6
possibile per garantire finalmente pace e benessere ai martoriati popoli del vecchio
continente. Lo storico congresso dell’Aja del maggio 1948, organizzato dall’Unione
Europea dei Federalisti e presieduto da Churchill, evidenziò però la presenza di due
distinte correnti in seno all’europeismo: da una parte c’era chi, come Spinelli,
voleva dare immediatamente vita ad una federazione europea dotata di una sua
costituzione, di un suo governo e di un suo parlamento; dall’altra chi voleva
procedere per gradi, intensificando progressivamente la cooperazione tra i governi
senza intaccare, almeno in un primo momento le sovranità nazionali.
I governi scelsero la strada del gradualismo che portò nel 1951 alla nascita della
prima comunità specializzata, la CECA, e sei anni dopo alla firma dei Trattati
istitutivi della CEE e dell’Euratom.
Spinelli riteneva del tutto utopistico pensare di coordinare in modo efficace e
duraturo singoli settori dell’attività statale (economia, difesa, politica estera) senza
creare prima un vero potere politico sovranazionale, e criticò aspramente
l’approccio “funzionalistico” con il quale i governi stavano tentando di costruire
l’Europa, opponendo a questa impostazione la rivendicazione di una vera
costituzione federale europea elaborata da un’Assemblea eletta dal popolo.
Quando però nei primi anni cinquanta si presentò la possibilità di affiancare al
progetto di una comunità europea di difesa (CED), quello di una comunità politica,
Spinelli non esitò a collaborare con gli statisti europei ed in modo particolare con
Alcide De Gasperi. Questa collaborazione fu però interrotta bruscamente dal
7
fallimento del progetto CED, tanto doloroso quanto prossimo era sembrato il
successo.
Persa ogni fiducia nella possibilità di edificare lo stato federale europeo
partendo da iniziative governative, Spinelli cambiò radicalmente tattica e cercò di
formare una forza politica di popolo in grado di imporre agli stati la convocazione
di una costituente europea. Spinelli ed i suoi compagni del Movimento Federalista
Europeo organizzarono così in diverse città elezioni primarie, attraverso le quali i
cittadini potevano eleggere i loro delegati al Congresso del Popolo Europeo,
organismo che, forte della sua legittimazione popolare, avrebbe dovuto portare
avanti questa battaglia.
L’iniziativa raccolse numerosi consensi che però iniziarono a calare non appena
la CEE, contrariamente alle aspettative di Spinelli, dimostrò di poggiare su basi
solide e di avere notevoli possibilità di svi luppo. La Comunità aveva creato una fitta
rete di interessi tra gli stati e aveva posto in essere una burocrazia europea
indipendente da quelle nazionali: era ormai evidente che chi voleva un’Europa unita
e federale non poteva ignorare questi fatti.
Spinelli, coerente nel perseguire il suo obiettivo, ma pronto ad adeguare la
tattica alle situazioni, comprese ben presto che il futuro dell’integrazione europea
era ormai legato a doppio filo a quello della Comunità. Pur continuando ad
evidenziare i difetti di un progetto che rinviava a tempo indeterminato l’istituzione
di un vero potere politico sovranazionale e che di fatto lasciava tutto il potere
8
decisionale nelle mani degli stati, Spinelli si convinse che a quel punto sarebbe stato
più saggio battersi per l’evoluzione in senso federale della Comunità piuttosto che
opporsi frontalmente ad essa correndo il rischio di rimanere isolati.
Dopo aver collaborato per un breve periodo con il ministro degli esteri Nenni,
Spinelli venne nominato commissario europeo. La Commissione esecutiva,
composta da individui formalmente autonomi dai governi nazionali, era, secondo il
leader federalista, l’istituzione più adatta ad assumere il ruolo di guida nel cammino
della Comunità verso livelli più alti di integrazione.
