come Leib, ed è sicuramente il secolo maggiormente caratterizzato dal
mutamento e dalla metamorfosi.
Il compito della presente esposizione è quello di sottolineare i quattro momenti
storici che hanno segnato un’evoluzione nel concetto di uomo fino all’attuale
accettazione di sé come cosa che si può artificialmente creare.
E’ dunque una ricerca antropologico-filosofica che inizierà coll’affrontare gli
esordi scientifici di René Descartes , quale rappresentante dell’uomo nuovo e il
suo fondamentale e problematico dualismo che permetterà al progresso della
fisica, non solo meccanicistica, di affermare con Julien O. de La Mettrie che
l’uomo è “una macchina pensante”.
Sarà poi presa in esame la Riforma Protestante, con l’aiuto del fondamentale testo
di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito del Capitalismo”, quale
movimento storico che più di ogni altro ha eliminato la visione magica del
mondo, privando l’uomo di quei mezzi di salvezza che la tradizione cattolica
aveva conservato.
L’individuo per la prima volta, viene lasciato solo nel suo agire, la sua salvezza
sarà resa visibile in Terra dal successo economico che saprà ottenere con le
proprie forze e con la propria condotta altamente razionalizzata e si arriverà alla
definizione di uomo come ‘macchina per guadagnare’.
I due periodi storici e le rispettive concezioni sull’uomo convergono, come sarà
sottolineato, nella realizzazione pratica datane dalla Prima Rivoluzione
Industriale che sarà affrontata a partire dai testi marxiani, tra cui un posto di
rilievo verrà dato a “Il Capitale” e alla definizione, in esso contenuta, di “uomo-
operaio” quale “appendice della macchina”.
L’ultimo capitolo sarà invece dedicato alla Seconda Rivoluzione Industriale,
parlerà dunque dei giorni nostri e delle riflessioni filosofiche di Jean Paul Sartre,
Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Herbert Marcuse, Günther Anders,
Arnold Gehlen, Neil Postman, sul difficile rapporto Uomo-Tecnologia. Nella sua
dilagante evoluzione quest’ultima sembra infatti esigere da un uomo sempre più
“fuori luogo” e “mosso da fuori”, un adeguamento mimetico al morto
meccanismo che lo circonda in ogni dove.
L’uomo reso già macchina dal sistema di produzione capitalistico, caratterizzato
proprio dall’introduzione delle macchine, dalla nota definizione datane da Marx,
aspirerà a diventare, in toto, un vuoto meccanismo, per non provare più quel
disagio che ormai lo pervade, ogni qualvolta si trova di fronte a certi ritrovati
tecnologici, quali ad esempio i computers, che appaiono intellettualmente a lui
superiori.
Verrà esaminato tale strano sentore come analizzata sarà la progressiva
desensualizzazione dell’uomo ad opera delle stesse macchine.
Seguirà e chiuderà il presente lavoro, una breve Appendice che intende
sottolineare un particolare parallelismo tra la figura e la concezione di Robot, in
costante evoluzione nella letteratura di fantascienza del ‘900 e l’uomo, fino a
giungere all’intuizione letteraria di Philip K. Dick che vedrà, in più di un suo
racconto, il sottile limite tra naturale e artificiale confondersi in una drammatica
domanda: quello che noi ancora consideriamo uomo non sarà invece un robot
antropomorfo? Domanda che richiama molto da vicino il quesito, già, cartesiano:
quelli che vedo dalla mia finestra camminare nelle strade affollate sono uomini o
automi mossi da molle e pompe idrauliche?
PRIMO CAPITOLO
Intenzione di questo primo capitolo è quella di presentare gli esordi del pensiero
scientifico attraverso l’esperienza culturale di uno dei suoi ideatori: René
Descartes.
