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Capitolo I
L’origine psichica della perversione.
L’origine psichica della perversione
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Nei Tre saggi sulla sessualità (1905) Freud intuisce l’essenza della
sessualità nella bisessualità, intesa come caratteristica primordiale di ogni
essere umano, da cui si evolve, attraverso uno sviluppo psicolibidico adattivo,
una “monosessualità”, nel senso della scelta di uno specifico oggetto sessuale,
normalmente eterosessuale, o, altresì, di una specifica meta sessuale, verso cui
direzionare successivamente la pulsione. Freud addirittura accenna a un certo
grado di “ermafroditismo anatomico” iniziale a cui fa seguito l’evoluzione di
un “ermafroditismo psichico” conseguente al raggiungimento della meta
sessuale (Freud, 1905). Si evince, quindi, come il motore dello sviluppo
psicolibidico sia essenzialmente la sessualità libidica che promuove il
raggiungimento e soddisfacimento di certi bisogni sessuali inizialmente
libidici che mirano al raggiungimento di diverse mete sessuali a seconda della
fase di sviluppo psicolibidico: si potranno di conseguenza presentare
deviazioni riguardanti la scelta dell’oggetto sessuale o deviazioni riguardanti
la scelta della meta sessuale. Tra le prime annoveriamo quelle che poi saranno
l’incesto, la pedofilia, la necrofilia oltre che l’omosessualità (che Freud
chiama col termine di inversione) che però rappresenta una deviazione
sufficientemente matura da non poter essere annoverata fra le perversioni in
senso stretto (De Martis, 1989); per il secondo tipo di deviazione sessuale si
evidenziano il voyerismo, il sadismo, il masochismo e il feticismo, mentre il
transessualismo fa riferimento più che altro a un’alterazione per alcuni
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delirante della realtà che in certi casi può essere avvicinato alle psicosi (De
Martis, 1989).
Mi sembra interessante notare come non si classifichino come patologiche
in senso stretto nessun tipo di deviazione sessuale, ma la quota di perversione
patologica vada messa in relazione col grado di degradazione dell’oggetto o
della meta sessuale che viene raggiunta (Freud, 1905). Sono d’altronde
inerenti a ciò le considerazioni riguardanti l’esistenza di un “nucleo perverso”
(Chasseguet-Smirgel, 1985), in ciascun essere umano, che può permettere, a
vari livelli di funzionamento psichico, la pratica di atti perversi di differente
entità da cui nessuno può ritenersi esente; la teorizzazione ruotante attorno al
“nucleo perverso” della Chasseguet-Smirgel (1985), e poi ripresa dalla
McDougall (1990), è a mio parere una rielaborazione più accurata
dell’originaria scoperta di Freud riguardo la primordiale caratteristica
ermafrodita e bisessuale dell’essere umano (Freud, 1905, 1908). La differenza
sostanziale, a cui accennavo prima, tra un perverso e un non-perverso, deve
essere rilevata, di conseguenza, all’interno dell’ammontare delle specifiche
regressioni e fissazioni libidiche a livelli parziali di soddisfacimento che
metteranno in moto simbologie feticistiche (Freud, 1927) o sostituzioni di
mete sessuali che, a loro volta, permetteranno al perverso di sostituire la
genitalità matura con un soddisfacimento parziale conseguente
all’idealizzazione della pulsione sottostante (Freud, 1905). Tale parzialità si
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assesterà in un mondo scisso per sempre in cui le pretese della realtà,
scontrandosi con quelle della pulsione, lasceranno che la stessa pulsione
manifesti le sue stesse pretese al fine di raggiungere il soddisfacimento
sessuale a livello orale o anale, travalicando, per questo, in parte, il senso di
realtà che si dovrebbe raggiungere nell’ambito della genitalità matura (Freud,
1905, 1940).
Inutile enucleare le innumerevoli cause che possono portare a un arresto
dello sviluppo psicolibidico in relazione a una madre, ad esempio, che non
permetta al bambino un rispecchiamento o un gioco adeguato (Winnicott,
1965, 1971); è però fondamentale dire che una vera struttura perversa prende
forma, oltre che per predisposizioni libidiche, nel momento in cui il bambino
si scontra con la problematica edipica (Bergeret, 1983, 1994), dove la
problematica perversa stessa si manifesterebbe in relazione allo
stravolgimento dei messaggi identificatori e all’incapacità di far fronte
all’angoscia di castrazione (Freud, 1919; De Martis, 1989; Chasseguet-
Smirgel, 1976).
