccolta del risparmio delle s.p.a. e la rimozione del divieto di emissione
e collocamento di titoli di debito da parte delle s.r.l.(art.3,comma
2,punto g), delineando modelli di società "aperta".
La semplificazione della disciplina societaria è stata attuata andando ad
eliminare dei processi che in virtù delle esigenze delle imprese e del
mercato concorrenziale non poteva non tenere conto degli interessi dei
terzi. Semplificazione incidente soprattutto in istituti della s.r.l. come
l'omologazione ,di cui viene eliminato il relativo giudizio, o come i
procedimenti decisionali dove per alleggerire il sistema troppo legato
alla disciplina delle s.p.a., le norme attribuiscono uno spazio più ampio
all'autonomia statutaria, pur garantendo i diritti societari.
Proprio l'autonomia statutaria persegue le esigenze sopra riportate di
adeguare la disciplina dei tipi societari alle reali caratteristiche delle
imprese ma non in modo che gli imprenditori possano approfittarsene,
infatti dove emergono gli interessi dei terzi l'autonomia privata cede alla
disciplina legale e quindi forte autonomia per le s.r.l., mentre per le
s.p.a., nella previsione di discipline differenziate, abbiamo una crescente
imperatività a seconda che la società faccia o meno ricorso al mercato
del capitale di rischio.
Il terzo punto della legge delega disegna due tipi di società
fondamentali, la s.r.l. e la s.p.a., degradando l'accomandita per azioni a
"variante" delle s.p.a.
4
In realtà i modelli e sub-modelli sono più numerosi.
La s.p.a. si articola in tre sub-modelli:
1) Società per azioni quotata;
2) Società per azioni aperta;
3) Società per azioni chiusa.
I criteri di differenziazione delle discipline applicabili consistono nella
quotazione su un mercato regolamentato e nella definizione di ricorso al
mercato di capitali.
La s.r.l. pare caratterizzarsi e distinguersi in quanto modello proprio
delle imprese a ristretta compagine sociale, ma anch'esso viene a
configurarsi come tipo articolato in due sottotipi, la s.r.l. chiusa e la
s.r.l. che fa ricorso indiretto al pubblico risparmio, essendo quest'ultima
abilitata all'emissione di titoli di debito.
Il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.6 applica tali principi
riformando parti assai importanti del libro V del codice civile, più
precisamente il provvedimento di riforma innova sia modificando sia
aggiungendo.
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2. Perché una S.r.l.?
La relazione illustrativa al disegno di legge predisposto dalla
Commissione Mirone , lamenta che, contro la stessa esplicita attesa del
legislatore del 1942, la pratica abbia fatto registrare un notevole
distacco fra schema legale e sua applicazione attraverso un ancora
eccessivo ricorso al modello della società per azioni ed una parallela
marginalizzazione del modello della società a responsabilità limitata,
con la conseguente scarsa adozione dei tipi capitalistici da parte delle
imprese di minori dimensioni, le quali continuano a ingombrare il
terreno delle società di persone.
La s.r.l. nata come società intermedia tra le s.p.a. e le società di persone,
e caratterizzata dall'intuitu personae e dalla limitata responsabilità
personale in realtà non è stata utilizzata per gli obiettivi prefissati in
quanto la disciplina della società a responsabilità limitata fu modellata
sulla disciplina delle società per azioni, così attribuendo all'istituto
rigidità ed oneri eccessivi rispetto al modello economico di riferimento,
soprattutto scoraggiando le imprese di minore dimensione ad adottare, in
fase di iniziale sviluppo, la forma societaria "di capitale".
Effettivamente il codice del 1942 nel disciplinare le s.r.l. e fortemente
ispirato al modello delle s.p.a.. E ciò per quanto riguardava sia la tutela
dei creditori, sia soprattutto nell'organizzazione societaria fondata sulla
separazione fra qualità di socio e potere amministrativo, e sia circa il
regime di circolazione della partecipazione sociale dove sulla
trasferibilità inter vivos e mortis causa della quota era superfluo il
consenso dei soci o della società ai fini del trasferimento (artt. 2484 ss.).
