2
punto di vista del nutrimento, del vestiario e dell’abitazione.
Ed egli non si riferisce solamente al lusso di determinati
individui ma anche al più umile contadino: è proprio in
questo senso che Smith è da considerarsi molto attuale, o
per lo meno, alla base della nostra odierna “comunità”
frenetica ed evoluta c’è tutto quello che Smith ci racconta
nel suo testo Draft of the “Wealth of Nations”
2
e non solo.
La suddivisione del lavoro, che permette un notevole
risparmio di tempo e denaro, genera comunque
ineguaglianza all’interno di una società in quanto il lavoro
di tutti i cittadini porta inevitabilmente ad una maggiore
ricchezza da parte di uno strato di persone rispetto ad un
altro.
Secondo Smith chi è in grado di dirigere il lavoro di
migliaia di persone, conseguirà una maggiore rendita
rispetto a quell’individuo che, dipendendo esclusivamente
da se stesso per il proprio sostentamento, godrà solo di una
parte della rendita ottenuta: di qui la nascita di diverse classi
sociali e quindi la mancanza di uguaglianza di un gruppo di
individui rispetto ad un altro.
3
2
Ibidem.
3
Ivi, p. 6.
3
Ciò da cui non possiamo prescindere è sicuramente
l’aspetto della produttività che Smith sottolinea
energicamente. Nonostante l’ineguaglianza che la divisione
del lavoro crea, essa porta però ad una seppur minima
ricchezza anche negli strati più bassi della società, pertanto
il profitto perfino del più umile membro della società
evoluta sarà sempre e comunque maggiore di quello
conseguito dal più stimato ed attivo selvaggio. È dunque
proprio la divisione del lavoro che porta a questo tipo di
differenze, a queste discrepanze che si estendono agli strati
più umili della comunità. Infatti all’interno della comunità
stessa ogni individuo si limita ad esercitare un’attività
particolare ed è da essa che trae profitto.
Tutti, anche i più umili si trovano all’interno del
grande ingranaggio della produttività e del lavoro, suddiviso
appunto: nella fabbricazione di uno spillo ognuno ha il suo
compito e qui subentra anche un discorso di convenienza e
utilità.
Se uno spillo venisse prodotto in tutte le sue parti da
un individuo singolo, ossia se lo stesso individuo dovesse
preoccuparsi dell’estrazione del minerale dalla miniera,
dell’eliminazione delle scorie, della forgiatura, della
trasformazione dei fili metallici in spilli veri e propri,
4
l’individuo stesso potrebbe a stento produrre uno spillo in
un anno; il prezzo di uno spillo dovrebbe equivalere in tal
caso al costo del mantenimento di un uomo per l’intero
anno.
Se invece il fabbricante di spilli divide il lavoro ad
esempio tra diciotto persone forse le stesse potrebbero
arrivare a fabbricare più di trentaseimila spilli al giorno,
ossia duemila spilli a testa al giorno. Essendo il
mantenimento del lavoratore in tal caso non più così costoso
come invece lo era nel caso precedente, il padrone può
permettersi di aumentare i salari dei lavoratori e vendere
l’articolo stesso, in tal caso lo spillo, ad un prezzo molto più
contenuto e accessibile.
4
Sulla base di questo ragionamento si può pertanto
giungere ad una evidente conclusione: la suddivisione del
lavoro porta, in tutti i campi, al medesimo effetto ed è
all’origine della “moltiplicazione della produzione di
ciascun uomo”.
5
L’unico campo che Smith cita e che si differenzia in
parte dagli altri sotto questo aspetto è quello agricolo
6
: in
effetti qui la suddivisione del lavoro risulta meno evidente
4
Ivi, pp. 8-10.
5
Ivi, p. 11.
6
Ibidem.
5
in quanto colui che si occupa di arare, colui che si occupa di
seminare e colui che si occupa di mietere sono quasi sempre
la stessa persona. O per lo meno non esiste in agricoltura
quella separazione netta che si ha ad esempio nelle varie
manifatture e ciò è dovuto alla natura stessa di questo tipo di
attività.
