2
L’obiettivo è allora quello di organizzare una comunità politica in cui operino istituzioni
capaci di “far sentire la voce degli individui negli affari globali indipendentemente da
quella che hanno come cittadini (nei paesi democratici) o sudditi (in quelli autocratici)
del proprio stato” (Archibugi, 2000); gli individui dovranno godere di rappresentanza
politica come cittadini del mondo indipendentemente, e non in sostituzione, da quella di
cui godono in quanto cittadini di un determinato stato.
Il progetto della democrazia cosmopolitica ha visto il contributo di numerosi autori, da
Archibugi ad Held, da Bobbio a Falk, e ha conosciuto altrettanti detrattori, tra cui spicca
Zolo con il suo approccio ‘realistico’ ai problemi delle relazioni internazionali; il
modello cosmopolitico si basa sulla convinzione che alcuni obiettivi come il rispetto dei
diritti umani e l’autodeterminazione dei popoli possono essere ottenuti soltanto
attraverso l’estensione e lo sviluppo della democrazia, e che questi obiettivi possano
essere raggiunti grazie all’operato di un’Onu riformata e rafforzata.
Per questo motivo l’analisi passa, nei capitoli successivi, ai modelli novecenteschi di
organizzazione internazionale, e in particolare al ruolo che l’Onu può svolgere come
agenzia per la democrazia globale: nello specifico, vengono passate in rassegna le
numerose proposte che sono emerse negli ultimi vent’anni relative all’istituzione di una
Seconda Camera delle Nazioni Unite ad affiancare l’Assemblea Generale, creata non su
base statuale ma attraverso modalità di composizione alternative.
Dal momento in cui ho iniziato ad affrontare queste tematiche avvenimenti che non si
cancelleranno dalle menti dei cittadini del mondo di oggi hanno offuscato la possibilità
di istituire quella pace a cui tanto si aspira da secoli; proprio nei giorni in cui sto
3
terminando questo lungo percorso il clima internazionale non sembra certo favorevole
ad ascoltare le parole di Kant.
Credo però che, seppure dovesse rimanere annoverato tra le ‘utopie’, il sogno di una
pace perpetua dovrà continuare ad alimentare le speranze degli uomini.
“L’unità, la pace e la civiltà di tutti i popoli della Terra,
ecco il fine ultimo verso il quale si dirige la navigazione storica del mondo”
(Dante Alighieri, De Monarchia)
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
4
CAP.I – L’ASPIRAZIONE ALLA PACE: IL
PROGETTO KANTIANO
1. LA FILOSOFIA DELLA PACE: LINEE GENERALI – 2. “PER LA PACE
PERPETUA”: CONTESTO STORICO E GENESI DELL’OPERA – 3. LA
STRUTTURA - 4. L’ASPIRAZIONE ALLA PACE NEL PENSIERO POLITICO
DI KANT: REALISMO O UTOPIA?
1. La filosofia della pace: linee generali
Tra i fenomeni che hanno segnato la storia dell’umanità, la guerra è probabilmente
quello che probabilmente affonda le sue radici più indietro nel tempo: è dal 3000 a.C
che gli uomini si combattono in forma organizzata e, secondo i calcoli effettuati, nel
corso dei secoli si sono succeduti circa 2300 conflitti, uno ogni 5 anni circa
1
.
In tempi recenti, lo spazio delle grandi guerre sembra essersi ridotto, ma le guerre
internazionali hanno lasciato il posto a forme endemiche, derivanti dalla dissoluzione di
stati molto grandi o poco consolidati; l’evento guerra rappresenta comunque ancora il
fulcro della politica internazionale, che vede gli stati attori principali, sebbene, nel corso
degli anni, vi siano state coinvolte, nelle operazioni di mantenimento della pace, anche
grandi organizzazioni di portata universale come l’Onu.