Tali soluzioni che fecero coniare per la s.r.l. l'epiteto di "piccola società
per azioni senza azioni", trovano riscontro nella giurisprudenza,
caratterizzata nei suoi dati da una sostanziale indistinzione tra s.p.a. e
s.r.l..
La riforma prevede, fermo l'idea di una complessiva valorizzazione
dell'autonomia statutaria capace di adattare il modello alle esigenze
6
dell'imprenditore, un tipo s.r.l. regolato in maniera organica e autonoma
e non più mediante la tecnica del rinvio che era stata adottata dalla
disciplina previgente, caratterizzato dall'ampio spazio all'autonomia
privata , dalla libertà delle forme organizzative e per la centralità della
persona del socio.
Tale previsione, auspicata dalla relazione Mirone, consente l'adozione
del tipo s.r.l. non solo da parte delle vecchie stesse s.r.l., ma anche da
S.p.A., cosiddette "chiuse", non intenzionate ad aprire il capitale a
sociale a soci investitori esterni, e da società di persone.
Con la nuova normativa, come andrò a mostrare, la s.r.l. si colloca al
confine tra società di persone e società per azioni non quotate, ed
appare il modello più congeniale all'esercizio e allo sviluppo delle
imprese medie e piccole. Nella legge delega 3 ottobre 2001, n.366
all'articolo 3 troviamo i principi generali della riforma della società a
responsabilità limitata, dove pare rispecchiare l'esigenza emersa in sede
di Commissione di adeguare il diritto societario alle strutture vigenti in
altri Paesi europei e in linea con le direttive comunitarie degli ultimi
anni.
Possiamo quindi riassumere i principi in :
a) Prevedere un autonomo ed organico complesso di norme anche
suppletive, modellato sulla rilevanza centrale del socio e dei rapporti
contrattuali tra soci(art. 3, co. 1, lett. a)
La s.r.l. finalmente ottiene una disciplina autonoma e non più appoggiata
su quella delle società per azioni, individuando nel socio la figura
preponderante, e non più il capitale.
La dottrina da tempo si è soffermata sull'importanza del diritto
suppletivo. Simile importanza da un lato si collega alla sua funzione
anticipatrice della presumibile volontà delle parti, cioè consente un
desiderabile risparmio nelle spese generate dalla necessità di elaborare
determinate soluzioni al livello di clausole contrattuali; dall'altro si
connette alla funzione di orientare l'azione dei privati alla stregua dei
valori propri dell'ordinamento giuridico.
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b) Prevedere un'ampia autonomia statutaria(art. 3, co. 1, lett. b)
La legge fa ora riferimento all'atto costitutivo inteso come "contratto che
disciplina i rapporti tra soci". Il nuovo art.223 disp.att. c.c. prevede
l'adeguamento dello statuto alla nuova disciplina entro il 1° gennaio
2004, mancando questo è inevitabile la paralisi dell'attività sociale.
La previgente normativa disciplinava in modo puntuale la vita sociale
rendendo quasi superflua la redazione di uno statuto. Anche nel silenzio
infatti era facile individuare le norme di funzionamento. L'ampia
autonomia concessa invece dal legislatore della riforma conduce da un
lato a ritenere centrale l'atto costitutivo e dall'altro a rendere
indispensabile una puntuale regolamentazione dell'attività sociale, per
consentire ai soci di creare un "vestito" idoneo alla loro impresa.
Tale carattere negoziale dell'ampia autonomia viene però sminuito, come
sostiene Giuseppe Zanarone, in forza di un più preciso e nel contempo
più complesso progetto di politica legislativa che riguarda il ruolo
dell'ordinamento nel sistema produttivo, interno e internazionale. Ma su
questo mi soffermerò avanti.
c) Prevedere la libertà di forme organizzative nel rispetto del
principio di certezza nei rapporti con i terzi(art.3, comma 1
lett.C)
Il modello della società a responsabilità limitata è pensato dal legislatore
per imprese piccole, a bassa compagine sociale e che non intendono
accedere al mercato dei capitali, cosicché possano beneficiare di una
struttura elastica pur godendo della responsabilità limitata.