1.2. Benessere, ricchezza e ineguaglianza
Diretta conseguenza di questa digressione è il fatto
che si produca ogni tipo di bene in quantità tali da poter
soddisfare le esigenze di tutta la comunità e, pertanto,
nonostante la già citata ineguaglianza tra i vari strati sociali
della popolazione, si raggiungerà un generale livello di
benessere che si estenderà, come già accennato, fino ai ceti
più bassi della popolazione. In tal caso parleremo di stato
ricco, vale a dire di uno stato nel quale la ricchezza viene
prodotta facilmente grazie ad una piccola quantità di lavoro
che è in grado di procurare beni in abbondanza per ciascun
individuo.
Ci ricolleghiamo così alla frase iniziale di questo
capitolo: l’individuo riesce in tal modo a procacciarsi gli
6
alimenti, gli indumenti e l’alloggio di cui ha bisogno per
vivere all’interno della comunità, e ciò avviene, come
abbiamo potuto appurare, solo grazie ad un “metodo” di
lavoro che è quello della suddivisione dello stesso e non del
lavoro compiuto da un individuo isolato. Dalla ricchezza
dello stato derivano poi due fattori fondamentali: l’alto
costo del lavoro e i prodotti più a buon mercato, a tutto
vantaggio della popolazione che giunge così ad una
notevole facilità di acquisto e conseguentemente ad una
migliore qualità della vita.
Smith sostiene quindi che la divisione del lavoro
porta ad un aumento massiccio della produzione ma
quest’ultima è determinata da tre elementi: l’abilità di ogni
singolo lavoratore, il risparmio di tempo e l’invenzione di
un gran numero di macchine.
7
Il lavoratore diventa infatti più esperto in quanto il
suo sarà un compito circoscritto, relativo solo ad una fase
della fabbricazione e lavorazione di un prodotto, data
appunto la suddivisione del lavoro stesso. Egli non deve più
passare da un tipo di lavoro ad un altro, infatti il suo sarà un
lavoro unico e singolo: non ci sarà quindi nessuna perdita di
7
Ivi, pp. 16-19.
7
tempo, che il lavoro compiuto esclusivamente da lui
potrebbe invece comportare.
Infine, il suo lavoro sarà notevolmente facilitato e
velocizzato dai macchinari anch’essi probabilmente frutto,
sempre secondo Smith, di questa nuova concezione del
lavoro.
In effetti l’individuo concentrato solo su una fase del
lavoro non dovrà più fare sforzi per passare da una fase
all’altra e sarà quindi più portato a concentrarsi su una cosa
singola, avendo così anche più tempo affinché la mente
possa ingegnarsi nella scoperta di metodi più agevoli e che
possano facilitare lo svolgersi del lavoro stesso.
Questa suddivisione dei compiti può anche portare,
come già accennato, ad una maggiore competitività
all’interno di ogni settore, ogni singolo individuo diventa
più competente nei compiti che lo riguardano.
Smith sottolinea nel suo Draft of “The wealth of
nations” come la divisione del lavoro sia il diretto risultato
non della saggezza umana ma come il tutto derivi dalla
natura stessa dell’uomo, incline naturalmente al baratto, allo
scambio, al traffico; tutto ciò, come Smith ci spiega, porta a
8
quel benessere del quale l’uomo gode all’interno della
società evoluta.
8
Ed è proprio questo scambio che permette al singolo
individuo di ingegnarsi solo nel suo campo e di avere una
sorta di “scambio di informazioni”, in caso contrario
l’individuo stesso si dovrebbe ingegnare in tutti i settori,
non otterrebbe in tal modo i risultati sopra citati. Smith
arriva pertanto a concludere che ognuno è utile alle altre
persone, in quanto ogni persona ha qualcosa da dare agli
altri, e quel qualcosa è il frutto della propria conoscenza e
del proprio ingegno.
8
Ivi, pp. 22-23.
9
2. Smith visto da Sen
2.1. Il padre dell’economia moderna
Ho aperto il primo capitolo sottolineando l’estrema
contemporaneità di Adam Smith, in particolare dell’abbozzo
del saggio che ho in queste pagine in parte analizzato; il
saggio è stato scritto da Smith nel 1776, e, proprio perché
appartenente ad un’epoca piuttosto remota, sembrerebbe
poco adatto ad essere confrontato con i problemi dei nostri
giorni.
