Tra questi, alcuni hanno ascoltato il severo avvertimento lanciato da Camus, ferito
dalla polemica suscitata dall’ Uomo in rivolta (1951):”Je ne suis pas et je n’ai jamais
été existentialiste.”
Come dire di non essere mai stato un discepolo di Sartre. Qualcuno, come il Todd, lo
ha anche preso in parola.
Camus, Sartre ( cioè, nel panorama letterario francese, le voci altosonanti dei
vent’anni centrali del secolo, quelli più duri e drammatici) : due persone, due pensieri.
Lasciando stare la sterile battaglia che vuole a tutti i costi trovare il più bravo tra i due
( e che entrambi, non si sono risparmiati dal combatterla), ci sentiamo di dire che la
scomparsa prematura di Camus ha quantomeno contribuito a che di lui si costituisse
un ricordo e un’immagine mitica; esaltato o rifiutato, troppo poco
letto,ascoltato...pensato.
Il Mito di Sisifo (1942) e l’Uomo in rivolta (1951) hanno tradotto bene in idee
quello che, in altri luoghi e con altro tipo di linguaggio, Albert Camus ha donato al suo
pubblico : un’estremo e, a volte, disperato tentativo di mostrare la co-appartenenza
reciproca di due facce ritenute spesso radicalmente eterogenee l’una all’altra : arte e
esistenza, letteratura e stile di vita.
E’ questo probabilmente che Camus intendeva per “pensiero meridiano” e che la
critica di Francia avrebbe trascurato.
Basta riprendere in mano Sisifo per accorgersi che l’autonomia e l’originalità di vita e
di pensiero ch’egli reclamava con forza nella querelle con Sartre erano già presenti
nella sua giovinezza: ”Mi prendo la libertà di chiamare qui suicidio filosofico
l’atteggiamento esistenzialista.”
In altra parte (La creazione assurda) di questo stesso libro si vedono
contemporaneamente già delineate le linee fondamentali dei capitoli che chiuderanno l’
Uomo in rivolta : ”Oggi, che il pensiero non aspira più all’universale...sappiamo che
il sistema, quando è valido, non si separa dal proprio autore. L’ ETICA stessa, sotto
uno dei suoi aspetti, non’è che una lunga e rigorosa confidenza. Il pensiero astratto
trova finalmente l’appoggio della carne. E parimente, i romantici giuochi del corpo e
delle passioni si impongono un po’ più d’ordine,secondo le esigenze di una visione del
mondo. Non si raccontano più STORIE, ma si crea il proprio universo.”
E ancora, più acceso: “Pensare è innanzi tutto voler creare un mondo...il filosofo,
anche se Kant, è creatore.”
In un’orizzonte conoscitivo in cui le secolari forme statiche ( soggetto-oggetto) e il
linguaggio sistematico che a esse si riferiva erano già state dichiarate morte e sepolte
dal “secolo della razionalità della storia”, Camus, considerando ugualmente conclusa
una tradizione millenaria di cultura occidentale ( o meglio esaurita la visione del mondo
che si è tramandata con il nome di -filosofia-), va inserito a pieno titolo tra quegli
uomini e quelle opere disseminati nella storia che hanno compreso il valore ontologico
e gnoseologico, originario e imprescindibile, dell’esperienza artistica.
Nella sua opera, sentiamo vivere Eraclito e gli autori della tragedia classica Greca, un
certo neo-platonismo di matrice ellenica(il processo creativo delle ipostasi di Plotino),
e la rivolta pre-contemporanea di alcuni poeti-pensatori, tra i quali Holderlin e
Nietzsche,che rifiutarono la sur-determinazione della vita concepita dai primi
“razionalisti storici” della nascente Germania ottocentesca (la cui svolta s’impose
rapidamente al resto d’Europa), per non dire dell’importanza dell’eredità del grande
romanzo dell’ottocento e contemporaneo.
Nell’universo di Camus, come si è accennato, l’arte non’è lussuosa descrizione di
ambienti o “situations”: fare arte è innanzitutto un’emergenza metafisica.
In un mondo divenuto oscuro e straniero alla filosofia, l’azione rivoltosa e tragica del
creatore diviene la sola strada gnoseologica possibile.
