5
mandato a morte. Fu trascinato così fuori dalla città e giustiziato per
mezzo della lapidazione.
La tradizione riconduce le origini della chiesa di Santo Stefano a
San Petronio, vescovo di Bologna tra il 432 e il 450 ed attuale suo
Santo Patrono. Il fatto che egli vi sia sepolto conferisce validità alla
tradizione. Inoltre, proprio Piazza Santo Stefano sembra sia stato
uno dei primi luoghi ove si tenevano nel Medioevo le lezioni
universitarie che, secondo la tradizione, venivano impartite dal
pulpito che ancora si nota nella facciata esterna
4
.
Riguardo allo stile del monastero, Roberto Salvini nota anche come
a Bologna l’arte romanica dovette essere ben rappresentata,
nonostante molti edifici non siano giunti fino a noi, ma egli sostiene
che “l’arte romanica a Bologna può essere comunque studiata
soltanto nel complesso di Santo Stefano”
5
.
San Petronio consacrò al culto cristiano, sotto il titolo di Santo
Stefano (fig.2), un antico edificio romano adiacente ad una zona
cimiteriale cristiana. Dell’edificio romano, risalente al II secolo d.C.
sussistono ancora oggi sette colonne. Da qui, anche la tradizione
dei bolognesi, di definire la struttura stefaniana come le “sette
chiese”.
La chiesa dei Ss. Vitale ed Agricola in Santo Stefano (fig.3) è
composta da tre navate e tre absidi divise da colonne, in cui sono
ben visibili dei frammento architettonici romani. E’ forse la più antica
delle chiese stefaniane e l’attuale aspetto risale all’XI secolo
6
.
4
A. Zanotti, Una pagina nuova nella storia dei rapporti tra lo Studio e la municipalità, in IX
Centenario - percorsi, fatti e prospettive – Bologna 1990, p. 82.
5
R. Salvini, Introduzione, in Il Santuario di S. Stefano a Bologna, Modena, 1976, pp. 19-27.
6
M. Fanti, Le Chiese di Bologna cit. p. 258.
6
Fu forse in quest’area cimiteriale che nel 392 sant’Ambrogio
7
collocò
le spoglie dei martiri bolognesi Vitale e Agricola, prelevate dal
cimitero giudaico in cui giacevano. Bologna faceva parte della
circoscrizione metropolitica milanese ed i suoi rapporti con
sant’Ambrogio erano già stretti, ma il rinvenimento e la deposizione
dei due martiri dette l’avvio a quella tradizione “ambrosiana” che è
largamente attestata nell’ambiente stefaniano.
Vitale e Agricola, rispettivamente servo e padrone, furono
condannati perché rifiutarono di abiurare al cristianesimo. Vitale subì
per primo il martirio e spirò dopo lunghe torture, mentre Agricola, fu
crocifisso. I due martiri non erano quindi romani, ma forse di origine
ebraica, convertiti poi a quella fede che nel ceppo ebraico affonda le
radici
8
.
7
Ambrogio, vescovo di Milano (374-397) e Dottore della Chiesa, scrittore e teologo, moralista,
innografo ed epigrafista è una delle più importanti figure della storia della chiesa cristiana. Nato
forse a Treviri, fu di famiglia greca ma romana per scelta e residenza. Eletto vescovo si dedicò
molto agli scritti, portando a termine l’Exortatio virginitatis e l’edizione delle sue lettere. E.
Cecchi Gattolin, Il Santuario di S. Stefano a Bologna, Modena 1976, p. 15.
8
P. Porta, Due sarcofagi nel tempo, in Sette colonne e sette chiese. La vicenda ultramillenaria
del complesso di Santo Stefano (catalogo della mostra), Bologna 1987, pp. 89-95.
7
1.1 L’EVOLUZIONE STRUTTURALE E STORICA DELLE
“SETTE CHIESE”.
Nella necropoli paleocristiana, situata nella zona orientale
dell’odierno complesso, oltre alle sepolture in semplici mattoni,
furono costruite alcune strutture architettoniche destinate a dare un
rilievo particolare sia alle tombe che alle reliquie dei martiri cristiani
che vi erano venerati. Furono proprio questi edifici a creare la
premessa dell’ulteriore evoluzione del complesso stefaniano che si
è sviluppato nella direzione est-ovest
9
(fig. 4 e fig. 5).
