1.1
La società dello spettacolo e lo spettacolo delle merci
Pochi mesi prima dello scoppio delle contestazioni sociali e culturali del 1968, Guy
Debord, all'epoca giovane pensatore e filosofo francese, pubblica nel novembre del
1967 quello che diventerà il suo saggio più noto e discusso: La Società dello
Spettacolo.
Il titolo nasce dalla definizione, poi passata alla storia, che l'autore dà della società a
lui contemporanea, ovvero quella europea del secondo dopoguerra.
Appassionato studioso delle opere di Hegel e Marx, Debord prende in prestito e
rielabora proprio l'incipit del suo testo fondamentale, Il Capitale:
La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si
presenta come una “immane raccolta di merci” [...].
1
e lo trasforma in:
Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si
presenta come un'immensa accumulazione di spettacoli.
2
e aggiunge:
Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.
3
Precorrendo i tempi, già alla fine degli anni Sessanta, Debord intuisce come nella
società contemporanea il rapporto tra gli individui, la realtà e la percezione che essi
hanno della loro vita quotidiana, hanno subíto una torsione, divenendo oggetto della
mediazione delle immagini e degli stimoli visivi che si diffondono ovunque nel tessuto
1
Karl Marx, Il Capitale, Roma, Editori Riuniti, 1994, p.67
2
Guy Debord, La società dello spettacolo, Milano, Baldini&Castoldi, 1997, p.53
3
Ivi
17
sociale.
Lo spettacolo, nel senso di Debord, non coincide dunque solo con la profusione di
immagini, ma è qualcosa di molto più sottile e potente: è la struttura sociale
contemporanea nel suo essere più profondo. Non si tratta di un unico settore della
società, ma del settore per eccellenza, di un'unità di significato in grado di contaminare
e dominare tutto il sistema economico.
Tutto ciò avviene in quanto il capitale ha raggiunto un tale grado di accumulazione da
diventare esso stesso immagine; ha infatti perso le connotazioni oggettive che fino a
quel momento lo avevano identificato in oggetti concreti quali le merci prodotte
dall'industria, e si è trasformato in immagine, rappresentazione di se stesso.
Le mercificazione smisurata, già paventata da Marx, raggiunge qui il suo apice: la
quantità e la varietà delle merci a disposizione sul mercato hanno seguito una crescita
esponenziale che ha frammentato la società in un numero incalcolabile di oggetti, i
quali ritrovano nell'immagine l'unica possibile forma di unità, l'unico punto di
riferimento in un sistema di valori disordinato e confuso.
Se “lo spettacolo si presenta come un'enorme positività indiscutibile e inaccessibile”
4
,
all'individuo non resta altro che affidarsi ciecamente ad esso, in quanto l'immagine è
l'unica in grado di condurlo per mano nel sovraccarico di merci e nella confusione che
caratterizzano la nostra epoca, punto di arrivo di un percorso in cui l'essere è stato
sostituito prima dall'avere e ora dall'apparire.
È evidente che una trattazione tanto pessimista e critica delle caratteristiche che
distinguono la nostra epoca dalle precedenti, quale quella proposta da Debord, ben si
adatta al contesto culturale, sociale e politico in cui è nata; tuttavia, alla luce di quanto
è avvenuto nella società occidentale dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri, il
pensiero critico contemporaneo ha saputo interrogarsi intelligentemente su numerose
questioni che riguardano la società, ed elaborare diverse, ma altrettanto solide ed
efficaci, teorie.
Ciò nonostante, il pensiero di Debord risulta fondamentale per avere introdotto l'idea
di spettacolo ed avere sottolineato per la prima volta quanto l'aspetto visivo della
4
G. Debord, op. cit., p.56
18
comunicazione sia preponderante nell'attuale società dei consumi, sia per ciò che
riguarda la pura speculazione teorica, sia all'interno delle pratiche di consumo che ogni
giorno coinvolgono le persone.
Il concetto di “società dei consumi” non è nuovo: tutti ne parlano ma pochi lo
definiscono con chiarezza. Generalmente, con tale termine, si è soliti identificare un
incremento dell'importanza dell'atto del consumo, piuttosto che della fase produttiva,
all'interno delle strutture di mercato che si sono andate definendo nelle società
capitalistiche a partire dalla seconda metà del Novecento, coincidente
approssimativamente con la fine della Seconda Guerra Mondiale ed alla conseguente
ripresa economica che ha caratterizzato gli anni subito successivi.