Essa è il solo legame tra individuo e mondo, ma tale legame è tensione-movimento-
scontro : scontro tra l’individuo portatore di valori potenziali e il mondo portatore di
infiniti valori. Teatro di essa è quella stessa tensione scenografica drammatica che
vincola Sisifo al suo macigno.
Ecco rivelarsi tutta la tragica mediterraneità del “pensiero solare” di Camus : il suo
sole non’è affatto dell’avvenire; esso è piuttosto luce del meriggio, quella stessa cara a
Nietsche e a Valery.
Una luce che è attimo, istante, premio offerto -al qui e all’ora- dal tempo eterno del
mondo -contraddizione vivente- (Sofocle avrebbe chiamato questo processo: paqei
maqos; anzi lo avrebbe illustrato, cioè ne avrebbe fatto una tragedia).
Questo presente diviene l’unico tempo possibile della conoscenza e della vita;
un’eterno presente è ciò che si augura l’uomo in rivolta di Camus (essendo la vera
essenza dell’avvenire nient’altro che la morte).
Perennemente inquieto, costui non ha altra libertà che dichiarare guerra all’era di
Kronos : un guerriero del tempo è l’uomo creatore di Camus; lanciato nella e contro
la metamorfosi attesta il valore ontologico della relazione che ad essa lo lega.
Se di lui bisogna dare un’immagine, ci piacerebbe quella stanca ma insonne della
sentinella del palazzo reale di Agamennone, offerta dalla tragedia di Eschilo.
Ecco dunque apparire nel farsi del nuovo orizzonte, la sagoma di un uomo nuovo, di
un nuovo stile di vita, che fa di Sisifo il prototipo dell’uomo in rivolta divenuto ora
“uomo solare”, Prometeo ladro per gli uomini e per essi-con essi incatenato al
mondo.
Ecco il giovane Sisifo-Camus sposato al suo masso, e quell’istante furioso e anarchico
di gioia amorosa in cima alla rupe : ”ogni granello di quella pietra,ogni bagliore
minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo.”
Ecco l’uomo in rivolta, spersonalizzato finalmente nel NOI SIAMO (non solo dentro,
ma anche davanti alla storia e agli dei), dichiarare al mondo totalitario ri-divinizzato
dagli adepti della storia, la propria fede carnale,semplice e terrena : ”Nella luce, il
mondo resta il nostro primo e unico amore.”
Se anche il divino esistesse, avrebbe gli occhi squarciati,
come quelli di Edipo.
Un dio che alla fine non potrebbe avere altro nome che
-mondo-, e la cui unica legge sarebbe -creare-.
Sviscerare l’oscuro movimento del gioco,nondimeno vitale, della creazione; lasciare
pulsare nella loro lacerazione le cosiddette e tanto temute “parti oscure” dell’anima :
”Conosco il mio disordine, la violenza di certi istinti, l’abbandono senza grazia in cui
posso gettarmi. Per essere edificata l’opera d’arte deve servirsi prima di tutto di
queste forze dell’anima.”
Una nuova dolorosa equazione sembra affermare Camus : esistenza finita-infinita
creazione .
“Se c’è un’anima, è un’errore credere che ci sia stata data già creata. Si crea qui, nel
corso della vita. E vivere non’è altro che questo parto lungo e faticoso.
Quando l’anima è pronta, creata da noi e dal dolore, ecco la morte.” (1950)
Scegliere il mondo non significa consegnarsi passivamente a -delle idee-, e neppure a
un sistema, sia esso linguistico o sociale : “Dopo l’uomo in rivolta. Il rifiuto aggressivo,
ostinato del sistema. L’aforisma ormai.” (1951)
E se il “sistema” era sinonimo di soffocamento, di partiti e schieramenti, di dogmi
critici e politici, di chiusura e arrocco, in due parole di -guerra fredda-; tanto più
ammirevole ci pare la modestia e la saggezza di Albert Camus, che nel 1951, già da
tempo scrittore di successo,
scriveva :”E’ solo rinviando le conclusioni, anche quando gli sembrino evidenti, che un
pensatore progredisce.”
Un poeta francese ,che si sentiva figlio dello stesso Mediterraneo, scrisse nei primi
anni del secolo un “Dialogo dell’albero”: Titiro e Lucrezio si ritrovano sotto un albero,
s’interrogano sull’amore. L’amore come l’albero,per crescere, per elevarsi, deve
affondare sempre più le radici nella terra fredda, ignota...insondata.