1
Claudio CIOFFI-REVILLA – Origins and evolutions of war and politics, in “International Studies
Quarterly”, XL, n.1, pp.1-22, citato in Luigi BONANATE – La guerra, in G.John IKENBERRY,
Vittorio Emanuele PARSI (a cura di) – Manuale di Relazioni Internazionali. Dal sistema bipolare all’età
globale, cit., p.155
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
5
In tale contesto, non sorprende che, a partire dalla civiltà greca, la pace sia stata
considerata, già una condizione indispensabile per “realizzare quello che ciascuno si
pone come programma di vita”
2
.
La prima vera manifestazione storica dell’idea di pace può essere considerata la pace di
Antalcida del 386 a.C. tra la Persia e Sparta
3
; prima di questo evento la storia non aveva
conosciuto che accordi, tregue o trattati
4
., ed attraverso le cronologie universali se ne
riportano circa 220
5
.
Gli studiosi dibattono sul significato del termine pace, che troppo spesso viene dato per
scontato. Con questo termine si può intendere, infatti, in modo generico la concordia fra
gli esseri umani e all’interno di una singola comunità, pertanto estranea ai rapporti fra
stati, o più specificamente l’assenza di conflitti armati fra nazioni.
Bisogna scegliere, inoltre, se definire la pace in termini negativi o positivi, sostantivi.
Nella prima accezione pace non è altro che assenza di guerra, assenza di violenza sia
diretta sia strutturale (che cioè consiste nel negare in modo sistematico le risorse
necessarie alla sopravvivenza di una comunità); si può inoltre intendere il concetto
come il momento di cessazione delle ostilità, grazie all’intervento del diritto, e in questo
caso non è altro che “il termine ad quem di un continuum che ha come altro estremo la
guerra” e che vede come momenti intermedi altre fattispecie quali la tregua o
l’armistizio; la pace negativa può essere definita anche pace ‘passiva’, per la cui
2
Marco CESA (a cura di) – Pace/Pacifismo, in Roberto ESPOSITO, Carlo GALLI (a cura di) -
Enciclopedia del pensiero politico. Autori, concetti, dottrine. Bari, Laterza, 2000
3
Arnaldo MOMIGLIANO – Pace e libertà nel mondo antico: lezioni a Cambridge, gennaio-marzo 1940,
Firenze, La Nuova Italia, 1996
4
Quindi si tratta soltanto di interruzioni momentanee delle ostilità
5
Luigi BONANATE – La pace democratica, in IKENBERRY, G.John, PARSI, Vittorio Emanuele (a
cura di) – Manuale di Relazioni Internazionali. Dal sistema bipolare all’età globale, Bari, Editori
Laterza, 2001, pp.175-176
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
6
realizzazione “si richiede da parte degli attori coinvolti un non facere, da intendersi
come mera astensione da atti bellici”, una sorta di tregua a tempo indeterminato
6
.
Al concetto di pace negativa si contrappone quello di pace positiva, “frutto di un
accordo tra le parti” che permette non solo la “cessazione delle ostilità tra i soggetti
coinvolti ma anche la regolamentazione dei loro rapporti futuri”
7
e si traduce in
comportamenti di cooperazione miranti alla costruzione di un ordine internazionale
diverso, che implica un facere, non interstatale (come si addice alla pace negativa) ma
transnazionale quanto ad attori, strutture e valori, o addirittura panumana, per l’ampia
condivisione, a livello planetario, di valori ed obiettivi che la ispirano.
In senso sostantivo si può definire la pace, in antitesi ad una delle definizioni più
accettate di ‘guerra’, come agire intenzionale collettivo non violento, sottolineando
proprio il carattere di intenzionalità, che la contraddistingue da qualsiasi forma casuale
o occasionale
8
.
Negli anni a cavallo tra XVII e XVIII secolo si registrano i primi progetti di
un’organizzazione internazionale per il mantenimento della pace: è già da questi
tentativi embrionali che appare il conflitto principale, che si protrarrà nel secoli. Come
conciliare infatti la necessità di fondare la pace sull’uso della forza con il bisogno di
preservare l’autonomia degli Stati?
