II
Questa mentalità era propria di coloro i quali abbracciarono,
più o meno consapevolmente e più o meno profondamente, il
paradigma della modernizzazione, e il suo principale assunto
che vede lo sviluppo come un processo lineare in cui
l’Occidente rappresenta l’esempio da imitare. Questo sarà il
tema principale del secondo capitolo, che servirà anche ad
introdurre alcuni “strumenti del possibilismo”, le connessioni,
il ruolo degli squilibri nel corso dello sviluppo, le razionalità
occulte, la dissonanza cognitiva.
Il terzo capitolo è dedicato alle teorie che, nate dall’esperienza
nel Sud del pianeta, e pur non rifiutando, almeno inizialmente,
la manifestazione fondamentale della modernizzazione,
l’industrializzazione, criticano aspramente i modelli di
sviluppo allora correnti, in nome di differenze strutturali tra
economie sviluppate e sottosviluppate. Merito dell’approccio
della dipendenza è quello di aver aperto l’analisi dello sviluppo
ai sociologi, i quali, a differenza degli economisti ortodossi,
hanno gli strumenti metodologici per poter analizzare le
correlazioni tra politica ed economia.
III
Nel quarto capitolo, infine, tenteremo di illustrare le eterogenee
teorie degli ultimi anni, in cui, se si prescinde dall’interesse per
l’economia informale, che accoglie comunque contributi
diversissimi tra loro, non si individua, fortunatamente, un
paradigma dominante (i “disastri dello sviluppo” e l’enorme
aumento della povertà hanno condotto i “facitori di leggi” a più
miti consigli). Concluderemo, inoltre, l’analisi dello stile
cognitivo di Hirschman, tentando di illustrare come questo
faccia parte di una generale costruzione di una nuova mentalità
progressista che si sforza di evidenziare che un approccio
fortemente empirico, necessità più e più volte richiamata da H.,
sia necessario in tutte le scienze sociali e soprattutto nella
teoria dello sviluppo, un campo in cui l'applicazione di teorie
inadeguate (prevalentemente logico-deduttive) e non incentrate
sulla osservazione dell'oggetto di indagine ha conseguenze
spesso catastrofiche.
Tutto ciò, anche nella speranza di riuscire ad illustrare come
una diversa economia, che accoglie anche contributi di altre
scienze sociali, quindi più “complicata”, certamente, ma non
più guidata esclusivamente dall'asfittico paradigma dell'
interesse - ma cos'è poi un “interesse”? -possa tendere ad essere
IV
una “scienza morale e sociale”, per dirla con Hirschman, e non,
come spesso avviene, la giustificazione a posteriori dello
sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
1
CAP 1 DALLE PASSIONI ALL’INTERESSE
Premessa
C’è più di un motivo per iniziare questa trattazione su Albert
Otto Hirschman e le teorie dello sviluppo concentrandoci
principalmente sul saggio di storia delle idee “Le passioni e gli
interessi. Argomenti politici in favore del capitalismo prima del
suo trionfo”, che il nostro autore pubblicò nel ’77.
Innanzitutto, il saggio nasce dall’esigenza di indagare le
relazioni tra politica ed economia nel corso dello sviluppo;
queste “correlazioni così spesso perniciose”
1
, come vedremo,
costituiscono uno dei punti chiave nell’intera produzione
intellettuale del nostro autore; secondariamente, sarà utile a
fare luce sulla grande originalità di pensiero di Hirschman - la
cui metodologia è stata da Chenery definita più “psicologia
applicata che economics”
2
- “che cerca di orientarsi dove altri
non hanno pensato di guardare, che insiste nell’annotare e nel
1
A. O. Hirschman, Le passioni e gli interessi. Argomenti politici in favore del
capitalismo prima del suo trionfo, Feltrinelli, Milano, 1979, p.13
2
H. Chenery, The design of Development by J. Timbergen and The Strategy of
Economic Development by A. O. Hirschman, in “American Economic Review”,
dicembre 1959, pp.1063-1065
2
perseguire fenomenologie e camminamenti poco visibili da cui
[…] si possono trarre nuove inesplorate ottiche di visuale”
3
;
inoltre, indagare su “come poterono nell’età moderna
acquistare rispettabilità il commercio e la banca e le altre
attività dirette solo al guadagno, dopo che per secoli erano state
condannate o disprezzate come forma di cupidigia, amore del
lucro, e avidità”
4
servirà non solo ad illustrare la mentalità con
cui il moderno scienziato sociale occidentale, e l’economista
soprattutto, ha inizialmente approcciato il problema dello
sviluppo, ma anche per evidenziare il ruolo di quella che Karl
Polanyi ha definito la “tacita dimensione”
5
, ossia quei concetti
e quelle idee considerate talmente ovvie e condivisibili da tutti
che mai si è pensato di articolarle a fondo o sistematicamente.
Ma andiamo per ordine.