Ecco più chiara ancora, se possibile, l’ironia di Camus
per quel “sistema” sociale e politico e per quei critici francesi, che dell’albero non
erano stati capaci di raccogliere che le foglioline più in vista, tralasciando quell’impatto
duro ma vitale tra radici e terra, che solo permetteva al pensiero di restare veramente
-pensiero-...movimento...tensione , e “alle idee” di non arrestarne la crescita.
Capitolo 1
Avvento e tematizzazione dell’epoca tragica nel primo ciclo
dell’opera di Camus : l’assurdo come spazio cesurante la relazione
uomo-mondo.
Presentazione
E’ Roland Barthes, nel 1954, a scrivere per primo, in maniera esplicita, che l’Etranger è
una tragedia : “C’est d’ailleurs cette ambiguité entre le Soleil-Chaleur et le Soleil-Lucidité, qui
fait de l’Etranger une tragédie”1; cosa che, ai suoi occhi rendeva “le roman...ainsi fondé non
seulement en philosophie, mais aussi en littérature: dix ans après sa parution, quelque chose
dans ce livre continue à nous déchirer ce qui est bien, le double pouvoir de tout beauté.”2
(sottolineatura nostra). Bartfeld d’altro canto, rintraccia il fenomeno tragico (in base a delle
considerazioni dello stesso Barthes sullo strano piacere che provocherebbe la lettura tragica :
“...je sais bien qu’Oedipe sera démasqué,...mais tout de meme”3) come essenzialmente legato al
doppio paradigma costitutivo (“savoir ? ne pas savoir ?) della tragedia; il quale permette a
Barthes di definire perverso il piacere (dato dall’unione di due sentimenti a prima vista
incompatibili, terrore e pietà, costituenti la catarsi) provato di fronte alla rappresentazione
mimetica di vicende marcate da esiti catastrofici. Pur prescindendo in questa analisi dalle
fondamentali considerazioni freudiane sull’argomento, per introdurre questa prima parte del
1
R. Barthes, L’Etranger roman solaire, in “Club”- bulletin du meilleur livre -, avril 1954, p. 5.
2
ibid.
3
Le plaisir du texte, Paris, Seuil, 1973, p. 76.
nostro lavoro, abbiamo ritenuto necessario fare chiarezza sull’accezione della sopracitata
scrittura mitica di Camus, e in relazione a ciò, mostrare che nell’opera camusiana, il tragico e il
Mito, sulle orme del primo lavoro di Nietzsche, sono co-appartenenti.
Riprendendo le intuizioni di Barthes di cui sopra, vogliamo analizzare la tecnica
camusiana di scrittura partendo da una sua enucleazione come scrittura mitica : intendiamo con
ciò, quella tecnica di composizione narrativa in cui si prescinde da un andamento verticale
dialettico (finalizzata al sapere), tipico di un procedere filosofico classico, optando invece per un
metodo onto-gnoseologico - chiamato da Bilen dialectique créatrice - che non sia alienato
apriori dal piano dell’apparenza (filosoficamente identificato sovente come piano del non-
sapere), tradizionalmente svalutato ed assegnato all’arte come mero attributo ; come scrive già il
laureando Camus nel suo “Diplome d’Etudes supérieures” (lavoro vertente sull’analisi dei
rapporti tra la filosofia dell’Ellenismo e il pensiero di Agostino) : “Chez Platon les mythes sur la
destinée de l’ame semblent surajoutés et juxtaposés aux explications proprement rationnelles.