Il legislatore quindi ha rivoluzionato la struttura amministrativa e
decisionale della s.r.l. e parallelamente viene rivisto anche il ruolo
dell'assemblea e degli organi di controllo.
In una parola, dunque, la stessa struttura della società è affidata alla
determinazione dei soci medesimi, pur mantenendo un certo livello di
trasparenza, rendendo conoscibili a terzi gli accordi gli accordi trasfusi
nell'atto costitutivo, anche se il continuo richiamo nella legge delega alla
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tutela dei terzi, nel leggere la legge delegata non ha avuto la stessa
insistita risonanza.
Fino all'entrata in vigore di questa legge la s.r.l. veniva considerata e
disciplinata in modo residuale, e cioè alla stregua di una sorella minore
della società per azioni, ma dal provvedimento di riforma vedremo come
il legislatore è andato ben al di là di ciò che tutti si aspettavano, e cioè
di una disciplina che affrancasse la società a responsabilità limitata dalla
tutela della sorella maggiore, perché ha collocato la s.r.l. al centro
dell'intero sistema societario come modello base dell'esercizio collettivo
e individuale dell'impresa. Tutto ciò viene confermato dalle notevoli
innovazioni che vengono attribuite a questo modello societario, che oltre
alle sopraccitate(autonomia statutaria, libertà di forme organizzative,
ecc.) troviamo: la personalizzazione della società a responsabilità
limitata, come valorizzazione del ruolo della persona del socio nella vita
della società; la scomparsa dell'indefettibile tricotomia degli organi
sociali, propria delle società per azioni; la creazione di un tipo di società
che ridimensiona la più classica delle distinzioni dottrinali che sogliono
farsi per meglio inquadrare gli esistenti tipi legali di società, riformando
in maniera radicale il comparto che più di ogni altro ha segnato finora
l'appartenenza dei tipi sociali ad una di tali categorie e ne ha
determinato il conseguente inquadramento, qual' è, come vedremo,
quello dell'organizzazione interna.
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CAPITOLO I
AUTONOMIA STATUTARIA
1. Ambiti dell'autonomia
Rispettando la legge delega 3 ottobre 2001, n.366 (art. 3, comma 1,
punto b) che prevedeva nei principi generali ispiratori della s.r.l. "un
ampia autonomia statutaria", ai soci è infatti concessa la libertà di
scegliere fra i modelli organizzativi alquanto diversi tra loro e di
ritagliarsi l'assetto più confacente alle loro esigenze, con una
significativa riduzione di vincoli imposti da norme inderogabili.
Gli spazi concessi dal legislatore ai soci pongono però problemi
interpretativi circa il loro ambito. Infatti, le prime domande che sorgono
riguardano questi spazi ritagliati all'autonomia privata e quali criteri
permettono all'autonomia di muoversi liberamente nella costituzione
della società.
Per meglio comprendere gli ambiti di autonomia la dottrina ha provato a
classificare tali spazi
1
.
a) La scelta da parte dei soci di un profilo proprio del modello
personalistico.
Molto spesso il legislatore prevede una disciplina che ricalca il modello
capitalistico, ma consente ai soci di adottare una differente soluzione,
coincidente o con le regole proprie delle società di persone, o con la
possibilità di deroga in sede costitutiva.
1
V. Cagnasso, O.: «Ambiti e limiti dell'autonomia concessa ai soci della nuova società a
responsabilità limitata», Le società n. 2bis/2003, p.368.
10
b) La scelta da parte dei soci di un profilo proprio del modello
capitalistico.
La prospettiva può apparire anche rovesciata quando il legislatore
nell'ottica della valorizzazione dei soci detta regole di carattere
personalistico che possono essere derogate, con l'adozione di una scelta
improntata al modello capitalistico.
c) La scelta da parte dei soci di un profilo tipico della società per
azioni.