Tra il 1970 e il 1976 lottò, molto spesso anche contro i suoi colleghi
commissari, per promuovere una reale e profonda riforma dell’assetto istituzionale
comunitario. Soltanto così sarebbe stato possibile avviare politiche comuni che non
si limitassero, come era avvenuto fino ad allora, essenzialmente a favorire gli
scambi, ma che agissero incisivamente per favorire un equilibrato sviluppo
economico e sociale, sviluppo che la crisi dei primi anni settanta sembrava avere
rallentato. Parallelamente sarebbe stato fondamentale far conquistare all’Europa un
ruolo autonomo sul piano internazionale in modo da non dover più subire le
decisioni di politica estera ed economico-monetaria degli USA come era avvenuto
negli ultimi anni. La risposta a tutte queste esigenze non poteva essere che una: lo
stato federale.
Nel 1976 Spinelli entrò nel Parlamento europeo, ben deciso a continuare la sua
battaglia all’interno di un’Assemblea che con le elezioni del 1979 sarebbe diventata
9
rappresentante diretta del popolo europeo. Il risultato più importante di questi anni
di intensa attività fu il progetto di Trattato istitutivo dell’Unione Europea, un
progetto nato su iniziativa di Spinelli che, se approvato, avrebbe sicuramente fatto
compiere alla Comunità un notevolissimo passo in avanti per quanto riguardava le
competenze e l’efficienza dell’apparato istituzionale. Il progetto, sostenuto da una
forte maggioranza in Parlamento, fu però accantonato dai governi nazionali che non
andarono oltre la firma dell’Atto Unico, un documento che solo in minima parte
raccoglieva le indicazioni provenienti dall’Assemblea di Strasburgo. Fu questa
l’ultima amara sconfitta di Spinelli che morì qualche mese dopo, il 23 maggio 1986.
In più di un’occasione Spinelli sottolineò come molte delle sue azioni si fossero
concluse con delle sconfitte, sconfitte che però mai gli fecero perdere la fiducia e la
volontà di battersi per l’unità europea, nella convinzione che un insuccesso non
potesse mettere in discussione la validità di un progetto. Il fallimento della CED, il
progressivo esaurimento del sostegno attorno al Congresso del popolo europeo, i
contrasti in Commissione, l’accantonamento del progetto di Trattato istitutivo
dell’Unione Europea, ben lungi dallo scoraggiarlo lo spinsero a cercare nuove vie
con l’energia e la tenacia di chi ha consacrato la vita ad un ideale.
Spinelli però non ha dato solo un esempio di coerenza e di rigore morale, ma
anche un apporto sostanziale alla costruzione dell’Europa. E’ stato per anni la
“coscienza critica” dell’europeismo, colui che più di ogni altro è riuscito ad
individuare e a mettere in risalto i problemi ed i limiti dell’Europa comunitaria non
10
fermandosi peraltro ad avanzare sterili critiche, ma proponendo anche strategie
d’azione che, anche se solo parzialmente recepite da chi determina le sorti
dell’integrazione europea, hanno comunque avuto l’indiscutibile merito di creare i
presupposti per una graduale evoluzione democratica e federale della Comunità.
Ripercorrendo l’avventura politica di Spinelli emerge con chiarezza come il
costante punto di riferimento della sua azione e del suo pensiero sia sempre stato
l’Europa. E’ quindi doveroso ricordare Altiero Spinelli non solo come un
europeista, ma anche come uno dei pochi uomini politici autenticamente e
pienamente europei apparsi sulla scena nazionale.
11
1
IL PERCORSO POLITICO DI ALTIERO SPINELLI: DAL COMUNISMO
AL FEDERALISMO
12
1.1 La militanza comunista.
La vita di Altiero Spinelli è stata segnata fin dall’adolescenza da una vocazione
“rivoluzionaria” che lo ha spinto giovanissimo ad entrare nel partito comunista con
“l’imperativo … di non limitarsi a comprendere il mondo ma di impegnarsi a
cambiarlo”1 e che lo ha accompagnato fino negli ultimi giorni della sua intensa
esistenza nella lotta per la costruzione di un’Europa federale e democratica.