Chez Plotin, les deux procédés font corps et ne sauraient s’exclure puisqu’ils recouvrent au
fond la meme réalité.”4
Senza volerlo esplicitamente, il giovane studente di filosofia Camus, toccava l’antica
diatriba tra Arte e Filosofia, radicalizzata ad Atene da Platone, e sfociata nella sua celebre
condanna dell’arte e degli artisti, in quanto imitatori di cattiva specie. Ma questo attegiamento
di Camus, se è pure presente fin dalle sue prime pubblicazioni non può considerarsi univoco,
esente da ripensamenti e\o contraddizioni ; infatti, Platone prima, Hegel poi, saranno oggetto di
una continua e tortuosa analisi, ricorrente in tutta la sua opera. Ad essi, inquadrati da Camus
come filosofi politici (termine da considerare nella sua accezione risalente alla grecità classica,
cioè nella\della polis) verrà spesso opposto Nietzsche, benché anch’esso non venga celebrato
(si veda il caso dell’Homme Revolté) ma anzi, operando una scelta dettata parzialmente
dall’emergenza politica del tempo (l’inizio della guerra fredda), venga formalmente espulso in
quanto nocivo per la comunità (a causa della sua ambiguità). Crediamo innanzitutto, che per
l’analisi e il rintracciamento dell’elemento tragico nell’opera di Camus, possa valere una
precisazione di P.Szondi a proposito della presenza di tale elemento nelle opere dei grandi
pensatori tedeschi dell’idealismo : “Schelling, Hegel, Holderlin...non avevano come intenzione
precipua di definire il tragico, ma si sono imbattuti, all’interno della loro filosofia, in un
fenomeno che hanno definito come il tragico : la concrezione assunta dal tragico nel loro
pensiero”5. Il tragico in quanto concrezione particolare desunta dalle opere stesse, dà la misura
(incostante e contradditoria, è bene ricordarlo) ad un tempo allo stesso fenomeno tragico
presente nell’opera camusiana, ad un altro, pur nella sua ambigua fenomenicità scientifica, è atto
a rendere meno invisibili gli elementi essenziali della riflessione di Camus sulla filosofia ;
contribuendo così a “territorializzare” la disciplina attorno al topos della polis, e i suoi maestri
come i legittimi cittadini di essa (sia quelli considerati a tutti gli effetti dentro -quali Platone e
Hegel-, sia quelli inversamente ritenuti esterni -come Nietzsche). In questo senso Camus stesso,
ha ricoperto entrambi i ruoli : cittadino e nomade, legislatore e fuori-legge.
Nell’affrontare la figura mitica offerta da Meursault nell’Etranger, partiremo
dall’interpretazione fatta da alcuni critici camusiani che hanno creduto di riscontrare in
Nietzsche e Holderlin decisivi artefici dell’elaborazione mitica di Camus; valuteremo l’opera in
base ai canoni classici del tragico, quelli aristotelici, alla fine usati ancora dagli idealisti tedeschi
per analizzare le tragedie, classiche e moderne. In questo cammino, mostreremo come l’Assurdo
di Camus, similmente al caso di Holderlin6, è legato ad una logica speculativa (usare il
meccanismo del tragico per trascendere dal suo campo) ed allo stesso tempo ne trascenda,
cercando di individuare nell’Assurdo un’altra logica tecnica ma anche esistenziale. Vedendo in
Meursault una tipica vittima tragica ma anche una figura assurda, noteremo come il protagonista
dell’Etranger sia ancora una delle maschere di Dioniso, ma anche, il suo Mito stesso che, nella
4
Camus, Essais, cit., p. 1290.
5
Saggio sul tragico, tr. It. a cura di G. Garelli, Torino, Einaudi, 1996.
P. Szondi (Budapest 1929- Berlino 1971) ha insegnato Letterature comparate presso la Libera Università di
Berlino. Tra le sue opere, Einaudi ha pubblicato Teoria del dramma moderno (1850-1950), Poetica
dell’idealismo tedesco e La poetica di Hegel e Schelling. L’opera da cui citiamo (la seconda da lui data alle
stampe), è considerata come l’integrazione della Teoria del dramma moderno.
6
Per quanto riguarda i lavori riguardanti il tragico del poeta tedesco, F. Holderlin (1770-1843), ci riferiamo al
prezioso accorpamento di essi eseguito da R. Bodei : Friedrich Holderlin, Sul Tragico, Feltrinelli, Milano,
1980. Grazie ad esso, è possibile seguire in lingua italiana la genealogia e maturazione degli interessi del poeta
vertenti le meccaniche della tragedia classica, sofoclea in particolare.
veste del Sisifo di Camus, non riesce quasi più ad agire e patire fuoriuscendone catarticamente,
e ne ripete incessantemente e consapevolmente il supplizio. L’accostamento Meursault-
Edipo\Empedocle (il personaggio dell’omonimo tentativo tragico di Holderlin sarà dunque il
fulcro della prima parte del romanzo camusiano, mentre la seconda verterà su di un’altro tipo di
connubio, quello Meursault\Sisifo (che forse è Tiresia). All’interno, caso particolare, sarà
l’episodio della spiaggia, in cui in Meursault si noterà il trapassare dell’uno all’altro, del
personaggio “naturale” dell’antefatto a quello orientato alla lucidità coscienziale della seconda.
