Alessandro Manzoni – “Religione e romanzo”
4
sceglie di rappresentare una realtà umile, ignorata dalla letteratura classica, o vista solo in
una luce comica: violando convenzioni letterarie profondamente radicate, elegge a
protagonisti due semplici popolani della campagna lombarda e rappresenta le loro vicende
in tutta la loro profonda serietà e tragicità. La rappresentazione seria della realtà
quotidiana è il tratto che meglio caratterizza il moderno realismo europeo.
Manzoni rappresenta individui dalla personalità unica, inconfondibile e irripetibile,
estremamente complessa e mobile, rivelando quella tendenza all'individuale e al concreto
che è propria della cultura borghese moderna. Ne deriva il rifiuto di quella idealizzazione
del personaggio, che è propria del gusto classico; specie i due protagonisti non cessano di
essere due contadini, e della loro condizione conservano la mentalità, il linguaggio, i
comportamenti.
Il periodo in cui Manzoni scrive “I Promessi sposi”, e uno ricco di attività nel campo
della letteratura, e suprattutto del romanz. Basta pensare agli scritori russi che nel giro di
pochi deceni sono riusciti a creare opere che fanno parte del patrimonio culturale del
mondo:
Michail Lermontov con "Un eroe del nostro tempo", o Lev Tolstoj col suo celeberrimo
"Anna Karènina", Ivan Turgènev con "Padri e figli", Anton Checov con "La steppa", "Il
duello" o "Reparto n. 6", ancora Nikolaj Gogol' con "Le anime morte", Fëdor Dostoevskij
con "Delitto e castigo" o "L'idiota", Leskòv con "Il viaggiatore incantato". Accanto a loro
c’è anche il romanzo del Manzoni, che anche se non non gode di temi paragonabili per
importanza e per interesse popolare e civile ai romanzi prima citati, ha un’importanza
capitale nello sviluppo della cultura italiana e del genere romanzo in Italia.
Alessandro Manzoni – “Religione e romanzo”
5
Primo capitolo
1. Vita e opere di Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785, dal conte Pietro, un uomo di
mediocre cultura, ricco possidente del contado di Lecco e da Giulia Beccaria, figlia del
giurista Cesare Beccaria, uno dei più illustri rappresentanti dell’Illuminismo lombardo,
l’autore de Dei delitti e delle pene. In realtà — secondo un’ipotesi oggi comunemente
accettata — Manzoni ebbe come padre naturale Giovanni Verri, che fu amante della
madre. I genitori del Manzoni si separarono quando egli era ancora molto giovane. Per
questo motivo dovette trascorrere l’infanzia e la prima giovinezza, fino al 1801, in collegi
di padri Somaschi (prima a Merate, poi a Lugano) e Barnabiti (a Milano), dove ricevette
un’educazione classica, ma subì anche l’arido formalismo e la regola tipica di quegli
ambienti.
Quando uscì dal collegio aveva sedici anni e idee razionaliste e libertarie. Si inserì
presto nell’ambiente culturale milanese del periodo napoleonico, strinse amicizia con i
profughi napoletani Cuoco e Lomonaco, frequentò poeti già affermati e noti come Foscolo
e Monti. Trascorse questo periodo lietamente, tra il gioco e le avventure galanti, ma
dedicandosi anche al lavoro intellettuale e alle composizioni poetiche: l’esempio più
illustre è rappresentato dal poemetto Trionfo della libertà. Deluso dal giacobinismo scrisse
sonetti e idilli, il più maturo dei quali sembra essere Adda (1803).
