INTRODUZIONE
L’Unione Europea è oggi una delle forme di integrazione politica più
avanzate e dinamiche al mondo. Nonostante ciò, il progetto politico di
creare un grande Stato federale europeo si sviluppò, almeno
inizialmente, a partire dall’integrazione economica. La volontà
politica di uomini come Monnet e Schuman di ravvicinare e sanare le
fratture tra i loro paesi al fine di rafforzare le difese della pace e della
libertà, andò di pari passo, inizialmente, con l’obiettivo di aumentare
la prosperità degli Stati membri. Nacque così la politica di
concorrenza dell’Unione Europea, una politica ispirata ad un principio
di efficienza economica, ovvero la volontà di creare «un mercato
aperto e in libera concorrenza». Principio che dal Trattato Ceca ad
oggi ha assunto un ruolo fondamentale all’interno dell’ordinamento
comunitario.
Corollario di tale principio è che con l’evoluzione della politica di
concorrenza è venuto meno uno dei principali attributi della sovranità
statuale, ovvero il governo dell’economia. La concorrenza, infatti,
erode la figura dello Stato imprenditore e limita qualsiasi tipo di
intervento che possa pregiudicare il libero gioco delle forze di
mercato.
In tal senso, lo Stato europeo è inserito dal 1957 in un contesto di
dissolvimento dei confini economici nazionali e un’estensione
crescente della regolazione comunitaria. Esso non è più sovrano delle
scelte economiche sul proprio territorio, perchè la realizzazione del
mercato aperto e in libera concorrenza ha richiesto una necessaria
razionalizzazione dell’intervento pubblico in campo economico.
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In tale contesto, l’aiuto pubblico assume nell’ordinamento
comunitario una valenza negativa, in quanto potenzialmente distorsivo
della concorrenza. Esso è tendenzialmente vietato dai Trattati
comunitari, ma tale divieto non è da considerarsi assoluto. Infatti, la
promozione di un ambiente concorrenziale non esclude del tutto gli
interventi pubblici, purché questi siano volti al perseguimento di
obiettivi di interesse generale. Viene così in rilievo che le forme di
sostegno e di impulso all’economia, che tradizionalmente rientrano tra
i poteri dello Stato sovrano, sono oggi pienamente comunitarizzate. La
politica di incentivazione economica non è più prerogativa dello Stato,
perché proprio in vista della realizzazione dell’efficienza, l’intervento
dello Stato deve essere coordinato a livello europeo. Lo scopo è quello
di impedire che lo Stato possa assoggettare l’intervento in campo
economico al perseguimento di fini nazionalistici, perdendo così di
vista l’obiettivo dell’efficienza.
Così, l’articolo 107 TFUE prevede unitamente al divieto generale una
serie di deroghe giustificate alla luce di principi fondamentali
dell’Ordinamento comunitario, in particolar modo il principio di
coesione economica sociale e territoriale.
Ben note sono le finalità solidaristiche della politica di coesione
economica, sociale e territoriale. Essa, infatti, fin dalla sua istituzione
con l’Atto Unico Europeo nel 1985 è ispirata «a promuovere uno
sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione». Quella di coesione è
una politica coerente e definita che ispirata ad un principio di equità
agisce nel senso di «ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle
varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite».
Non sembrerebbe esistere alcun legame apparente tra concorrenza e
coesione, essendo due principi ispirati a finalità differenti e
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potenzialmente contrastanti, rispettivamente efficienza ed equità. In
realtà il legame esiste ed è un legame di complementarietà; infatti
l’Ordinamento comunitario persegue costantemente la realizzazione
dell’efficienza economica, ma l’efficienza non può pregiudicare la
realizzazione di uno sviluppo armonioso ed equamente distribuito
all’interno dell’Unione.
Il presente lavoro è ispirato proprio dall’intento di affrontare il
confronto tra i due principi, ovvero dimostrare che esiste una
complementarietà tra la politica di concorrenza e la politica di
coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione Europea, e che
questa complementarietà si concretizza nella fattispecie degli aiuti di
Stato a finalità regionale. In sostanza attraverso il controllo sugli aiuti
di Stato l’Unione Europea rafforza il suo intervento atto a ridurre le
disparità regionali presenti all’interno del territorio europeo.
Il lavoro segue un percorso ben preciso che va dal generale al
particolare, articolato in quattro capitoli. Si cercherà inizialmente di
definire il framework, al fine di realizzare una esatta collocazione
degli aiuti di Stato a finalità regionale, ovvero a metà strada tra la
politica di concorrenza e quella di coesione.