La parte della spiaggia allora, non’è direttamente riferibile a nessuna delle due figure di cui sopra
benché le fondi entrambe : la spiaggia è cesura nel senso di avvenimento originario, in cui
l’identità soggettiva si rivela come mero luogo post-evenemenziale svelata da un luogo più
fondativo. La sola figura mitica a disposizione per questo scontro, è quella di un uomo dell’
“entre-deux”, che Camus identifica genericamente ma appropriatamente come uomo creatore. E’
significativo notare che anche questo modello, il personaggio-Meursault, non sia una mera
novità nella tradizione culturale dell’Occidente ma che sia sempre stato presente in qualche
modo ; quest’uomo romanzesco, così puramente vicino alla temporalità dell’evento originario7
(che ha poi la propria maschera: il poeta Orfeo) è forse un altro travestimento del dio Dioniso,
fondo insondabilmente nullificante della jusis, nucleo visibilmente invisibile del tragico
dell’Esser-ci.
7
Con i termini di Carlo Sini, l’evento originario, tragicamente la cesura , è la fessura : “Fessura ed evento : la
fessura è ciò che tiene in serbo la dualità dello stesso. L’evento è l’accadere della relazione (segnica)
distanziante-unificante. Possiamo allora dire che il simbolo è la fessura che ac-cade, che eviene” ; I segni
dell’anima , Roma-Bari, Laterza, 1989, p. 181.
1A) Il problema del tragico in Camus : una scrittura mitica.
Nel capitolo del Mythe dedicato alla “création absurde”, Camus traccia con un lungo
inciso le linee di quella che potremmo chiamare, seguendo Bartfeld8, un écriture mythique :
“Mais justement le choix qu’ils (si sta riferendo ai grandi romanzieri contemporanei) ont fait
d’écrire en images plutot qu’en raisonnements est révélateur d’une certaine pensée qui leur est
commune, persuadée de l’inutilité de tout principe d’explication et convaincue du message
enseignant de l’apparence sensible. Ils considèrent l’oeuvre à la fois comme une fin et un
commencement. Elle est l’aboutissement d’une philosophie souvent inexprimée, son illustration
et son couronnement. Mais elle n’est complète que par les sous-entendus de cette philosophie.
Elle légitime enfin cette variante d’un thème ancien qu’un peu de pensée éloigne de la vie, mais
que beaucoup y ramène. Incapable de sublimer le réel, la pensée s’arrete à le mimer. Le roman
dont il est question est l’instrument de cette conaissence à la fois relative et inépuisable”9.
Bartfeld, a proposito della caratterizzazione di questa “philosophie souvent inexprimée”
nell’opera camusiana, legata a quel sapere perverso evinto dalla fabula tragica (un sapere
ripetitivo, legato, come ha scritto Barthes, al piacere ambiguo di percorrere quand meme un
cammino di cui conosco in anticipo il termine), ci dice nella parte dell’ Effet tragique dedicata ai
rapporti tra il tragico e il mito, che essa è inscindibilmente legata ad un “plan mythique”, a delle
“structures mythiques” o “structures figuratives” che possono anche assumere il nome di
“archetypes”.
Si tratterebbe di un sapere che non apporta sinteticamente alcuna novità, ma che, al
contrario, ricorda in forma monotona e ripetitiva, l’unico valore conoscitivo a disposizione
dell’uomo occidentale : l’eterna ripetizione del paradosso della sua condizione onto-
8
Fernande Bartfeld, critica camusiana, è autrice di numerosi saggi sul tragico nell’opera di Camus.