Prima di arrivare alla problematica del complesso edipico e di trattarla nel
dettaglio, sono d’obbligo delle specificazioni riguardanti la disposizione
sessuale perversa polimorfa del bambino (Freud, 1905) che si riescono ad
estrapolare delle opere di Freud. Come sappiamo, infatti, il bisogno sessuale
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del bambino, inerente inizialmente a una tendenza libidica autoerotica che
successivamente diventa, potremmo dire, scissa (parziale), poiché guidata
principalmente dalle pretese dell’Es e dal principio di piacere nel momento in
cui l’Io è ancora agli albori del suo sviluppo (Freud, 1923), dovrà essere
rimosso per un adeguato sviluppo psichico successivo: qualora la rimozione
dei moti sessuali parziali intervenga, durante il periodo di latenza, in misura
troppo estesa rispetto al dovuto si creeranno i presupposti per una struttura
autenticamente nevrotica (Freud, 1905) o per la creazione di fantasie isteriche
di natura erotica e ambiziosa dove il desiderio nasce dalla privazione e dalla
nostalgia di qualcosa che si è perduto e al contempo mai avuto (Freud, 1908);
ciò che, quindi, mi interessa per il momento sottolineare è come la perversione
nasca da una permanenza di pulsioni parziali che non vengono rimosse e non
lasciano spazio a una pulsione più evoluta. Mentre, infatti, il sintomo isterico è
un compromesso tra un moto libidico e uno rimovente, che fa dell’isteria
l’espressione di una fantasia sessuale inconscia maschile e femminile che si
arena a un livello inconscio di passività (Freud, 1908), e nella nevrosi tale
rimozione darà avvio ai classici sintomi nevrotici, ad esempio, ossessivi
(Freud 1905, 1917, 1926), nella perversione non vi sarà alcuno spazio psichico
per la fantasia che, pertanto, dovrà essere messa in atto ( il “mettere in atto”
inteso qui come tentativo di giungere a una “rappresentazione” irrealizzabile ).
Di conseguenza, il perverso non potrà fare a meno della sua attività sessuale
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perversa poiché, come suggerisce Khan (1974, 1979), figurerà come l’unico
suo possibile “pensiero” o, meglio, come lo sforzo di trovare un piacere che
non è psichicamente rappresentabile: l’atto perverso finirà così per essere un
atto fine a se stesso, privo di una sua rappresentazione endopsichica, che
condannerà il perverso alla solitudine e alla perenne e insoddisfatta riparazione
di un sé idoleggiato e frammentato (Khan, 1979).
Ritorno adesso alla fondamentale questione, prima solamente accennata, del
complesso edipico e dell’angoscia di castrazione. Già Freud in Un bambino
viene picchiato (1919) aveva intuito come, nella costituzione del futuro
perverso, un siffatto sviluppo psicolibidico non adattivo, predisponente a una
deviazione sessuale, non permetta l’affrontare e il superare la tematica edipica
in maniera sufficiente. Nello stesso scritto (Freud, 1919) e in scritti successivi
quali Feticismo (1927) si nota come Freud metta in risalto l’affermazione che
vuole la perversione definita come “una costituzione sessuale anomala con
un’inclinazione diversa del complesso edipico” (Freud, 1919) che può avere
basi sessuali anche mature, ma non al punto da non regredire di fronte ai primi
ostacoli. E’ proprio l’ostacolo il punto focale dell’arresto dello sviluppo
psicolibidico del perverso, ostacolo che potremmo benissimo chiamare col
termine di angoscia di castrazione che il bambino affronta nel momento in cui
fa il suo ingresso nella fase edipica: si trova di fronte al dover riconoscere la
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differenza dei sessi e di generazioni, è incapace di soddisfare i suoi desideri
incestuosi e di identificarsi col padre per ridirigere i suoi desideri sessuali
verso un altro oggetto eterosessuale che non sia quello materno (Freud, 1905,
1919, 1927; Chasseguet-Smirgel 1985, 1986). Per dirla con le parole della
Chasseguet-Smirgel (1974, 1976), durante l’Edipo l’Io Ideale, formatosi a