L’anno successivo terminò la stesura di quattro Sermoni: Amore a Delia, Contro i
poetastri, Al Pagani, Panegirico a Trimalcione, composizioni satiriche ricche di echi
pariniani e alfieriani. Nel 1805 lasciò la casa paterna e raggiunse la madre a Parigi. Carlo
Imbonati, compagno della madre dopo la separazione, era ormai morto. In suo ricordo,
Manzoni scrisse un carme in 242 versi sciolti, intitolato In morte di Carlo Imbonati. Egli
non aveva mai avuto un rapporto stretto con la madre, ma tra loro si creò ben presto una
affettività intensa, che fu destinata a cambiare la vita dello scrittore. A Parigi frequentò
ambienti intellettuali popolati da personaggi come Cabanys, Thierry, Tracy, di posizioni
liberali e forte rigore morale. Il rapporto più importante, però, per Manzoni fu quello
stretto con Claude Fauriel: attraverso un fitto scambio epistolare durato qualche anno, a
Alessandro Manzoni – “Religione e romanzo”
6
poco a poco, questi divenne per il giovane Manzoni un importante punto di riferimento
nella sua attività di scrittore.
A Parigi, il contatto con ecclesiastici di orientamento giansenista incise anche sulla
conversione religiosa. Sul suo ritorno alla fede cattolica, Manzoni mantenne sempre un
certo riserbo e, per questo motivo, è quasi vano tentare di ricostruirne le fasi interiori.
Dovette essere importante l’influsso della giovane moglie, Enrichetta Blondel, figlia di un
banchiere ginevrino, conosciuta a Blevia sulle colline bergamasche. Anche la Blondel subì
un rivolgimento interiore significativo: sotto la guida dell’abate genovese Eustachio
Degola, si avvicinò al cattolicesimo e fece battezzare col rito romano la primogenita
Giulia Claudia, convincendo il marito, in seguito, a risposarsi con rito cattolico.
Precedentemente, infatti, il loro matrimonio era stato celebrato con rito calvinista. È da
dire che, in Manzoni, la conversione si accompagnò al primo manifestarsi di certe crisi
nervose, che poi lo angustiarono per tutta la vita.
Nel 1810 lo scrittore lasciò Parigi per tornare definitivamente a Milano. La sua
visione della realtà era ormai completamente improntata al cattolicesimo. Il mutamento si
ripercosse anche sulla sua attività letteraria: smise di comporre versi dal tono
classicheggiante, (l’ultimo esemplare rimane Urania, un poemetto del 1809) per dedicarsi
alla stesura degli Inni sacri ( 1812-1815), che aprirono la strada ad una successiva
produzione di stampo romantico, oltre che storico e religioso.
Una volta tornato in Italia, poi, Manzoni condusse la vita del possidente, dividendosi
tra la casa milanese e la villa di Brusuglio. La sua esistenza fu dedicata allo studio, alla
scrittura, alle intense pratiche religiose, alla famiglia che, nel frattempo, diveniva
numerosa. Fu vicino al movimento romantico milanese e ne seguì tutti gli sviluppi (un
gruppo di intellettuali si riuniva a discutere a casa sua), ma non partecipò mai,
direttamente, alle polemiche con i classicisti e declinò l’invito a partecipare al
«Conciliatore».
Anche nei confronti della politica ebbe un atteggiamento analogo, di sinceri
sentimenti patriottici e unitari, seguì con entusiasmo gli avvenimenti del 1820-1821, ma
non vi partecipò attivamente e non venne colpito dalla dura repressione austriaca che ne
seguì. Sono questi gli anni di più intenso fervore creativo, in cui nacquero le odi civili, la
Alessandro Manzoni – “Religione e romanzo”
7
Pentecoste, le tragedie (Il conte di Carmagnola, Adelchi), le prime due stesure de I
promessi Sposi (inizialmente intitolato Fermo e Lucia), oltre alle Osservazioni sulla
morale cattolica, al Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, ai saggi
di teoria letteraria sulle unità drammatiche e sul Romanticismo.