Il pacifismo giuridico moderno (con questa definizione si intende il filone di pensiero
che rifiuta la guerra come modo di risoluzione dei conflitti tra Stati e che ritiene che una
6
PAPISCA, Antonio – Democrazia internazionale, via di pace. Per un Nuovo ordine internazionale
democratico, Milano, Franco Angeli, 1986, p.13
7
CESA, Marco (a cura di) – Pace/Pacifismo, cit.
8
Si può così operare agilmente una distinzione da tutte le forme di sospensione temporanea delle ostilità,
in quanto la pace non sarebbe un semplice intervallo tra due guerre, ma un’azione progettata e perseguita
consapevolmente. (PACE, in Fabio ARMAO, Vittorio Emanuele PARSI, (a cura di) Società
Internazionale, Milano, Jaca Book 1997, p.369)
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
7
pace permanente sia desiderabile e possibile) nasce sotto forma di progetti individuali,
tra cui quello kantiano; esso ha ispirato la creazione delle più importanti organizzazioni
internazionali del XX secolo, la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite.
“L’Europa, la coscienza civile dell’opinione pubblica europea ha oggi la possibilità
di progettare il proprio futuro su basi sì realistiche, ma senza rinunciare al
necessario afflato ideale e utopico, indispensabile a ogni momento storico”
9
.
La scarsa notorietà della tradizione pacifista (ed in modo particolare dei progetti di pace
perpetua) è dovuta ai pregiudizi che la circondano, fino alla vera e propria accusa di
‘utopismo’; eppure proprio progetti elaborati tra il XVII e il XVIII secolo già avevano
precorso istituzioni e principi di cooperazione internazionale come la Società delle
Nazioni, il Parlamento Europeo, la Corte internazionale di Giustizia
10
.
L’idea del pacifismo giuridico, secondo cui “soltanto attraverso il diritto e le sue
applicazioni si possa addivenire a una pacificazione sempre più efficace dei rapporti tra
gli stati”
11
, prese forza in contrapposizione a quel realismo politico che non vedeva altra
possibilità se non l’ineluttabilità dello stato di guerra intervallato da brevi momenti di
pace; i progetti settecenteschi, tra cui quello kantiano, sono veri e propri progetti politici
che oggi possono essere suddivisi, utilizzando la tripartizione proposta da Archibugi, in
tre modelli: piramidale, diffusivo e cosmopolitico (che rappresenta una sintesi tra i due
9
Renzo REPETTI - Pace e organizzazione internazionale tra età moderna e contemporanea, in M.Grazia
BOTTARO PALUMBO - Gli orizzonti della pace. La pace e la costruzione dell’Europa. 1713-1995
Genova, Ecig, 1995, p.17
10
Per una panoramica completa sull’argomento, vedi Daniele ARCHIBUGI, Franco VOLTAGGIO (a
cura di) – Filosofi per la pace, Roma, Editori Riuniti, 1999
11
Renzo REPETTI, ibidem, in M. Grazia BOTTARO PALUMBO - Gli orizzonti della pace. La pace e la
costruzione dell’Europa. 1713-1995, cit., p.31
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
8
modelli precedenti)
12
.
Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, alcuni intellettuali (Zimmern, Woolf e
Murray) teorizzarono che dal momento che non esiste alcuna ragione naturale per cui
gli esseri umani scelgano di farsi guerra l’un l’altro, le guerre non erano altro che la
conseguenza di un’ancora inadeguata struttura organizzativa degli Stati, da sottoporre
dunque ad un’azione di riforma capace di sgombrare da tutte quelle “tenebre, dubbi, e
ignoranza che generano paura” e da “quelle paure che generano guerra”
13
.
