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INTRODUZIONE
È tempo di grandi trasformazioni. La tradizione abbandona la sua forma e plasma
il suo avvenire cavalcando un profondo rinnovamento. È l’avanguardia tecnologica a
dettare la rotta del cambiamento e imperturbabile regge il timone di un amato e odiato
progresso. Per la prima volta nella sua storia l’America’s Cup si sveste del suo
tradizionale abito conservatore e abbraccia la logica dell’Universale. Non più diletto per
privilegiati cultori, ma spettacolo per la Prima Serata. L’era dei marinai su affascinanti
velieri pare già leggenda, ed è l’alba di una nuova concezione di protagonisti, quasi più
simili a super atleti con in pugno il timone nervoso di un fuoriclasse tecnologico.
È tradizione che incontra tecnologia. È il passato, la storia che riscrive il suo
avvenire reinventandosi in un nuovo dipinto.
E Venezia non rimane spettatrice di fronte al nuovo orizzonte, cullata nella sua
leggenda prova a pennellare per sé e per il suo compimento una nuova primavera,
abbracciandosi all’avanguardia che pare nata per salvarla. Il peso della storia lascia il
posto alla tecnica e il mare che ha visto Venezia nascere, torna ad accarezzarla. Ispirata
dalla sua vocazione indissolubilmente ancorata al vento e all’acqua, la città del Leone
Alato ha voluto accogliere il progresso della moderna tecnologia.
La storia si lega al proprio futuro, dunque e l’Arsenale guarda al suo passato con
la serena coscienza di un nuovo cammino. Ormai rassegnato all’oblio e al nostalgico
ricordo di un trascorso leggendario e colmo di brillante vivacità, il glorioso Arzanà si è
lasciato andare tra le rassicuranti braccia di un nuovo disegno e si è trovato ad essere il
primo attore sul palco di una moderna scena. Ridestato dal suo torpore, ha saputo
condurre in modo magistrale la difficile interpretazione.
Il matrimonio tra Venezia e la Coppa America pareva già scritto nel Segno. Il
passato li aveva già avvicinati quando Il Moro riuscì a entrare nella storia dell’una e
dell’altra, ma lo scorrere del tempo pareva averli resi sconosciuti.
Il connubio celebrato nel maggio del 2012 è arrivato come un’onda di
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rinnovamento per Venezia, capace di riattivare la linfa economica e organizzativa utile
per promuovere progetti fermati dall’inerzia e dal processo burocratico. L’Arsenale ad
esempio, coinvolto in un programma decennale di forte riqualificazione urbana, che
solo negli ultimi anni ha visto la sua evoluzione accelerarsi, è stato capace di rendersi
protagonista e farsi bello di fronte alla scena internazionale. Il tutto inserito in una
cornice di avanguardia tecnologica, con il sistema MOSE a tessere le fila.
Per America’s Cup l’evento veneziano delle World Series è valso da palcoscenico
promozionale ed è stato sviluppato interamente sugli elementi comuni condivisi dalle
due parti del matrimonio. È questione recente, per la storica Coppa, il suo profondo
rinnovamento. Condividere questa svolta epocale su un palco che vive una tradizione ed
un avvenire simili è stata la leva per il buon successo del connubio.
Solo le logiche affaristiche hanno impedito la seconda riuscita dell’unione, ma il
futuro è ancora tutto da scrivere e le occasioni per incontrarsi di nuovo, Venezia e la
Coppa d’argento, sapranno tesserle. L’una e l’altra in una nuova veste.