Un filosofo contemporaneo non solo ha ripreso Adam
Smith più volte nella maggior parte dei suoi saggi, ma lo ha
analizzato e si è confrontato con lui: si tratta del Premio
Nobel per l’economia nel 1998 Amartya K. Sen
9
, nato nel
1933 nel Bengala, insegnante di Filosofia ed Economia
presso la Harvard University e il Trinity College di
Cambridge. Ed è proprio dal suo punto di vista che d’ora in
avanti analizzerò la figura ed il pensiero filosofico di Smith.
9
Amartya Kumar Sen (Santiniketan, 1933) ha insegnato a Calcutta, Cambridge,
Nuova Delhi, alla London School of Economics e a Oxford, prima di passare a
Harvard, USA. Dal 1998, pur mantenendo l’insegnamento di Economia e Filosofia a
Harvard, è stato nominato rettore del Trinity College di Cambridge.
10
Sen definisce Adam Smith “father of modern
economics”.
10
Secondo lui l’economia è stata, per lungo
tempo, una sorta di branca dell’etica; con l’andare del tempo
ed avvicinandosi sempre di più alla fase moderna e
contemporanea dell’economia, l’aspetto cosiddetto etico di
quest’ultima è stato messo un po’ da parte, preferendo ad
esso quello definito “ingegneristico”. Gli aspetti morali
dell’economia vengono così progressivamente accantonati
per lasciare spazio ad un approccio più tecnico, che dà
comunque i suoi frutti e che non è quindi per niente
negativo; molti temi dell’economia secondo Sen sono stati
meglio affrontati da questo punto di vista, che non da un
punto di vista etico. L’economia però può essere più
produttiva se si presta maggiore attenzione alle
considerazioni di natura etica che sono inscindibili dalla
natura e dall’animo umani; ed è proprio da questo punto di
vista che Sen predilige Smith in quanto filosofo che prende
in seria considerazione l’aspetto etico più che quello
ingegneristico dell’economia.
Sicuramente, secondo Sen, entrambi gli aspetti
dell’economia sono indispensabili per poter affrontare la
materia in maniera completa ed esauriente, è una questione
10
A. K. Sen, On ethics and economics, Oxford, Basil Blackwell, 1987, p. 2.
11
di equilibrio, dice Sen. L’aspetto etico dell’economia si è
sviluppato molto recentemente con l’avvento dell’economia
moderna e la nascita di una moltitudine di conseguenze sì
positive ma anche negative, che hanno portato ad una serie
di interrogativi ai quali era necessario rispondere in qualche
modo. L’allontanamento dell’etica dall’economia ha avuto
certamente effetti controproducenti anche sull’etica stessa.
In questo contesto gioca un ruolo molto importante il
concetto di interesse personale: Smith spiega che la
prudenza è l’unione delle due qualità della “ragione e
comprensione” da una parte e del “dominio di sé” dall’altra.
Il concetto di “dominio di sé” non è però coincidente in
Smith con quello di “interesse personale”, né con quello che
Smith chiamava self-love.
12
2.2. Smith e la critica
Sen sottolinea come molti ammiratori di Smith
abbiano travisato il suo punto di vista sulla questione
dell’interesse personale, o per lo meno l’abbiano
interpretato solo da una determinata prospettiva. In effetti il
passaggio più citato dell’opera Wealth of Nations
11
è il
seguente:
It is not from the benevolence of the butcher, the
brewer, or the baker, that we expect our dinner,
but from their regard to their own interest. We
address ourselves, not to their humanity but to
their self-love, and never talk to them of our own
necessities but of their advantages.
12
Come sostiene Sen, agli occhi di ammiratori poco
attenti questo sembrerà un passaggio a favore dell’amore
per se stessi e della prudenza come qualità adeguate per una
buona società. In realtà Smith affermava esattamente
11
A. Smith, An Inquiry Into the Nature and Causes of the Wealth of Nations,
Edinburgh, LL.D., 1776.