Con la pubblicazione de I promessi sposi nel 1827, si può dire concluso il periodo
creativo di Manzoni. Successivi tentativi lirici, come un inno sacro sull’Ognissanti,
rimangono incompiuti. Manzoni tese sempre più a rifiutare la poesia considerata “falsa”
rispetto al “vero storico e morale”. Conseguentemente, approfondì interessi filosofici,
storici e linguistici. L’amicizia con Claude Fauriel venne sostituita da quella con Antonio
Rosmini, un filosofo cattolico, che presto divenne la sua guida spirituale. Negli anni della
maturità, la vita di Manzoni fu funestata da crisi epilettiche, una serie interminabile di lutti
(la morte della moglie, della madre, di parecchi dei figli) e dalla condotta dissipatrice dei
figli maschi. Nel 1837 si risposò con Teresa Borri Stampa, che morì poi nel 1861.
Scrivendo nel 1942 Storia della colonna infame, Manzoni evita qualsiasi spunto
narrativo, rimettendo in questo modo al lettore, posto di fronte alla crudezza di quanto
accaduto, ogni giudizio. Il saggio è una cronaca asciutta e distaccata dei fatti che si
svolsero intorno al processo ai presunti untori che ebbero la sfortuna di essere accusati di
aver propagato la peste che sconvolse Milano nel XVII secolo
Ormai lo scrittore era divenuto un personaggio pubblico, nonostante il suo
atteggiamento sempre schivo e appartato. Durante le Cinque giornate, nel 1848, seguì con
vigore gli eventi politici, pur senza parteciparvi attivamente e diede alle stampe Marzo
1821, per anni tenuta nascosta. Quando il regno d’Italia si ricostituì nel 1860, fu nominato
senatore. Pur essendo profondamente cattolico, era contrario al potere temporale della
Chiesa, e favorevole a Roma capitale. Nel 1861, infatti, votò a sfavore del trasferimento
della capitale da Torino a Firenze, come tappa intermedia verso Roma. Nel 1872, dopo la
conquista della città da parte delle truppe italiane, ne accettò la cittadinanza onoraria, con
scandalo degli ambienti cattolici più retrivi. Negli anni della sua lunga vecchiaia fu
circondato dalla venerazione della borghesia italiana, che vedeva in lui non solo il grande
scrittore, ma anche un maestro, una guida intellettuale, morale e politica. Soprattutto il suo
romanzo fu assunto nella scuola con tale funzione.
Alessandro Manzoni – “Religione e romanzo”
8
Morì a Milano nel 1873, a ottantotto anni, nella casa di via del Morone, in seguito a
una caduta che gli aveva provocato gravi sofferenze per due mesi. Gli furono tributati
solenni funerali, alla presenza del principe ereditario Umberto. Verdi gli dedicò la sua
Messa da Requiem al primo anniversario dalla morte. Fu sepolto nel cimitero
monumentale della città.
2. La conversione
A Parigi il Manzoni frequentò soprattutto il Fauriel, già amico della coppia
Imbonati-Beccaria, col quale strinse rapporti di profonda amicizia nonostante la differenza
di età. Ebbene, in quegli anni, il Fauriel si dibatteva intimamente col problema religioso.
Egli, illuminista e ateo, aveva più volte espresso anche in pubblico la necessità per l’uomo
di affermare le idee di Dio e della Giustizia eterna, senza le quali gli pareva impossibile
fare entrare nelle coscienze umane i principi dell’amore, della carità, della solidarietà,
insomma della fraternità, convinto come era che l’ateismo portasse all'egoismo.
L’influenza del Fauriel non dovè essere estranea a quel misterioso processo spirituale che
portò il Manzoni sulla strada del cattolicesimo. Certo è che il Manzoni, dopo il
matrimonio con Enrichetta Blondel, accettò di buon grado che la moglie frequentasse le
lezioni catechistiche del dotto reverendo Eustachio Degola, avendo ella maturato il
proposito di abiurare la fede protestante in cui era stata educata e di convertirsi al
cattolicesimo. Anzi alle conferenze del Degola partecipò lo stesso Manzoni, che in seguito
istituì col sacerdote rapporti di amicizia.
