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Introduzione
Alberto Sordi: il volto, la voce, il corpo e l’anima del
secondo dopoguerra italiano…
Innanzitutto vorrei iniziare a introdurre questo mio
lavoro argomentando la scelta del titolo e le sue
implicazioni semantiche.
Perché il grande attore romano ha rappresentato in
modo così dirompente l’interiorità e l’esteriorità, i difetti e
i pregi di un intero popolo (o di gran parte di esso)
soprattutto in un determinato lasso di tempo? Perché è
unanimemente riconosciuto come uno dei più rilevanti
interpreti emersi dal secondo dopoguerra, ed emblema
della commedia all’italiana? Com’è riuscito a catalizzare
l’attenzione e a imporre i suoi personaggi al grande
pubblico? In definitiva, perché Sordi?
Queste le prime domande che mi hanno spinto ad
affrontare l’ingombrante figura dell’attore-autore Sordi. Ho
tentato di andare oltre i dati di superficie – ormai
largamente noti e su cui si è scritto e discusso oltremodo –
andando a sviscerare le interconnessioni psicologiche,
culturali, socio-politiche e l’enorme impatto del suo
italiano medio nel panorama cinematografico nazionale.
Un attore a suo modo controcorrente e anticonformista che,
se ha ereditato in parte gli insegnamenti del passato
(soprattutto il neorealismo), ricalcando anche le tendenze e
i cliché contemporanei, li ha poi sperimentati invece in
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chiave satirica e dissacrante, riadattandoli in funzione di un
suo progetto comico ben preciso sin dagli scoraggianti e
poco apprezzati primissimi esordi sul grande schermo.
Tornando alla quaestio iniziale sul titolo, credo che le
quattro componenti da me citate riguardo all’istrione Sordi:
il volto, la voce, il corpo, l’anima, siano gli elementi
essenziali di cui ha potuto disporre un interprete di questo
calibro, i quali, complementari tra loro come pezzi di un
mosaico, gli hanno consentito di affermarsi a grandi
livelli.
È stato il volto, così profondamente comune e allo
stesso tempo immediatamente riconoscibile con smorfie
conturbanti e mimica facciale tragicomiche; la voce,
esasperata da tic verbali e dai celebri sordismi conditi da
inflessioni romanesche e italianeggianti gradualmente
smorzati in virtù di un maggior realismo interpretativo.
Dopodiché un corpo, non particolarmente avvenente, al
contrario di molti attori hollywoodiani e nostrani, ma
eccezionale strumento comunicativo e d’identificazione
grazie a un physique du rôle in grado di favorire un
immedesimazione tanto radicata con il pubblico.
La caratteristica però a mio avviso di primaria
importanza e imprescindibile dalle altre è l’anima, concetto
astratto che fa da contraltare al corpo materiale, ma al
tempo stesso ne costituisce l’altra faccia della medaglia.
L’anima sordiana, in quanto specchio deformante in grado
di registrare e ri-portare sul grande schermo i grandi
mutamenti in fieri della realtà sociale italiana, grazie
all’influenza del suo cinema e alla sua inimitabile capacità
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di rappresentare costumi e malcostumi, speranze e
disillusioni, ciniche meschinità e imprevedibili gesti di
dignità personale dell’italiano medio.
Uno degli intenti del mio lavoro era di sfatare una
credenza abbastanza diffusa tra critici e pubblico che Sordi
abbia portato alla ribalta, nel corso della sua carriera,
soltanto personaggi negativi, e quindi incarnato tutti i
difetti atavici degli italiani con una certa ripetitività.
Ciò in realtà è vero almeno in parte poiché una tale
“etichettatura” non è solo riduttiva, ma è soprattutto
fuorviante.
Ho scelto, infatti, un’altra via, un diverso metodo per
affrontare l’argomento al di là di semplicistiche
schematizzazioni. Per far questo, era impossibile non
coinvolgere nella mia analisi anche contesti extra-testuali,
quegli ambienti di riferimento, quegli avvenimenti storici
imprescindibili da cui partire per una ricerca su vasta scala.
Un tentativo, dunque, di far luce non solo sulla
personalità eccentrica dell’attore Sordi, ma di coinvolgere
in un lavoro interdisciplinare, anche le fonti d’ispirazione e
quindi il clima dell’epoca per fornire, se possibile, nuovi
spunti di riflessione.
I tre capitoli che compongono questo elaborato,
rappresentano tre momenti fondamentali e irripetibili per
molteplici aspetti tanto nella realtà sociale, politica,
culturale quanto in quella cinematografica italiana, con
inevitabili interconnessioni.