Quale figura migliore, infatti, per introdurre quella nuova rappresentazione del
mondo che è la fisica meccanicistica e il metodo razionale, che basandosi
sull’ipotesi scientifica, procede sistematicamente unitario nell’infinita catena di
verificazioni.
La scienza cartesiana, ulteriore sviluppo delle intuizioni galileiane, opponendosi
con forza e a volte con vera e propria violenza a quanto tradizionalmente la
precedette, possiede, in nuce, già tutte quelle, che si rivelarono tre secoli dopo,
ben più che semplici aspirazioni: dal sodalizio tanto sospirato con la Tecnica
nascerà infatti il più potente mezzo, mai stato nelle mani dell’uomo, per dominare
l’universo che lo circonda.
Se la Natura diventa traducibile, col faticoso lavoro di ri-comprensione attraverso
il linguaggio matematico-geometrico simbolico, prendendo sempre più le
sembianze di quel “Grande libro da leggere” secondo la nota formula galileiana,
l’uomo , che con Cartesio conservò seppur superficialmente , come vedremo,
quella scintilla divina (ovvero intangibile al tocco onnicomprensivo dei numeri),
seguirà la stessa identica sorte e con La Mettrie, ma prima ancora con i discepoli
cartesiani, diventa del tutto comparabile ad una macchina: meccanismi organici,
ma pur sempre meccanismi, ormai lo compongono.
Ciò che, qui, comunque si vuol far emergere è con le parole di Bertolt Brecht che
a “Nuova scienza, nuova etica”
1
: ciò che si verifica a partire dal XVII secolo,
infatti, non è soltanto un nuovo modo di interpretare il mondo e di conseguenza
l’uomo rispetto a quello pratico-sensibile precedente, ma anche un nuovo modo
di rapportarsi e muoversi in esso, modo, che ancora oggi conserva la sua validità.
1
Bertolt Brecht, Vita di Galileo, titolo originale “Leben des Galilei” a cura di E. Castellani, Arnoldo
Mondadori Editore, Trento, 1997, p. 123.
1.1 NUOVA UNA CULTURA
“Quod vitae sectabor
iter?”
2
Ausonio Carme VII
Cartesio nel lungo periodo che va dal 1619, anno in cui sono datati i tre sogni
“mistici” (10 novembre), al 1650, anno della sua morte (Stoccarda 11 febbraio),
condusse, attraverso i suoi scritti, il mondo culturale alla svolta, a quella
rivoluzione epocale che era stata ampiamente preannunciata da quegli studiosi
copernicani dell’eliocentrismo, quali Bruno, Keplero, F. Bacone.
Attraverso quel gesto assoluto che è il dubbio radicale, condannò inesorabilmente
il vecchio mondo delle qualità, del senso comune, al relativismo della
fenomenicità e diede alla luce quel punto apodittico: l’ego cogitans, su cui era
possibile fondare la nuova scienza.
Il suo fu l’atto di un uomo nuovo che era ben consapevole di dover risolvere i
problemi e le intuizioni ereditate dal Rinascimento europeo ovverosia il rapporto
uomo-mondo e il soggettivismo umano, senza l’ausilio del sapere così come gli
era stato impartito.
2
Eugenio Garin, Vita e opere di Cartesio, Editori Laterza nella collana “Universale Laterza” 1993 pag.
40 : “Sogno del novembre 1619 in cui il carme 7 di Ausonio ,che comincia : Quod vitae sectabor iter?”
La scelta di una via pericolosa, la scienza meccanicista, dove procedere a volte
travestito (“larvatus prodeo”),intesa come vocazione; il rifiuto della filosofia
scolastica vista come oscura, piena di errori, e la progressiva perdita d’autorità
accademica degli “antiquos”; la necessità, così fortemente sentita, di un metodo
per poter “raccogliere i frutti”
3
della nascente scienza ma anche della nuova
filosofia.