Fondamentale, per il nostro lavoro, è il recente studio dell’autrice sull’effetto tragico nelle opere letterarie
camusiane, intitolato significativamente :L’éffet tragique : essai sur le tragique dans l’oeuvre de Camus,
Champion-Slatkine, Paris -Geneve, 1988.
gnoseologica : assetato di sapere, condannato al non-sapere. E’ in questo senso allora, che si
può parlare di un “sapere del non sapere” ; di un sapere, con il linguaggio di Camus,
“enseignant de l’apparence sensible”; e ancora, con una terminologia dal sapore
classicheggiante, di “sapere mimetico” del reale.
Oppure, più fondamentalmente, di sapere mitico. Ovvero di quel sapere inalienabile dalla
sua forma espressiva, un sapere dato assolutamente nella sua narrazione (nell’atto stesso del
suo sorgere), come scrive Bilen : “L’identité (du recit)....est interne....C’est dire que, dans le
mythe, le signe édifiant et le contenu édificateur se rejoignent : l’image est le contenu du
concept, elle n’est pas représentative du concept mais ce concept meme : le signifiant s’identifie
au signifié.” E, concludendo : “C’est dans ce sens que, signifiant par lui-meme, le mythe
s’identifie au style qui le porte dès que ce style, au lieu de n’etre que moyen rhétorique, est
trame d’une action, image d’une existence, qui se justifie par elle-meme et par elle seule.”10
Questione fondamentale, ancora una volta, è il mimetismo : vivere e pensare, per Bilen,
sembrano essere dei meri “atti mitico\stilistici”. Ma, con la differenza che, benché
essenzialmente mimetico, l’uomo non imita, per così dire, alla maniera contemplativa di un’altra
figura celebre della tradizione mitica, quella di Narciso smarritosi nella pozza d’acqua a cercarsi
nella fissità inafferrabile dello specchio ; ma differentemente, il suddetto style mythique
“échappe à toute tentative de mimétisme : il n’est jamais miroir mais l’etre lui-meme, une
conscience qui est essentiellement langage. Mais, pour porter le temps, pour etre sans cesse
dans le devenir, ce style doit etre dynamique. Il le devient non en multipliant les actions des
personnages mais, au contraire, en les réduisant et en devenant la palpitation meme de la
9
A. Camu s, Essais, cit, p. 179.
10
M. Bilen, Dialectique créatrice et structure de l’oeuvre littéraire, cit, p. 265, sott. nostra. In questo saggio
diviso in quattro sezioni tematiche dedicate rispettivamente all’analisi di quella che viene chiamata
“dialectique créatrice” nell’opera di A. Gide, A. Camus, M. Proust e F. Kafka, l’autore rintraccia la presenza di
un elemento mitico soggiacente nel processo creativo degli artisti pres in esame. In questo processo, Bilen
vede tre momenti fondamentali : Dépouillement, Dévoilement, Dédoublement. Per quanto riguarda Camus,
l’autore è convinto, seguendo M. Blanchot, che l’opera camusiana vada considerata come una continua
ricerca di un archetipo mitico, sorta di “source unique” della sua creatività. Nostro compito in questa tesi, è
un approfondimento della natura di questo archetipo, che, partendo dai fondamentali riscontri di Blanchot,
Bartfeld, e J. Lévi-Valensi (forse la maggiore curatrice contemporanea delle opere di Camus, autrice di svariati
articoli, e di due recenti edizioni critiche de La Peste e de La Chute, entrambe incluse nella collezione Folio
Gallimard), abbiamo considerato essenzialmente di origine tragica.
vie.....le style, pour etre mythique, doit donner le sentiment d’un temps qui se déroule non par la
sucession des images mais par le geste possiblement infini de l’insertion dans le réel d’une idée
essentielle dont la fixité constitue la permanence (quando poco oltre Bilen constata che “le rèel
n’est signifiant que parce qu’il est réduit au langage, c’est-à-dire à un système de rapports.”)”11.
Così facendo, Bilen s’inserisce nell’annoso dilemma sul primato del Naturale o
dell’Ideale nel Reale, propendendo in questo modo per un uomo naturale, ma il cui atto peculiare
e originario non è mimetico\speculare nel senso di un’adeguazione passiva nei confronti del
reale, ma piuttosto paragonabile ad un gesto di elaborazione tecnica in chiave idealistica grazie a
cui fissare una permanence nel reale, estrapolandola dal suo continuo divenire. Ma, ci sembra
doveroso aggiungere, in questo senso il suo ragionamento non si allontana nella sostanza dalle
considerazioni di Aristotele sulla tragedia contenute nella Poetica, di cui rammentiamo
brevemente la parte della definizione dell’opera tragica che ci interessa : “Tragedia è dunque
imitazione di un’azione seria e compiuta, avente una propria grandezza....di persone che
agiscono e non tramite una narrazione, la quale per mezzo di pietà e paura porta a compimento la
catarsi (nel testo -depurazione-) di siffatte emozioni”12.