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CAPITOLO I
1. L’AMERICA’S CUP
Dopo America chi è il secondo?… Non c’è secondo, Maestà…
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REGINA VITTORIA del Regno Unito
• LE ORIGINI
La storia dell’America’s Cup ebbe
origine nel 1850, quando Alberto di
Sassonia-Coburgo-Gotha, principe consorte
del Regno Unito d’Inghilterra, decise di
patrocinare una fiera mondiale organizzata
per celebrare e promuovere la magnificenza
dell’Impero Britannico. Tra le numerose
cerimonie previste, non poterono mancare i
duelli velici, sfide accessibili ai marinai di
tutti i paesi dove il Regno Unito aveva
autorità e influenza. A quell’epoca
l’Inghilterra era considerata la Regina dei
Mari e con la sicurezza della vittoria,
competere in sfide di vela arricchiva la sua
autocelebrazione. Fra i vari paesi furono
dunque invitati anche gli americani con un
formale invito affidato al duca di Wilson del
1 M. Oriani, Coppa America la vera storia, Panama Editore, Milano 2006, p.26-27. Fu questa la domanda che
secondo la leggenda la Regina Vittoria del Regno Unito pronunciò quando vide la goletta America vincere in
solitaria la Coppa delle Cento Ghinee.
La Coppa delle Cento Ghinee
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Royal Yacht Club Squadron di Cowes ed inviato al New York Yacht Club, fondato da
John Cox Stevens. Gli americani dal canto loro, sicuri dell’avanguardia della loro
nautica rispetto a quella inglese, tradizionale e obsoleta, accettarono l’invito senza
troppi indugi.
America, questo il nome della goletta scelta per l’avventura, il ventun giugno del
1851 salpò da Hoboken con tredici uomini d’equipaggio e il comandante Dick Brown
verso il Vecchio Continente dove vi arrivò dopo un viaggio di circa un mese. A seguito
di varie resistenze da parte inglese, dovute a ben nascosti timori di sfigurare in un
confronto con i cugini d’oltre oceano, venne infine indetta una regata aperta a chiunque
che dava come premio
una vecchia brocca di
argento del valore di
cento ghinee (circa
cento sterline) opera
di Robert Garrard,
argentiere della
Regina. La coppa, dal
peso di circa quattro
chili e dall’altezza di
ottantun centimetri,
venne messa in palio
per la regata con un
premio aggiuntivo di
cento ghinee.
Venerdì ventidue agosto 1851 a Cowes, nel nord dell’Isola di Wight venne dato il
colpo di cannone che sancì il via alla Coppa delle Cento Ghinee che vide quindici
barche regatare, tutte inglesi tranne America. La sfida fu giocata su un percorso stabilito
attorno all’Isola di Wight in senso orario con arrivo di nuovo a Cowes. Dopo dieci ore e
trentasette minuti, America tagliò il traguardo per prima seguita dall’inglese Aurora con
diciotto minuti di ritardo. Le altre imbarcazioni arrivarono con ore di ritardo o si
ritirarono definitivamente.
“Nasce così la leggenda […] di Sua Maestà che chiede al comandante del suo
America
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yacht «…dopo America chi è il secondo?…» e si sente rispettosamente quanto
melanconicamente rispondere «…non c’è secondo, Maestà…»”
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.
La vittoria americana fu più di una sconfitta per il Regno Unito, fu l’emblema di
una nuova epoca, iniziò a percepire e ad avvertire negli equilibri mondiali una posizione
via via corrosa dalla nascente potenza americana.
La Coppa delle Cento Ghinee venne portata a New York e Stevens e gli altri
vincitori di America decisero di donarla al New York Yacht Club l’otto luglio del 1857
attraverso un atto di donazione, il Deed Of Gift, che fissò precisi vincoli. La coppa
venne ribattezzata Coppa America, in onore della gloriosa goletta e venne deciso di
renderla un trofeo internazionale, premio di una competizione amichevole tra le nazioni.
George L. Schuyler, l’ultimo armatore di America ancora vivo, nel 1887 rielaborò
l’atto nella sua versione definitiva che venne depositava presso la Corte Suprema dello
Stato di New York il ventiquattro ottobre 1887. Con il Deed of Gift nacque così
l’America’s Cup che ne ha fatto la sua Costituzione ancor oggi in vigore.