Il Degola, però, si professava apertamente un giansenista, cioè un aderente a quel
movimento di cattolici iniziato da Giansenio (1585-1638) nel secolo XVII e ben presto
condannato dalla Chiesa. Questo movimento affermava che l’uomo a causa del peccato
originale aveva perduto la Grazia e la capacità di fare il bene; inoltre riteneva inefficace la
redenzione ed affermava il principio della predestinazione: l’uomo, nascendo, ha già
segnato il proprio destino di salvezza o di perdizione dalla imperscrutabile volontà divina.
Chiaro, dunque, che l’insegnamento del Degola non sarebbe dovuto essere conforme
all’ortodossia cattolica. Ma allora perché i coniugi Manzoni si rivolsero a lui? Avevano
forse in animo di avvicinarsi anch’essi a quella eresia? E' certo che non fu questa la loro
Alessandro Manzoni – “Religione e romanzo”
9
intenzione e ne spiegheremo i motivi. Intanto la scelta del maestro è ampiamente
giustificata dalla fama che questi aveva di sacerdote dalla vita esemplare, dalla sua vasta e
profonda cultura, dalla sua ampia disponibilità al dialogo aperto e non saccente come
quello dei gesuiti; e certamente anche dalla assoluta sfiducia verso il clero ortodosso.
Esiste poi la prova che il Degola, durante la sua lunga opera di persuasione svolta verso il
Manzoni, evitò sapientemente di trattare gli argomenti dottrinali spinosi e preferì la
lezione del Vangelo, tanto è vero che quando consegnò alla convertita Enrichetta (ma il
destinatario sottinteso era anche Alessandro che si convertirà poco dopo della moglie) il
“Règlement” che le avrebbe dovuto far da guida di vita cristiana per l’avvenire, non fece
riferimento ai dogmi, ma soltanto a precetti di vita morale: segno, questo, che dovette egli
stesso rinunziare alla pretesa di condurre al giansenismo i suoi discepoli o che questi
rifiutarono ogni eventuale tentativo in questa direzione. D’altra parte Enrichetta aveva, già
prima di incontrare il Degola, deciso fermamente di entrare nella Chiesa cattolica e di
educare i propri figli secondo quella Fede e quella dottrina, mentre Alessandro - che ateo
nel senso stretto del termine non era mai stato - aveva solo bisogno di ritrovare il Dio della
sua infanzia e quella pace interiore che solo una fede religiosa può dare. C’è infine da
aggiungere che il Manzoni aveva appreso proprio dagli illuministi che il ruolo di ciascun
uomo deve essere svolto soprattutto con l’intento di contribuire al progresso morale
dell’umanità e questo principio non era certamente estraneo all’insegnamento di Cristo:
logico, quindi, che egli rivolgesse la propria attenzione principalmente alla dottrina etica
che non a quella teologica della Chiesa cattolica. Ciò spiega quel “rigore morale” cui
informò la propria esistenza pratica, la cui condotta fu esemplare e così simile non solo a
quella del Degola, ma anche a quella dell’altro giansenista, padre Luigi Tosi, cui il Degola
affidò la direzione della vita spirituale dei Manzoni quando questi si trasferirono in
Lombardia.
Il Manzoni pertanto non fu un giansenista e ne diede prova nella sua opera, non
solo negli “Inni Sacri”, nei quali afferma esplicitamente l’efficacia della Redenzione e la
sua validità per tutti gli uomini (“Non sa che al regno i miseri / seco il Signor solleva? -
Che a tutti i figli d'Eva / nel suo dolor pensò? / Nova franchigia annunziano i cieli, e genti
nove”), ma anche nella complessiva concezione religiosa manifestata nel romanzo.
Alessandro Manzoni – “Religione e romanzo”
10
3. La questione della lingua
Le scelte linguietiche di Manzoni possono essere meglio intese sulo sfondo della
secolare questione della lingua e in particolare all’interno del dibattito svilupatossi in Italia
in età illuministica e nei primi deceni dell’Ottocento.