12
vedi, infra, Cap. II, par.5.5
13
Leonard WOOLF – International government, London, Allen and Unwin, 1916, p.135, citato in Luigi
BONANATE – La guerra, in IKENBERRY, G.John, PARSI, Vittorio Emanuele (a cura di) – Manuale di
Relazioni Internazionali. Dal sistema bipolare all’età globale, cit., p.169
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
9
2. “Per la pace perpetua”: contesto storico e genesi dell’opera
La pace e la guerra rappresentano indiscutibilmente due temi centrali della riflessione
filosofica, prima, e politologico-internazionalistica, poi; ma è dai primi decenni del
Novecento che la prospettiva proposta da Kant nello scritto “Zum ewigen frieden” del
1795, quella di un possibile superamento del conflitto armato tra gli stati attraverso una
istituzione di tipo sovranazionale, appare più che mai dotata di una illuminante attualità:
inserendosi in una lunga scia di progetti di “pace perpetua”, da quello di Penn a quello
dell’Abbè de Saint-Pierre, anch’esso risultò inefficace nel suo tempo, ma ha trovato
parziale realizzazione negli organismi sopranazionali del nostro tempo.
In Per la pace perpetua l’intento dell’autore è proprio quello di considerare la
riflessione sulla pace quale tema costitutivo della filosofia politica, offrendo una
soluzione che dopo aver assunto la guerra come dato non naturale delle relazioni
interstatuali va nella direzione di produrre “una qualche forma di artificio in grado di
dirimere le eventuali controversie tra gli stati”
14
.
Il saggio kantiano sulla pace è dotata di un carattere particolare sotto vari aspetti: per
avere come destinatario, nelle intenzioni del filosofo, un pubblico vasto, perché può
essere considerata un vero e proprio atto politico, per l’ attualità rispetto al contesto
storico in cui si inserisce, e, infine, per il modo diretto in cui si rivolge all’ampio
pubblico. La dizione ‘progetto filosofico’, però, specifica non solo il desiderio di
salvaguardarsi da una possibile censura prussiana, ma addirittura, attraverso l’aggettivo
14
Anna LORETONI – L’ordine tra gli Stati: pace e progresso nella prospettiva kantiana, in Giulio M.
CHIODI, Giuliano MARINI, Roberto GATTI – La filosofia politica di Kant, Milano, Franco Angeli,
2001, p.60
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
10
‘filosofico’, il tentativo di estendere la sua critica filosofica alla sfera dei rapporti
internazionali: Kant, in questo modo, intende precisare al lettore che il suo interesse
principale non è tanto quello di presentare una proposta giuridico-politica ai principi ed
agli Stati d’Europa, quanto quello di mettere a punto una teoria volta a trovare una
soluzione al problema della pace
15
.
Kant era stato profondamente colpito dalla stipula del trattato di Basilea, con il quale nel
gennaio 1795 il governo prussiano aveva sospeso la guerra con la Francia; Kant
condannava inoltre la modalità del trattato, ritenendola illegittima, in quanto non si
trattava di ottenere la pace, ma soltanto una “sospensione delle ostilità”: il nuovo clima
politico lo portò ad esternare le sue idee rivoluzionarie relative in primis ad una
revisione del diritto internazionale, e, in secondo luogo, alle condizioni necessarie
all’instaurazione di una pace duratura. Il trattato di Basilea però implicava anche
conseguenze che Kant ripudiò immediatamente, prima tra tutte la spartizione della
Polonia ad opera del governo Prussiano; negli anni della Rivoluzione francese, l’eco di
quegli avvenimenti non poteva non influenzare la riflessione kantiana, già orientata
contro “ogni forma di dispotismo, fosse esso del principe o del popolo”
16
.