Innovazione di notevole portata è la possibilità data dal legislatore ai
soci di ricorrere indirettamente al mercato di capitale di rischio. In
questo caso la nuova s.r.l. si avvicina maggiormente alla S.p.A. rispetto
alla "vecchia" società, per cui valeva il divieto di emissione di
obbligazioni. Sebbene tale novità la società può emettere titoli di debito
solo in virtù di un'espressa previsione in tal senso contenuta nell'atto
costitutivo.
d) L'ampliamento nell'atto costitutivo di fattispecie legali
In alcuni casi il legislatore prevede, con norme inderogabili, una
particolare fattispecie consentendo ai soci di ampliarne il contenuto.
Come nel caso del recesso che oltre alle fattispecie legali è consentito ai
soci di delineare nuove ipotesi.
e) La delega all'autonomia privata
Alcuni profili sono delegati espressamente o implicitamente ai soci in
sede di redazione dell'atto costitutivo. Esempio riscontrabile sembra
quello con riferimento al procedimento di esclusione applicabile nelle
ipotesi previste nell'atto costitutivo.
f) Semplificazioni e specificazioni
L'ambito di autonomia concesso ai soci può consistere nella possibilità
di semplificare un procedimento o nell'inserire specificazioni.
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Tal classificazione aiuta a meglio comprendere la fisionomia
dell'autonomia, ma ovviamente non risponde completamente a tutti quei
problemi riguardanti la mancata utilizzazione degli spazi concessi a soci.
Sicuramente i problemi maggiori nascono con riferimento all'ipotesi in
cui il legislatore deleghi le scelte all'autonomia dei soci, qualora i questi
non abbiano riempito lo spazio a loro lasciato. In tal caso è scontato dire
che si ricorrerà ad una delle due società tipo su cui è strutturata la s.r.l.
e cioè o la S.p.A. per una visione più capitalistica, o la società di
persone, in base a quale delle due opzioni è stata effettuata dai soci in
sede di atto costitutivo.
Non mi pare condivisibile la teoria consistente nell'estrapolare regole
dalla stessa disciplina della società a responsabilità limitata in quanto
non ci sarebbe un riferimento concreto da applicare.
2
2
Per tale teoria vedi Cagnasso, O.: «Ambiti e limiti dell'autonomia concessa ai soci della nuova società a
responsabilità limitata», Le società n. 2bis/2003, p.370.
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2. Limiti dell'autonomia statutaria
Gli ampi spazi che questa riforma ha donato all'autonomia privata che
già sono stati osservati e classificati, permettono in sede costitutiva lo
svilupparsi determinate attività creando quel "vestito" più confacente
alle esigenze dei singoli soci.
La varietà degli "ambiti d'autonomia" è tale da far dubitare se sia ancora
possibile riassumere sotto un unico nomen juris società statutariamente
assai variegate, che stravolgono il concetto stesso d'elasticità del tipo
societario s.r.l.. In altri termini se si possa ancora parlare di tipizzazione
legislativa, laddove la regolamentazione è stata delegata ai soci
3
.
Vorrei però fare un passo indietro ed evidenziare i confini che
l'autonomia statutaria non può valicare. In tale prospettiva è dato
individuare, quanto meno in prima approssimazione, tre diversi ordini di
limiti, discendenti rispettivamente dai caratteri essenziali del tipo
società a responsabilità limitata, dall'esistenza di specifiche norme
inderogabili e dall'esistenza di principi, pur essi inderogabili.
4
Passiamo ora a rilevare le influenze dei tre limiti sulla nuova società a
responsabilità limitata.
3
Spanò, E.: «Prime riflessioni sulla nuova s.r.l.», Le società n. 9/2003, p.1184.
4
Ibba, C.: «I limiti dell'autonomia statutaria», Quaderni di giurisprudenza
commerciale n. 255, "La nuova s.r.l.", p. 43.