12
“Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio e del fornaio che ci aspettiamo
il pranzo, ma dalla considerazione che essi fanno del proprio interesse. Noi ci
rivolgiamo non alla loro umanità, ma al loro interesse, e non parliamo mai loro delle
nostre necessità, bensì dei loro vantaggi.” Ibidem, vol. I, cap. II, p. 2; (trad. mia).
13
l’opposto, anche se sicuramente egli riconosceva che molte
azioni guidate dall’interesse personale generano
effettivamente buoni risultati.
Egli cercava semplicemente di specificare le modalità
con cui avvenivano le normali transazioni e i meccanismi
alla base della divisione del lavoro
13
, o per lo meno
circoscriveva ad alcune specifiche situazioni e soprattutto
alla sua epoca il concetto di interesse personale. Nonostante
ciò Smith viene visto dagli stessi sostenitori della sua
filosofia come guru of self-interest.
14
In realtà la tesi sostenuta da molti critici, secondo la
quale il padre dell’economia moderna ci abbia fatto
comprendere la verità e le straordinarie conseguenze del
fatto che l’interesse personale domini nella maggior parte
degli uomini, risulta essere molto distante dalla posizione
vera e propria di Smith. Addirittura un fine economista si è
schierato dalla parte di questa errata teoria pro-Smith come
strenuo difensore dell’interesse personale: George Stigler,
che elogia Smith proprio per questo suo presunto “merito”.
15
13
Ivi, p. 23.
14
Ivi, p. 24.
15
G. J. Stigler, Smith’s Travel on the Ship of the State, in Essays on Adam Smith, ed.
by A.S. Skinner and T. Wilson, Oxford, Clarendon Press, 1975, p. 237.
14
Come Sen ci ricorda in molti dei suoi saggi Smith
mise in risalto il ruolo sociale fondamentale di valori
importanti, quali la simpatia, la generosità, il senso del bene
comune e altri valori sempre di grande spessore sociale. Sen
riconosce come l’elogio rivolto da Stigler a Smith per la sua
saggezza nel valutare l’interesse personale come principale
motivazione del comportamento umano sia totalmente fuori
luogo per due evidenti motivi: questo non risulta essere il
reale pensiero di Smith e non si tratterebbe nemmeno di
saggezza. Proprio da questa ennesima valutazione delle
posizioni, per lo più sbagliate, di gran parte della teoria
economica nei confronti di Smith, Sen parte per arrivare a
parlare del concetto di identità sociale e delle sue influenze
sul comportamento. Infatti egli prende spunto
dall’importanza delle identità sociali stesse per mettere in
luce il suo rifiuto nei confronti dell’interesse personale
come unico presupposto all’azione umana.
16
Sen vede il filosofo Smith come vittima di
un’interpretazione errata da parte degli addetti ai lavori che
individuano il suo atteggiamento come quello di chi vuole
“bandire” gli aiuti pubblici e favorire solo ed
16
A.K. Sen, Reason before Identity, Oxford, Oxford University Press, 1999.
15
esclusivamente il commercio, la libera iniziativa, il libero
mercato. Tutt’altro: come provvede a spiegare lo stesso Sen,
Adam Smith è invece sì a favore del commercio e del
profitto ovviamente nei loro aspetti positivi ma ciò non
significa assolutamente che egli sia contrario all’intervento
dello stato nelle questioni economiche. Il fatto che egli
sostenga il commercio privato di grano e che critichi le
misure restrittive imposte dallo stato non significa che
Smith sia contro lo stato stesso e che veda quest’ultimo
come strumento di interferenza che possa pertanto
peggiorare un’eventuale carestia.
Ovviamente, secondo Sen, Smith ritiene che
l’intervento statale debba andare in aiuto del mercato
stesso
17
, debba integrarlo e operare laddove il mercato non
riesce ad arrivare; esso deve integrare l’operatività e
l’efficienza del mercato, non deve sostituirlo. Pertanto,
come Sen tiene a precisare, una visione estremista di Smith,
in un senso o nell’altro risulta essere fuori luogo e non si
rivelerebbe altro che un travisamento della sua dottrina.
17
A. K. Sen, Resources, values and development, Oxford, Basil Blackwell, 1984,
cap. 3, p. 90.