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delle scorte e la ragione più frequente è la loro inabilità di previsione dei consumi
futuri.
Poiché i clienti di un’impresa sono spesso geograficamente dispersi (a volte
distanti centinaia o migliaia di chilometri dal luogo di produzione) può essere
necessario immagazzinare scorte in più stabilimenti dando origine ad un sistema
distributivo multistadio (multi echelon). Quando la produzione è separata dal
consumo da più stadi di immagazzinamento le oscillazioni della domanda sono
amplificati dalla rete distributiva. Questo effetto, noto in letteratura come effetto
Bullwhip, è causato dalle diverse politiche di gestione degli ordini di rifornimento
attuate da ogni stadio distributivo, a sua volta influenzate dai rispettivi lead times.
Secondo Tersine (1994), un sistema distributivo può essere infatti classificato come
pull o push. In un sistema pull ogni centro di distribuzione decide cosa è richiesto per
ogni periodo ed ordina direttamente dai propri fornitori. In un sistema push, il centro
di distribuzione centrale (master) determina le esigenze di ogni altro centro
distributivo e provvede agli ordini di ripristino dai fornitori.
I vantaggi derivanti dall’adozione di un sistema centralizzato push, dove le
quantità per ogni lotto di rifornimento sono decise sulla base delle quantità
attualmente presenti a magazzino, sono molteplici e si realizzano in consistenti
risparmi di gestione per tutta la catena distributiva. A differenza dei sistemi pull, nei
sistemi push il flusso informativo è bidirezionale lungo la supply chain siccome il
centro distributivo centrale decide il mix distributivo avendo come input le quantità
attualmente a scorta e le previsioni di domanda futura per ogni altro centro di
distribuzione.
Questa tesi di laurea analizza un sistema distributivo di tipo push ad un’origine e
varie destinazioni (one origin – multiple destinations) nel quale un insieme di prodotti
(multi item) è reso disponibile al centro distributivo centrale e deve essere rifornito ai
vari centri distributivi a valle, seguendo la politica di gestione delle scorte delineata
dal centro distributivo centrale (v. Fig 1).
Questo tipo di problema è generalmente noto come Inventory Routing Problem
(IRP) o Vendor Managed Inventory (VMI) e comporta la soluzione di due problemi
tradizionalmente affrontati separatamente: il problema di gestione delle scorte (cosa
rifornire, in quale quantità e quando farlo) ed il problema distributivo, o di routing
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(quali percorsi fare seguire ai veicoli per raggiungere gli stabilimenti dei centri
distributivi secondari).
DEPOT
C
1
C
4
C
3
C
2
Mfg d
Mfg b
Mfg c
Mfg a
Depot: centro distributivo centrale
C
i
: i
mo
centro distributivo secondario
Mfg: manufacturer/fornitore
Figura 1
Alla soluzione del problema distributivo possono essere applicate due strategie
alternative: Direct Shipping (a volte indicato come Truck-Load, TL) e Peddling (Less-
Than-Truck-Load, LTL). Nella tecnica direct shipping ogni destinazione è servita
indipendentemente dalle altre; questo significa che ogni veicolo compie un tragitto su
un percorso composto di due nodi, il magazzino master ed il magazzino del centro
distributivo secondario da rifornire. È evidente che in questo modo viene evitata la
soluzione del problema di ricerca del percorso ottimale poiché tale percorso è
univoco. Nella strategia di peddling ogni veicolo può visitare in ogni viaggio più di
una destinazione quindi il problema è molto più complesso dovendo decidere anche il
percorso ottimale di ogni veicolo. L’aumentata complessità del problema è comunque
giustificata dai numerosi vantaggi (esaminati nei successivi capitoli) che tale tecnica
offre sul direct shipping.
I magazzini secondari presentano richieste al magazzino centrale che si
manifestano come vincoli per quest’ultimo:
Tempo di risposta (arrivare prima)
Finestre temporali (arrivare dopo / ripartire prima)
Vincoli fisici (restrizioni sul peso e/o sul volume di ogni carico
consegnato)
Frequenze di consegna (numero di consegne per periodo temporale)
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Massima percentuale di unità danneggiate durante il trasporto.