In un dibattito svoltosi nel 1976, in occasione della presentazione del suo libro
PCI, che fare?, Spinelli affrontò con il suo vecchio compagno di partito e di confino
Umberto Terracini il tema della fedeltà ai valori rivoluzionari. L’anziano senatore
comunista, che nonostante frequenti contrasti era rimasto fedele alla linea del
partito, concluse l’incontro dicendo che il vero “bolscevico” era Spinelli il quale,
pur avendo mutato orizzonte politico ed ideologico, continuava ad agire con vero
spirito rivoluzionario2.
Altiero Spinelli nacque il 31 agosto 1907 a Roma. Il padre, commerciante, era
socialista e visceralmente anticlericale. Pur non essendo un profondo conoscitore
della teoria socialista possedeva una piccola biblioteca politica che comprendeva
vari libri ed opuscoli che ben presto stimolarono l’interesse del giovane Altiero,
interesse che il padre cercò di alimentare regalandogli, in occasione della
1
A. SPINELLI, L’Europa non cade dal cielo, Bologna, Il Mulino, 1960, pp. 8-10.
2
G. ARFE’, Presentazione in A. Spinelli, Machiavelli nel secolo XX, a cura di P. Graglia, Bologna, Il
Mulino, 1993, p. 10.
13
promozione al liceo, le opere di Engels, Lassalle e Marx. Questa primissima fase
della sua evoluzione politica fu caratterizzata da letture e riflessioni teoriche, ma ciò
che accadeva in quel periodo nel paese non poteva certo lasciarlo indifferente a
lungo.
L’Italia stava attraversando una fase di profonda crisi sociale ed economica e di
instabilità politica ed i fascisti, approfittando di questa situazione, avevano iniziato a
muovere i primi passi verso la conquista del potere.
Nel novembre del 1921 le camicie nere durante le cerimonie in onore di Enrico
Toti sfilarono, contro la volontà delle autorità, in assetto militare attraverso il
quartiere operaio di San Lorenzo. I rossi della zona risposero alla provocazione con
le armi. Il commento dell’episodio iniziò a delineare nell’animo del giovane
Spinelli la differenza tra comunisti e socialisti che da qualche mese avevano diviso
le loro strade. “Il Comunista”, quotidiano dell’omonimo partito era stato l’unico a
non condannare l’episodio e ad esaltare la reazione del proletariato della borgata
romana. La lettura di questa ed altre pubblicazioni comuniste lo convinsero che
“…della tradizione socialista di lotta e propaganda, ai socialisti era rimasta la
declamazione ed i comunisti avevano portato con sé l’azione”. I comunisti, al
contrario dei socialisti, si erano subito posti senza tentennamenti al di fuori dello
stato borghese, considerato fiancheggiatore del fascismo, e ritenevano che solo la
forza della classe operaia potesse arrestare l’ascesa di Mussolini.
14
Spinelli entrò nel partito comunista nell’autunno del 1924, “…sedotto da
un’organizzazione che si presenta come un clero depositario delle segrete leggi che
regolano la morte delle vecchie e la nascita delle nuove società umane, deciso a
prendere il potere assoluto per creare la nuova e perfetta società”3.
Nei primi anni del ventennio fascista i partiti non erano ancora illegali ma i
rischi erano numerosi, soprattutto per gli aderenti al partito comunista che era la
formazione politica più temuta e conseguentemente più controllata. Negli anni
successivi Mussolini procedette progressivamente all’organizzazione di un regime
dittatoriale e nel 1926 concluse la sua opera imponendo lo scioglimento di tutti i
partiti.
Spinelli, nominato segretario interregionale per l’Italia centrale, continuò a
svolgere la sua attività nel partito nella completa illegalità fino a che, trasferito alla
segreteria interregionale del Piemonte, della Lombardia e della Liguria, non venne
arrestato a Milano il 3 giugno 1927. Fu condannato a 16 anni e 8 mesi per
cospirazione contro lo stato. Scontò dieci di questi anni in carcere, tra Lucca,
Viterbo e Civitavecchia e gli altri sei confinato, prima a Ponza e poi a Ventotene4.