Gina Fasoli riprende e completa la storia ultramillenaria di Santo
Stefano nel suo articolo “Sette colonne e sette chiese”
10
per riferirsi
al complesso, in cui il numero sette
11
acquisisce un significato
simbolico e mistico presente in tutta la cultura religiosa e civile
medievale
12
.
Le sette chiese sono andate crescendo con il passare del tempo, in
un circuito culturale ed artistico che associa influenze provenienti da
Gerusalemme, dall’Europa carolingia e post- carolingia
13
.
Non si sa quale fondamento abbiano degli accenni alla
devastazione del monastero e delle annesse chiese da parte degli
9
I. Nikolajevic’, L’architettura di Santo Stefano nelle più antiche planimetrie (1574-1779), in
Sette colonne e sette chiese, cit. pp. 71-87.
10
G. Fasoli, Sette colonne e sette chiese in “Bologna”, 9 (ottobre 1986), pp. 22-24.
11
Ricordiamo a tal proposito le sette arti liberali del Trivio (grammatica, dialettica e retorica) e
Quadrivio ( musica, aritmetica, geometria e astronomia), le sette parti della filosofia (fisica,
metafisica, etica, politica, economia, matematica, dialettica), le sette virtù morali e speculative
(prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, intelletto, scienza e sapienza), ma per un
approfondimento sulla simbologia medievale si veda anche: A. Graf, Miti, leggende e
superstizioni del medioevo, Milano 1994.
12
G. Fasoli, Le «Le Sette Chiese»: una vicenda ultramillenaria, in Sette colonne e sette chiese.
cit. pp. 11-17.
13
G. Fasoli, I mille anni di Santo Stefano, in “Bologna”, 2 (1983), pp. 40-42.
8
Ungari, difatti secondo la Fasoli
14
la notizia sarebbe verosimile, nel
contesto di una vicenda attestata che nel corso dell’899-900
coinvolse la regione
15
. Anche il Gozzadini
16
fa menzione
dell’episodio parlando di “irruzione devastatrice degli Ungari” e
riscontrando all’interno della chiesa “tracce della barbarie di què
predoni”.
Nel 430 le diocesi emiliane furono sottratte alla giurisdizione di
Milano e rese dipendenti dalla Chiesa ravennate. Si trattava delle
diocesi di Forlì, Imola, Bologna, Modena e Voghenza, mentre
Ravenna restava suffraganea di Roma
17
. Nel 538 la regione divenne
bizantina per opera di Giustiniano.
Bologna restò ai bizantini dal 538-54 al 728. In quei secoli scesero
in Italia i Longobardi che occuparono e distrussero buona parte della
città nella sua parte occidentale
18
. Tra l’887 e il 973 gli edifici
stefaniani furono purtroppo abbandonati all’incuria, solo i Benedettini
che giunsero ad officiarvi, provvidero nel 983 a ripristinare vani e
strutture.
Nel XV secolo fu trovata in S. Stefano una cassa di piombo recante
la scritta “Symon” sui quattro lati e contenente delle ossa credute
appartenenti ad un santo
19
. Il popolo non tardò ad attribuire quei
14
G. Fasoli, Storiografia Stefaniana, contributi per la storia del complesso di S. Stefano in
Bologna, in “ Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna”, XVII
(1985), pp. 27-49.
15
G. Fasoli, Le incursioni ungare in Europa nel secolo X, Firenze 1945, pp. 105-111.
16
G. Gozzadini, Del restauro di due chiese monumentali nella Basilica Stefaniana di Bologna in:
“R. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi e parmenesi, Atti e memorie”, n.s. III,
2 Modena, 1878, pp. 11-12.
17
A. Sorbelli, Storia di Bologna, Dalle origini del cristianesimo agli albori del Comune, Bologna
1938, pp. 179-182.
18
E. Cecchi Gattolin, Il Santuario di S. Stefano, cit. pp. 52-54.
19
G. Gozzadini, Del restauro di due chiese monumentali, cit. pp. 12-13.
9
resti a quelli di S. Pietro portati a Bologna da S. Petronio e fu tale il
fanatismo che ne scaturì, che i pellegrini iniziarono a deviare la
strada di Roma per prendere quella della città emiliana al punto da
mettere nelle condizioni il Papa Eugenio IV a porvi riparo in modo
estremamente radicale, riempiendo la chiesa di terra e facendo
serrare le porte.