Allo stesso tempo, la soluzione ottima del problema di routing non deve eccedere i
seguenti vincoli:
Capacità del percorso distributivo (massimo carico e/o volume
trasportabile, limiti di velocità e/o di traffico tra i nodi di origine e
destinazione)
Capacità dei veicoli (massimo carico e/o volume trasportabile, o
restrizioni sulle ore di utilizzo di un veicolo)
Capacità del container (massimo volume, peso, o vincoli di forma del
container utilizzato per il trasporto).
Capacità degli addetti (vincolo sul numero massimo di ore consecutive
di lavoro o sul peso massimo sollevabile)
Mantenimento del bilanciamento di lavoro fra gli operatori (autisti,
operai, facchini).
Secondo Frazelle (2001), il trasporto è la spesa più consistente tra le attività di
logistica, rappresentando il 44% delle spese totali destinate alla logistica ed oltre 400
milioni di dollari annuali nei soli U.S.A.
A causa di ordini di ripristino delle scorte sempre più piccoli e frequenti, mancanza
di manodopera, ridotta competizione nel settore causata da recenti acquisizioni e
fusioni, ed aumentata penetrazione delle associazioni sindacali nel mercato del lavoro
statunitense, le spese di trasporto stanno crescendo più velocemente delle altre spese
dell’area logistica. Tale aumento dei costi è riflesso nelle recenti amplificazioni del
rapporto tra le spese logistiche totali ed il PIL statunitense.
Altri costi logistici sostenuti dalle aziende si possono classificare come:
Spese di magazzino, 26%
Movimentazione delle scorte, 20%
Altre, 10%
La scelta del percorso seguito da ogni veicolo per la distribuzione dei prodotti ha
quindi importanza fondamentale per il contenimento dei costi logistici per l’impresa.
Il costo di trasporto include le seguenti voci:
Costo di nolo del/dei veicolo/i.
Costo di acquisto del/dei veicolo/i.
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Carburante.
Manutenzione.
Remunerazione degli operatori.
Costi di assicurazione.
Costi di carico/scarico dei veicoli.
Tasse/Imposte sulla proprietà dei veicoli.
Tasse internazionali.
La soluzione di trasporto impiegata ha inoltre notevole influenza sui costi unitari di
stoccaggio e mantenimento a scorta nei magazzini secondari.
L’obiettivo generale della gestione dell’attività di trasporto è connettere i nodi di
origine dei prodotti con i destinatari di tali prodotti al minore costo possibile e non
violando i vincoli posti dai destinatari medesimi o dalla rete infrastrutturale. Il
problema sottoposto al pianificatore della distribuzione è ulteriormente complicato in
quanto si è sottoposti all’azione di due forze contrastanti: si è incoraggiati dalla
funzione finanziaria a ridurre i costi unitari di acquisto dei prodotti ed allo stesso
tempo si è spinti dalla funzione logistica a ridurre i tempi di ciclo e ad aumentare la
disponibilità media a magazzino. Poiché la soluzione che garantisce minimi i costi
unitari di acquisto è spesso anche quella che rende i più lunghi lead times e minima la
disponibilità media a magazzino, la funzione acquisti (della quale il pianificatore
spesso fa parte) si trova spesso ad affrontare problemi complessi. Rendere la funzione
acquisti parte di un’organizzazione più ampia che comprende anche le relazioni con i
clienti, la programmazione e gestione delle scorte, la gestione dell’attività di trasporto
e del magazzino, è solo parte della soluzione al problema.
Per Supply Chain Management (SCM) si intende un insieme di tecniche gestionali
che hanno lo scopo di integrare i clienti, i fornitori, i produttori, i trasportatori, i
distributori ed i rivenditori allo scopo di ottenere prodotti e/o servizi prodotti e
distribuiti nella giusta quantità, alla corretta destinazione e nei tempi prestabiliti, con
l’obiettivo di minimizzare i costi dell’intera catena e soddisfacendo i requisiti di
livello di servizio.
Il framework del SCM rende possibile includere i problemi e le esigenze di tutti
gli attori della supply chain in un unico modello. Questa caratteristica del paradigma
SCM permette di introdurre un nuovo approccio alla soluzione dei problemi in quanto
fino a 15-20 anni fa l’interesse principale dei ricercatori era lo studio separato dei
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problemi di gestione delle scorte e dei trasporti. Mancando quindi l’approccio
sistemico molte caratteristiche e risvolti del problema sono stati tralasciati o non
approfonditi adeguatamente.