3
A. SPINELLI, Come ho tentato di diventare saggio, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993, pp. 47-67.
4
E. PAOLINI, Altiero Spinelli – Appunti per una biografia, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 13-14.
15
1.2 Gli anni del carcere e del confino.
I lunghi anni della detenzione sono fondamentali nel percorso politico e nella
crescita intellettuale di Spinelli. A partire già dai primi mesi trascorsi nel carcere di
Lucca, dedicò la maggior parte del suo tempo allo studio non cercando però una
conferma alle proprie convinzioni bensì mettendole in discussione, convinto che la
sua appartenenza al partito comunista non implicasse la rinuncia alla libertà di
pensiero.
Approfondendo sempre più lo studio della filosofia e della storia, Spinelli si
rese ben presto conto che “…tra cielo e terra c’erano più cose di quante sospettasse
la filosofia comunista…”. In particolare, per comprendere a fondo quale fosse il
terreno sul quale si era sviluppata la teoria marxista, si dedicò allo studio della
filosofia classica tedesca, confrontandosi con le opere di Kant, Fichte, Schelling ed
Hegel5. Quest’ultimo è sempre stato ritenuto da Spinelli un filosofo fondamentale
per la sua formazione culturale. La Fenomenologia dello spirito, l’opera più
complessa ed affascinante del grande filosofo tedesco, infatti aveva fatto
comprendere a Spinelli che il dramma che porta in sé la conoscenza e che anch’egli
si apprestava a vivere, ossia quello della continua distruzione di certezze ritenute
incrollabili, era in realtà un passaggio inevitabile nell’evoluzione della coscienza
che da ciò che era stato distrutto sarebbe rinata “…stupita essa stessa del suo nuovo
5
A. SPINELLI, Come ho tentato, cit., pp. 143-145.
16
aspetto così fresco, così ricco di promesse prima insospettate”. Spinelli iniziò così
ad accogliere le inaspettate metamorfosi delle sue precedenti convinzioni non più
come una debolezza da nascondere per evitare di essere considerato una sorta di
“avventuriero dello spirito”, ma come un sintomo positivo dell’evoluzione dialettica
della sua coscienza6.
Furono moltissimi gli autori e gli argomenti che attrassero l’interesse di Spinelli
che in questi anni di letture e meditazioni gradualmente si convinse dei limiti teorici
che stavano alla base del marxismo. Il vero distacco dal partito iniziò però a
maturare quando cominciarono a filtrare notizie più approfondite su quanto stava
accadendo in URSS e non si basava fondamentalmente su divergenze di natura
dottrinale.
Nel carcere di Viterbo, dove era stato trasferito nel gennaio 1931, Spinelli
sfidando l’ostilità dei suoi compagni mosse una duplice critica al comunismo, una
metodologica e una politica. Dal punto di vista metodologico sosteneva “la libertà
della meditazione contro il principio dell’autorità dei testi sacri” e auspicava una
“catarsi intellettuale” che liberasse la cultura comunista da tutti “… i concetti
lacunosi, distorti o addirittura falsi dei quali … faceva uso”. Dal punto di vista
politico Spinelli riteneva che quello che si era affermato in URSS fosse un regime
6
Ibidem, pp. 164-167.
17
totalitario, negatore di ogni libertà sia nell’ambito della società civile sia all’interno
del partito, come l’espulsione di Trotzkij aveva dimostrato7.
L’anno successivo nel penitenziario di Civitavecchia si confrontò con alcuni
esponenti di spicco del partito come Pietro Secchia e Mauro Scoccimarro, ma la
loro strenua difesa dell’ortodossia comunista e, nonostante tutto, della politica di
Mosca, allontanò ancora di più Spinelli dai suoi compagni.
Ciò che irritava maggiormente Spinelli nell’atteggiamento dei capi comunisti
era, oltre alla loro passività intellettuale, “…la crescente indifferenza anzi ostilità
verso le libertà che morivano in Germania, verso i superstiti frammenti di libertà
che avevano continuato ad esistere nell’interno del partito in Russia, verso la
possibilità di una lotta fianco a fianco con democratici e socialisti per il
ristabilimento della libertà in Italia”8.