3
L. Meldolesi, Alla scoperta del possibile. Il mondo sorprendente di Albert O.
Hirschman, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 291
4
A. O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, cit., p.15
5
K. Polany, The Great transformation, Beacon Press, Boston, 1944.
3
Le scienze sociali nascono con la modernità
Nonostante si possano individuare dei tentativi di formulare un
sistematico pensiero sociale già “nelle città-stato greche nel
500 a. C.”
6
, possiamo far iniziare la nostra storia nel
Rinascimento; prima però, un piccolo salto nel Medioevo.
Sappiamo che un pensiero scientifico sistematico si sviluppa
solo “quando se ne fa carico una comunità”
7
; l’università
medievale che, com’è noto, era costituita prevalentemente da
istituti religiosi, ha avuto il grande merito di aver costituito
quella che Collins definisce la “cittadella”
8
all’interno della
quale si andava concentrando la vita intellettuale. Inizialmente,
tutto il sapere era subordinato alla teologia, ed era ordinario
argomentare le proprie asserzioni richiamandosi ai dogmi e alla
tradizione. Lo stesso sviluppo delle università provocò, nel
corso del Trecento e del Quattrocento, una “inflazione delle
credenziali educative”
9
: il numero degli intellettuali aumentava
e, di conseguenza, aumentava la concorrenza tra loro; “come
accade di solito nei periodi di competizione, gli intellettuali
6
R. Collins, Quattro tradizioni sociologiche. Manuale introduttivo di storia
della sociologia, Zanichelli, Bologna, 1996, p.3
7
ibidem, p. 2.
8
ibidem.
9
ibidem, p. 7.
4
cominciarono a distinguersi dai loro rivali dando vita a nuove
idee”
10
, e visto che molte di queste idee in qualche modo erano
in contrasto con i dogmi religiosi, i pensatori trovavano sempre
più spesso rifugio presso principi e mercanti, dando così inizio
a una forma di cultura laica che sarà tipica del Risorgimento e
la cui istanza fondamentale, “l’indipendenza degli intellettuali
secolari dalla Chiesa”
11
, verrà lasciata in eredità all’occidente.
L’uomo quale realmente è
Hirschman individua in molti scritti rinascimentali e
successivi, quella che definisce “l’assillante insistenza a
guardare l’uomo quale realmente è”
12
. Questa esigenza nasceva
fondamentalmente dall’incapacità della morale filosofica e dei
precetti religiosi di “porre un freno alle distruttive passioni
degli uomini”
13
.
Un modo per contenere le nefaste conseguenze dell’esercizio di
passioni quali l’avarizia, la cupidigia o la brama di potere
venne individuato nella loro repressione, ma non è questa la
10
ibidem, p. 6.
11
R. Collins, ibidem p.7.
12
A. O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, cit., p. 19.
13
ibidem., p. 19.
5
direzione che presenta i contributi più fertili per il nostro
scopo. La distanza tra i “vecchi” moralisti e gli intellettuali che
indagavano sulla “vera” natura dell’uomo si può cogliere in un
passo in cui Helvétius, quasi con irriverenza, rimprovera ai
moralisti la loro incapacità di “armare l’una contro l’altra le
nostre passioni per utilmente servirsene allo scopo di far
adottare le loro opinioni”
14
. L’idea che fosse interesse degli
uomini “imbrigliare” le passioni, piuttosto che reprimerle, e
contrastarle con altre passioni ritenute più “innocue”, attraversò
tutta l’Europa che si avviava verso la modernità
15
, da Vico a
Pascal, a Bacone, Spinoza, Hume e altri, fino a giungere ad
Adam Smith, che ne fece l’elaborazione più convincente, anche
se, come vedremo, ne distrusse i fondamenti.
L’interesse
Introdotto nel Medioevo come eufemismo tendente a “rendere
rispettabile […] il peccato dell’usura”
16
, nel corso del
Cinquecento il significato del termine interesse “non era in
14
Helvétius, De l’esprit (Dello spirito), Paris, 1758, pp.159-160
15
A. O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, cit.
16
A. O. Hirschman, Il concetto di interesse: dall’eufemismo alla tautologia, in
Come complicare l’economia, Il Mulino, Bologna, 1988, p. 439.
6
alcun modo limitato agli aspetti materiali del benessere dei
singoli”
17
; sotto l’influenza di Machiavelli, il termine andò
sempre più restringendo il suo significato, legandosi ora non
solo alle necessità di governo del principe ma anche alle
contrapposte esigenze dei vari gruppi. Inoltre, si andava già
delineando quel legame con il calcolo razionale - la capacità
dell’individuo di “valutare in anticipo costi, benefici,
soddisfazioni e così via”
18
– che sarebbe stato centrale nello
sviluppo della dottrina economica. La transizione verso un
significato prevalentemente economico del termine interesse
avviene tra Seicento e Settecento; a questo proposito, è
significativo un passo di La Rochefoucauld: ”Con la parola
interesse io non sempre intendo un interesse materiale, ma più
frequentemente un interesse per l’onore o la gloria”
19
: se
l’autore ritiene necessaria questa puntualizzazione,
evidentemente il termine andava già assumendo una
connotazione esclusivamente economica. Stava avvenendo
quella che Hirschman definisce una “deriva semantica”
20
del
termine.
