4
utilitaristico neoclassico, non sa dare una spiegazione plausibile del perché un
individuo decida spesso di mettere a disposizione volontariamente il proprio tempo
o le proprie risorse per favorire un interesse o un bene di carattere collettivo. In
questo tipo di situazioni, la teoria economica prevede infatti un comportamento da
“free rider” e lo considera come l’unico razionale per la massimizzazione del
beneficio personale dell’agente. Tuttavia, tale atteggiamento, pur spesso riscontrato,
non ha una diffusione così generale come previsto dalla teoria economica (a tal
proposito si veda l’Appendice1).
Un vasto campo di ricerca si apre di fronte al tentativo di spiegare i comportamenti
volontari non auto-interessati.
Tra gli autori che maggiormente si sono occupati del rapporto tra scienza
economica ed etica troviamo Kurt W. Rothschild e l’indiano Amartya Sen.
Rothschild ha cercato di stabilire se una tale relazione sia possibile o se al contrario
avesse ragione il famoso satirico austriaco Karl Kraus quando scrisse: “Volete
studiare l'etica degli affari? Allora dovete decidere di fare l'una o gli altri”.
1
Da parte sua Sen (1988), nell’opera in cui si occupa esplicitamente di questo
rapporto, afferma di trovare totalmente straordinario il fatto che la concezione
grandemente diffusa dell’economia sia quella che considera le motivazioni degli
esseri umani “pure, semplici e conseguenti”
2
, non complicate cioè da cose quali la
buona volontà o i sentimenti morali. E questo per il fatto che l’economia si ritiene
debba interessarsi alle persone reali. Sembra quindi impossibile pensare che esse
non siano influenzate da motivazioni di tipo etico e si attengano esclusivamente alla
testardaggine che attribuisce loro l’economia moderna.
1
K.W.Rothschild, Ethics and Economic Theory, Gower House, Edward Elgar, 1993
2
A.Sen, Etica ed Economia, Bari, Laterza, 1988
5
Sen parla di “commitment” per segnalare l’impegno morale al quale la persona si
sottopone quando intrattiene delle relazioni sociali. Tale impegno morale
condiziona anche le scelte e i comportamenti di consumo che, nelle società
occidentali, sono sempre più legati a limiti sociali dello sviluppo (individuale e
sociale) superabili attraverso la cooperazione per il bene comune. In questo stanno
gli aspetti etici del consumo.
Già da qualche tempo si sente parlare di “Consumo Responsabile”, basato sulla
seguente affermazione: dietro ad alcuni beni e servizi di consumo vi sono una o più
fasi, parte del loro ciclo di vita, che costituiscono comportamenti e causano effetti
biasimevoli, in modo diretto o in modo meno evidente.
La produzione di beni o servizi talvolta può essere lesiva dei diritti umani (anche
laddove essi sono riconosciuti come universali), può nuocere a specie diverse dalla
nostra, e può danneggiare il nostro ambiente comune. La produzione a volte non
rispetta nella dovuta misura (anche nel caso in cui si tenga conto del diverso
contesto culturale) le donne, i bambini e le minoranze presenti nella nostra società.
Tutto ciò ha conseguenze sociali molto gravi e l’impatto sociale negativo è spesso
irreversibile. Queste situazioni colpiscono in egual misura, anche se in modo
diverso, i paesi “del sud” e le regioni “sviluppate” e colpiscono nello stesso modo
sia i fondamenti sociali che i fondamenti ecologici della nostra società. Tali
situazioni minacciano il benessere sia delle generazioni presenti sia di quelle future.
Gli acquirenti responsabili sono quei consumatori che, consapevoli di tale
situazione, includono il benessere collettivo tra i criteri di scelta, rifiutando così di
definire l’interesse del consumatore in modo limitato, cioè come “il migliore
rapporto qualità/prezzo”.