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2.1. Tipicità
Questo primo limite discende dall'esigenza di rispetto del tipo
predisposto ed è costituito dal "norme identificative della fattispecie", la
cui violazione era finora destinata a sfociare o nella nullità della
clausola d'incompatibilità col tipo o nella nullità della società o nella
sua riqualificazione in altro tipo societario.
Sotto questa visuale sono tre le innovazioni apportate dalla riforma.
La prima riguarda la scomparsa della nozione di s.r.l. nella rubrica della
disposizione d'apertura del capo dedicato al tipo in questione, scomparsa
dalla quale si desume il venir meno del valore definitorio della norma.
La seconda, molto più incidente, è costituita dall'elasticità del tipo
"s.r.l.", che proprio per effetto dell'ampliamento dell'autonomia
statutaria permette l'inserimento nell'atto costitutivo di clausole che
sembravano inconcepibili fino a pochi mesi fa.
La terza riguarda la soppressione della causa di nullità consistente nella
"mancanza dell'atto costitutivo" (art. 2332, n. 1, c.c.), nella quale un
diffuso convincimento faceva rifluire le ipotesi di atipicità non
risolvibili con l'eliminazione della clausola incompatibile col tipo.
5
2.2. Imperatività
Nelle società di capitali tradizionalmente prevalgono le norme cogenti
rispetto alle disposizioni derogabili, mentre queste ultime caratterizzano
le società di persone.
Da questo punto di vista, ampliamento dell'autonomia statutaria significa
riduzione delle norme imperative presenti nello statuto legale della
società a responsabilità limitata.
Più precisamente, la riduzione dell'area dell'imperatività permette
l'espansione di quell'area lasciata ai soci della s.r.l., maggiormente sia
rispetto alla S.p.A., sia rispetto alla stessa "vecchia" società a
responsabilità limitata.
5
Sciuto, M.: La mancanza dell'atto costitutivo di società per azioni, Padova, 2000.
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Il problema che si pone all'interprete è preliminarmente quello di
accertare quale norme siano da considerarsi imperative e quali no;
problema non di immediata soluzione dato che il legislatore non pare
aver adottato tecniche di redazione delle norme univoche, avendo
esplicitato talvolta l'ammissibilità(cfr. art. 2475, co. 1), talvolta
l'inammissibilità di una regolamentazione statutaria difforme da quella
legale (v. art 2479, co.2 in tema di competenza riservata ai soci), e
avendo lasciato aperto il dubbio in questione.
Malgrado ciò, il dichiarato favore della riforma per l'autonomia
statutaria ci suggerisce l'interpretazione secondo cui nel nuovo diritto
delle società a responsabilità limitata si potrebbe parlare d'imperatività
solo in presenza di esplicita previsione legislativa in tal senso, col
presupposto della liceità di tutto ciò che non è espressamente proibito.
6
È anche possibile che esistano ambiti disciplinari dove gli interessi in
ballo siano meritevoli di una tutela maggiore, quindi imperativa,
all'interno dei quali non operi tale presunzione, e il riferimento induce a
pensare agli istituti di protezione dei soci di minoranza.
6
In questi termini non è esattamente corretto, dato l'esame di varie disposizioni. Ad esempio nella norma
che regola i poteri individuali di controllo dei soci, contenuta nell'art. 2476, co. 2, c.c.: la norma non
dichiara la propria imperatività e addirittura omette di riprodurre la previsione del vecchio art. 2489,
secondo cui "è nullo ogni patto contrario" (al riconoscimento dei diritti di controllo); ma, nonostante ciò,
svariati argomenti inducono a reputare certa la sua imperatività. È dunque da escludere la correttezza di
un "automatismo interpretativo" che faccia discendere la derogabilità semplicemente dalla mancanza di
un divieto espresso; automatismo che assicurerebbe la prevedibilità e la certezza delle soluzioni, ma non
la loro congruenza rispetto agli interessi di volta in volta implicati. Per l'automatismo interpretativo vedi
Parrella, F.: « Commento all'art. 2476», in La riforma delle società, a cura di Sandulli M. e Santoro V.,III,
Torino, 2003, p. 125.