Se, dunque, non ci sono dubbi nell'accettare che proprio durante il secondo
dopoguerra, la società dei consumi si sia affermata in tutta la sua pienezza, è
interessante constatare come, tra gli studiosi che si occupano del tema, ci sia
discordanza in merito ad una definizione univoca del periodo storico in cui essa sia
nata.
Vanni Codeluppi è molto chiaro in merito, affermando prontamente che la società dei
consumi è nata alla fine del XIX secolo quando
il modo capitalistico di produzione, che sino a tale momento dominava quasi esclusivamente
sul solo settore dei beni di produzione mentre il settore dei beni di consumo e dei beni
indirizzati alla classi lavoratrici dipendeva soprattutto dall'agricoltura e dalla piccola
produzione artigianale, viene esteso anche al nuovo settore dei beni di consumo, con
conseguenti grandi innovazioni tecnologiche e distributive. È non a caso sempre in questo
periodo, inoltre, che larghi strati di popolazione rurale si modernizzano e si recano per la
prima volta a vivere nelle nascenti grandi città, le quali si gonfiano così a dismisura e
assumono le sembianze di enormi agglomerati urbani spaventosi e malsani, dove i modelli di
comportamento e di vita dei soggetti non sono più correlati ai ritmi umani e naturali, ma ai
ritmi accelerati del consumo metropolitano.
5
Per quanto solida e fondata sia l'argomentazione di Codeluppi, si reputa utile in questa
5
Vanni Codeluppi, Consumo e comunicazione. Merci messaggi e pubblicità nelle società contemporanee,
Milano, Franco Angeli, 1989, p.28
19
sede approfondire l'argomento, vagliando le ipotesi di altri studiosi, sulla traccia che
Roberta Sassatelli propone nel suo testo Consumo, cultura e società
6
.
Sassatelli suddivide le teorie di alcuni autori in due diverse ipotesi:
la prima ipotesi, definita produzionista, sostiene, in linea con quanto affermato
da Codeluppi, che la società dei consumi nasce in seguito alla Rivoluzione
Industriale, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, quando la produzione
delle merci assume i caratteri della standardizzazione e della produzione seriale,
con conseguente diminuzione del valore di scambio (in altre parole, il prezzo di
vendita) e maggiore accessibilità da parte di un pubblico più ampio e quindi non
più solo benestante. L'ipotesi produzionista considera dunque la società dei
consumi come una conseguenza culturale ad una trasformazione di tipo
economico;
la seconda ipotesi, che Sassatelli definisce antiproduzionista, ritiene che alcuni
aspetti caratteristici della cultura del consumo siano già evidenti in epoche
precedenti alla Rivoluzione Industriale; per esempio, già a partire dalla seconda
metà del XVII secolo (dunque circa un secolo prima dell'ipotesi produzionista)
e durante tutto il XVIII, l'acquisto da parte di classi sociali ampliate, di merci
provenienti dalle colonie, ma anche di oggetti d'arredamento per la casa e per la
cura personale, possiede alcune delle caratteristiche che troveranno poi
successivo sviluppo negli anni successivi. A conferma dell'ipotesi, vengono
proposte le teorie di alcuni studiosi, i quali offrono spiegazioni a sostegno di
suddetta visione.
Neil McKendrick sostiene che nel tentativo di emulazione della classe
borghese verso lo status della nobiltà, attraverso l'acquisto di oggetti di lusso,
originato dalla naturale inclinazione dell'uomo ad imitare chi ha il potere,
risiedono le premesse della Rivoluzione Industriale.
Colin Campbell ritiene che sia una nuova cultura “edonista”, affiorata sul finire
6
Roberta Sassatelli, Consumo, cultura e società, Bologna, Il Mulino, 2004
20
dell'Ottocento, ad essere anticipatrice delle forme del consumo moderne.
L'autore parla, infatti, di un edonismo non del corpo ma della mente, sempre
teso alla ricerca dell'oggetto nuovo, il quale, una volta esperito, è pronto a
lasciare il posto ad altri oggetti, in una successione senza fine. Il godimento
deriva dunque non dalla possessione concreta dell'oggetto, ma dalla fantasia di
possessione che si crea su di esso, dal significato che vi si associa.