Questi sono i tre punti per comprendere il cammino dell’uomo Cartesio qui visto
come un esemplare, indubbiamente illustre, di un nuova mentalità: la mentalità
razionalista della scienza, che avrebbe aperto le porte a quel mondo moderno che
noi conosciamo.
La critica sprezzante della cultura ufficiale acquisita “in una delle più celebri
scuole d’Europa”
4
e il volerne prendere le distanze non si rende manifesta
soltanto nella prima parte, la più biografica, del Discorso ,ma anche nelle
innumerevoli lettere documentateci dal testo, citato in nota, di Eugenio Garin.
Se nel Discours troviamo infatti frasi del tipo “Ma non appena ebbi terminato
tutto questo corso di studi ,a capo del quale vi è il costume d’esser ricevuti nella
classe dei dotti, cambiai intieramente opinione (si riferisce all’apprendimento di
una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò che è utile nella vita, corsivo
3
R. Cartesio, Discorso sul metodo, titolo originale “Discours de la Méthode pur bien conduire sa raison
et chercher la vérité dans le sciences”, Editrice La Scuola, a cura di Gustavo Bontandini, p. 9.
4
R. Cartesio, Discorso sul metodo, op. cit. p.11.Si tratta del collegio di La Fleche retto dai padri gesuiti ,il
corso di studi comprendeva 9 anni :6 di materie umanistiche e 3 di Filosofia. Cartesio entrò nel collegio a
10 anni e ne uscì a 18, completò dunque il curriculum. In seguito andò a Poitiers per due anni di diritto e
di medicina.
mio).Perché mi ritrovavo imbarazzato da tanti dubbi ed errori, che mi pareva di
non aver fatto altro profitto, mentre cercavo di istruirmi, se non quello di avere
scoperto sempre più la mia ignoranza”
5
.
Oppure sul conto del ragionamento filosofico: “la filosofia da il mezzo di parlare
con verosimiglianza di tutte le cose e di farsi ammirare dai meno dotti”
6
.
Ben altre parole vengono usate nei privati carteggi ,dove ad essere messi in
giudizio non sono soltanto i testi filosofici della Scolastica, ma anche tutti gli
antichi.
In uno sfogo rabbioso, conservatoci da Baillet, dirà infatti: “Dii male perdant
Antiquos, mea qui praeripuere mihi”
7
.
“Alla malora gli antichi” che poi voleva dire: basta con i libri che “nella maggior
parte, lette poche righe ,guardate le figure, hanno rivelato tutto, perché il resto fu
aggiunto per riempire carta”
8
.
Cartesio non era certo il solo ad affermare che: “Non c’è ragione di fare troppo
conto degli antichi per la loro antichità, siamo noi piuttosto da dire antichi più di
loro .Il mondo è infatti già più vecchio di allora e noi abbiamo più esperienza.”
9
5
Ibidem.
6
Ivi p.13.
7
E. Garin, op. cit. p.10.
8
Ibidem.
9
Ibidem.
Già Galileo e Bacone lo avevano detto e ciò dimostra quanto prima menzionato,
c’era nell’aria la coscienza di una riforma intellettuale che mirava a distruggere la
forma precedente di sapere ormai desueta e “inutile” per legittimarne una nuova.
Cartesio nel 1640 voleva addirittura redigere un manuale di filosofia ,in una
missiva inviata a Mersenne, scrive infatti: “Il mio disegno è di scrivere
ordinatamente tutto un corso di filosofia in forma di tesi, in cui, senza discorsi
inutili, metterò solo le mie conclusioni, con le vere ragioni da cui le traggo, cosa
che credo di poter fare in pochissime parole”
10
.
Lo scopo che lo avrebbe spinto a tale lavoro veniva da lui stesso definito, poco
sopra le righe appena lette: “confutare la filosofia della Scuola”.
La sua filosofia avrebbe distrutto, con il solo proporsi, quella Scolastica a tal
punto che “non c’è bisogno d’altra confutazione” a meno che non la si voglia
“coprire di vergogna per sempre!”
