accedere a tale Archivio, in quanto chiuso al pubblico per motivi di riorganizzazione
interna. Indubbiamente questo ha costituito un oggettivo ostacolo alla realizzazione
di un lavoro più esauriente e completo sull’argomento in esame.
Si è tentato di ovviare nel miglior modo possibile a tale lacuna, cercando una
via alternativa che consentisse comunque di ricostruire, in maniera sufficientemente
oggettiva, l’attività svolta da Alberto Tarchiani a Washington.
D’altra parte, non ci si è potuti avvalere nemmeno del contributo
dell’Archivio di Tarchiani, che raccoglie solo le carte relative al periodo della
resistenza antifascista e dell’azione all’interno del movimento “Giustizia e Libertà”,
fondato nel 1929 da Tarchiani assieme ai fratelli Rosselli.
La ricerca quindi è stata condotta prevalentemente sui Documenti
Diplomatici Italiani, sulla documentazione diplomatica americana contenuta nelle
Foreign Relations of the United States, sulle Carte della Segreteria Politica della DC
e sul Fondo Francesco Bartolotta, conservati nell’Archivio dell’Istituto “Luigi
Sturzo”, sulle Carte Sforza dell’Archivio Centrale di Stato di Roma e sulle
monografie a stampa, riguardanti in particolare i rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti
nel periodo preso in esame e, più in generale, le grandi questioni attorno alle quali
tali rapporti si sono potuti reinstaurare e sviluppare, quali il Trattato di pace con
l’Italia, con le annesse questioni coloniali e di Trieste; gli aiuti economici all’Europa;
la costruzione europea ed il tema della sicurezza, culminato nella stipulazione del
Patto Atlantico.
È stato lo stesso Tarchiani a guidare la scelta dei temi da trattare. Si è deciso,
infatti, di seguire, come filo conduttore della ricerca, le questioni oggetto del libro di
memorie dell’Ambasciatore italiano – “Dieci anni tra Roma e Washington” – e del
diario, pubblicato postumo, relativo agli eventi del 1954, l’ultimo di permanenza di
Tarchiani negli Stati Uniti.
Pur nella consapevolezza che un libro di memorie ha sempre carattere in
qualche modo auto-celebrativo, si è ritenuto che Tarchiani avesse inteso concentrare
la propria attenzione soprattutto sugli eventi più rilevanti del periodo preso in esame,
ai quali aveva partecipato in prima persona, potendo in tal modo fornire una
testimonianza diretta dei fatti stessi.
5
D’altra parte, la modalità della narrazione, comprendente descrizioni
paesaggistiche e impressioni personali su avvenimenti e uomini, senza lesinare
giudizi anche negativi sia sulla classe politica italiana che sull’amministrazione
americana, ha permesso di approfondire la figura di Tarchiani come uomo, per
comprendere meglio quale fosse il suo personale punto di vista in merito alle più
diverse questioni, al di là delle “fredde” e “diplomatiche” comunicazioni
costantemente inviate al Ministero.
È proprio grazie a questa scelta che è stato possibile verificare con quanta
passione Tarchiani si sia dedicato ad un’impresa assai lunga ed impegnativa ed è
emerso il temperamento deciso, ma sempre signorile, di un Ambasciatore la cui
opera tanto ha giovato alle sorti della sua nazione.
Si è tentato, ad ogni modo, di dare una visione oggettiva degli avvenimenti
narrati dall’autore, attraverso l’integrazione con i documenti diplomatici italiani ed
americani, nella consapevolezza che la scelta di Tarchiani sui temi da affrontare
poteva essere stata influenzata dalla maggiore o minore risonanza presso l’opinione
pubblica italiana di determinate questioni, rispetto ad altre.
Nell’impossibilità di consultare le carte conservate presso il Ministero degli
Affari Esteri, per il periodo compreso tra il 1950 e il 1954, non è stato possibile
avvalersi della documentazione diplomatica italiana, le cui pubblicazioni terminano
col gennaio 1950. A tal proposito è necessario rilevare che, nel corso della stesura
del lavoro, è stato reso anche disponibile il terzo volume dell’undicesima serie dei
Documenti Diplomatici Italiani, pubblicato il 4 febbraio 2008, comprendente la
documentazione relativa al periodo luglio 1949-gennaio 1950.
Non è stato quindi possibile esaminare nel dettaglio lo scambio ufficiale tra
Roma e Washington relativo alle questioni più importanti degli anni compresi tra il
1950 e il 1954, quali l’evoluzione della già avviata cooperazione europea e
dell’Alleanza Atlantica e la progressiva ricerca di una soluzione per Trieste, se non
attraverso l’analisi delle monografie a stampa, molte delle quali basate sulla
testimonianza diretta di coloro che avevano partecipato agli eventi descritti.
6
Per la questione di Trieste, ad esempio, è stato molto prezioso il contributo di
De Castro
2
, che ha dedicato due interi volumi al problema, affrontandolo fin dalle
sue origini.
Per la trattazione della questione delle ex colonie italiane, per la conoscenza
delle questioni territoriali specifiche dei Paesi del Corno d’Africa, oggetto di disputa,
e per l’approfondimento del lavoro svolto dalla diplomazia italiana nel tentativo di
mantenere tali aree sotto la sovranità dell’Italia per continuare l’opera di sviluppo
avviata in tanti anni di colonizzazione, oltre ai testi specifici in materia,
fondamentale è stato lo studio del lavoro monografico del professor Rossi, “L’Africa
italiana verso l’indipendenza 1941-1949”.
Naturalmente, non si è inteso realizzare uno studio compiuto ed approfondito
sulle singole tematiche, soprattutto nel caso della questione di Trieste e degli ex
possedimenti italiani in Africa, che da sole, avrebbero potuto costituire oggetto di
una ricerca estremamente vasta e complessa. Il presente lavoro ha voluto sviluppare
le diverse questioni solo dal punto di vista del carteggio tra l’Ambasciatore Tarchiani
e De Gasperi e Sforza, e lo studio dello scambio di documenti diplomatici tra
l’Ambasciata e Palazzo Chigi.
Pertanto, oggetto di queste pagine sarà l’osservazione del modo in cui la
«nuova Italia» democratica ha inteso ed è riuscita a fronteggiare delle sfide
importanti, non solo per l’onore e la dignità del Paese, ma anche per la
sopravvivenza stessa della democrazia, argomento più volte portato da Tarchiani
all’attenzione degli interlocutori americani, per spronarli, da una parte, ad intervenire
in maniera decisa a favore dell’Italia e dall’altra, per garantire al Paese il suo posto
tra le nazioni libere in condizioni finalmente di parità.
Attraverso il presente lavoro di ricerca si è potuta inoltre mettere a frutto la
breve, ma importante esperienza di tirocinio svolta col programma MAE-CRUI
presso la Direzione Generale per i Paesi dell’Africa Sub-Sahariana – Ufficio II
Africa Orientale – del Ministero degli Affari Esteri.