6
Nello stesso tempo, gli acquirenti consapevoli trascendono il loro bisogno
fondamentale di soddisfazione come individui e tengono in considerazione la
soddisfazione degli altri. L’acquirente responsabile riconosce che la qualità di un
dato prodotto o servizio implica che tutti i tipi di qualità debbono essere da esso
soddisfatti in egual misura.
I consumatori responsabili arrivano a comprendere che comprando e consumando
certi prodotti e servizi si passa sopra l’ingiustizia e si diventa complici
dell’ingiustizia. I consumatori responsabili sviluppano un senso di coinvolgimento
personale quando si confrontano con questi temi e decidono di assumersi una
responsabilità personale riguardo alle conseguenze a livello sociale e ambientale
dei loro schemi e delle loro scelte di consumo. In effetti, essi vogliono che i loro
diritti individuali vengano rispettati ma non rinunciano ai principi fondamentali
umani e sociali della reciprocità e della solidarietà. Sono inoltre consci che bisogna
senz’altro prendere in considerazione i costi economici, ma che anche i costi sociali
sono molto importanti.
Un’indagine internazionale del CSR (Corporate Social Responsibility Monitor),
effettuata tra Dicembre 2000 e Gennaio 2001 in 20 Paesi di 5 continenti, ha messo
in evidenza che in tutti i Paesi esiste una minoranza di consumatori – talvolta
consistente – che dichiara di essere passata “dalle parole ai fatti”, ovvero di avere
boicottato i prodotti o i servizi di un'azienda per il suo comportamento socialmente
irresponsabile (Grafico 1).
7
Percentuali di rispondenti che nel corso dell'ultimo anno hanno
"punito" un'azienda perchè socialmente responsabile non
acquistandone i prodotti
43
40
36
31
30
29
27
21
18
17
14
14
13
13
11
9
7
6
1
0 1020304050
Stati Uniti
Canada
Argentina
Gran Bretagna
Svezia
Messico
Italia
Germania
Nigeria
Francia
Cile
Turchia
Brasile
Cina
Giappone
Corea del Sud
India
Russia
Indonesia
Grafico 1
L’aspetto etico va perciò ad interessare anche le imprese, le quali avvertono sempre
più la propria “Responsabilità Sociale”. Come si può leggere in un articolo del
“Resto del Carlino” del 16/12/2002 “Il mercato economico è stato contagiato da
uno strano virus che sta rivoluzionando il modo di dirigere le imprese. Si chiama
«Responsabilità Sociale» e la sua forza è tale da stravolgere i più comuni principi
contabili. Le spese, per esempio, hanno «segno positivo» e la ricchezza viene
8
ridistribuita con investimenti che migliorano le condizioni di lavoro dei dipendenti
o riducono le emissioni inquinanti nell’ambiente.”
1
Questo aspetto è divenuto tanto importante che, accanto alla certificazione SA 8000,
molte imprese adottano anche un “Bilancio Sociale”. Come spiegato dalla
dottoressa Paola Gennari Santori (presidente di Officina Etica), il Bilancio Sociale è
una relazione volontaria che si affianca al normale bilancio d’esercizio ed è uno
strumento che testimonia la capacità di un’impresa di creare non solo profitto, ma
un valore aggiunto per tutta la comunità.
Data la sempre maggiore attenzione rivolta ai comportamenti di tipo etico, ho
voluto effettuare un’analisi volta a verificare le implicazioni che tali atteggiamenti
comportano in campo economico.
Nella prima parte del lavoro, attraverso una analisi del contributo di alcuni tra i
maggiori economisti classici ho analizzato quelli che sono il modo di pensare e di
agire dell’homo oeconomicus.
Dopo aver rappresentato un caso che contraddice l’ipotesi massimizzante alla base
di tale modello ho introdotto nell’analisi un soggetto economico dai tratti meno
rigorosi e determinati: l’homo sociologicus.
Nella seconda parte del lavoro ho evidenziato quelle che vengono definite “le
preferenze sociali” proprie dell’homo sociologicus, il quale si caratterizza proprio
per il fatto che i suoi comportamenti non sono indirizzati esclusivamente al proprio
guadagno personale, ma tengono conto anche degli effetti che le proprie azioni
produrranno sugli altri componenti della società.