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Ho selezionato – a fronte di una vastissima filmografia
composta da ben 146 interpretazioni – 28 film
profondamente caratterizzanti e significativi del periodo
storico preso in esame, ovvero dai primi anni Cinquanta
alla fine degli anni Sessanta. In altri termini, il dopoguerra,
la lenta ricostruzione, l’euforia e le speranze legate al boom
economico, la disillusione del post-boom, le grandi
rivoluzioni sociali e le contestazioni giovanili della
cosiddetta “cultura del ‘68”. Avvenimenti cruciali i quali
richiedevano un maggior approfondimento in quanto
simbioticamente legati alle sorti dell’attore romano.
Da tutto ciò emergono due dati incontrovertibili: i
mutamenti dell’italiano medio sordiano vanno di pari passo
con le trasformazioni del Paese. Infatti, a dispetto della
presunta immobilità stilistica e di genere, Sordi si delinea
invece come una sorta di camaleonte, sinonimo di
eclettismo e versatilità.
Inoltre se si accantona un certo pregiudizio snobistico,
si possono cogliere evidenti messaggi critici, resi ancora
più incisivi dall’ironia e dalla forza dirompente della
comicità.
E proprio l’evoluzione della commedia nostrana ha
coinciso con la maturazione artistica di Sordi. La
commedia all’italiana gli ha permesso, infatti, di rendere il
suo personaggio più autentico, più completo e sfumato, non
più il concentrato di negatività degli anni Cinquanta. È in
questa svolta decisiva, a mio avviso, che si può intravedere
una nuova chiave di lettura per decifrare l’“universo”
Sordi.
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1. GLI ANNI CINQUANTA:
L’EROE NEGATIVO E LE PRIME COMMEDIE DI
COSTUME
1.1. La ricostruzione e i miti d’Oltreoceano negli
anni del centrismo
A cinque anni dalla conclusione della seconda guerra
mondiale, un’Italia – divenuta nel frattempo Repubblica in
virtù dei risultati del referendum istituzionale del 2 giugno
1946, il primo a suffragio universale – duramente provata,
inizia a risorgere lentamente dalle rovine non solo tangibili
ma anche morali e ideologiche causate dal conflitto bellico.
Il processo di ricostruzione è agevolato dal Piano Marshall
del 1947, in cui gli Stati Uniti si erano impegnati in un
piano quadriennale di aiuti economico-finanziari per
l’Europa Occidentale. Questa influenza anche culturale
contribuisce nella prima metà degli anni Cinquanta a una
sempre e più diffusa “americanizzazione” di mode, usi e
costumi. Spopolano ad esempio musiche e sonorità made
in Usa come il rock’n roll successivamente incarnato dal
genio artistico di Elvis Presley; e nell’ immaginario
10
collettivo italiano, il mito di questa nazione così ricca e
potente, portatrice di principi democratici rappresenta un
modello da imitare. Come diretta conseguenza, soprattutto
al cinema c’è un full immersion di generi classici
hollywoodiani, si pensi ad Anna Magnani in Bellissima
(1951, di Luchino Visconti) sognante e rapita mentre
guarda Red River (Il fiume rosso, 1948) di Howard Hawks.
E mentre la ripresa economica inizia a spingere l’Italia
verso una crescente prosperità, gli spettatori diventano
invece sempre più insofferenti alla povertà e alla sofferenza
mostrate nei film neorealisti. Anche ciò spiega la fine di
questo movimento che invece tanto aveva aperto gli occhi
agli italiani sulle reali condizioni in cui versava il Paese
con capolavori come Ladri di biciclette (1948, di Vittorio
De Sica) o Roma città aperta (1945, di Roberto Rossellini).
Basti pensare che l’ultimo rappresentante del genere,
l’Umberto D. (1951) di De Sica, viene duramente
contestato dal Sottosegretario allo Spettacolo Giulio
Andreotti che su ‹‹Libertà›› rimprovera aspramente il
regista per il suo ‹‹pessimo servizio alla Patria, che è anche
la Patria di […] una legislazione sociale progressista››
1
.
La censura preventiva da parte della Democrazia
Cristiana – salita al potere dopo la schiacciante vittoria alle
elezioni politiche del 18 aprile 1948 – è incessante e forte
1
David Bordwell, Kristin Thompson, Storia del cinema e dei film. Dalle
origini a oggi, Editrice Il Castoro, Milano, 2007, p. 497; ed. or. Film
History: An Introduction, McGraw-Hill Inc, 1994.