È stata indubbiamente l’occasione per tradurre in pratica gli studi universitari
in Scienze Politiche nel campo che, a mio giudizio, è loro più congeniale: quello
2
DE CASTRO D., La questione di Trieste: l’azione politica e diplomatica dal 1943 al 1954, voll. I-II,
Edizioni LINT, Trieste, 1981.
7
della diplomazia, e per occuparsi direttamente di temi, affrontati in ambito
accademico, nella loro attualità e nell’evoluzione delle problematiche quotidiane.
Tale esperienza, a contatto diretto con le procedure e la burocrazia
ministeriale, ha costituito un ottimo momento di formazione utile anche ai fini di
questo lavoro di ricerca, essendosi avuta la possibilità di lavorare al fianco di
diplomatici. Si è potuta così affrontare la ricerca sulla figura dell’Ambasciatore
Tarchiani con una maggiore consapevolezza dei meccanismi del Ministero e delle
Ambasciate ed è stato anche possibile, analizzare in maniera critica le valutazioni di
Tarchiani in merito ai tempi ed alle capacità di risposta di quel grande apparato
burocratico che è il Ministero degli Esteri.
Aver appreso le varie modalità di comunicazione intra ed extra ministeriali, la
distinzione tra un appunto, un messaggio ed un telespresso; aver contribuito a
redigere promemoria, schede Paese, aggiornamenti delle informazioni a disposizione
della Direzione Generale, ha consentito anche di svolgere una ricerca più attenta tra
gli appunti e le carte ministeriali contenute nel “Fondo Carlo Sforza”.
Nel Fondo sono, infatti, conservate le carte relative al periodo in cui Carlo
Sforza ha ricoperto l’incarico di Ministro degli Esteri. Oltre ai molti documenti non
datati, quindi di non facile collocazione temporale, il Fondo contiene numerosi
appunti dei vari uffici del Ministero degli Esteri, per i quali non è specificato se si
tratti di documenti ufficiali o di semplici comunicazioni interne. Aver avuto
un’esperienza diretta all’interno del Ministero, ha consentito di distinguere con più
facilità un appunto di carattere semplicemente informativo, da un documento che
avesse un riscontro storico.
Non ci si è invece imbattuti in un problema analogo nella consultazione del
“Fondo Bartolotta” e delle “Carte della Segreteria Politica della DC”, tutte datate e
perfettamente catalogate. Le “Carte della Segreteria Politica della DC” sono state
particolarmente utili per l’analisi del dibattito in merito agli aiuti economici
americani e all’adesione al Patto Atlantico; il “Fondo Bartolotta” è il frutto del
minuzioso e paziente lavoro di Francesco Bartolotta, segretario personale di De
Gasperi dal 1943 al 1953, che ha trascritto tutte le lettere, le comunicazioni, i
dibattiti, i resoconti di viaggi e incontri di De Gasperi durante quel decennio. Le
carte contenute nel Fondo rappresentano un’importante ricchezza ed hanno
8
contribuito fortemente a colmare la lacuna dovuta alla chiusura dell’Archivio Storico
del Ministero degli Affari Esteri.
Alberto Tarchiani assunse l’incarico di Ambasciatore a Washington nel
febbraio del 1945, quando ancora l’Italia era dilaniata dalla guerra: mentre una parte
degli italiani combatteva con le truppe Alleate, dopo la firma dell’armistizio nel
1943, un’altra parte combatteva ancora con l’esercito tedesco.
Alberto Tarchiani era innanzitutto un giornalista, formatosi negli Stati Uniti,
dove aveva maturato la propria coscienza politica “liberal”, violentemente contraria
al nazionalismo, di cui era pur fanaticamente convinto quando giunse nella «patria
della democrazia» nel 1907
3
.
Patriota, intransigente antifascista, abile politico e intelligente diplomatico.
Così può essere sintetizzata la figura di Alberto Tarchiani, un giornalista «prestato
alla diplomazia»
4
.
Quando fu scelto per rappresentare l’Italia negli Stati Uniti nel 1945, dunque,
non aveva alcuna «particolare ferratura per il normale andamento
dell’amministrazione, del sistema, delle consuetudini del mondo diplomatico», verso
le cui esigenze e «pompe esteriori» non provava alcuna attrazione ed alle quali –
come disse – si sarebbe abituato a fatica
5
.
La sua stessa nomina fu oggetto di perplessità, soprattutto da parte di De
Gasperi, preoccupato all’idea di dover affidare un incarico tanto delicato, quale
quello del ristabilimento delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, ad un
diplomatico «non di professione». Fu solo la consapevolezza della profonda
conoscenza della realtà politica americana, che Tarchiani aveva acquisito nei lunghi
anni di esilio negli Stati Uniti durante il fascismo, che riuscì a convincere De Gasperi
dell’opportunità di affidare l’incarico proprio a lui.
Ma un’altra esigenza si nascondeva dietro la scelta di Tarchiani per questa
missione: per dimostrare che l’Italia era cambiata dopo la guerra e che si avviava, o
meglio riavviava, dopo la parentesi dittatoriale, sulla strada della democrazia, era
necessario che il Paese fosse rappresentato all’estero da personaggi che non avevano
3
GAROSCI A., Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973, pp. 142-143.
4
TARCHIANI A., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di Washington. 1954,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, p. 5.
5
TARCHIANI A., Dieci anni tra Roma e Washington, Mondadori, Milano, 1955, p. 12
9
avuto alcun legame con il fascismo. In alcuni casi, come per Quaroni a Mosca,
Carandini a Londra e Saragat a Parigi, fu possibile inviare, nelle relative ambasciate,
diplomatici di carriera o esponenti della vita politica pre-fascista; per Washington si
decise di inviare una personalità che proprio dagli Stati Uniti aveva condotto la
propria battaglia contro il regime, riuscendo ad intrecciare legami non solo con gli
esuli antifascisti italiani, ma anche con i giornalisti americani con i quali ebbe modo
di collaborare in quegli anni.
Un altro fattore fu determinante ai fini di questa scelta, che indubbiamente fu
strategica e fortemente ponderata da parte di Bonomi, allora Presidente del Consiglio
e da De Gasperi, ministro degli Esteri, e caldeggiata da Carlo Sforza: la larga stima
di cui Tarchiani godeva negli ambienti politici americani proprio per il suo
antifascismo, nonché la profonda conoscenza che questi aveva acquisito, nel corso
della sua permanenza negli Stati Uniti, dei meccanismi della politica e dell’opinione
pubblica americana, che, come aveva compreso fin da subito, era stata sempre
fortemente in grado di influenzare le scelte dei governanti del Paese emblema della
democrazia.