Spinelli ruppe definitivamente con il partito comunista nel 1937 all’inizio del
suo periodo di confino sull’isola di Ponza. La cieca obbedienza nei confronti di
Stalin, che pure gestiva il suo potere con metodi sempre più simili a quelli dei
dittatori nazifascisti, il continuo riferimento di tutti i partiti comunisti al socialismo
sovietico come unico socialismo possibile avevano scavato un solco ormai
incolmabile tra Spinelli ed i suoi vecchi compagni di lotta.
7
Ibidem, pp. 161-164.
8
Ibidem, p. 197.
18
La causa immediata della rottura fu il suo rifiuto di condividere la linea
ufficiale del partito in merito ai processi di Mosca che avevano visto condannare
Zinoviev, Kamenev, Bucharin ed altri come spie e che secondo Spinelli erano solo
un sintomo della crisi che stava attraversando il regime sovietico. In luogo
dell’autocritica su queste sue dichiarazioni richiestagli dal comitato comunista
formatosi tra i confinati, Spinelli presentò un quaderno di note dove raccoglieva
tutte le sue critiche al partito: “Sostenevo che la dottrina economica non
corrispondeva più alla realtà economica, rifiutavo il primato della sottostruttura
economica sulla sovrastruttura politica e culturale, rilevavo che la dittatura del
proletariato si era trasformata in dittatura del partito, poi del Comitato Centrale, poi
personale di Stalin, che i soviet non esistevano in realtà più, difendevo Trotzkij
contro Stalin, rilevavo la cecità del partito comunista tedesco di fronte all’ascesa di
Hitler, consideravo del tutto sterili le ultime svolte tattiche poiché fatte tutte con il
metodo gesuitico della riserva mentale, e via dicendo”.
Nonostante la difesa portatagli dall’altro “eretico” Terracini, l’espulsione arrivò
puntuale e così si concluse l’esperienza di Spinelli all’interno del partito comunista
e con essa il suo “monologo sulla libertà” che aveva iniziato nei primi anni di
detenzione. D’ora in poi avrebbe agito assieme a “…coloro che non sempre
riescono, ma almeno si propongono di limitare il potere, necessario ma demoniaco,
19
dei governanti, di metterlo al servizio della comunità, di garantire la libertà dei
cittadini”9.
Fu questa una scelta molto dolorosa non solo per il travaglio intellettuale che
l’aveva preceduta e l’avrebbe seguita, ma anche perché comportò la chiusura di
qualsiasi rapporto umano e di amicizia con i confinati comunisti.
Già durante i primi anni di detenzione, nel carcere di Lucca, Spinelli,
rinunciando a chiedere la grazia che probabilmente gli sarebbe stata concessa,
dimostrò di non essere disposto ad accettare compromessi che limitassero la libertà
della sua coscienza; lasciando il partito ribadì questa sua convinzione preferendo le
insidie del “mare aperto” alla sicurezza dell’appartenenza ad un’ideologia che non
sentiva più sua10.
Dal luglio 1939 fu confinato a Ventotene, il luogo che più di ogni altro sarebbe
rimasto legato alla figura di Altiero Spinelli. Su questa piccola isola tirrenica
Spinelli incontrò il socialista Eugenio Colorni ed il giellista Ernesto Rossi, due forti
personalità che si sarebbero rivelate molto importanti nella sua crescita intellettuale,
tanto da essere poi definiti nella sua autobiografia, a distanza di decenni,
rispettivamente “un maestro dell’anima” e “un maestro della mente”11.
La loro capacità di analisi, la loro libertà mentale li portava ad intraprendere
discussioni sui più vari argomenti assieme a Spinelli, e tra questi non poteva
9
Ibidem, pp. 244-254.
10
A. SPINELLI, Diario europeo 1948/1969, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 81-82.
11
A. SPINELLI, Come ho tentato, cit., p. 301.