Nella pagina seguente, Aristotele scrive che il mezzo proprio dell’imitazione di un’azione
è il racconto (in greco : muqos). Perché è nella struttura stessa del linguaggio (inteso, lo
ricordiamo, come un “système des rapports” avente un’unità interna ; système secondo quanto
abbiamo visto, di natura mimetica), ritornando a Bilen, che applichiamo al reale , reiterando
l’ancestrale gesto mitico, il nostro sigillo temporale, la nostra cifra . In altri termini, gli forniamo
uno stile, un’unità.
Quindi, aristotelicamente, il racconto (muqos), elemento essenziale della tragedia
(“Principio dunque e quasi anima della tragedia è il racconto”13), è imitazione (ovvero
ripetizione) di un’azione, la cui perfezione starebbe, come testimonia l’EdipoRe, nella
coincidenza di “peripezia” e “riconoscimento” producenti un effetto patetico, consistente nel
11
Ivi, p. 266-7.
12
Aristotele, Poetica, trad. it. di D. Lanza, Milano, Rizzoli, p. 135.
13
Ivi, p. 139.
terrore e nella pietà : “il migliore riconoscimento è quello che si ha simultaneamente con il
rovesciamento, com’è per esempio nell’Edipo....siffatti riconoscimento e rovesciamento saranno
infatti portatori di pietà o di paura delle quali azioni la tragedia si è stabilita imitazione.”14
Se seguiamo il criptoso ragionamento aristotelico fino in fondo, noteremo che l’effetto
tragico vero e proprio consiste (nella sua perfezione offerta dall’EdipoRe) nel costruire un
intreccio drammatico con lo scopo di arrivare allo scioglimento della sua nodalità strutturale ;
ovvero, tale effetto, è equiparabile al momento della katastrofh (vocabolo che in greco starebbe
a significare effettivamente quella parte della struttura testuale in cui avviene lo scioglimento
dell’intreccio) nell’economia della tragedia.
Se riprendiamo in analisi alcune considerazioni di W. Benjamin nella Metafisica della
gioventù, noteremo che “è la parola pura che è immediatamente tragica”, a differenza della
“...parola in corso di trasformazione (che) è il principio del Trauerspiel ”15, dove la parola,
distaccatasi dalla sua origine diviene sentimento, gioco luttuoso, lamentazione, allegoria.
Seguendo Benjamin, è all’interno della struttura linguistica tragica, del suo “système des
rapports” (è da notare che, per l’autore della Metafisica della gioventù, “l’essere linguistico
delle cose è la loro lingua”16), che è contenuto questo fenomeno originario dello scambio
verbale, cioè del dramma nella sua purezza. Ecco forse più chiara la precisazione di Bilen (da noi
riportata a p. 32) sul fatto che questo style mythique, (alla fine, secondo quanto detto sopra, il
racconto in quanto evento mimetico di azioni) è riportato come un atto mimetico, ma un atto
mimetico originario, traccia originale, in cui si riconosca “l’etre lui-meme, une conscience qui est
essentiellement langage.”
14
Ivi, p. 153.
15
Metafisica della gioventù, Torino, Einaudi, 1981, p. 174.
L’opera del critico e filosofo tedesco di origine ebraica, W. Benjamin (Berlino 1886-Port Bou 1940), dopo lunghi
anni di oblio, è stata riscoperta ed è oggi considerata fondamentale, per i suoi sterminati contributi filosofici e
letterari. La raccolta dei saggi cosiddetti giovanili, mostra l’esule berlinese particolarmente attento agli
sviluppi della cultura tedesca nel periodo del romanticismo e, di seguito, del barocco. Spiccano, per il nostro
lavoro, l’analisi sul valore originario della lingua della tragedia classica.
16
Op. cit. , p. 179