Lo stesso Tarchiani fu colto di sorpresa dalla proposta di Bonomi, di
presentare le proprie credenziali al Governo degli Stati Uniti; ma, mostrando alto
spirito di servizio nei confronti del suo Paese, accettò l’incarico con l’intento di
«contribuire, anche con effetti infinitesimali, ad avvantaggiare l’Italia e renderla sempre più
una nazione seria, forte, capace, rispettata, apprezzata, coadiuvata, quale ha diritto d’essere
per la continuità millenaria della civiltà sua, e per l’energia vitale che sprigiona e mette in
opera ogni qualvolta le avversità la contrastino, e quando occorra risorgere e riprendere il
cammino»
6
.
Compito principale di Tarchiani, in qualità di Ambasciatore in America, fu
quello della normalizzazione dei rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti, nel periodo
compreso tra il 1945 ed il 1954, allo scopo soprattutto di ricostruire l’importante rete
diplomatica necessaria alla ripresa di un dialogo politico tra uno Stato forte e
vincitore ed una nazione semidistrutta dalla guerra ed in condizioni economiche
disastrose, in grado, comunque, di vantare una seppur minima forma di
compartecipazione alla sconfitta del nazi-fascismo.
6
Ivi, p. 11.
10
Le vicende interne; le incombenti preoccupazioni politiche ed economiche; la
necessità di mostrare all’America segni inequivocabili dell’adesione italiana alla
causa della democrazia, in cambio di un aiuto concreto per la ripresa del Paese; la
strenua difesa del diritto su Trieste; la questione coloniale; l’ammissione dell’Italia al
Patto Atlantico, per cui Tarchiani si prodigò in maniera particolare, sono gli
argomenti che animano il lavoro e lo sforzo del nostro diplomatico nei suoi «nove
anni di angoscia e di sforzi»
7
di permanenza a Washington.
Prima preoccupazione dell’Ambasciatore, appena giunto negli Stati Uniti, fu
quella di prendere contatti con le maggiori personalità americane, prime fra tutte il
Presidente Roosevelt e l’allora Segretario di Stato, Stettinius.
Fin dai primi incontri, Tarchiani ricevette le più ampie assicurazioni circa le
buone disposizioni americane verso l’Italia, anche se, in realtà, come emerge dallo
studio delle fonti diplomatiche, inizialmente gli Stati Uniti non si interessarono in
maniera particolare del problema italiano.
Tarchiani, dal canto suo, con la pragmaticità che gli era propria e che
caratterizzerà tutta la sua attività in America, appena giunto a Washington sottopose
immediatamente ai suoi interlocutori le questioni più pressanti e scottanti per l’Italia:
il problema alimentare; la questione della partecipazione alla Conferenza di San
Francisco, in vista di un reinserimento dell’Italia nel consesso delle nazioni libere;
l’eventualità di una dichiarazione di guerra al Giappone, come prova di lealtà nei
confronti degli Alleati.
Desiderio profondo di Tarchiani fu, fin dall’inizio della sua missione, quello
di promuovere l’immagine di una nuova Italia democratica: un Paese che aveva
“subito” la dittatura fascista e appena era stato possibile se ne era liberato.
Più volte il diplomatico dovette richiamare l’attenzione dei suoi interlocutori
americani sulla necessità che fossero fatte le debite distinzioni e che quindi fosse
chiaro che l’Italia, con cui gli Stati Uniti avevano deciso di riallacciare le relazioni
diplomatiche, era profondamente diversa da quella che si era unita a Hitler nella
Seconda guerra mondiale. Questa nuova Italia chiedeva, in nome della
cobelligeranza sancita dalla firma dell’armistizio, di essere reinserita a pieno titolo e
7
Cronaca del 5 ottobre, in TARCHIANI A., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di
Washington. 1954, op. cit., p. 303.
11
a parità di condizioni nella comunità internazionale, per contribuire alla costruzione
di un mondo pacifico e sicuro, in cui non potesse ripetersi l’esperienza nazi-fascista.
In questo senso, Tarchiani trovò un interlocutore particolarmente attento nel
Presidente Roosevelt e quando questi morì improvvisamente, l’Ambasciatore sentì
che l’Italia aveva perso un importante e sincero amico, che mai avrebbe fatto
mancare la propria assistenza al popolo italiano.
Ma già dopo poche settimane di intensa attività, volta a sensibilizzare le alte
sfere del Governo e dello State Department, nonché dell’opinione pubblica
americana, Tarchiani poté cominciare ad intravedere i primi segni di schiarita nei
rapporti italo-americani, le avvisaglie di una maggiore comprensione e disponibilità
verso una soluzione della situazione italiana più rapida possibile.
Ci sono alcuni elementi di rilievo che rendono interessante l’attività di
Tarchiani a Washington.
Innanzitutto la sua formazione prevalentemente giornalistica: privo del tipico
stile del diplomatico, Tarchiani si dimostrò uomo estremamente pratico e risoluto.
Non ebbe mai paura di affrontare in maniera schietta questioni scottanti e delicate,
suscettibili di infastidire il governo e l’opinione pubblica americana, anche con
quello slancio emotivo, tipico di chi affronta le questioni spinto da forte passione.
Spesso, nei colloqui allo State Department, fu portato ad evitare i convenevoli e ad
arrivare immediatamente al vivo della questione. Questo temperamento fu
particolarmente evidente quando si discussero la questione di Trieste e quella delle
colonie, che maggiormente impegnarono Tarchiani in quegli anni.
La risolutezza di Tarchiani si dovette più volte – e con suo estremo
rammarico – scontrare contro la lentezza e l’indecisione della classe dirigente
italiana, sempre in atteggiamento di attesa, quasi che si dovesse costantemente
attendere un intervento esterno, invece che agire attivamente per dare soluzione ai
problemi italiani.
Secondo Tarchiani questo era il più grosso difetto della politica italiana, che
perse così molte occasioni per poter acquisire vantaggi e migliorare la propria
posizione, soprattutto agli occhi di quella che già mostrava di essere la più grande
potenza mondiale.
12
Tra l’altro, nei primi anni di permanenza dell’Ambasciatore a Washington, il
suo compito fu ancora più arduo, dal momento che gli Stati Uniti guardavano sì con
simpatia, ma anche con una certa indifferenza alle questioni italiane. Era dunque
necessario che l’Italia desse delle prove concrete della propria volontà di cambiare.
È in questo senso che, ad esempio, Tarchiani insistette per affrettare la
dichiarazione di guerra al Giappone e affinché il governo italiano desse assicurazioni
che un tale atto non sarebbe rimasto simbolico, ma si sarebbe tradotto in un’effettiva
partecipazione alle operazioni di guerra. Se così non fosse stato i Tre Grandi, e
soprattutto gli Stati Uniti, non avrebbero mai preso sul serio la causa dell’Italia e non
avrebbero soddisfatto le richieste e le aspirazioni italiane.