partire dalla perdita interiorizzata del narcisismo primario e successivamente
trasformatosi in desiderio incestuoso verso la madre, incontra l’inevitabile
“frustrazione” del padre (angoscia di castrazione) da cui si formerà il Super-Io
grazie anche all’identificazione paterna: in definitiva l’oggetto prenderà, dopo
l’Edipo, il posto dell’oggetto ideale (Chasseguet-Smirgel, 1976). Il tema
principale rimane quindi il rapporto, per l’autrice, tra l’Io e l’Io-Ideale e il loro
conseguente sviluppo; ma qualora l’angoscia di castrazione non sarà
affrontabile per la presenza di una madre troppo seducente, intima e promiscua,
che escluderà la presenza del padre ridotto ad “assenza” (Chasseguet-Smirgel,
1974), il bambino rifuggirà all’angoscia regredendo a esperienze libidiche più
sicure e conosciute (fase anale) al cui interno creerà un fallo di proprio
piacimento che prenderà in tutto e per tutto il posto del pene genitale. A quel
punto la pregenitalità verrà idealizzata e preferita con conseguente distorsione
della realtà, disconoscimento dei sessi e delle generazioni e il conseguente
fallimento del complesso edipico; il perverso ama tanto, troppo, la propria
madre, e non abbandonerà mai l’illusione di essere il suo adeguato compagno
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fissandosi, quindi, a zone anali-sadiche che potranno permettergli di
mantenere intatta questa illusione, e grazie all’idealizzazione le stesse pulsioni
parziali diverranno, ai suoi occhi, “complete” e punto focale da cui si
svilupperà tutto lo scenario perverso (Chasseguet-Smirgel, 1974, 1985;
McDougall, 1982).
Per essere più esatti, l’angoscia di castrazione conseguente all’Edipo, non
viene eliminata, bensì erotizzata (Whitebook, 1991). Di conseguenza, la
differenza dei sessi e delle generazioni, cui si attribuisce un completo
disconoscimento da parte del perverso (Chasseguet-Smirgel, 1974, 1985), non
risulterà essere totalmente assente ma in minima parte presente: brevemente,
la differenza tra i sessi e le generazioni pur percepita dal perverso, sarà per lo
stesso priva di ogni significato di fronte alla costituzione del suo nuovo
“teatro” psichico pregenitale sostitutivo (McDougall, 1989) libidicamente più
soddisfacente. L’atto perverso si presenterà come una “illusione in atto per far
fronte alla disillusione della differenza” grazie al quale continuerà a esercitare
il controllo sull’oggetto (McDougall, 1972), illusione in cui è indubbio che vi
siano stati degli aspetti traumatici all’interno della primaria scena sessuale che
abbiano influenzato l’evolversi dell’Edipo: la sessualità diventa, quindi, un
modo per riparare l’eventuale propria identità traumatizzata (McDougall,
1972).
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Al contrario del nevrotico, il perverso cerca e vuole trovare nuove risposte
ai suoi desideri sessuali: la nevrosi è anche per questo la negativa della
perversione (Freud, 1905).
E’ interessante considerare, a questo proposito, che non tutte le persone che
giungano di fronte all’angoscia di castrazione e quindi al complesso edipico
divengano perverse: alcune potranno sviluppare una nevrosi, altre diverranno
psicosomatiche, altre ancora potranno avere delle regressioni profonde anche a
livello orale (McDougall, 1982, 1990). Naturalmente la possibilità di
affrontare il complesso edipico al fine di raggiungere una genitalità matura è
resa da esperienze libidiche e relazionali precedenti adattive sia da un punto di
vista intrapsichico che interpsichico. Al di là dell’Edipo è quindi fondamentale
annoverare tra le cause della perversione le prime esperienze relazionali,
corporee e psichiche, oltre che sessuali.
La McDougall, infatti, definisce la soluzione perversa di fronte al
complesso edipico col termine di “neo-sessualità” (1990) che, nel particolare,
Whitebook (1991) definisce a sua volta come un metodo controfobico, direi
quasi maniacale, di difesa al fine di eliminare gli aspetti traumatici derivanti
dalla prima scena sessuale e protratti fin al complesso edipico.