La Coppa America rappresenta oggi il più antico trofeo sportivo al mondo per cui
ancora oggi si compete. Da quando la Coppa venne vinta dal New York Yacht Club, il
Regno Unito cercò incessantemente di riportarla sul suolo britannico, ma non riuscì
mai. Fra i valorosi che tentarono di battere l’egemonia statunitense fu illustre lo
scozzese Sir Thomas Lipton, il Barone del Tè che tra il 1899 e il 1930 lanciò per cinque
volte il guanto si sfida per l’ambita Coppa, tutte e cinque con i suoi yacht dal nome
Shamrock. Uscì dai duelli sempre sconfitto ma solo sportivamente parlando, non per la
pubblicità che queste generavano sulla sua compagnia, rinomata ancora oggi. Fu infatti
il primo che fiutò il business delle sponsorizzazioni nel mondo dello sport e il primo ad
introdurle.
L’egemonia statunitense, con il New York Yacht Club, rimase imbattuta per
centotrentadue anni, la serie vincente più lunga mai realizzata nello sport. Per
venticinque sfide consecutive nessuno riuscì mai a battere i campioni dello Yacht Club
newyorkese e a vincere l’America’s Cup. Fu soltanto nel 1983 che l’imbattibilità degli
Stati Uniti venne rotta per la prima volta e a riuscirci fu Australia II del Royal Perth
Yacht Club di Perth nell’ovest dell’Australia. La Coppa tornò però negli Stati Uniti già
2 Ibidem.
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nell’edizione successiva del 1987 con l’americana Stars & Stripes 87 del San Diego
Yacht Club, con al timone Dennis Conner, lo stesso skipper che perse la finale nella
storica edizione precedente.
Il dominio statunitense sull’America’s Cup venne battuto solo cinque volte
nell’arco di centosessantadue anni di storia della competizione ad oggi, rendendo il
trofeo velico il più difficile da conquistare al mondo. La prima volta nel 1983
dall’australiana Australia II con al timone John Bertrand, in seguito per tre edizioni
consecutive, nel 1995 dalla neozelandese Team New Zealand, nel 2000 con l’italiana
Luna Rossa, che batté America One nella Louis Vuitton Cup, nel 2003 con la svizzera
Alinghi contro BMW Oracle Racing sempre nella stessa coppa e nel 2007 nelle
semifinale della Louis Vuitton Cup, quando Luna Rossa riuscì ad avere la meglio su
BMW Oracle Racing che riportò il trofeo negli Stati Uniti tre anni dopo nella 33
esima
America’s Cup contro la svizzera Alinghi.
Fino alla fine degli anni sessanta, a lanciare il guanto di sfida al Defender (il
detentore della Coppa), era un solo Yacht Club. Nel 1970 ci fu una novità, la sfida fu
lanciata da più di un Challenger (sfidante). Venne così organizzata una nuova
manifestazione velistica tra gli sfidanti, il cui vincitore avrebbe avuto il diritto a
competere per l’America’s Cup. Dal 1983 la multinazionale francese Louis Vuitton
strinse un accordo di sponsorizzazione con America’s Cup e diede il proprio nome alla
regata di selezione degli sfidanti che da allora fu battezzata Louis Vuitton Cup. Il
Challenger capace di vincerla era dunque lo sfidante più forte possibile e guadagnava il
diritto a contendersi la Coppa America con il Defender.
A tutt’oggi sono solo quattro le nazioni che nella storia sono riuscite a conquistare
l’America’s Cup. Oltre agli Stati Uniti, infatti, sono entrate nella leggenda solo
l’Australia, la Nuova Zelanda e la Svizzera.
L’Italia non è mai riuscita a conquistarla nonostante diversi tentativi. La prima
volta che uno Yacht Club italiano si presentò come sfidante fu nel 1983 con Azzurra
dello Yacht Club Costa Smeralda che però non andò oltre le semifinali della Louis
Vuitton Cup. Nel 1987 fu la volta di Italia dello Yacht Club Italiano che si fermò al
settimo posto della Louis Vuitton Cup. Successo maggiore lo ebbe invece il Moro di
Venezia dell’imprenditore Raul Gardini con l’appoggio dello Yacht Club Compagnia
della Vela che nel 1992, con al timone Paul Cayard, riuscì ad aggiudicarsi la Louis
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Vuitton Cup battendo in finale i neozelandesi di New Zealand Challenge. Fu però
sconfitta da America
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nella finale di America’s Cup e la Coppa tornò negli Stati Uniti.