11
degli appoggi esterni con gli Stati Uniti e interni con la
Chiesa. La strumentalizzazione degli aiuti americani in
funzione anticomunista e “antibolscevica” caratterizzò la
campagna elettorale per i suddetti ballottaggi e ciò provocò
una netta sconfitta delle sinistre e l’avvio del cosiddetto
centrismo: una formula di governo basata sull’alleanza
della Democrazia Cristiana con il Partito liberale, il Partito
socialdemocratico e il Partito repubblicano. Secondo Guido
Crainz ‹‹con le elezioni del 1948 […] si delinea nei suoi
tratti essenziali un panorama destinato a caratterizzare per
quasi cinquant’anni l’Italia repubblicana››
2
. Si tratteggiano
le due forze politiche contrapposte: a un polo la DC legata
indissolubilmente alla figura del suo fondatore Alcide De
Gasperi e dal lato opposto il PCI, il principale partito di
massa della sinistra plasmato dal suo leader Palmiro
Togliatti.
In un simile scenario il ripiegamento verso il cosiddetto
neorealismo rosa è quasi inevitabile, ma a conti fatti questa
situazione porrà le basi per la nascita della gloriosa
stagione della commedia all’italiana alla fine del decennio.
2
Guido Crainz, L’Italia repubblicana, Giunti, Firenze, 2000, p. 23.
12
1.2. Un esordio difficile
Dopo la lunga gavetta nell’avanspettacolo e nel teatro di
rivista e raggiunti i fasti radiofonici, irrompe sulla scena il
trentunenne Alberto Sordi dando vita al suo primo
personaggio cinematografico: un vero e proprio
concentrato di negatività allo stato puro. Infatti, l’esordio
dell’attore romano da assoluto protagonista (dopo una
ventina di ruoli di contorno) avviene grazie al successo
delle sue macchiette radiofoniche, tanto da indurlo a
portare sul grande schermo il compagnuccio della
parrocchietta in Mamma mia che impressione! (1951), la
cui regia porta la firma di Roberto Savarese. Ma in realtà il
film è “supervisionato” da De Sica che lo ha anche
prodotto insieme a Sordi e scritto con la collaborazione del
fidato Zavattini. Alberto è appunto il nome di questo
“giovane esploratore” della parrocchietta di Don Isidoro,
un ragazzotto infantile ai limiti all’inverosimile dai toni
petulanti e perbenisti tanto da risultare insopportabile a chi
gli sta intorno. Ha modi falsamente gentili e un’eccessiva e
sgradevole parlantina con cui assilla l’interlocutore di
turno, scatenandone le ire e rispondendo a sua volta
incredulo ‹‹Dai, dai continua imperterrito con questa sorta
di invituperi!››. In sostanza un vero disturbatore
all’ennesima potenza.
Non sorprende, quindi, che questo personaggio
fastidioso e troppo radiofonico non riscuota i favori del
pubblico e tanto meno della critica. Nonostante presenti
alcuni tratti principali del futuro italiano medio, è inserito
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all’interno di un film modesto e troppo parlato. La sua è
una comicità che precorre i tempi e gli spettatori italiani
non sono pronti ad accettarla.
Dopo l’insuccesso commerciale dell’opera, tuttavia
l’attore viene notato dall’amico Federico Fellini che
intravede in lui una miniera di potenzialità inespresse e un
talento grezzo su cui poter lavorare. Infatti, l’emergente
Fellini – dopo la co-regia con Lattuada di Luci del varietà
(1950) – lo dirige nei suoi due primi e autentici film, i quali
influenzati in parte degli strascichi neorealisti, anticipano
soprattutto le future commedie di costume.
Lo sceicco bianco (1952) nato da un soggetto di
Antonioni, fornisce a Sordi la grande occasione per
mostrare le sue qualità istrioniche. È infatti indimenticabile
nel ruolo di Fernando Rivoli, lo “sceicco bianco” eroe degli
illusori e ingannevoli fotoromanzi. E proprio la carta
stampata alimenta il suo mito di maschio virile, intrepido,
di nobili intenzioni tanto da affascinare migliaia di
ammiratrici. Tra queste c’è l’ingenua sposina Wanda
(Brunella Bovo) in viaggio di nozze nella capitale con il
marito Ivan (Leopoldo Trieste) la quale scappa dall’albergo
per poter incontrare il suo divo. Da antologia la sequenza
dell’incontro – che è anche una delle prime immagini-culto
del cinema di Fellini – in cui il narciso Rivoli appare su
una gigantesca altalena surreale issata nella pineta di
Fregene come se fosse sospesa in cielo, mentre indossa il
suo ammaliante turbante bianco canticchiando Ti porterò a
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New York. La ragazza, inizialmente soggiogata dai modi
gentili e incantatori dell’uomo, dovrà però fare ben presto i
conti con una realtà molto diversa dai suoi sogni. Infatti, a
seguito di una gita in barca in cui il suo eroe tenta di
conquistarla raccontandole una serie di patetiche fandonie
da seduttore incallito, ecco che la verità emerge in tutta la
sua grottesca evidenza. Ovvero che dietro l’apparenza da
principe azzurro si nasconde in realtà un ragazzotto
cialtrone, furbastro, vigliacco, egoista, fatuo e
piagnucoloso pronto a rinnegare tutto di fronte alla
minacciosa figura della moglie (prime e più consapevoli
caratteristiche da italiano medio).