Nonostante la capillare diffusione per tutto il diciannovesimo secolo, soprattutto in
edizioni in lingua inglese, il saggio è stato interpretato in maniere contraddittorie,
estrapolando visioni del tutto estranee agli intenti kantiani, come per il presunto
pacifismo ( mentre Kant auspica espressamente la creazione di milizie cittadine a scopi
difensivi); già il titolo originale, Zum ewigen frieden, si presta infatti a diverse possibili
15
Paolo SERRERI (a cura di) – La coscienza della pace, Napoli, CUEN, 1994, pp.177-178
16
Gioele SOLARI – La formazione storica e filosofica dello stato moderno, a cura di Luigi Firpo, Napoli,
Guida Editori, 1992, p.105
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
11
traduzioni/interpretazioni: “della pace perpetua”, “verso la pace perpetua”, e, in
ultimo, “in pace perpetua”.
Kant sviluppa due concetti, la pace ed il progresso, l’uno appartenente alla riflessione
politica, l’altro a quella filosofica, che sono indissolubilmente legati, in quanto la prima
risulta essere “il compimento di quel procedere della storia verso il meglio che
rappresenta il punto d’incontro tra morale, politica e diritto”
17
; la convinzione che il
mondo possa migliorare vuol dire soprattutto che non risulta essenziale volgere lo
sguardo all’indietro per trovare l’indirizzo giusto per l’agire umano. Il progresso però va
anche visto in modo consapevole, dal momento che il procedere verso il futuro rimane
lento e difficile, in particolare in alcuni campi, tra cui l’ambito internazionale: qui infatti
si riscontrano dei ritardi tra i quali, in primis, un deficit di affermazione del diritto, che
determina come prima conseguenza l’arretratezza nel percorso che conduce alla
realizzazione di istituzioni politiche sul piano internazionale. La politica internazionale
rimaneva inscritta, così, in un ordine instabile, generalmente determinato dalla
conclusione di un conflitto (è evidente il riferimento all’accezione negativa del concetto
di pace), e per questo continuamente rivedibile e modificabile.
Kant, proprio perché mette in discussione la connessione tra passato, presente e futuro,
fiducioso che l’ordine degli eventi volga verso il meglio, è in grado di formulare un
obiettivo politico nuovo, quale è quello della pace perpetua, rendendolo effettivamente
realizzabile, attraverso una teoria politica di carattere non solo descrittivo, ed i modelli
pratici che ne derivano.
17
Anna LORETONI – Pace perpetua e ordine internazionale in Kant, in “Iride”, n.17, gennaio-aprile
1996, p.117
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
12
La politica internazionale rimaneva inscritta in un ordine instabile, generalmente
determinato dalla conclusione di un conflitto (è evidente il riferimento all’accezione
negativa del concetto di pace), e per questo continuamente rivedibile e modificabile.
Nella sua riflessione egli prende spunto dalla tradizione dello jus gentium
18
,
estrapolando in particolare da esso tre nuclei concettuali fondamentali:
a) centralità degli stati come attori del sistema internazionale
Nella tradizione romana, l’espressione jus gentium stava ad indicare i rapporti con
comunità di carattere non statuale, ed è nei secoli seguenti, in particolare tra il XVI ed il
XVII secolo, che si amplia fino ad includere anche il diritto pubblico esterno, tra stati
sovrani, quello tra stati ed individui che appartengono a comunità non statuali
19
, ed i
diritti e doveri dei sovrani nei confronti dei sudditi degli altri stati; con l’affermazione
degli stati nazionali il diritto delle genti
20
finisce per coincidere con il diritto interstatale.
Christian Wolff, il più noto filosofo tedesco della prima metà del Settecento, distingue
in particolare tra il diritto delle genti naturale e quello necessario: il primo, generato
dalla legge morale, impone una condotta alle nazioni, incentrata sul rispetto dei diritti
che ogni stato sovrano ha nei confronti dei sudditi di un altro stato; il secondo, le cui
norme derivano dal diritto pubblico interno, implica una sorta di consenso da parte delle
nazioni a regolare i propri rapporti con le altre sulla base di principi generali
21
;
nonostante questa partizione, però, il problema di fondo rimaneva l’assenza di
18
Kant conosce molto bene il tema ed i contributi di Grozio, Pufendorf e Vattel, in quanto tenne
all’Università di Konisgberg lezioni di diritto naturale dal 1767 al 1788
19
E’ chiaro il riferimento alle comunità dell’America post-colombiana
20
A livello terminologico l’espressione latina jus gentium venne tradotta in inglese con Law of Nations
già agli inizi del Seicento, mentre la traduzione francese droit des gens è rimasta in vigore fino agli inizi
dell’Ottocento, e quella tedesca Völkerrecht fino agli inizi del Novecento.