Infine, Jan De Vries, in una concezione più pratica che riunisce produzione e
consumo come due aspetti della stessa medaglia, ritrova le origini della
società dei consumi già durante il XVI secolo, quando lo scambio monetario
si fa più libero e modifica gli atteggiamenti delle famiglie, che sempre meno
si attengono all'orientamento tradizionale di conservazione e gestione della
scarsità.
Oltre agli intellettuali appena citati, molti altri hanno dato la loro interpretazione, più o
meno suggestiva, sull'origine dell'attuale società dei consumi; tuttavia, va riconosciuto
che i fattori che hanno concorso nelle epoche a formare tale realtà, sono stati numerosi
ed hanno operato gradualmente e congiuntamente fino ad oggi.
Tali fattori si sono poi succeduti uno dopo l'altro, intersecandosi a più riprese con la
linea seguita dall'evolversi della società dello spettacolo, e hanno delineato quella che
Codeluppi magistralmente definisce, nel suo testo fondamentale Lo Spettacolo della
Merce, la vetrinizzazione della società.
Si è già detto che Codeluppi rileva l'origine di tale processo nelle trasformazioni
apportate dalla Rivoluzione Industriale; a partire da tale momento storico, si assiste ad
una progressiva “spettacolarizzazione” che coinvolge le merci contemporanee. Per
“spettacolarizzazione” l'autore intende:
un processo di progressiva trasfigurazione dei caratteri puramente funzionali che consente
[alle merci] di assumere dei precisi significati simbolici e culturali e soprattutto una seducente
“aura”.
7
7
Vanni Codeluppi, Lo spettacolo della merce. I luoghi del consumo dai passages a Disneyworld, Milano,
Bompiani, 2000, p.1
21
Ancora una volta, sono l'immagine e l'immaginazione i perni su cui ruota il
cambiamento; alle merci si è imposta dunque la necessità di essere sempre più visibili
allo spettatore-consumatore, di colpirlo, stordirlo, entusiasmarlo, divertirlo,
sorprenderlo, coinvolgerlo. Per fare ciò, esse hanno modificato non solo le proprie
caratteristiche fisiche, rendendo più attrattivo il proprio design, ma hanno sfruttato le
potenzialità offerte da alcuni luoghi, i quali sono stati trasformati in veri e propri
palcoscenici su cui esibire lo spettacolo della merce.
8
Infine, occorre definire il concetto di merce.
Codeluppi sostiene che la merce sia un oggetto paradossale: essa infatti vive sia nello
spazio pubblico che in quello privato ed ha, al tempo stesso, una natura individuale ed
una collettiva. In quanto acquistata dal singolo individuo, la merce trova una delle sue
ragioni essenziali nel soddisfacimento dei bisogni del singolo: essa deve infatti
rispondere in primo luogo ad una serie di caratteristiche che il consumatore ritiene
necessarie per se stesso.
Tuttavia è essenziale che essa sia dotata anche di un significato che la mantenga
comprensibile all'interno della rete sociale dei valori condivisi, che le permetta di
essere riconoscibile pubblicamente, soprattutto prima che il soggetto l'acquisti e la
trasferisca dunque sul piano del privato.
Ciò che però è enormemente rilevante sul piano pubblico è il concetto di “supermerci”
ovvero
particolari architetture collettive principalmente adibite ad attività legate all'acquisto, che
contengono al loro interno migliaia di merci e hanno assorbito da queste la loro stessa natura
auto promozionale.
9
Le supermerci sono dunque i luoghi caratteristici della forma più evoluta della società
dei consumi e rappresentano il punto di intersezione fra la società dello spettacolo e lo
spettacolo delle merci; sono luoghi in cui il senso del reale si perde a favore di
un'immersione nello spettacolo simulato. Le supermerci di Codeluppi rientrano quindi
8
Si rimanda alla trattazione dei luoghi del consumo nel secondo capitolo, in particolare al paragrafo 2.2
9
V . Codeluppi, Lo spettacolo della merce, cit., p.5
22
nella più generale definizione di “nonluogo” dell'antropologo francese Marc Augé, il
quale, con tale termine, ingloba
le vie aeree, ferroviarie, autostradali e gli abitacoli mobili detti mezzi di trasporto (aerei, treni,
auto), gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le
strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali e infine, la complessa matassa di reti
cablate senza fili che mobilitano lo spazio terrestre.