In realtà, come è ben noto, nonostante l’instancabile attività di Tarchiani e le
continue promesse statunitensi, quando si trattò di prendere posizioni decisive per le
sorti del nostro Paese, prevalsero sempre considerazioni di politica internazionale,
relative, prima ai rapporti tra i Tre Grandi e poi a quelli tra Stati Uniti ed Unione
Sovietica, che si sostanziarono nella frustrazione delle aspirazioni e delle richieste
italiane. A tal proposito non va dimenticato che, fin dall’inizio, fu negata all’Italia la
possibilità di partecipare alla costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite,
nella Conferenza di San Francisco, e, nonostante le continue dichiarazioni di buona
volontà da parte americana, l’Italia non poté entrare a far parte dell’organo posto a
garanzia della pace e della sicurezza mondiale fino al 1955, a causa del veto
sovietico.
Altro tratto caratteristico dell’attività di Tarchiani – diretta conseguenza della
sua formazione giornalistica – fu la particolare attenzione mostrata verso l’opinione
pubblica americana.
Nei lunghi anni trascorsi a Washington, prima e durante la dittatura fascista,
Tarchiani ebbe modo di comprendere quanto negli Stati Uniti il termine
«democrazia» fosse inteso nel suo senso etimologico di «potere del popolo».
L’Ambasciatore italiano capì presto quanta influenza l’opinione pubblica
americana riuscisse ad esercitare sulle decisioni del governo. A sua volta, la stampa
aveva un forte potere persuasivo nei confronti dell’opinione pubblica e proprio su
questo fattore puntò spesso Tarchiani per promuovere la causa italiana e
sensibilizzare l’opinione pubblica americana:
13
«La mia esperienza mi insegna che nulla è perduto di quanto si fa per
mantenere viva l’attenzione e l’amicizia di questo Paese, sempre pronto ad ascoltare
informazioni e giudizi, a cercare di farsi un’opinione obiettiva, ad agire appena è
convinto che può dare opera utile in favore di un Paese che meriti comprensione ed
appoggio»
8
.
Nell’ambito del dibattito sull’opportunità di una dichiarazione di guerra al
Giappone, Tarchiani insistette molto sulla «favorevolissima accoglienza» che un tale
gesto avrebbe ricevuto da parte dell’opinione pubblica americana. Quando Togliatti,
nell’aprile del 1945, criticò l’Ambasciatore per l’eccessivo coinvolgimento della
stampa americana nelle questioni italiane, Tarchiani chiese a De Gasperi di fargli
notare che:
«data la situazione dell’Italia, non si può qui fare gli scontrosi coi giornalisti che
dominano l’opinione pubblica. Bisogna correre qualche rischio con loro, ma tenerseli
generalmente amici. L’Italia in questo Paese della pubblicità frenetica, deve essere sempre
presente nei giornali e alla radio, se vuol tornare ad essere simpaticamente popolare»
9
.
Lo stesso De Gasperi, nel corso della visita negli Stati Uniti, ebbe modo di
verificare questa realtà americana, tanto da coniare il termine «Fotocrazia» per i
giornalisti, «simpatici, ma anche tirannici, dominatori della vita pubblica
americana»
10
.
Proprio il primo viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti nel gennaio 1947,
descritto da Tarchiani nei più minuti particolari nel libro “America – Italia: le dieci
giornate di De Gasperi negli Stati Uniti”, può essere considerato per l’Italia il
momento decisivo ed iniziale verso la ricostruzione ed il progresso.
Dalla Conferenza di Potsdam in poi, nel corso delle innumerevoli Conferenze
dei ministri degli Esteri, che culminarono nell’elaborazione del Trattato di pace,
l’Italia aveva visto lentamente sgretolarsi le proprie aspirazioni nazionali ed
internazionali. Nulla di tutto quello che l’Italia aveva fatto, seppur tardivamente, fu
8
TARCHIANI A., America – Italia: le dieci giornate di De Gasperi negli Stati Uniti, Rizzoli, Milano,
1947, p. 76.
9
Tarchiani a De Gasperi, Washington, 12-13 aprile 1945, in Documenti Diplomatici Italiani (DDI),
X, 2, d. 126, p. 167.
10
TARCHIANI A., America – Italia: le dieci giornate di De Gasperi negli Stati Uniti, op. cit., p. 85.
14
ufficialmente riconosciuto nelle discussioni e nella versione finale del Trattato di
pace, nemmeno lo status di cobelligerante nell’ultima fase della guerra.
I Tre Grandi, soprattutto Gran Bretagna ed Unione Sovietica, insistettero e
ottennero che all’Italia venisse imposto un vero e proprio diktat, come per gli altri
Paesi ex satelliti della Germania. Non fu nemmeno più riconosciuto il principio,
sancito a Potsdam, della priorità della conclusione del Trattato di pace con l’Italia, la
quale, pur essendo stata ammessa ad esporre le proprie osservazioni in merito,
dovette arrendersi ad un Trattato di pace «ingiusto e punitivo», che, tra l’altro decise
la formazione del Territorio Libero di Trieste – che Tarchiani non esitò a definire un
«aborto» – e lasciò in sospeso la questione coloniale, su cui convergevano gli
interessi di troppi Paesi.
Il viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti, dunque, fu motivato da ragioni di
carattere strettamente economico – quale il prestito della Export-Import Bank e gli
aiuti all’Italia – e di prestigio del leader della DC.
Sembra che sia da parte italiana che da parte americana, lo scopo principale
che si voleva perseguire attraverso tale viaggio fosse quello di dissipare l’atmosfera
di tensione che si era creata tra i due Paesi, lungo il corso del 1946, e che si era
andata deteriorando per la delusione italiana sui termini del Trattato di pace.
De Gasperi, a cui Tarchiani era legato da un forte sentimento di stima ed
amicizia e con cui intratteneva uno scambio epistolare che esulava dalla semplice
trasmissione di documentazione ufficiale, sottolineò allora l’importanza che attribuì
alla visita:
«Questo viaggio è per me un rischio politico, ma lo affronto perché anche se non mi
soddisfacesse per i suoi risultati immediati, io avrei stabilito un contatto certamente utile tra
due civiltà»
11
.
Non bisogna dimenticare il clima di profonda incertezza politica interna in cui
lo stesso Alcide De Gasperi si trovava a dover svolgere il proprio ruolo di guida del
Paese, prima per portarlo dignitosamente fuori da una guerra che lo aveva devastato
e che gli era costata la perdita di fiducia da parte del resto del mondo; poi per trovare
una maggioranza forte che consentisse di governare il Paese in modo da risollevarlo
11
Ivi, p. 28; DE GASPERI M. R. (a cura di), De Gasperi scrive:corrispondenza con capi di stato,
cardinali, uomini politici, giornalisti, diplomatici, vol. II, Morcelliana, Brescia, 1974.