21
Si parla di diritti d’asilo, diritti degli individui, dovere di rispettare le obbligazioni fra i propri cittadini
e quelli di altre nazioni.
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
13
un’istituzione che avesse il potere di imporre il rispetto di tali principi. Wolff trova una
soluzione ipotizzando che le nazioni, così come gli individui appartengono nello stato di
natura ad una sola società, fanno parte idealmente di una civitas maxima, in cui i singoli
stati sono subordinati all’insieme degli stati e “le nazioni, nel loro insieme hanno il
diritto di forzare la singola nazione, se queste non adempiono ai loro obblighi”
22
.
L’intervento previsto sarebbe dunque ad opera di un’autorità sovranazionale, la cui
realizzazione concreta rimanda immediatamente ad un’istituzione simile alla Società
delle Nazioni o alle Nazioni Unite; ma mentre Wolff limita questa soluzione ad una
ipotesi, ad una finzione giuridica, Kant troverà nel suo sistema di diritto internazionale
un ruolo ben definito per la civitas maxima, traendo però dal diritto delle genti principi
quali l’uguaglianza formale degli stati e il principio della non intereferenza
23
.
b) condizioni per autorizzare l’uso della forza all’interno degli stati e tra stati
Quando Kant scriveva il saggio sulla pace perpetua, la maggior parte dei conflitti interni
provocavano ripercussioni sul piano internazionale, per cui l’autorizzazione
all’intervento in caso di guerra civile poteva significare sostenere una o l’altra parte in
guerra
24
; al contrario, la negazione del diritto alla rivoluzione poteva rappresentare una
sorta di autorizzazione a qualsiasi comportamento del sovrano.
Per Kant, i termini diritto e guerra sono in antitesi, ma, in caso di eventuali violazioni
del diritto da parte di un sovrano, bisogna individuare i soggetti autorizzati ad opporvisi.
Vattel, in una critica a Grozio, stabilisce che “un sovrano non si può erigere a giudice
22
Christian WOLFF - Jus gentium metodo scientifica petractatum, Oxford, Clarendon Press, 1749, §13
23
Ivi, pp.97-98
24
Nello specifico, significava “sostenere tanto la legittimità dell’intervento dell’esercito francese al di là
del Reno, a sostegno dei giacobini tedeschi quanto quello di una Lega delle potenze europee contro la
Francia rivoluzionaria a sostegno del partito monarchico o degli insorti della Vandea” (Daniele
ARCHIBUGI – Immanuel Kant e il diritto cosmopolitico, cit., p.101)
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
14
della condotta di un altro”
25
; relativamente al diritto dei sudditi alla ribellione, Wolff e
Vattel sostengono tale diritto autorizzandolo dal momento in cui la ribellione si
trasforma in guerra civile
26
; Grozio invece nega il diritto dei sudditi alla ribellione, ma
sostiene invece che un altro stato può intervenire contro il sovrano, compiendo un
‘intervento umanitario’
27
.
Kant, dal suo punto di vista, ritiene illegittimo sia l’intervento di uno stato negli affari di
un altro stato, sia il diritto di resistenza, ritenendo contraddittorio un ordinamento che
prevedesse il diritto positivo alla resistenza.
c) titolarità di diritti inalienabili da parte degli individui
Riprendendo la riflessione giusnaturalistica, Kant ritiene che ad ogni uomo, in quanto
tale, spettino diritti naturali, che lo Stato non deve far altro che riconoscere, ammettendo
così un limite preesistente alla sua sovranità, e tutelare.