1
“Il Resto del Carlino”, 16 Dicembre 2002
9
L’atto di consumo dell’homo sociologicus viene così ad assumere un valore ben più
ampio e diversificato di quello proprio dell’homo oeconomicus: per quest’ultimo
l’unico valore fondamentale è quello funzionale, legato cioè alle utilità delle varie
alternative di scelta; l’homo sociologicus, invece, assegna un’importanza rilevante
anche ad aspetti meno razionali e quantificabili: attraverso il consumo egli si
relaziona agli altri ed esprime il proprio ruolo all’interno della società.
Proprio il carattere relazionale che il consumo ha assunto nelle società moderne fa si
che molto spesso considerazioni di ordine etico/morale assumano una grande
importanza, indirizzando e spesso condizionando le scelte di acquisto.
Nell’ultima parte del lavoro ho voluto verificare se questi condizionamenti etici
giochino davvero un ruolo così importante nelle scelte di consumo individuali.
Dal momento che un consumatore etico sarà sempre interessato non solo al proprio
benessere personale ma anche a quello sociale, ci si deve aspettare che egli terrà dei
comportamenti non esclusivamente egoistici ma che prevedano un certo grado di
altruismo. Per dimostrare la presenza di atteggiamenti altruistici in ambito
economico mi sono servito di un’analisi effettuata da Androni e Miller i quali,
utlizzando i risultati di un loro esperimento di laboratorio, hanno dapprima
dimostrato la consistenza di tali comportamenti altruistici, ed infine hanno anche
verificato come essi siano il frutto di scelte razionali.
Una volta verificato che i consumatori assumono spesso dei comportamenti non
esclusivamente auto-interessati, ho voluto effettuare un’analisi in diversi ambienti
strategici. Per far questo sono ricorso a modelli basati sulla “Teoria dei Giochi”, e
questo per due ordini di motivi.
10
In primo luogo perchè, dal momento che ognuno possiede un proprio codice etico,
risulta praticamente impossibile determinare un equilibrio generale basato sulle
classiche curve di domanda e di offerta.
In secondo luogo perché, come dimostrato da Daniel Kahneman e Vernon Smith
(appena insigniti del Nobel per l’economia), in situazioni di incertezza e quando le
alternative di scelta sono molteplici, l’economia comportamentale è spesso in grado
di dare quelle risposte che sarebbero più difficili per modelli tradizionali basati sulle
ipotesi proprie dell’economia neoclassica.
Vorrei precisare che questo lavoro non ha alcuna pretesa di riassumere le diverse
soluzioni proposte nella letteratura e di esaurire il dibattito sui temi affrontati, vuole
soltanto essere una modesta “provocazione” come possibile contributo alla
discussione in materia.
11
Capitolo Primo
Dall’Homo Oeconomicus all’Homo Sociologicus
12
1.1 L’Homo Oeconomicus alla base della teoria economica
classica
La teoria economica classica tende a formulare le proprie leggi basandosi sul
concetto di Homo Oeconomicus, un uomo dotato cioè sia di una perfetta razionalità
sia da preferenze sempre coerenti e stabili nel tempo.
Si deve ad un economista classico (John Stuart Mill) la prima metafora dell’homo
oeconomicus: un individuo che usa la capacità di calcolo razionale per
massimizzare la soddisfazione che può ottenere dai beni economici, in un contesto
di scarsità ed in assenza di rapporti sociali diversi dallo scambio commerciale.