15
dalla miseria e dalla distruzione, nonostante le numerose tendenze scissionistiche
interne alla Democrazia Cristiana; senza contare l’eterno problema della presenza di
un forte Partito Comunista, sempre contrario alla stretta collaborazione italo-
americana, e in grado di conquistarsi, anche pericolosamente, una grossa fetta di
elettorato italiano.
Infatti, secondo le memorie di Ortona
12
, sembra che un altro motivo
determinante per l’invito di De Gasperi negli Stati Uniti fosse stato il risultato delle
elezioni amministrative del novembre 1946, che avevano visto un arretramento della
DC, accompagnato da un preoccupante avanzamento del PCI, motivato da una «crisi
di sfiducia» del popolo italiano nei confronti degli Stati Uniti
13
.
Dopo l’esclusione delle sinistre dalla compagine di governo nella primavera
del 1947, si aprì un aperto contrasto tra gli Stati Uniti e il PCI, che li accusò di aver
voluto il viaggio di De Gasperi per rafforzare la DC e farne un perno di stabilità per
l’influenza statunitense sull’Italia
14
.
Ad ogni modo, a seguito di tale viaggio, De Gasperi, grazie all’instancabile
attività di mediazione di Alberto Tarchiani, riuscì ad imporsi e ad imporre il suo
Partito, la DC, come partner preferenziale e particolarmente affidabile per il
ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’Italia e gli Stati Uniti nell’immediato
dopoguerra. E fu solo a partire da quel momento che gli Stati Uniti iniziarono
effettivamente a pensare di dare un sostegno concreto alla Democrazia Cristiana e al
suo leader, per la ricostruzione del Paese e nella lotta contro il comunismo, che di lì
a poco sarebbe sfociata nello “scoppio” della guerra fredda.
Il viaggio di De Gasperi ad ogni modo riuscì a portare l’Italia fuori da una
situazione di isolamento internazionale e, la «scelta occidentale», in qualche modo
obbligata, operata allora dal governo De Gasperi, valse al Paese l’inclusione nel
programma di aiuti all’Europa, meglio noto come Piano Marshall, grazie al quale,
l’Italia non solo poté avviare la propria ricostruzione, ma iniziò a ritagliarsi un posto
12
ORTONA E., Anni d’America. La Ricostruzione, 1943-1953, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 175.
13
QUARTARARO R., Italia e Stati Uniti: gli anni difficili, 1945-1952, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, 1986, p. 146.
14
Al riguardo si disse che la crisi di gennaio era maturata all’estero, dietro consiglio-pressione
statunitense, e col ricatto di non concedere gli aiuti economici all’Italia su cui ancora non si aveva
alcuna notizia certa. Si veda in proposito: GALANTE S., Il PCI e gli Stati Uniti (1945-49), in AGA
ROSSI E. (a cura di), Italia e Stati Uniti durante l’amministrazione Truman, Angeli, Milano, 1976,
pp. 253-269.
16
proprio nella comunità internazionale, in particolare attraverso la promozione del
processo di integrazione europea, che gli americani posero come condizione per
l’assegnazione degli aiuti ERP.
Fu soprattutto l’infaticabile impegno di Tarchiani, nel sollecitare sia il
governo americano sia quello italiano, che permise all’Italia, nonostante il mancato
ingresso nell’Unione Occidentale, di essere inclusa nel sistema di sicurezza collettiva
e di partecipare come membro originario al Patto Atlantico, siglato il 4 aprile 1949.
Grazie alla mediazione di Tarchiani, in accordo con i diplomatici delle altre
importanti ambasciate, si riuscì a superare l’iniziale, inopportuno atteggiamento
negoziale assunto da parte italiana. Emerse dalle dichiarazioni di esponenti del
governo, la volontà di condizionare la partecipazione al sistema di sicurezza
collettiva alla soluzione della questione coloniale, del TLT ed alla revisione delle
clausole militari del Trattato.
Naturalmente l’atteggiamento italiano fu interpretato come un vero e proprio
ricatto e furono Tarchiani e gli altri Ambasciatori a convincere il governo di quanto
sbagliata fosse la strada intrapresa. In tal modo, oltre a “boicottare” la via verso
l’integrazione europea, si rischiava di perdere anche l’appoggio e la garanzia
statunitense. L’obiettivo americano era infatti quello di incentivare i Paesi europei a
provvedere, nei limiti delle loro possibilità, alla propria difesa, assicurando una
ulteriore garanzia di sicurezza americana, attraverso l’inclusione dei Paesi membri
dell’Unione Occidentale nel Patto Atlantico.
L’Italia, ponendo delle condizioni alla partecipazione all’Unione Occidentale
– pur in assenza di qualsiasi potere negoziale, come sottolineò Quaroni
15
– rischiò di
cadere in una nuova posizione di isolazionismo, fuori dall’Europa e da ogni garanzia
americana.
Fu poi il deciso intervento del governo francese – che chiese l’inclusione
dell’Italia al Patto Atlantico per estendere il raggio della garanzia americana anche ai
distretti algerini – e furono le pressanti preoccupazioni americane verso possibili
attacchi sovietici all’Italia, nonché il deciso intervento di Tarchiani allo State
Department, che modificarono la situazione.
15
Quaroni a Sforza, Parigi, 29 maggio 1948, in DDI, XI, 1, d. 70, pp. 91-93.
17
L’Italia, effettivamente, privata dalle clausole militari del Trattato di pace
della possibilità di organizzare autonomamente la difesa dei propri confini, era fonte
di preoccupazione per gli americani, soprattutto in merito al confine orientale.
Sguarnita di qualsiasi difesa ad est, l’Italia rappresentava «la porta aperta
all’Occidente» di un’eventuale invasione sovietica, attraverso la Jugoslavia di Tito.
Si decise pertanto di invitarla alle discussioni per il costituendo Patto
Atlantico, che lasciava aperta la porta all’adesione di Paesi non appartenenti
all’Unione Occidentale, al fine di garantire l’Italia, e con essa l’Europa, dall’avanzata
dell’Armata Rossa attraverso il confine giuliano, con la complicità jugoslava.
Fu proprio il tema dei rapporti con la Jugoslavia quello che maggiormente
preoccupò Tarchiani, come emerge dalle sue memorie, in gran parte dedicate al
problema di Trieste e dei confini orientali.
