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INTRODUZIONE
Il testo da me analizzato è il saggio scritto da Luigi Zoja Il gesto di Ettore. Preistoria, storia,
attualità e scomparsa del padre edito da Bollati Boringhieri, la cui prima edizione risale al
2000, seguita da una seconda edizione riveduta nel 2003; l’ultima ristampa da me consultata è del
maggio 2014.
Attraverso un excursus storico, in cui viene constatata l’irreversibile perdita della figura paterna
tradizionalmente intesa, la tesi che intendo sostenere è che, in realtà, al ruolo paterno attuale va
attribuita una nuova funzione. Il mutamento può, o meglio deve essere interpretato quale
risorsa da cui partire per rivalutare il padre oggi. Zoja, nel libro, si occupa delle origini e
dell’evoluzione del padre da un punto di vista storico, sociologico ma soprattutto psicologico e
della crisi contemporanea che sta attraversando la paternità nella società occidentale. La struttura
del libro è particolare, in quanto l’autore segue la storia del padre soffermandosi solo sui momenti
psicologici a suo avviso piø significativi. Partendo dalla preistoria, passando per la Grecia, a
seguire Roma, per arrivare all’avvento del Cristianesimo, Zoja giunge a considerare la rivoluzione
francese e poi quella industriale. Dopo aver valutato l’influenza delle due guerre mondiali,
l’autore riflette infine sulla “rivoluzione” della famiglia, occupandosi della condizione attuale del
padre. Mentre la coppia diadica madre-figlio è stata oggetto di numerosissimi studi e appare,
soprattutto nella sua origine, esclusiva e quasi avulsa dal mondo esterno, la coppia padre-figlio,
fin dal suo inizio, si deve rapportare con la suddetta diade e ci si aspetta che sia proprio il padre
che insegni al figlio a collocarsi nella società, che lo protegga e lo segua nella sua crescita. La
paternità non è quindi semplicemente istintuale, biologica, ma un complicato gesto culturale
attraverso cui il maschio si prende cura dei figli. Per questa ragione l’autore è convinto che la
paternità sia fondamentalmente un’adozione: le sono necessarie intenzione e consapevolezza.
Quello che risulta sorprendente, seguendo l’evoluzione dei mammiferi, è che sia proprio questo il
salto che differenzia la specie umana: l’invenzione di un nucleo monogamico stabile in cui il
maschio assolva una funzione paterna.
Molto interessante è il “paradosso del padre” piø volte menzionato da Zoja per esprimere
le aspettative contrastanti del figlio nei confronti del padre nella società cosiddetta patriarcale.
Secondo tale paradosso il padre deve essere padre in famiglia, dove prevalente è la legge del
bene e quella dell’amore, ma deve essere padre in quanto spiega al figlio come è organizzata
la società, gli insegna a stare in società ed è guardato dal figlio nel suo stare in essa . Lo
sguardo del figlio verso il padre che gli fa da maestro è però lo sguardo che si attende il padre in
qualche modo vincente, dando il primato alla legge della vittoria su quella dell’amore, una legge
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spietata definita da Zoja “darwiniana”. E’ meno importante che, in società, il padre sia buono
come in famiglia, perchØ essere buono, ma perdente, rischia di avere come risultato il fatto che
il figlio ritiri la funzione paterna del padre.
Il duplice ruolo del padre viene abilmente simboleggiato dal titolo del libro, che rievoca una
bellissima immagine presente nel IV canto dell’Iliade, poema epico che canta una guerra
scatenata per una bellissima donna, in cui si avverte la presenza della figura forte del padre.
Ettore, prima di andare a combattere, torna a casa, abbraccia la moglie Andromaca ma quando
tenta di abbracciare il figlioletto Astianatte, lui strilla e si gira dall’altra parte. I due genitori si
guardano e capiscono. Il poeta, forse il primo dei grandi psicanalisti, ci fa capire che Ettore,
rientrato di corsa, è ancora vestito dalle armi e in lui c’è il maschio guerriero e competitore. Per
entrare in casa deve svestire l’armatura, per poi rivestirla il giorno dopo. Il bambino si era
spaventato per l’elmo e la chioma rossa. Solo dopo essersi tolto l’elmo può abbracciare il
bambino e innalzarlo verso Zeus. E’ nel “gesto di Ettore” che si trova addensato tutto il
significato della paternità, mentre nella sua morte, sbranato dai cani e dagli avvoltoi, si
scorge “la possibilità di regressione dalla responsabilità all’istinto, e la dissoluzione del progetto
paterno” (pag.101). Ettore sa che deve essere forte in battaglia e al contempo tenero e amorevole
in famiglia. Riflettendo sulla società attuale, quella che l’autore sembra proporci è l’immagine di
una civiltà che ha tendenzialmente cessato di adottare i propri figli e che ha perciò bisogno del
“gesto di Ettore, che segna l’istituzione della civiltà, capace di fondare insieme sia il fiume che
l’argine” (p.45), cioè avverte la necessità di un recupero del padre in grado di compiere
nuovamente un gesto istituente, poichØ l’essere padre è sempre una scelta.
L’ autore del libro è Luigi Zoja, nato a Varese nel 1943; si laurea alla fine degli anni Sessanta in
economia. Dopo aver condotto numerose ricerche sociologiche, si iscrive all’ Istituto C.G.