Più recentemente, una sintesi delle caratteristiche dell’homo oeconomicus è stata
proposta da Amartya Sen (1985), che identifica tre processi caratterizzanti il suo
modo di pensare e di agire:
1
1. self-centered welfare: correlazione tra benessere e livello di consumo;
2. self-welfare goal: massimizzazione dell’utilità personale indipendentemente
dalla condizione in cui si trovano gli altri soggetti;
3. self-goal choice: orientamento delle scelte in vista del soddisfacimento dei
propri bisogni e del perseguimento dei propri fini indipendentemente dalle
preferenze degli altri;
Da questa assunzione deriva che l’homo oeconomicus è tendenzialmente un uomo
egoista e che questo egoismo si riflette nel suo modo di rapportarsi agli altri e nelle
sue scelte.
1
A.Sen (1985) Goals, Commitment and Identity, Journal of Law, Economics and Organizations
13
La persona umana sarebbe quindi motivata unicamente dalla ricerca dell'interesse
personale, essendo fondamentalmente individualista, edonista ed egoista.
Gli economisti classici non escludono generalmente la possibilità che gli esseri
umani siano in grado di provare sentimenti di benevolenza e amore per il prossimo,
ma non ritengono che l’influenza di tali fattori sia tale da determinarne il
comportamento.
Assumendo il concetto di homo oeconomicus, gli economisti classici, pertanto,
hanno sempre assunto che l’uomo sia spinto, nelle sue scelte di consumo, dal
perseguimento del proprio benessere personale, dalla ricerca del proprio self-
interest e che, nel fare questo, egli agisca con perfetta razionalità.
Un’efficace sintesi dei tratti essenziali caratterizzanti la versione rigida della
cosiddetta “rational choice theory”, che identifica nel perseguimento del self-
interest il fattore motivazionale determinante (se non esclusivo) alla base del
comportamento economico individuale, è riscontrabile nelle riflessioni di Tullock
(1976) e Mueller (1986).
Se, infatti, il primo autore osserva che, “Come evidenziato dalla ricerca
empirica...gli essere umani sono nel 95 per cento dei casi, egoisti nel senso stretto
del termine”
1
, Mueller esprime una posizione analoga, asserendo che “l’unica
ipotesi essenziale per poter predire e descrivere la scienza del comportamento
umano è l’egoismo”.
2
1
G.Tullock The vote motive: an Essay in the Economics of Politics, with applications to the British Economy, Institute of
Economic Affairs, London 1976
2
D.Mueller Rational Egoism versus Adaptive Egoism as Fundamental Postulate for a Descriptive Theory of Human
Behavior, in Public Choice 51, 1986
14
La teoria economica classica, quindi, ha sempre utilizzato il concetto di homo
oeconomicus e l’ipotesi che egli sia spinto dalla ricerca del proprio self-interest per
dimostrare il comportamento dei consumatori e per derivarne dei modelli economici
di riferimento.
15
1.2 La teoria economica classica
La nascita dell’economia come disciplina scientifica ed autonoma viene
tradizionalmente fatta risalire alla pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di
Adam Smith (1776).
Sostenitore del principio della “libertà naturale”, intesa sia come rimozione di tutti i
vincoli, salvo quelli imposti dalla giustizia, sia come proposizione secondo cui il
libero gioco delle azioni individuali porta a un ordine logicamente determinato,
Smith cercò di dimostrare che in regime di concorrenza ogni individuo che persegua
il proprio interesse personale serve necessariamente anche l'interesse della
collettività.
E’ a lui che si deve la prima chiara ed esplicita dimostrazione dell’asserto secondo
cui il mercato concorrenziale, luogo in cui tutti i soggetti agiscono atomisticamente,
è la sola istituzione necessaria e sufficiente affinchè si realizzi l’armonia degli
interessi individuali con quelli collettivi.
E’ la concezione del cosiddetto principio della mano invisibile, secondo il quale
ogni individuo “è guidato da una mano invisibile a promuovere un fine” di cui non è
consapevole e, “nel perseguire l’interesse proprio, egli stesso promuove quello della
società più efficacemente di quando intenda realmente farlo”
1
determinando,
quindi, conseguenze positive a livello collettivo, pur senza tendervi coscientemente.
1
A.Smith (1776) Ricerca sulla natura e le Cause della Ricchezza delle nazioni, UTET, Torino 1975