Tarchiani ebbe un ruolo fondamentale, nell’evoluzione della questione, fin
dai primi momenti, quando il problema di Trieste fu sollevato nelle varie Conferenze
dei ministri degli Esteri. Come è stato sottolineato e come ricorda nelle sue memorie,
nel novembre 1946, egli fece parte, assieme a Quaroni e Carandini, della delegazione
italiana alla Conferenza dei ministri degli Esteri di New York e soffrì per la
decisione finale di costituire il Territorio Libero di Trieste (TLT): l’ennesima prova
del fatto che, pur di raggiungere un compromesso e di chiudere il capitolo “Trattati di
pace”, gli Stati Uniti avevano deliberatamente scelto di sacrificare gli interessi e le
aspirazioni italiane.
Nonostante le varie dichiarazioni da parte americana secondo cui la
formulazione finale del Trattato e la costituzione del TLT rappresentavano l’unica
soluzione possibile in quel momento, Tarchiani non smise mai di protestare contro la
decisione di amputare parte del territorio italiano a favore della Jugoslavia, creando
grossi problemi di sicurezza ai confini orientali dell’Italia.
L’Ambasciatore italiano mise immediatamente in luce le difficoltà che
sarebbero state incontrate nel tentativo di realizzare concretamente il TLT e più volte
espresse la preoccupazione, di fronte all’aggressività jugoslava, che Tito non si
sarebbe accontentato della sola zona B, ma avrebbe potuto anche tentare di occupare
militarmente altre aree circostanti a danno dell’Italia che non aveva alcuna possibilità
di difendersi.
18
Dall’analisi dei documenti diplomatici americani, emerge chiaramente come,
dopo la rottura tra Tito e Stalin, gli Stati Uniti ridimensionarono il proprio impegno a
favore dell’Italia, di fronte alla possibilità di sottrarre la Jugoslavia al controllo
sovietico ed inglobarla quindi nel blocco occidentale. Fu per questo motivo che si
registrò un atteggiamento – costantemente avversato e denunciato da Tarchiani – di
maggiore accondiscendenza verso le richieste jugoslave.
Dopo il fallimento registrato per l’effettivo funzionamento del TLT (il
problema maggiore fu quello della nomina di un Governatore), furono avanzate
diverse proposte di demarcazione del confine giuliano, fino alla firma, nel 1954, del
memorandum di Londra, che stabilì a titolo provvisorio di affidare l’amministrazione
della zona A all’Italia – fino ad allora sotto occupazione anglo-americana – e quella
della zona B alla Jugoslavia, con piccole rettifiche di confine e accordi per il
trattamento delle minoranze etniche e delle materie economiche.
Un’altra questione che mise seriamente in dubbio i rapporti italo-americani fu
quella degli ex possedimenti italiani in Africa. Ricorda Tarchiani:
«dopo l’azione per Trieste, ed insieme coi sempre gravi ed assillanti problemi economici, la
questione coloniale fu quella che più occupò, in una costante, e spesso sterile ed ingrata
fatica, le forze dell’Ambasciata di Washington e quelle di valenti specialisti e di ferrati
diplomatici […]. Tutti, nei limiti di una causa disperata a priori, compirono, con ogni
impegno e con la massima capacità, il loro dovere»
16
.
Tra le pagine delle memorie e dai documenti diplomatici emerge per la prima
volta la disillusione di Tarchiani nei confronti degli Stati Uniti.
La lettura dei documenti mostra che da parte di Tarchiani ci fu sempre un
atteggiamento di ottimismo verso le intenzioni americane di aiutare l’Italia. Ma per la
prima volta, nelle pagine dedicate alla questione coloniale Tarchiani esprime un
giudizio estremamente duro nei confronti del governo americano, quando mostrò
apertamente di appoggiare la politica britannica nel continente africano:
«La recente decisione americana, concernente le ex colonie italiane costituisce
purtroppo una prova, simile ad altre di cui abbiamo avuto precedente esperienza, degli
“scarti” cui è costantemente soggetta la politica estera di questo Paese»
17
.
16
TARCHIANI A., Dieci anni tra Roma e Washington, op. cit., p. 171.
17
Tarchiani a Sforza, Washington, 28 novembre 1948, in DDI, XI, 1, d. 684, p. 1006.
19
E aggiunge:
«gli americani non sono in grado di resistere alla volontà degli inglesi, quando
questi, attribuendo ad un dato problema un’importanza capitale per la sicurezza del loro
Impero, si mostrano risoluti a non accettare soluzioni diverse da quelle che essi
propongono»
18
.
Nonostante tali giudizi, che sembrano dettati più che altro dall’istinto e
dall’emotività, Tarchiani continuò la propria opera di persuasione presso il
Dipartimento di Stato e mai dubitò seriamente delle intenzioni americane di trovare
delle soluzioni favorevoli all’Italia.
Sembra che in realtà Tarchiani non abbia avuto un ruolo particolarmente
attivo riguardo alla questione coloniale, dato che l’azione diplomatica italiana, in
merito, si concentrò più su Londra che su Washington, anche per il profondo anti-
colonialismo dell’opinione pubblica americana, che spingeva il governo statunitense
ad occuparsi poco delle ex colonie italiane, se non nella misura in cui tale interesse
potesse risultare funzionale alla politica del containment e quindi al tema della difesa
occidentale.
Fu proprio con l’emergere della questione del sistema di sicurezza collettiva
che si registrò un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nella questione
coloniale, e quindi un maggiore impegno da parte di Tarchiani, data l’importanza
strategica che gli anglo-americani attribuivano all’area del Mediterraneo.
L’Ambasciatore italiano, quindi, sembra aver deciso di affrontare il problema
delle ex colonie italiane, nelle proprie memorie, più per la presa che la questione
aveva avuto sull’opinione pubblica che non per un’azione attiva da parte
dell’Ambasciata a Washington in merito.
Più che altro, il ruolo di Tarchiani, in questo caso, fu quello di esercitare
pressioni sullo State Department affinché fossero assegnati all’Italia i territori
africani, oggetto di disputa, in amministrazione fiduciaria, in vista di una loro futura
costituzione in Stati indipendenti. Solo l’Italia, che aveva condotto, nei lunghi anni di
presenza in Africa, un’importante opera di sviluppo e di civilizzazione, poteva
garantire che Libia, Eritrea e Somalia avrebbero camminato, sotto la sua guida, verso
l’indipendenza in maniera pacifica ed ordinata, senza perdere il lavoro compiuto
18
Tarchiani a Sforza, Washington, 28 novembre 1948, in DDI, XI, 1, d. 684, p. 1007.
20
dagli italiani durante la colonizzazione, e consentendo loro di rimanere in tali Paesi
per tutelare gli interessi lì maturati.
Attraverso il presente studio, si è voluto dimostrare quanto sia stata
determinante l’attività di Tarchiani nel ristabilimento di relazioni amichevoli e di un
clima di reciproca fiducia tra l’Italia e gli Stati Uniti.
Afferma lo stesso Tarchiani nelle memorie:
«Ho avuto l’ambita soddisfazione di partecipare, negli assai vasti limiti delle mie
funzioni, a questa opera di avvicinamento, di coordinamento, di fiduciosa intesa tra Italia e
America, contribuendo a ricondurle ad un’operosa collaborazione e ad una costruttiva
amicizia»
19
.