10
La varietà di spazi elencata dall'autore si trova accomunata nella contrapposizione di
tali strutture al luogo antropologico tradizionale, il quale ha caratteristiche di fisicità e
forte attaccamento alla cultura in cui ha origine, ben radicato sul territorio ed in un
contesto storico e sociale preciso, permettendo dunque all'individuo di riconoscersi o
meno in esso, sia a livello di identità personale che collettiva.
Le parole di Augé sono molto dure in questo senso:
Se un luogo può definirsi identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né
identitario, né relazionale, né storico, definirà un nonluogo.
11
e ancora:
Lo spazio del non luogo non crea né identità singola, né relazione, ma solitudine e
similitudine.
12
Tuttavia, Codeluppi osserva come in realtà questo non sia del tutto vero: si pensi per
esempio all'esperienza di un individuo all'interno di uno dei centri commerciali tanto
caratteristici delle nostre città.
Il consumatore, nel suo girovagare tra le merci esposte, tra i ristoranti e le piazzette di
ristoro, non rinuncia definitivamente alla propria identità, quanto piuttosto la rende
momentaneamente fluida, instabile, pronta a negoziare, attraverso l'atto del consumo, i
10
Marc Augé in V . Codeluppi, Lo spettacolo della merce, cit., p.5
11
Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Parigi, Edelèuthera, 1992, p.73
12
Ibidem, p.95
23
propri desideri e le proprie necessità. Lo shopping center è in grado, esattamente come
un luogo antropologico tradizionale, di offrire un'identità all'individuo che lo
attraversa: il consumatore al suo interno si costruisce infatti delle identità temporanee,
“nomadiche” per dirla con Codeluppi
legate al territorio sebbene non radicate in nessun luogo particolare e si affeziona ai nuovi
luoghi del consumo, di cui impara a riconoscere gli spazi, i percorsi e gli ambienti di ritrovo.
13
Ecco quindi che la permanenza del consumatore all'interno del nonluogo diventa
un'esperienza assolutamente ricca e coinvolgente, desiderabile e dunque costantemente
ricercata, le cui caratteristiche verranno meglio analizzate in seguito.
1.2
Teorie del consumo
L'attuale utilizzo del verbo “consumare” ha un'origine etimologica ambigua in quanto
possiede due distinti significati.
Il primo deriva dall'unione del prefisso latino con o cum che indica mezzo, strumento e
del sostantivo súmma il quale, pur valendo principalmente come somma, assume il
significato figurato di fine e perfezione. Dunque, la prima origine del verbo
“consumare” sarebbe “condurre a fine” o “dare perfezione e compimento”.
Il secondo significato proviene dal verbo latino consúmere, nel quale lo stesso prefisso
assume il valore di interamente, e si unisce a súmere, che significa prendere, togliere.
Ne consegue l'attuale utilizzo odierno di “consumare”, atto a definire le azioni di
“spendere”, “distruggere” o “ridurre a nulla”, “sprecare” e “dar fondo”, fino ai più
comuni “usare” e “impiegare”.
Il significato dell'espressione “consumare il matrimonio”, che descrive il momento di
unione tra gli sposi subito dopo le nozze, è assai distante da quello di “consumare un
paio di scarpe”, eppure, entrambe utilizzano lo stesso verbo: nel primo caso, la
13
V . Codeluppi, Lo spettacolo della merce, cit., p.7
24
connotazione delle frase si suppone essere positiva in quanto il momento dell'unione
carnale rappresenta nel matrimonio l'apice della comunione tra il corpo e lo spirito dei
novelli sposi e l'inizio di una nuova vita insieme; evidentemente, consumare un paio di
scarpe implica la necessità di comprarne di nuove, poiché le attuali, logorate dall'uso,
hanno raggiunto ormai la fine della loro esistenza.
All'interno del verbo “consumare” e dei suoi derivati, primo fra tutti il sostantivo
“consumo”, convivono quindi due anime distinte, due tendenze che puntano ad opposti
riferimenti semantici; in altre parole, il consumo è caratterizzato da una natura
paradossale.