Nel suo articolo Primal scene and sexual perversion (1972) e nei suoi
lavori successivi, la McDougall approfondisce ulteriormente la questione della
genesi della perversione e rileva dietro ogni manifestazione autenticamente
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perversa una “madre-droga” (1989) ovvero “quella che non ha potuto essere
interiorizzata in modo stabile nel mondo interno del bambino” (McDougall,
1982). La fantasia conseguente sarà quindi che esista “un solo corpo e una sola
psiche per due persone, le quali costituiscono un’entità indivisibile”
(McDougall, 1989) dove la madre verrà intesa come un “ambiente totale”
(Winnicott, 1965) e il padre sarà relegato a un ruolo negativo (McDougall,
1972). La madre-droga (intrusiva, promiscua) porrà le basi per un uso
“tossicodipendente” dell’oggetto, un oggetto che non esisterà se non che in
veste narcisistica. La madre in questione non permetterà naturalmente
nemmeno un adeguato gioco o un object presenting la cui conseguenza sarà
l’incapacità di usare l’oggetto (Winnicott, 1969).
Il contributo della McDougall ci permette già di descrivere, integrando i
contributi della Chasseguet-Smirgel, alcune “fasi” di sviluppo del futuro
perverso, andando al di là della bisessualità innata che prendiamo come dato
di fatto della condizione dell’essere umano.
La struttura di base della perversione si manifesta, pertanto, a livello
primordiale, nella primaria scena sessuale e nella separazione traumatica dal
seno a cui fa seguito da parte della madre un’idealizzazione del bambino e una
conseguente idealizzazione dell’oggetto materno da parte del bambino
(McDougall 1972); la relazione tossica con la madre condurrà a un uso
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tossicodipendente dell’oggetto (usato per scopi narcisistici e quasi autoerotici)
e a un protrarsi della compulsione a idealizzare una pulsione sessuale parziale
la cui dipendenza diverrà altrettanto compulsiva. Di fronte alla problematica
edipica il bambino creerà, non avendo le predisposizioni per poter superare
l’angoscia di castrazione, un proprio fallo ideale al posto del pene paterno pur
di non perdere la madre: il pene paterno verrà quindi castrato e denegato e la
dissoluzione del complesso edipico darà vita alla creazione di un nuovo
scenario sessualmente indifferenziato (Chasseguet-Smirgel, 1985). L’angoscia
verrà quindi erotizzata e la pulsione idealizzata, e il perverso diverrà un
manipolatore sia degli altri che del proprio eccitamento sessuale unico,
ripetitivo e stereotipato dietro cui vi sarà sempre, in qualsiasi tipo di
perversione, il terrore per la separazione dalla madre e per la costruzione di
una propria identità individuale (McDougall, 1972). La soluzione fallico-
feticistica del perverso di fronte all’angoscia di castrazione (Freud, 1927) è
l’esempio cardine di tutte le perversioni, in cui il simbolo fallico-feticistico
prende il posto nella scena sessuale perversa dello stesso pene paterno: potrà
sussistere l’equivalenza pene=bambino=fece, ad esempio, nel pedofilo.