Nella stessa epoca e con lo stesso scopo del diritto delle genti, quello di regolare i
rapporti tra gli stati, ed in primo luogo quello tra guerra e pace, si sviluppa la tradizione
dei progetti di pace perpetua: la differenza sostanziale tra le due esperienze, che è quella
che Kant evidenzia e sviluppa, è la preferenza per la netta opposizione a tutte le guerre
25
Emmerich DE VATTEL– Les droits des gens, ou principes de la loi naturelle. Apliquées à la conduite
et aux affaires des nations et des souverains (1758), Carnegie Insttution, Washington, 1916, § 55
26
“Se un principe viola le leggi fondamentali, dona al suo popolo un diritto legittimo di resistergli, se la
tirannia, diventa insopportabile, solleva la nazione; tutte le potenze straniere sono in diritto di soccorrere
un popolo oppresso che domanda assistenza […] Tutte le volte che la situazione si trasforma in una
guerra civile, le potenze straniere possono sostenere quella delle due parti che pare loro stia con la
giustizia” (Emmerich DE VATTEL – Les droits des gens, ou principes de la loi naturelle. Apliquées à la
conduite et aux affaires des nations et des souverains, cit., libro II, cap. IV, §56, pp.298-99)
27
“E, anche se abbiamo dato per certo che i sudditi non devono, neppure sotto le più pressanti necessità,
prendere le armi contro il proprio Principe […] non dobbiamo per questo concludere che altri principi non
le possano prendere a loro difesa” Ugo GROZIO – De jure belli ac pacis (1625), ristampa anastatica della
IX edizione, Amsterdam, 1646, Carnegie Institution Washington, 1916, libro II, cap.XXV, § 3, p.411.
Vedi anche R.J., VINCENT - Grotius. Human rights and intervention, in BULL, H., KINGSBURY, B.,
ROBERTS, A. (a cura di) – Hugo Grotius and international relations, Clarendon Press Oxford, 1990.
Cap. I – L’aspirazione alla pace: il progetto kantiano
15
piuttosto che per una regolamentazione del fenomeno, realizzabile attraverso la
creazione di istituzioni sovranazionali che possano giudicare sull’operato degli stati
28
.
Da questo punto di vista, il saggio kantiano fu influenzato in particolare da un opuscolo
comparso a Parigi nei mesi precedenti alla pubblicazione della Pace Perpetua, che si
proponeva di conciliare l’aspirazione all’estensione della democrazia con il
mantenimento della pace: l’Epitre du vieux cosmopolite Syrach à la Convention
Nazionale de France proponeva la creazione di una ‘cosmofederazione europea’,
scaturita dal diritto delle genti e da una costituzione generale dell’Europa, prevedendo
inoltre che gli individui potessero godere di diritti anche in seguito all’instaurazione
della cosmofederazione
29
.
28
I principali progetti di pace perpetua sono raccolti nel volume citato di Archibugi e Voltaggio, Filosofi
per la pace, in cui sono riportati i saggi di Rousseau, Saint Pierre, Bentham. Altri progetti sono quelli di
Cloots e Gargaz (cit.)
29
“Così come ci sono i diritti dell’uomo, che l’uomo non può alienare, anche se entra a far parte della
società civile, così come ci sono dei diritti del cittadino che i popoli non possono alienare quando entrano
a far parte delle federazioni politiche, ci sono anche dei diritti inalienabili degli stati, che non possono
essere sacrificati dall’insieme degli stati nell’ambito di una grande federazione del mondo” (SYRACH -
Epitre du vieux cosmopolite Syrach à la Convention Nationale de France, (1795) p.145, citato in D.
ARCHIBUGI – Immanuel Kant e il diritto cosmopolitico, cit., p.104)