Santo Stefano restò chiusa così per sessantadue anni, finchè non fu
ripristinata da Giuliano della Rovere vescovo di Bologna (1483-
1502) e futuro Papa Giulio II, il quale ottenne da Alessandro VI il
beneplacito per riaprire la chiesa, non senza un monitorio papale di
scomunica contro chi affermasse ancora che in quel luogo
riposassero i resti di S. Pietro. Nel 1447-48 il monastero fu dato in
commenda e venne abbandonato dai Benedettini neri. Solo nel
1493 vi presero stabile dimora i Benedettini della Congregazione di
San Pietro a Maiella, detti Celestini, che già dal 1368 avevano un
monastero a Bologna
20
.
Dal 1941 Santo Stefano è la residenza stabile dei Benedettini
Olivetani.
20
M. Fanti, Santo Stefano di Bologna, “Monasteri benedettini in Emilia-Romagna”, Milano 1980,
pp. 150-151.
10
1.2 RESTAURI, MODIFICAZIONE, FUNZIONE SOCIALE E
RELIGIOSA DELLA CHIESA DI S. STEFANO.
Il monumento presenta oggi un aspetto in buona parte difforme
rispetto alle sue origini, anche a causa dei restauri, condotti nel XIX
sec. e nei primi anni del ‘900, quando si pose il problema di
collocare i numerosi oggetti di devozione esistenti che per la
risistemazione del complesso monumentale non avevano più un
posto idoneo
21
(fig.6)
Secondo molti operatori del settore, quei restauri non furono
condotti con prudenza e competenza. La maggiore lacuna resta
l’impossibile ripristino del grande ciclo apocalittico
22
nella cupola del
sepolcro, distrutto negli interventi del 1804 e del disinteresse di cui
furono oggetto i dipinti della chiesa. Ma malgrado le modificazioni e i
rifacimenti, approfonditi nello studio di G. Gozzadini, il complesso
stefaniano ha mantenuto quasi intatte le strutture edilizie realizzate
tra l’ XI e il XII secolo
23
.
La chiesa del Santo Sepolcro, punto di partenza imprescindibile del
percorso della Sancta Jerusalem Bononiensis, è oggi costruita su un
perimetro ottagonale irregolare, all’interno del quale è ricavato un
perimetro dodecagonale, non perfettamente centrato.
In posizione centrale rispetto alla cupola, sorge l’edicola del
Calvario, affiancata dall’ambone e circondata dalle 12 colonne
(fig.7).
Nell’ Edicola del S. Sepolcro, si trovano sculture del XIV secolo e
due loculi, raffiguranti rispettivamente il sepolcro di Cristo e quello di
21
G. Gozzadini, Del restauro di due chiese monumentali, cit. pp. 47-96.
22
E. Cecchi Gattolin, Il Santuario di S. Stefano, cit., pp. 33-35.
23
L. Donini-G. Belvederi, Gli scavi nella chiesa di S. Stefano in Bologna, Bologna 1914, p.5
11
Giuseppe d’Arimatea. Vi è inoltre esposta l’urna con il corpo di S.
Petronio. S. Giovanni Battista o chiesa del Crocifisso, la Cripta, il
Calvario (in origine la chiesa di Santo Stefano poi del Santo
Sepolcro), la chiesa dei Santi Vitale e Agricola, il cortile di Pilato, la
chiesa della Trinità, il chiostro, la cappella della Sacra Benda o
Sancta Santorum, sono i luoghi rappresentativi della vita e della
passione di Cristo.
Nel Cortile di Pilato (fig.8), situato tra la chiesa del Sepolcro e la
chiesa della Trinità, è posto il Catino di Pilato, una vasca di marmo
del VIII secolo, posta su una base del 1506 e che vuole ricordare il
medesimo catino in cui Ponzio Pilato compì il gesto di lavarsi le
mani dopo aver condannato Cristo. Caratteristica è una lunghissima
epigrafe
24
(fig.9) dipinta nel XVII secolo e posta sotto il loggiato
settentrionale del cortile.
L’epigrafe recita: “Ferma il passo e leggi. Questa sacrosanta basilica
in sette chiese divisa fù dal vescovo di Bologna Petronio edificata
l’anno 430 col titolo del protomartire S. Stefano in memoria delle
sette stationi che fece Cristo nella sua Passione e perché ancora ci
trasportò infinità di reliquie e Corpi Santi da Palestina, e da Roma
meritatamente chiamasi il Sancta Sanctorum di questa Città e la
Gierusalemme d’Italia
25
”.