Nel mondo del futuro perverso vi sarà quindi un unico amalgama
indifferenziato (fase anale) che Khan chiamerebbe col termine di “oggetto
interno composito” (Khan, 1969). Esso è equivalente all’oggetto transizionale
ed ha origine da un’eccessiva interferenza e disadattamento con l’ambiente
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primario e acquisizione di una “precoce capacità di lavoro mentale dell’Io”
(Khan, 1969). A seguito di specifici eventi sessuali, quali la complicità
dell’oggetto esterno o le fantasie organizzate o il mettere in atto le stesse
fantasie, il bambino interiorizza e forma nella propria psiche un oggetto che
altro non è se non “un’altra persona” avente aspetti del padre, della madre,
dell’inconscio, di un amalgama del proprio sé infantile, delle fantasie
materne…Tale assembramento darà vita a un oggetto interno “composito” che
prenderà il posto dell’oggetto transizionale. Gli eventi sessuali che seguiranno
non saranno altro che un modo di ricordare le iniziali interiorizzazioni materne,
ovvero saranno la drammatizzazione di qualcosa precedente alle relazioni
oggettuali dove l’unità non è l’individuo bensì un sistema individuo-ambiente
(Winnicott, 1965) alla cui origine vi è una dissociazione o, per essere più
precisi, l’interiorizzazione di un oggetto primario dissociato (madre, padre o
entrambi) (Khan, 1979). Mentre però con l’oggetto transizionale la madre fa
fronte all’illusione che ciò che il bambino crea esista realmente (Winnicott,
1971), il perverso deve affrontare una cura materna inadeguata e il “collage”
dell’oggetto interno composito gli servirà proprio per far fronte ai suoi bisogni,
alle sue fantasie, alle sue illusioni permanenti. Inoltre, al contrario dell’oggetto
transizionale, il composito non sarà esterno ma intrapsichico e tenderà ad
essere esternato tramite l’evento sessuale al fine di ricercarne un suo sostituto
ideale, ma mai nessun oggetto esterno corrisponderà all’idealizzato e
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composito oggetto intrapsichico che, di conseguenza, porterà alla persona
perversa perenne disillusione e dolore per la delusione e alienazione
dell’oggetto e del sé (Khan, 1979). L’unica fonte di piacere, fine a se stessa,
verrà trovata proprio in tale lavoro mentale di ricerca dell’oggetto sessuale che,
però, proprio perché fine a se stesso, non verrà mai interamente tradotto in
un’esperienza realmente soddisfacente; il feticcio, a quel punto, rappresenterà
quasi una via di fuga per poter ritornare a quell’area di illusione di
onnipotenza, della prima infanzia, che era l’unica fonte sicura di piacere
adesso nostalgicamente perduta (Racalbuto, 2001).
Il perverso appare un nostalgico; il perverso, a mio parere, è una persona
fortemente nostalgica.
Avendo fatto riferimento a Khan è necessario che si approfondisca la
questione della relazione tra il bambino e la madre che, abbiamo detto assieme
alla McDougall (1972, 1982), può essere considerata come genesi di tutta la
problematica perversa. Khan, riprendendo Winnicott (1965), definisce i primi
momenti di vita dell’uomo come assolutamente dipendenti dalle cure materne
ed è proprio dall’adeguata interazione tra il bambino e l’ambiente che l’Io e
l’Es si differenzieranno al fine di creare delle “autoesperienze” psichiche e
corporee in riflesso all’azione materna che deve riflettere la stessa azione del
bambino. Nella perversione, come precedentemente detto, il bambino viene
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molto amato dalla madre a tal punto da diventare “una cosa di propria
creazione”: viene altresì “idoleggiato” (Khan, 1979). L’idoleggiamento del
bambino comporterà l’interiorizzazione di un sé altrettanto idoleggiato che
dovrà affrontare anche l’improvviso ritiro traumatico della madre, resasi conto,
a un certo momento, della sua troppa intrusività: ma il sé, a quel punto
idoleggiato, non sarà in grado di far fronte alla mancanza e all’abbandono
traumatico della madre e quindi verranno successivamente messi in atto dei
meccanismi di difesa, per far fronte all’angoscia di abbandono così scaturitane,
come l’identificazione proiettiva e la tecnica dell’intimità (questi concetti
saranno approfonditi successivamente) (Khan, 1979). Tale idoleggiamento
comporterà la scelta di specifici oggetti sessuali in luogo di un illusorio
oggetto transizionale, che porteranno all’utilizzo feticistico dell’altro e
all’instaurazione di relazioni perverse (infantili) al fine di utilizzare l’altro per
idoleggiare il proprio sé nello stesso modo in cui veniva idoleggiato dalla
madre. Sarà conseguente un’inconsolabilità perenne del perverso consistente
nel tentativo costante di riparare il proprio sé idoleggiato e traumatizzato.
Tutto ciò spiega meglio le successive complicanze a livello del complesso
edipico nell’affrontare l’angoscia di castrazione e accettare la differenza tra le
generazioni e i sessi. Il reinventare una scena sessuale è, comunque, sempre
preferito dalla psiche, laddove possibile, al posto di degenerare nella pazzia e
quindi nella psicosi (McDougall, 1972).