Il punto di partenza del problema – trascurando le origini lontane individuabili nel
“De vulgari eloquentia”, 1305 circa, in Dante – si colloca nel primo Cinquecento. In
questa età, che segna la fine della libertà italiana con le invasioni francese e sapagnola, gli
intellettuali italiani avvertono con nettezza per la prima volta anche l’esigenza di
riconoscere una lingua comune e distintiva per le opere d’arte.
Le proposte dibattute sono tre. La prima sostenuta da Baldassar Castiglione propone
come soluzione la lingua cortigiana cioè la lingua che si andava creando nelle varie corti
avvendo alla base il fiorentino di Dante, Petrarca e Boccaccio, a cui si mescolano alcuni
tratti ricavati dal latino(lessico e sintassi sopratutto) e altri derivati dai vari volgari parlati
nelle città dove hanno sede le varie corti. La seconda difesa in particolare da Machiavelli
soggerisce l’impiego del fiorentino contemporaneo, effettivamente parlato. Quella che si
impone però è la terza soluzione, elaborata da Pietro Bembo nelle “Propose della volgar
lingua” 1525. La proposta consiste nel riconoscere alla lingua letteraria uno statuto
particolare, svincolato dall’uso quotidiano, finalizzato esclusivamente alla produzione di
testi, scritti di elevato contenuto ed espressi in una lingua nobile e selezionatissima.
Bembo indica due precisi modelli da imitare, Petrarca per la poesia e Boccaccio per la
prosa. Questa proposta, largamente accettata dai letterati italiani, significa separazione
netta della lingua letteraria dalla lingua parlata. La scelata di Bembo rimane indiscussa in
sostanza fino alla mettà del Settecento e isola l’area italiana dalle altre nazioni europee
nelle quali la lingua letteraria, in fasi diverse, tende a intragire con la lingua parlata, a
modificarsi perciò nel tempo e a integrarsi nei cambiamenti sociali.
Nella seconda metà del Settecento l’influsso dell’illuminismo si manifest
vivacemente anche in Italia, con la sua esigenza di una revisione profonda delle
Alessandro Manzoni – “Religione e romanzo”
11
conoscenze e il suo impegno educativo e riformatore che deve passare attraverso un’ampia
divulgazione delle nuove conoscenze filosofiche e scientifiche.
L’influsso della lingua francese, che è la lingua del nuovo pensiero mette in luce la
sostanziale differeza nella realtà linguistica tra i due paesi: in Francia la lingua letteraria
coincide sostazialmente con la lingua parlata; in Italia la separazione è netta.
In particolare gli illuministi milanesi, che si esprimono attraverso la rivista “Il
Caffè”(1764-1766), si fanno paladini di uno svecchiamento della lingua italiana,
sopratutto nella direzione di un rinnovamento del lessico e di una semplificazione della
sintassi. All’inizio dell’Ottocento intorno alla questione della lingua si distinguono due
posizioni dominanti, quella dei classicisti e quella dei puristi, a cui si può aggiungere la
scelta di chi rinuncia alla lingua nazionale preferendole il dialetto. La posizione dei
classicisti riprendere in sostanza la proposta del Bembo; quella dei puristi è propensa a
riconoscere il valore preminente del classicismo linguistico, aprendosi però alla modernità
con l’accettazione di un’equilibrata modernizzazione lessicale.
Entrambe le posizioni sono superate da Manzoni. La posizione di Manzoni e dei
suoi numerosi imitatori tende poi a irrigidirsi. Il grande linguista Graziadio Isaia Ascoli ha
potuto dimostrare che la lingua italiana, come si andava imponendo lentamente all’intera
nazione, non poteva identificarsi integralmente col fiorentino.
Solo a partire dagli anni Sessanta del Novecento la lingua italiana comincia a essere
parlata effetivamente dalla maggioranza della popolazione.