11
.
Egli esprime l’esigenza pragmatica, alquanto attuale, di consultare, non le noiose
opere originali degli Autori, ma dei compendi che presentino sistemato tutto il
sapere.
10
Ivi p. 14.
11
E. Garin op. cit. p. 15
Del resto era, per lui, poco utile perdere del tempo su cosa pensasse in realtà
Tommaso d’Aquino a meno che non si trattasse di una verità dimostrata, ma
sappiamo che cosa ne pensasse a riguardo: “le massime e le opinioni dei filosofi
non costituiscono un insegnamento per il sol fatto che si espongono . Platone dice
una cosa, Aristotele un’altra ,Epicuro un’altra ancora , Telesio, Campanella
,Bruno, Basson, Vanini, tutti i novatori dicono ciascuno una cosa diversa
dall’altro .Quale mai di costoro insegna, non dico a me, ma a chiunque ricerca il
sapere?”
12
.
In questa lettera inviata a Beeckman
13
il 17 ottobre del 1630, Cartesio indicherà
quali materie si possono insegnare senza dubbio: le lingue, la storia, le esperienze
e anche le dimostrazioni certe ed evidenti che “convincono lo spirito come quelle
dei geometri”.
Cartesio confesserà però, nelle Regulae, che anche simile sapere non deve essere
assimilato senza una personale esperienza, le dimostrazioni specie quelle
geometrico-matematiche vanno cercate, prima, attraverso vie personali, poi
secondo la via più breve dimostrata, ciò permette al discepolo una padronanza
delle varie discipline più sicura e completa: la scienza diventa strumento e
necessita perciò di una esercitazione pratica sicura.
12
Ivi p. 16
13
Isacc Beeckman ,dotto olandese (Middelburg 1588-Dordrecht 1637) fra il 1604 e il 1634 tenne un
importantissimo diario scientifico ove documenta l’acume del giovane ricercatore Cartesio e l’ascendente
su di lui esercitato. I due si incontrarono nel novembre del 1618 a Breda.
L’incontro con Beeckman fu decisivo per Descartes e coincide con il palesarsi, in
maniera a dir poco soprannaturale, della sua missione: la ricerca, lo studio della
“Scientia mirabilis”.
“I tre sogni”, scrisse negli Olympica, “avvennero il 10 novembre 1619 mentre ero
pieno di entusiasmo e scoprivo i fondamenti di una scienza meravigliosa
14
”.
In cosa consisteva questa scienza mirabile?
L’idea di fondo era quella di unità: “unità nella matematica che rinnova la
geometria con l’applicazione del metodo algebrico; unità nella conoscenza della
natura che rinnova la fisica con l’introduzione del metodo matematico” e più
oltre unità del sistema delle scienze , unità della realtà intera.
15
Doveva seguire quel sentiero così come gli era stato indicato dall’alto dello
spirito della Verità, lo seguì scrivendo lo “Studium bonae mentis”, libro oggi
andato perso, dove condusse un’analisi e una classificazione delle scienze,
l’esame del rapporto volontà e intelletto e la determinazione della saggezza.
Molti temi ivi trattati furono trasferiti nella prima opera teorica di Cartesio, a noi
pervenuta, si tratta dell’incompiuto “Regulae ad directionem ingenii” datato
attorno il 1627-8.
Qui dopo una prima parte “distruens” che si occupa di liquidare, ancora una
volta, la Scolastica e la Sillogistica, sua ancella, in quanto “rendono oscure cose
14
E. Garin op. cit. p. 40
15
E. Garin op. cit. p. 41
chiarissime con formule magiche”, evidenzia la mancanza ormai tangibile di un
metodo in grado di far cessare quel “brancolar nel buio” a cui è costretta sì la
nuova filosofia ma anche e soprattutto la scienza.