Secondo Ron Pachura di Andersen Consulting (2001), il profitto potenziale
derivante dalla gestione ottimale delle attività di acquisto e relazione con i fornitori è
enorme comparato con quello derivante dalle altre strade percorribili dal management.
Per esempio, in molte organizzazioni è possibile ridurre il costo aggregato delle
materie prime del 4% o più. Per ottenere lo stesso conseguente incremento dei profitti,
le vendite dovrebbero aumentare approssimativamente dal 25 al 30%.
Una caratteristica chiave delle supply chains efficienti è il libero flusso
bidirezionale di informazioni tra i partners, in modo tale che i produttori, i fornitori,
ed i consumatori possano comprendere, anticipare, e rispondere in modo efficace ai
cicli di domanda e con prodotti dalle caratteristiche adeguate. Quando questa
condizione necessaria non è rispettata, le collaborazioni non portano i risultati sperati,
come nel caso di Ford Motor Co. con Bridgestone/Firestone dove la mancanza di
collaborazione e condivisione delle informazioni ha causato notevoli problemi alla
produzione e, in ultima analisi, il fallimento di un costoso progetto di collaborazione
di medio/lungo periodo. Tuttavia le collaborazioni di successo hanno portato i
partecipanti ad aumentate quote di mercato; un esempio per tutti, Wal-Mart Co. con i
suoi fornitori, tra i quali Procter & Gamble.
Una corretta applicazione dell’approccio SCM porta ad ottimo globale per la
supply chain che non è necessariamente composto dalla serie di ottimi locali dei suoi
partners. La soluzione è però più vantaggiosa per tutti i partecipanti perché consente
l’espansione delle quote di mercato e quindi l’aumento dei profitti.
1.2 - IL MODELLO
Consideriamo un sistema distributivo di tipo push composto da un centro
distributivo centrale (depot) ed altri n centri distributivi secondari (retailers) o
magazzini di rivenditori che fanno fronte ad una domanda esterna, considerata
deterministica e costante, per m prodotti differenti. Il depot monitora la domanda di
ogni prodotto prevista per ogni centro distributivo secondario per il periodo di
pianificazione (planning period) e decide cosa, quanto e quando inviare di ogni
prodotto a ciascun magazzino, ottimizzando l’uso della flotta di veicoli di cui dispone
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per la consegna lungo la rete ed evitando situazioni di mancanza di scorte presso i
centri distributivi secondari.
Il numero di veicoli a disposizione del depot non è fissato a priori e quindi non è
un vincolo del modello siccome il problema considerato appartiene alla fase di
pianificazione delle risorse. Per la stessa ragione non sono inclusi nel modello altre
problematiche tipicamente affrontate nel processo di progettazione e gestione di una
rete distributiva, come la gestione dell’utilizzo degli equipaggi dei veicoli impiegati, e
la manutenzione programmata (e quindi l’indisponibilità temporanea) dei veicoli
medesimi.
La domanda per ciascun prodotto presso ogni retailer è assunta deterministica, nota
e costante per ogni periodo di pianificazione.
Scorte di magazzino sono mantenute (senza limitazioni) presso ogni centro
secondario ma non presso il depot, che agisce come un centro di smistamento (break-
bulk center) e mantiene scorte presso il proprio stabilimento solo per il tempo
necessario per la preparazione del carico. Non esistono limiti all’accumulazione di
prodotti presso lo stabilimento del depot. Successivamente i prodotti sono caricati sui
veicoli e consegnati con uso dell’approccio Less-Than-Truck-Load, ovvero
condivisione del veicolo da parte di carichi destinati a retailers differenti. Durante il
trasporto verso i retailers, ogni prodotto incorre ad un costo di mantenimento
chiamato pipeline inventory cost ed addebitato al depot in quanto i prodotti sono
pagati dai retailers al momento della ricezione.
1.3 – DECOMPOSIZIONE DEL PROBLEMA
Per alleggerire il formalismo e la conseguente notazione matematica, in questo
lavoro un prodotto presso uno specifico retailer è chiamato un oggetto (o pseudo-
retailer quando ci riferisce al retailer che lo gestisce), e lo stesso prodotto presso
diversi retailers è scomposto in un insieme di oggetti. La ragione risiede nella più che
probabile eventualità che lo stesso prodotto abbia diverse domande o tassi di consumo
presso ogni retailer e quindi che esistano differenti esigenze e frequenze di
rifornimento del prodotto.