Da un lato, il consumo rappresenta per l'individuo la possibilità di appropriarsi ed
utilizzare a proprio vantaggio dei beni o servizi, materiali o immateriali che siano, di
cui abbisogna o che desidera; dall'altro, tuttavia, l'atto del consumare riporta non solo
alle idee di logoramento e distruzione dell'oggetto consumato, ma anche alle idee di
eccesso e spreco.
Ed è a quest'ultima osservazione che tanta critica al cosiddetto consumismo ha sferrato
l'attacco, denunciando la dipendenza delle persone dalle merci e dai settori produttivi
che le immettono sul mercato, i quali inibiscono la nostra libertà di scelta e di libero
arbitrio.
Le prime teorie ad occuparsi approfonditamente di consumo fanno capo alla scuola di
Francoforte ed ai suoi principali esponenti Max Horkheimer, Theodore Adorno ed
Herbert Marcuse, i quali riconoscono nello sviluppo della produzione capitalistica del
secondo dopoguerra, le origini della società del consumo. Attraverso i mass media e la
pubblicità, il pubblico dei consumatori viene educato a sottostare diligentemente e a
rimettere le loro scelte alla legge del mercato, la quale penalizza tutti i settori della
cultura alta a favore di un consumo popolare di più basso livello.
La società che fa da sfondo a quella che gli autori di Francoforte definiscono l'industria
culturale, si è tuttavia evoluta nell'ottica di una maggiore complessità, subendo
cambiamenti profondi che hanno enormemente influito sulle pratiche di consumo della
popolazione.
25
La società che Fredric Jameson definisce postmoderna
14
in cui crolla la distinzione tra
cultura alta e cultura popolare, in cui il confine tra arte e vita quotidiana si fa sempre
più labile e in cui la parola cede il passo all'immagine
15
, assiste alla “crisi delle grandi
narrazioni” a favore di una frammentazione del sistema sociale e di una disgregazione
dei centri di riferimento a cui ci si era abituati.
La crisi della struttura generale della società, estremamente difficile da comprendere
ed analizzare con gli strumenti di indagine tradizionali, viene spesso riportata ad una
crisi dell'individuo, un soggetto in balìa della molteplicità di segni e messaggi che
caratterizzano il flusso comunicativo della nostra epoca, il quale trova sempre più
arduo formarsi e riconoscersi in una precisa identità.
Ed è qui che entra in gioco il consumo, il quale
insieme al sistema delle comunicazioni di massa e a quello pubblicitario, [...] produce infatti
delle identità sociali immediatamente acquistabili e scambiabili sul mercato per ridurre la
complessità sociale, produce cioè delle immagini “prefabbricate” e totalmente “pubblicitarie”
nelle quali potersi identificare e grazie alle quali poter interagire con gli altri individui.
16
Per quanto rilevante, la necessità di costruirsi un'identità personale non è stata la sola
causa che negli anni ha potuto spiegare il meccanismo di funzionamento del consumo.
Numerosi sono gli apporti teorici che hanno identificato nel bisogno, negli impulsi
razionali, nel conflitto e nell'integrazione sociale, le spinte motrici all'atto di consumo
delle società capitalistica.
Se ne vedranno ora le principali conclusioni.
Il modello economico è stato forse il primo ad essere utilizzato per interpretare la
pratica del consumo: gli autori facenti capo alla corrente sostengono che il bisogno e la
conseguente spinta verso il soddisfacimento dei bisogni primari sia la motivazione
originaria all'acquisto dei beni. La decisione di spendere denaro per acquistare un
determinato bene è dunque consapevole, ragionata, motivata unicamente da necessità
14
Fredric Jameson, Postmodernismo, ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Roma, Fazi, 2007
15
Nda Si analizzeranno questi concetti più avanti nella trattazione.
16
V . Codeluppi, Consumo e comunicazione, cit., p.14
26
fisiologiche reali.
È evidente come tale teoria sia insoddisfacente a spiegare la totalità degli atti di
consumo: potrebbe, infatti, anche essere valida per l'acquisto di beni di primaria
necessità, primi fra tutti i generi alimentari, ma tuttavia non basta a spiegare quegli
acquisti superflui, secondari, per i quali non esiste necessità causale ma motivazioni
ben diverse.