Determinante è stata la presenza di Tarchiani a Washington per sollecitare da
una parte, l’Italia a schierarsi apertamente con l’Occidente e dall’altra, gli Stati Uniti
ad interessarsi seriamente e concretamente della ricostruzione di un Paese
geograficamente strategico per la logica della guerra fredda.
Tarchiani, pur riconoscendo i limiti di incertezza e scarsa capacità di seguire
una linea coerente dell’azione statunitense, non ebbe alcuna esitazione
nell’individuare in una stabile alleanza tra Roma e Washington l’unica possibilità per
l’Italia di avere un ruolo internazionale e nel mondo occidentale, primariamente
preoccupato dal contenimento dell’influenza e dell’espansionismo sovietico.
La profonda conoscenza della realtà americana fu un’importante risorsa per il
governo italiano negli anni del dopoguerra: Tarchiani sapeva molto bene come
muoversi tra la burocrazia, l’amministrazione e l’opinione pubblica americana e
sfruttò queste conoscenze per interessare il governo americano alle problematiche
italiane.
Giunto a Washington, l’Ambasciatore italiano comprese fin da subito che
nessun’altra nazione avrebbe voluto e potuto contribuire – nel settore economico,
politico e militare – al «prodigioso celere risorgimento nostro dalle rovine della
guerra»
20
, nemmeno l’Unione Sovietica, rimasta sola con gli Stati Uniti a gestire le
sorti del mondo.
19
TARCHIANI A., Dieci anni tra Roma e Washington, op. cit., p. 342.
20
Ivi, p. 339.
21
«Sono stato compartecipe e testimone, per dieci anni, del continuo svolgersi
dell’azione americana nei riguardi dell’Italia, lungo le linee maestre delle nostre giuste
aspirazioni e delle nostre necessità. Mai ho trovato porta chiusa o ironica indifferenza al
Dipartimento di Stato, o presso le altre branche dell’amministrazione degli Stati Uniti.
Alcune nostre vive speranze non sono state soddisfatte, né tutti i nostri voti esauditi. Non era
possibile che lo fossero; soprattutto perché moltissime decisioni non dipendevano
esclusivamente da Washington»
21
.
Da queste affermazioni emerge il filo conduttore di tutto il presente lavoro: la
fiducia incondizionata, nonostante una concreta capacità critica, nella buona volontà
americana di soccorrere, sostenere e difendere l’Italia e le sue aspirazioni.
Tale fiducia, naturalmente non ha impedito a Tarchiani di denunciare e
mettere chiaramente in luce le responsabilità di Byrnes e del governo americano per
avere, in troppi casi, ceduto facilmente alle pretese sovietiche, soprattutto in merito a
Trieste; e per l’eccessivo atteggiamento di accondiscendenza verso la Gran Bretagna
in tema coloniale.
Mai però Tarchiani pensò di rinnegare la scelta strategica a fianco degli Stati
Uniti, nella convinzione che, comunque, anche nei momenti più sfavorevoli per
l’Italia, il governo americano, sostenuto dall’opinione pubblica, si pose a fianco del
popolo italiano e lo aiutò a conseguire molti dei risultati desiderati.
21
Ivi, p. 340.
22
CAPITOLO PRIMO
LA SFIDA DELLA DIPLOMAZIA
1.1. CENNI BIOGRAFICI
Alberto Tarchiani (Roma, 1885 – 1964) non era un diplomatico di carriera.
Era innanzitutto un giornalista, ed in seconda istanza anche un politico «prestato alla
diplomazia»
22
.
A ventidue anni, nel 1907, si trasferì negli Stati Uniti dove lavorò per qualche
anno come corrispondente di periodici italiani da New York.
Fervente patriota ed interventista convinto durante la prima guerra mondiale,
rientrò in Italia nel 1918 per arruolarsi come volontario in fanteria.
Dal 1919 al 1925 fu redattore capo del “Corriere della Sera”, allora diretto da
Luigi Albertini, condividendone gli ideali liberali, in un momento in cui il giornale si
trovava a lavorare in una delicata fase della vita politica del Paese; e se ne dimise
quando il fascismo ne acquisì il completo controllo
23
. In quell’anno, il 1925,
Tarchiani decise di espatriare e scelse come meta d’esilio Parigi, dove si legò al
gruppo di antifascisti fuoriusciti raccolti intorno alla figura di Gaetano Salvemini
24
.
Figura di rilievo dell’antifascismo militante, il 1929 fu un anno cruciale per la
sua attività contro il regime: il 27 luglio Tarchiani fu, con Gioacchino Dolci, il
principale organizzatore della fuga dal confino di Lipari di Carlo Rosselli, Emilio
Lussu e Francesco Fausto Nitti
25
. Nell’agosto dello stesso anno, a Parigi, Rosselli,
22
TARCHIANI A., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di Washington. 1954,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, p. 5.
23
Ibidem; www.romacivica.net.
24
Aldo Garosci, nelle pagine dedicate alla fuga di Carlo Rosselli da Lipari, scrisse di lui: «Tarchiani
[…] era un “liberale”. Ma la parola […] è lungi dall’essere distintiva. Vi sono perciò nel
temperamento e nella storia di Tarchiani altri elementi che conviene ricercare per rendersi conto della
parte che egli ha esercitata nei movimenti antifascisti dal ’25 in poi. Giovane giornalista romano, di
famiglia toscana, divenne “liberale” non in Italia […] ma negli Stati Uniti; e divenne liberale
attraverso una violenta reazione al nazionalismo, del quale era giovanilmente e fanaticamente
convinto quando venne in America. […] Tarchiani fu un internazionalista convinto, persuaso che le
istituzioni liberali debbano essere estese a tutto il sistema mondiale o scomparire.» in GAROSCI A.,
Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973, pp. 142-143.
25
TARCHIANI A., Tormenti di un ambasciatore. L’anno conclusivo di Washington. 1954, op. cit., p.
6; www.archiviorosselli.it; www.romacivica.net.
23
Salvemini, Lussu e Tarchiani, assieme ad Alberto Cianca, Cipriano Facchinetti e
Raffaele Rossetti, fondarono il movimento “Giustizia e Libertà”
26
(GL), dal quale
Tarchiani, però si allontanerà nel 1934 per divergenze ideologiche con Rosselli
27
.
Tra la fine del 1929 e gli inizi del 1930, fu coinvolto, assieme a Rosselli e ad
altri appartenenti al gruppo GL, in un complotto ordito dall’agente provocatore
Ermanno Menapace e fu accusato, con gli altri, di aver tentato di organizzare un
attentato ai danni del ministro della Giustizia italiano, Alfredo Rocco.