Nelle Regulae troviamo già anticipazioni dei temi trattati dal Discorso e dalle
Meditazioni ma sono appositamente lasciate in ombra perché il centro di gravità è
il metodo e non la metafisica .
Il metodo, la logica, l’unità delle scienze, le catene di dimostrazioni che riescono
a fare di un organismo solo di tutta la verità: era la Mathesis universalis che
voleva assurgere ad Universalis sapientia a Sagesse, come afferma Garin.
Cartesio mette in evidenza i punti del nuovo metodo: la certezza evidente come
criterio di verità (“omnis scientia est cognitio certa et evidens”), l’intuito come
luce di ragione come strumento per giungere alla verità integrata dalla deduzione,
la quale per altro si configura come un “moto continuo e ininterrotto del pensiero
intuente le singole cose” ossia come estensione dell’intuito, le nature semplici ,il
loro ordine come catene di verità che si articolano in una totalità, l’enumerazione
e la memoria intellettuale
16
in quanto determinano il concreto estendersi
dell’intuito alla totalità delle verità.
17
Per Cartesio tutto ciò era mancato alla ricerca scientifica che aveva raccolto, fino
ad allora, scoperte, teorie in maniera disorganica e che perciò non riusciva ad
assurgere a quella verità a cui era finalizzata: “la vera scienza”, sosteneva il
filosofo, “è cognizione evidente di verità perfettamente note e delle quali non si
può dubitare”.
18
Una volta chiarite a se stesso le “regole” Cartesio volle affrontare: “L’odre que
Dieu a imprimé sur la face de son ouvrage, que nous appelons communément la
Nature”,vuole comprendere la grande Mécanique.
19
.
Bisognava trovare un potente mezzo per “rendersi padroni e possessori della
natura”
20
,per contrastare il “suo potere così ampio”
21
e Cartesio lo trovò
fornendo il metodo alla fisica meccanicistica.
Cartesio era riuscito a dare all’uomo quegli occhi di cui sono dotati i gatti, che
secondo lui, riuscivano a vendere nelle tenebre perché dotati di luce propria .
16
Cartesio distinse seguendo Cardano due memorie: una dipendente dal corpo (l’esempio del suonatore di
liuto che deve per forza avere anche nei muscoli una “specie di memoria” che gli consente una certa
agilità nei movimenti della mano.) e una puramente intellettuale. E’ quest’ultima dipendente dall’anima a
essere citata come elemento del metodo.
“Gilson nel suo Commentaire, opponendo Cartesio al Rinascimento, osservò che fu lui a far “passare la
scienza dalla memoria alla ragione” . Infatti seppur in un contesto diverso da quello che intendeva Gilson ,
Cartesio si adoperò a collocare la scienza nella dimensione del razionale puro, riassorbendovi la memoria
“pura” ed espungendone tutti gli aspetti dell’esperienza e della vita psichica che non potessero ridursi a
razionalità, a mens” .E.Garin op. cit. p. 74.
17
Cfr. E. Garin, op. cit. p.69-70.
18
Cfr. E. Garin, op. cit. p. 70.
19
Cfr. ivi,. p. 82.
20
R. Cartesio, Discorso sul metodo, .op. cit. p.113.
21
Ivi p.116.
Quella luce era la Razionalità scientifica e l’uomo riusciva finalmente a trarre dal
buio quegli strumenti che gli avrebbero consentito un progressivo controllo, non
solo su ciò che lo circondava, ma anche sul suo simile.
Veniva ribadito ciò che già con Galileo si era verificato: “una sovrapposizione
del mondo matematicamente costruito delle idealità, all’unico mondo reale, al
mondo che si da realmente nella percezione, al mondo esperibile ed esperito, al
mondo circostante della vita”
22
.
22
Edmund Husserl , La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, titolo originale
“Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie”, Prefazione di
Enzo Paci, tr. It. Enrico Filippini, Il saggiatore, Milano 1961 p.77.