Altri fattori intervengono nella scelta di consumo, tra i quali vanno evidenziati i fattori
psicologici: gli impulsi della psiche, i sentimenti e le emozioni che conducono
all'affettività verso un particolare prodotto o marca non possono essere unicamente
spiegati con il raziocinio dell'individuo applicato alle proposte presenti sul mercato.
Risulta alquanto evidente che una merce assume non solo un valore d'uso specifico,
legato quindi alla sua natura oggettuale, ma anche delle cariche simboliche che
investono il consumatore e l'idea che egli ha del prodotto in se stesso e di ciò che
potrebbe significare per lui possederlo.
Tuttavia, il modello psicologico troppo spesso si è soffermato sulla pura irrazionalità
dell'atto d'acquisto, denunciando la manipolazione che i media di comunicazione e la
pubblicità fanno della nostra libertà di scelta. Il consumatore non è un essere
totalmente razionale, ma nemmeno un pupazzo stordito dalla moltitudine di messaggi
pubblicitari che popolano il suo mondo: il consumatore vero si trova all'incrocio tra le
due possibilità.
Egli inoltre non è solo: il consumatore vive infatti nel sociale, appartiene ad una
comunità, ad uno o più gruppi nei cui modelli e valori si riconosce.
Il modello sociale, che rinvia le scelte del consumatore ad una realtà più complessa che
lo circonda, è però suddiviso in due correnti: una prima che ruota intorno al concetto di
competizione ed una seconda che invece propone una chiave interpretativa basata
sull'integrazione.
Già presente nell'opera di Marx, ma ancora immatura data la precocità dei tempi, una
prima teoria sul conflitto sociale come causa del consumo la si deve a Thorstein
Veblen
17
, il quale sostiene che i consumatori siano mossi unicamente da una volontà di
17
Thorstein Veblen, La teoria della classe agiata. Studio economico sulle istituzioni, Torino, Einaudi, 1971
27
spreco, determinata dal bisogno di ostentazione della quantità di prestigio insita nel
proprio status.
La società, suddivisa in classi secondo un modello gerarchico piramidale, vedrebbe in
cima la classe più agiata, la cui caratteristica è lo spreco di una delle merci più
preziose: il tempo. Gli appartenenti alla classe agiata, in quanto già forniti all'origine di
enormi quantità di mezzi economici e culturali, non hanno necessità di lavorare, e
dunque il tempo che essi hanno a disposizione per conoscere, sondare le possibilità e
acquistare le merci più appropriate, è illimitato. Essi dunque possono impegnarsi
nell'unica attività che ritengono adatta alla loro classe: il consumo vistoso di beni di
lusso. Le classi sottostanti guardano con desiderio gli oggetti posseduti dall'élite
benestante e ardono d'invidia, impegnando il loro tempo a disposizione nel tentativo di
emulare nei modi e nelle proprietà la classe a loro superiore. E ogni tanto, si dica pure
spesso, ci riescono.
Accade dunque che un oggetto, il cui possesso un tempo era unicamente riservato alla
classe più agiata che se lo poteva permettere, diviene “di moda” e accessibile alla
massa, perdendo dunque la sua aura desiderabile. La classe agiata, privata dei suoi
strumenti di dominio sui subalterni, è dunque costretta a ricercare nuovi oggetti, a cui
la classe sottostante aspirerà fino a quando non riuscirà ad appropriarsene nuovamente
e a iniziare ancora una volta il ciclo perpetuo della moda.
L'economista James Duesenberry riprende la teoria di Veblen ampliando le possibilità
di conflitto sul piano orizzontale, cioè a causa dell'influenza dei pari, ovvero degli
individui appartenenti alla propria classe sociale, e a quella dei media di
comunicazione che si rivolgono principalmente alla classe media.
18
Entrambe le teorie conservano alcuni spunti riflessivi interessanti; ciò nonostante, esse
non bastano a spiegare completamente la natura del consumo, soprattutto quello
odierno, poiché la suddivisione in classi ha subìto nei decenni una forte modificazione
e non si presenta più rigidamente strutturata come un tempo. La struttura sociale è oggi
più flessibile e, soprattutto, il tentativo di emulazione delle pratiche di una classe
superiore alla propria, non comporta, per l'individuo contemporaneo, l'immediata
18
James Stemble Duesenberry, Income, saving, and the theory of consumer behavior, New York, Oxford
University Press, 1967
28