Furono tutti arrestati e, emerso che le prove a carico erano completamente false,
furono, in breve tempo, scagionati e scarcerati; ma, in conseguenza della vicenda,
vennero “ufficialmente” espulsi dalla Francia, pur ottenendo, in realtà, permessi
provvisori che consentirono loro di rimanervi
28
.
Una delle attività più rilevanti, nell’ambito della propaganda antifascista
organizzata e finanziata da Tarchiani, assieme a Rosselli, è sicuramente il temerario
volo propagandistico su Milano di Giovanni Bassanesi, presidente della sezione
parigina della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU)
29
, che nel luglio del 1930
lanciò sul capoluogo lombardo 150 mila volantini di GL con l’invito a «Insorgere» e
«Risorgere». Ne seguì un processo, tenutosi a Lugano, per violazione dello spazio
26
Per un approfondimento su “Giustizia e Libertà” si rinvia a: AGA ROSSI E. (a cura di), Il
movimento repubblicano, Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione, Cappelli, Bologna, 1979; AA. VV.,
Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d’Italia, La Nuova Italia, Firenze, 1978;
GAROSCI A., Profilo dell’azione di Carlo Rosselli e “Giustizia e Libertà”, Roma, in «Quaderni del
Partito d’Azione», n. 9, 1944; SANTI F., E verrà un’altra Italia. Politica e cultura nei Quaderni di
Giustizia e Libertà, Franco Angeli, Milano.
27
All’inizio, il movimento di GL, oltre a porre con decisione la pregiudiziale repubblicana, sostenne
la necessità dell’abbandono della lotta legale e del passaggio all’agitazione rivoluzionaria e all’azione
armata; nell’estate del 1932, a causa della dura repressione che aveva colpito i militanti del
movimento in Italia, GL ripiegò su un programma – che Salvemini non esitò a definire classista e
socialista – che contemplava la creazione di uno Stato repubblicano e laico, fondato su larghe
autonomie locali; una riforma agraria (o «la terra a chi lavora») e una riforma industriale (controllo
bancario e controllo operaio). Tarchiani, invece, insieme a Lussu, era tra i più convinti sostenitori
della linea rivoluzionaria e continuò ad organizzare attentati contro Mussolini. Si veda in proposito:
BERTI F., Per amore della libertà, in «Rivista Anarchica», n. 268, anno XXX, dic. 2000-gen. 2001;
www.giustizia-e-liberta.com, www.liberalsocialisti.org.
28
www.archiviorosselli.it; www.romacivica.net.
29
La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo è un’associazione fondata a cavallo tra la fine dell’Ottocento
e gli inizi del Novecento, per iniziativa di Ernesto Nathan, indimenticato sindaco di Roma. Le leggi
fasciste vietarono in Italia le libere associazioni e la LIDU continuò la sua attività nella sede di Parigi,
dove si erano ritirati in esilio i maggiori tra i suoi dirigenti, tra i quali vanno ricordati Nenni, Saragat e
Facchinetti. Risorta in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, ha caratterizzato la sua azione
per la difesa dei diritti civili nel nostro paese e contribuito alla proclamazione della “Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo” del 1948. Azione coerente ed impegno particolare è stato sviluppato
per la nascita dell’Europa e notevoli contributi sono stati forniti per la definizione dei Diritti
Fondamentali del “cittadino europeo”. Si veda: www.liduonlus.org.
24
aereo svizzero, che si concluse con la piena assoluzione e la condanna del regime
fascista, dopo la pubblicazione, da parte della stampa internazionale, di resoconti che
misero sotto accusa il regime di Mussolini
30
.
Pur lasciando il gruppo di GL, Tarchiani non cessò mai la sua attività di
antifascista convinto e nel novembre del 1937 fondò, con Randolfo Pacciardi,
rientrato dalla Spagna dove aveva partecipato come volontario alla guerra civile, il
movimento di ispirazione repubblicana “La Jeune Italie”
31
.
Trasferitosi negli Stati Uniti nel 1940, vi fondò l’associazione antifascista
“Mazzini Society”, insieme a Gaetano Salvemini, Carlo Sforza, Alberto Cianca e
Max Ascoli
32
, che già da tempo avevano avviato il tentativo di stabilire contatti col
governo americano affinché sostenesse la loro azione antifascista, senza ottenere, in
realtà, grossi risultati.
Dopo lo sbarco degli Alleati in Italia nel 1943, il 30 giugno di quell’anno,
Tarchiani, Cianca, Aldo Garosci e Bruno Zevi, si imbarcarono per l’Europa sulla
nave “Queen Mary”, spogliata del suo arredo per trasportare 15 mila soldati ed il loro
armamento, esposti a possibili attacchi di sottomarini tedeschi, perché sforniti di una
scorta adeguata.
Giunti in Inghilterra, attivarono subito la radio clandestina di Giustizia e
Libertà, che trasmetteva per tutto l’arco della giornata con attacchi al regime ed alla
30
Dopo l’arresto di Bassanesi, Rosselli e Tarchiani si presentarono come coimputati, citando come
testimoni i grandi nomi dell’esilio antifascista, da Filippo Turati a Carlo Sforza. Il processo fu
clamoroso ed emersero dei resoconti incriminanti il regime fascista. Gli accusati furono pertanto
prosciolti. Per un approfondimento sul tema si veda: BUTTI G., GENASCI P., ROSSI G., L’aereo
della libertà. Il caso Bassanesi e il Ticino, Fondazione Pellegrini-Comevascini, 2002; NEBIOLO G.,
L’uomo che sfidò Mussolini dal cielo. Vita e morte di Giovanni Bassanesi, Rubbettino, Soveria
Mannelli, 2006.
31
www.romacivica.net.
32
Max Ascoli (Ferrara, 1898 – New York, 1978) è una voce originale del panorama culturale e
politico italiano del Novecento. Intellettuale ebreo, giurista, ordinario di Filosofia del Diritto
all’Università di Roma (finché lasciò l’Italia fascista nel 1932 per trasferirsi negli Stati Uniti),
politologo, scrittore, e militante antifascista, in particolare nella Mazzini Society (1940-43), attraverso
la quale offrì sostegno economico e morale ai fuoriusciti italiani. La sua figura è stata a lungo
sottovalutata. Per un approfondimento su Max Ascoli si veda: CALABI ZEBI T., La mia
autobiografia politica, in www.liberalsocialisti.org; TAIUTI A., Un antifascista dimenticato. Max
Ascoli fra socialismo e liberalismo, Polistampa, 2007; www.hirc.umn.edu (IHRC – Immigration
History Research Center, College of Liberal Arts, University of Minnesota – possiede un Fondo Max
Ascoli contenente corrispondenza, minute, pubblicazioni ed estratti di giornali sull’attività della
Mazzini Society ed i suoi militanti).
25