Alla fine Wanda delusa e dopo aver tentato il suicidio,
torna dal suo reale compagno e pronuncia la disillusa
esclamazione: ‹‹Ivan, il mio sceicco bianco sei tu!››.
Ma nonostante sia un’opera di valore, anche questo
personaggio è in anticipo sui tempi per un pubblico
abituato a ridere sulla slapstick comedy così ricca di gag,
inseguimenti, cadute e caratterizzata da comici
immediatamente riconoscibili come Keaton, Chaplin,
Stanlio & Ollio e il nostro Totò. Come sostiene Enrico
Giacovelli, ‹‹ancora una volta gli spettatori non gradirono
questa miscela esplosiva di connotati negativi, non vollero
identificarsi in un film il cui tema di fondo è proprio la
pericolosa identificazione del pubblico medio con i divi del
15
cinema o del fotoromanzo››
3
. Fernando Rivoli per loro
rappresenta proprio una scomoda novità.
Non è un caso se Fellini per riavere Sordi nella pellicola
successiva è costretto dai produttori a togliere il suo nome
dai manifesti pubblicitari: infatti secondo loro l’attore
romano avrebbe allontanato il pubblico con la sola
presenza o con il semplice nome. Ma fortunatamente la
tenacia del regista viene premiata dal film che li lancia
entrambi definitivamente.
I vitelloni (1953) infatti, è incentrato attorno alla
malinconica vicenda di una comitiva di cinque trentenni
piccolo-borghesi all’interno di una semideserta Rimini
(città natale di Fellini). Ognuno di loro ha delle proprie
aspirazioni, una volontà di emergere dall’anonimato e dalla
pesantezza dell’opprimente provincia italiana del
dopoguerra. A trattenerli però è la loro indolenza e la loro
incapacità di assumersi delle responsabilità per tentar di
ritagliarsi un posto nella società. Sono dei “vitelloni”
appunto, nella duplice accezione di giovani nullafacenti –
che trascorrono le loro giornate oziando e fantasticando
sogni che non realizzeranno mai – e senza lavoro. Ecco che
all’interno della noiosa monotonia quotidiana intravedono
nella festa di Carnevale l’unico svago possibile. Così
emerge su tutti il personaggio grottesco e infantile di
3
Enrico Giacovelli, Un italiano a Roma. La vita, i successi, le passioni di
Alberto Sordi, Lindau, Torino, 2003, p. 34.
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Alberto (Sordi), che – mentre sono in corso i
festeggiamenti e balla travestito da donna con indosso una
gigantesca maschera – esprime con la sua mimica facciale
tutto quello che di tragicomico c’è in quella situazione.
Sarà lui stesso la mattina seguente, in piena crisi
esistenziale causata dalla sbornia, a capire l’inutilità di
quella mediocre esistenza e a dire sconsolato: ‹‹Non sei
nessuno tu…non siete nessuno tutti, tutti
quanti…tutti…Che vi siete messi in testa?›› all’amico
Moraldo (Franco Interlenghi). Ciò, però, si dimostra
soltanto il vaneggiamento di un ubriaco che non ha la reale
intenzione di cambiar vita. Emblematica in tal senso, la
sequenza memorabile della gita in macchina in cui lo
stesso Alberto prima fa l’italico gesto dell’ombrello ad
alcuni operai affaticati urlando: ‹‹Lavoratooori… lavoratori
della malta!››; poi, una volta che il mezzo si ferma per
mancanza di benzina, scappa vigliaccamente, inseguito
dagli uomini. L’unico che avrà il coraggio di andarsene da
Rimini per affrontare finalmente il mondo degli adulti, sarà
invece proprio Moraldo (alter-ego di Fellini).
Il pubblico, questa volta, non può che iniziare a
riconoscersi in questo personaggio sordiano arricchito dalla
grande interpretazione dell’attore. E seppur negativo, come
sottolinea ancora Giacovelli: ‹‹I suoi difetti cominciavano a
risultare attribuibili non solo e non tanto alla bizzarria di un
individuo, quanto alla natura umana, alla società, a precise
situazione storiche, geografiche e magari anche