Jung di Zurigo, presso cui consegue il diploma di psicologo analista e successivamente insegna.
Ha lavorato in passato a Zurigo e New York, attualmente lavora a Milano. Ha tenuto corsi
presso diverse Università italiane e all’estero. Dal 1984 al 1993 è stato Presidente della CIPA,
Centro Italiano di Psicologia Analitica. Dal 1998 al 2001, ha presieduto la International
Association for Analytical Psychology (IAAP). Dal 2001 al 2007 è stato Presidente del Comitato
Etico internazionale dello IAAP. Partecipa ai principali Festival di cultura italiani e pubblica
articoli su vari quotidiani e riviste. I suoi saggi, tra cui Nascere non basta (Raffaello Cortina,
Milano 1985) e Il gesto di Ettore (Bollati Boringhieri, 2000) sono tradotti in 14 lingue. Già nel
testo Nascere non basta, l’autore mette in evidenza come spesso l’abuso di droga ricalchi
inconsciamente gli antichi riti di iniziazione e cerca di analizzare i modelli inconsci che guidano
verso la tossicodipendenza. In quanto psicoterapeuta di stampo junghiano, il suo pensiero è
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guidato dalla convinzione che gli archetipi del nostro inconscio collettivo guidino e influenzino i
nostri comportamenti; la paternità attuale non è certo esente da tale influenza. Nel piø recente
saggio Centauri. Mito e violenza maschile (2010) Zoja focalizza l’attenzione sui centauri, esseri
duali, metà uomo e metà cavallo. L’identità maschile è scissa in animale (fecondatore) e civile
(paternità), ben piø di quanto sia quella femminile. La sua polarità sociale non è frutto di una
lunga evoluzione, ma recente e culturale, quindi piø precaria. Con lo sprofondamento del
patriarcato riemerge, nel pieno della post-modernità, il polo “rimosso”: la natura animale,
simboleggiata dal cavallo. Come nel mito, irrompono patologie, quali lo stupro di gruppo,
sconosciute alle specie animali, testimoni di un’incapacità di relazione risolto con la violenza.
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ANTICHITA’ E MITO
Zoja, per farci comprendere il padre oggi, ha scelto di dare ampio spazio all’antica Grecia perchØ
facendo una storia psicologica il suo percorso si interessa piø di simboli che di concetti, piø di
miti e meno di ragione. E’ infatti dalla Grecia che abbiamo ereditato le immagini mitiche, tra cui
il mito del padre, e sono proprio queste immagini che abitano la psiche di tutti gli abitanti
dell’Occidente, formando uno strato profondo immaginale. La comprensione del padre odierno
può essere favorita anche dal fatto che la figura paterna greca attraversò una crisi analoga a quella
della nostra epoca. Per l’uomo occidentale, l’orizzonte storico del padre, (intendendo per
orizzonte il confine cui si può arrivare senza interruzioni) è quindi greco. In realtà anche il
mondo romano è radice di quello euro-americano moderno e molte sue leggi e istituzioni,
riguardanti proprio il padre, sono da ricondursi in esso. Tuttavia Roma nasce dopo i Greci e
ne rappresenta una sua continuazione, pertanto mi pare interessante soffermarmi sulle tre figure
appartenenti al mondo greco trattate dall’autore che rappresentano in maniera efficace il mito
delle origini paterne : Ettore, Ulisse ed Enea, tre personaggi per alcuni aspetti molto diversi, ma
accomunati dall’essere padre, dal progetto e dalla responsabilità. Ettore incarna il padre-guerriero,
eroico, spesso sottoposto a tentazioni che stuzzicano l’ira, o che scaturiscono dalle novità,
seduttrici ricorrenti di Ulisse; tuttavia egli è tentato soprattutto dal calore e dalla ragionevolezza
delle donne. La sua figura però è mancante di “hibrys”, l’arroganza che può scompigliare
come un cataclisma interno l’anima, quindi riesce a mantenersi razionale e a respingere senza
moralismi le proposte di compromesso e le richieste d’affetto estranee al suo mondo di doveri:
anzichØ far prevalere il suo essere maschio, si permette di perdersi, come padre, nel rapporto con
il figlio. Ulisse invece, pur essendo re di una piccolissima isola poco rilevante a livello storico, è
diventato un personaggio leggendario grazie alla sua novità psicologica, da attribuirsi al proprio
essere contradditorio e quindi tanto simile a noi uomini comuni. Egli non è infatti eroico, se non
in particolari circostanze: per il resto è ambivalente, spesso molto furbo, a volte scorretto.
Riempie l’Odissea con le sue avventure ma, a differenza dell’eroe tradizionale o del benefattore,
non è interessato alle azioni nobili in sØ, quanto al vantaggio immediato e alla vittoria in tempi
lunghi. La figura di Ulisse è quindi molto complessa: è un padre che pensa sempre al ritorno, pur
lasciandosi tentare da varie figure femminili e dalla curiosità di esplorare lo spazio, ma alla fine
rappresenta il ritorno della responsabilità in età paterna. Enea viene infine a rappresentare la
catena delle generazioni. L’immagine emblematica del rapporto verticale tra padri e figli si
esprime chiaramente nella scultura, diventata famosa, del Bernini che vede Enea, in fuga con
padre e figlio: le braccia dell’eroe fondatore – il destro che conduce il giovane Ascanio, il sinistro