Nel 2000 nacque invece l’esperienza di Luna Rossa dall’idea dell’imprenditore
Patrizio Bertelli supportato nell’avventura dallo Yacht Club Punta Ala che lanciò la
sfida al Royal New Zealand Yacht Squadron, detentore dell’America’s Cup, il ventuno
aprile 1997. Luna Rossa vinse la Louis Vuitton Cup il sei febbraio del 2000, battendo in
una finale passata
alla storia come
una delle più
entusiasmanti, gli
americani di
America One,
timonata proprio
da Paul Cayard
che era entrato
nella storia otto
anni prima con Il
Moro di Venezia.
La vittoria in
Louis Vuitton Cup
consentì a Luna
Rossa di accedere
in finale di
America’s Cup e il venti febbraio del 2000 si disputò la prima regata contro i
neozelandesi di Black Magic. Il percorso di Luna Rossa fu subito difficile, la superiorità
degli avversari fu evidente fin dalle prime virate e lo scafo italiano dovette chinarsi al
dominio dello scafo neozelandese. L’ultima finale di America’s Cup del millennio, fu
conquistata da Black Magic che su cinque regate da disputare le vinse tutte. L’avventura
per Luna Rossa fu comunque memorabile e destò subito l’interesse e l’entusiasmo
internazionale.
Nello stesso anno fu di nuovo lo Yacht Club Punta Ala a divenire Challenger of
Record (così viene chiamato lo Yacht Club che per primo lancia la sfida ed acquisisce
Luna Rossa contro Black Magic
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quindi il diritto a rappresentare il sindacato degli sfidanti) e l’edizione successiva
dell’America’s Cup fu organizzata nel 2003. Tra gli sfidanti si fece avanti anche un
altro Yacht Club italiano, il Club Nautico di Roma che promosse la sua candidatura con
Mascalzone Latino. La Louis Vuitton Cup (ed anche l’America’s Cup) fu però vinta
dalla svizzera Alinghi, lasciando Luna Rossa in semifinale.
Nel 2007 le cose andarono meglio e Luna Rossa riuscì a battere la statunitense
BMW Oracle in seminfinale di Louis Vuitton Cup. Fu il primo scafo italiano ad
accedere per due volte in finale dove trovò però i rivali storici di Team New Zealand
che dominarono la sfida esattamente come successe sette anni prima ad Auckland. Oltre
a Luna Rossa nell’edizione del 2007 parteciparono anche altri due scafi italiani. Il
primo, Mascalzone Latino rappresentato dal Club Nautico di Roma e il secondo +39
Challenge del Circolo Vela Gargnano. Entrambi però non ebbero successo e si
classificarono rispettivamente al sesto e al nono posto della Louis Vuitton Cup su undici
partecipanti.
Il tre agosto 2007 Bertelli annunciò di voler ritirare Luna Rossa dalla storica
Coppa, non avrebbe quindi partecipato alla 33
esima
America’s Cup. Dichiarò che il ciclo
della storica Luna si era ormai esaurito. Il nove dicembre del 2008, però tornò sui suoi
passi e decise di iscrivere la barca alla competizione con il guidone dello Yacht Club
Punta Ala. La 33
esima
America’s Cup del 2010, però si giocò in modo anomalo e con un
solo sfidante, il Challenger of Record BMW Oracle Racing. La finale contro il defender
Alinghi fu vinta dall’imponente trimarano statunitense.
Il percorso di Luna Rossa, interrotto nell’edizione del 2010, è ripreso in
preparazione alla 34
esima
America’s Cup, in programma a San Francisco nell’estate del
2013 con in nuovi catamarani AC72. Durante il 2011, 2012 e il 2013 lo scafo italiano ha
partecipato ad una nuova serie di regate organizzate da America’s Cup con diverse
tappe in tutto il mondo, le World Series. Queste regate di preparazione alla Louis
Vuitton Cup, che però non concorrono a determinarne la classifica, sono arrivate anche
in Italia e a Venezia nel maggio del 2012.