Secondo i risultati degli studi della Fasoli
26
, il monastero doveva
essere molto ricco, possedeva case e terre in varie località del
territorio e alle rendite patrimoniali si aggiungevano anche le offerte
dei fedeli, offerte spicciole quotidiane, od offerte più cospicue, che
sovvenzionavano lavori edilizi od ornamentali.
24
M. Fanti, Le Chiese di Bologna cit. p. 252.
25
Ibidem.
26
G. Fasoli, Sette colonne e sette chiese, cit., pp. 22-24.
12
Il grosso delle entrate proveniva dalla confezione e dalla vendita in
esclusiva per la città del pane bianco di ruzzoli. Il grande forno, era
situato a sud della chiesa del Crocifisso
27
.
Accanto a questa tradizione ne troviamo altre tese sempre a
sottolineare l’importanza svolta dal complesso stefaniano. Quando,
infatti, un nuovo vescovo e successivamente un arcivescovo,
giungeva a Bologna per prendere possesso della sua sede, dopo la
consacrazione a Roma, sostava a Santo Stefano, per deporre le
vecchie vesti e indossare quelle nuove che ne connotavano la
nuova dignità
28
. Inoltre, per la festa di San Petronio il vescovo, il
clero, i magistrati cittadini si recavano ad offrire ceri alla tomba del
Santo, con un cerimoniale che subì delle variazioni nel corso dei
secoli. Per l’Epifania, i componenti del Senato cittadino si recavano
nella cappella dei Re Magi a “prendere la perdonanza”.
Il sabato santo tutta la città affluiva per venerare il Santo Sepolcro, e
il lunedì di Pasqua per ricevere la benedizione impartita con le sante
reliquie, in un rituale regolato ed accompagnato dal canto di inni e di
laudi
29
.
27
F. Bocchi, L’ “azienda” di Santo Stefano, in Sette colonne e sette chiese. cit. pp. 183-209.
28
B. Borghi, Alcune reliquie e reliquiari della Sancta Hierusalem bolognese la basilica di S.
Stefano, in “Il Carrobbio” XXX, (2004), pp. 19-31.
29
G. Fasoli, Le «Le Sette Chiese»: una vicenda ultramillenaria, cit. p. 17
13
1.3 LA “HIERUSALEM” BOLOGNESE E I SITI DELLA
TERRASANTA.
Uno degli aspetti più indagati nella storia del complesso stefaniano è
quello dei legami che si sono potuti stabilire tra le costruzioni della
“Jerusalem” bolognese e i luoghi di Gerusalemme, partendo dal
Santo Sepolcro
30
.
Nella mentalità medievale infatti, Gerusalemme era considerata il
centro del mondo: “Iherusalem umbilicus est terrarum”, scrive
Robertus Monachus
31
(1095-1098), la città era posta in una
posizione centrale nelle mappe mondiali medievali, così come lo era
nel pensiero della società dell’epoca
32
.
La più antica menzione di una “Jerusalem” è data da una carta
lucchese dell’anno 716 pubblicata dallo Schiaparelli
33
e gli esempi
più noti dell’appellativo sono quelli della basilica di Santa Croce in
Gerusalemme di Roma
34
e della basilica di Santo Stefano a
Bologna.
30
R. Krautheimer, Architettura paleocristiana e bizantina, Torino 1986, pp. 60-66.
31
Robertus Monachus, “Historia Iherosolimitana” I, in S. de Sandoli, “Itinera Hierosolymitana
Crucesignatorum” (sec. XII- XIII), Pubblicazioni dello Studium Biblicum Franciscanum, 24,
Jerusalem 1978, I, p.196.
32
Mappa mondiale del XII secolo conservata nella Biblioteca Vaticana cod. lat. 73/8; riprodotta
in S. de Sandoli, op.cit., I, p.93.
33
L. Schiaparelli, Codice diplomatico longobardo, in “Regesta Chartarum Italiae”, Roma, 1929,
vol. I, p 86.
34
M. Armellini, Le chiese di Roma; dalle loro origini sino al secolo XVI. Roma, 1881, p 203.
L’Armellini sostiene che l’antico nome della chiesa era quello di Sancta Hierusalem e che il
nome di Santa Croce fu aggiunto alla chiesa dopo il V sec.
La tradizione inoltre sostiene che la chiesa fu fatta costruire da S. Elena, madre di Costantino I,
la quale si dice, fece portare da Gerusalemme la terra del Calvario che era intrisa del sangue di
Cristo.