17
A. O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, cit., p. 30.
18
A. O. Hirschman, Il concetto di interesse: dall’eufemismo alla tautologia, cit.,
p. 440.
19
La Rochefoucauld, Oeuvres (Opere), Hachette, Paris, 1923, vol. I, p. 30.
20
A. O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, cit., p. 36.
7
È piuttosto interessante illustrare quelli che il nostro autore
individua come i motivi di questa deriva, con due esempi
riguardanti la Francia e l’Inghilterra. Per quanto riguarda la
Francia secentesca, data la relativa stabilità del potere, si può
pensare che”gli interessi economici costituissero l’unica parte
delle complessive aspirazioni dell’uomo comune nella quale
egli poteva immaginare importanti variazioni di andamento”
21
.
Nell’Inghilterra del tardo Seicento, invece, “col ritorno della
stabilità politica e con la garanzia di una certa misura di
tolleranza religiosa […] gli interessi dei gruppi divennero
sempre più frequentemente oggetto di dibattiti in termini di
aspirazione economica”
22
; inoltre, il concetto di interesse fu
ben accolto perché in qualche modo veniva collocato a metà tra
passione e ragione, restando – apparentemente – immune sia
dalla distruttività della prima sia dalla ineffabilità della
seconda.
Per quanto criticabile questa interpretazione dell’interesse (e in
effetti già agli inizi del Settecento si assiste ad una
riabilitazione delle passioni, affossate di nuovo nel corso
dell’Illuminismo e nuovamente riabilitate dal Romanticismo),
21
A. O. Hirschman, ibidem, p.35.
22
A. O. Hirschman, ibidem, p.34.
8
la sua importanza sta nel fatto che attorno a questo concetto si
modellò la dottrina economica; per dirla con Kuhn, l’interesse
si impose come nuovo paradigma, ma restava un concetto che
si prestava – e si presta tuttora - ad essere interpretato in troppi
modi diversi, fino a cadere (e scadere) nella tautologia
23
.
Se le passioni sono distruttive, “l’interesse non mentirà”
24
;
perseguire il proprio interesse implica costanza e prevedibilità.
Ma per costruire un mondo governato dall’interesse, bisognava
liberarsi del disprezzo di cui le attività economiche e l’amore
per il lucro erano stati oggetto nei secoli precedenti. E allora
fiorirono gli elogi dell’amore per il guadagno (che,
ricordiamolo, è una passione - la cupidigia - “travestita”): il
commercio divenne “dolce”
25
, innocuo, innocente; esso
“addolcisce e ingentilisce i costumi degli uomini”
26
; in altre
parole, al capitalismo che si andava affermando veniva
riconosciuta la capacità di “attivare certe positive tendenze
dell’uomo, a scapito di altre negative”
27
.
23
A. O. Hirschman, Il concetto di interesse: dall’eufemismo alla tautologia, cit.,
p. 439.
24
proverbio inglese secentesco
25
??Montesquieu, Lo spirito delle leggi
26
W. Robertson, View of the progress of society in Europe, University of
Chicago press, 1972.
27
A. O. Hirschman, Le passioni e gli interessi, cit., p. 54.
9
La questione vide impegnati uomini del calibro di
Montesquieu, James Steuart, Hume. Poiché la suddivisione
delle scienze sociali in varie discipline non era ancora
avvenuta, i grandi pensatori illuministi erano liberi di spaziare
nei diversi campi del sapere
28
. Il tema delle passioni
controbilancianti venne quindi applicato alla politica e alle
questioni internazionali; si disse che l’interesse stesso
suggeriva ai sovrani di frenare le loro passioni, in nome di un
commercio internazionale che non solo aveva bisogno di pace,
ma che l’avrebbe anche favorita. Com’è noto, i Fisiocratici
elaborarono questa idea fino ad affermare che l’economia,
seguendo la legge dell’interesse, è un meccanismo che
funziona da sé, indipendentemente dalla volontà degli uomini.
Sembra superfluo affermare che tanto interesse nei confronti
del commercio e dell’industria, attività ancora disprezzate dalla
maggior parte dell’aristocrazia, fu dovuto alla sempre maggiore
importanza che andavano assumendo gli “uomini di medio
rango”
29
, ceti medi e mercanti. La personalità di Adam Smith
fece tabula rasa di questo ricco dibattito.
28
“Avvenne per la prima volta che gli studiosi tentarono di dare delle
spiegazioni generali del mondo sociale”. R. Collins, Quattro tradizioni
sociologiche, cit., p. 11.
29
G. Giarrizzo, David Hume politico e storico, Einaudi, Torino, 1962.