Il primo capitolo è finalizzato proprio ad individuare la
complementarietà tra le due politiche, attraverso la comparazione con
la disciplina antitrust statunitense. Se, infatti, indubbia è l’influenza
della più antica normativa antimonopolistica sulla legislazione
europea, è anche vero che le finalità che hanno ispirato le due
normative e il contesto in cui si sono sviluppate sono diversi, di
conseguenza diversi sono i risultati. Il principio di derivazione
giurisprudenziale della rule of law nel sistema americano non ammette
distorsioni alla concorrenza, se non ispirate da un bilanciamento degli
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effetti pro e anti-concorrenziali dell’accordo. Al contrario, la
normativa europea ammette distorsioni alla concorrenza, ma solo se
derivanti da un bilanciamento con gli altri principi comunitari, primo
fra tutti la coesione economica sociale e territoriale.
Definito il framework, con il secondo e terzo capitolo si cercherà di
fornire gli strumenti analitici per poter poi affrontare solo nell’ultimo
capitolo il regime degli aiuti di Stato a finalità regionale.
Con il secondo capitolo si entrerà nel vivo della disciplina della
concorrenza, ovvero si analizzerà la Costituzione economica europea.
Una prima parte sarà dedicata alla normativa antitrust, dimostrando
che essa non è dissimile dalla normativa sugli aiuti di Stato, presentata
nella seconda parte del capitolo. Infatti, come l’articolo 101 TFUE
prevede un divieto generale relativo agli accordi tra imprese, mitigato
da una serie di deroghe, così anche l’articolo 107 TFUE presenta la
stessa struttura.
Le deroghe previste dall’articolo 107, 3° comma, saranno il fulcro del
terzo capitolo, nel quale si cercherà di definire la disciplina sostanziale
degli aiuti di Stato. In particolare saranno affrontati quattro aspetti
rilevanti: la ratio delle deroghe, la procedura di controllo della
Commissione, il ruolo delle istituzioni e per finire i profili
giurisdizionali. Infatti, non essendo questa la sede adatta per affrontare
compiutamente la disciplina degli aiuti di Stato, che rappresenta un
capitolo autonomo della concorrenza, sono stati scelti questi quattro
aspetti in quanto indicativi dell’operabilità delle deroghe previste
all’articolo 107, 3° comma.
Forniti gli strumenti di analisi, si potrà affrontare il regime degli aiuti
di Stato a finalità regionale nel quarto ed ultimo capitolo. Seguendo,
parallelamente, il percorso evolutivo della politica di sviluppo
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condotta dagli Stati membri attraverso gli aiuti di Stato a finalità
regionale, e della politica di coesione europea, si cercherà di
dimostrare che lo Stato non è più autonomo nella scelta degli obiettivi
della propria politica regionale. Infatti, i tempi, i modi e i luoghi delle
politiche di sviluppo nazionali sono definiti a livello europeo.
Di conseguenza, la sovranità dello Stato in campo economico deve
essere rivalutata alla luce di una prospettiva non più
monodimensionale, bensì multidimensionale. E’ infatti solo in una
prospettiva di multilevel governance, ovvero di coordinamento tra i
vari livelli di governo all’interno dell’Unione che si può comprendere
la disciplina e la finalità perseguita dagli aiuti di Stato a finalità
regionale.
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CAPITOLO 1
Concorrenza e coesione:
la complementarietà di due politiche alla luce
della comparazione con la normativa antitrust
statunitense.
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1.1 Sovranità dello Stato e governance europea.
Lo Stato è senza dubbio la chiave di volta del sistema europeo, il suo
ruolo supera tuttavia qualsiasi visione tradizionale della sovranità
statuale. Infatti, nonostante le aspirazioni iniziali dei federalisti
europei (come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni,
autori del Manifesto di Ventotene nel 1941) fossero quelle di creare
gli Stati Uniti d’Europa, vale a dire un vero e proprio Super Stato
Europeo, nel corso di questa esemplare forma di integrazione
regionale, a partire dal 1951 con la costituzione della CECA fino ad
oggi con il processo di costituzionalizzazione, numerosi passi sono
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La definizione di governance è formulata in termini generali dalla Commissione nel libro bianco
in materia del 2001, secondo la quale il concetto designa «le norme, i processi e i comportamenti
che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con
riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza», tuttavia
ampio è il dibattito europeo sulla necessità di ridefinire la portata del concetto. Commissione delle
Comunità europee, La governance europea, un libro bianco, COM(2001) 428 def/2 del 5 Agosto
2001, p.8.
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stati fatti e si può ben dire che l’Unione è oggi una delle forme più
evolute e più vitali di integrazione.
Ma definire l’Unione Europea come semplice integrazione di Stati
appare alquanto riduttivo, in quanto essa si presenta sin dall’inizio
come un unicum, una forma di integrazione sui generis, un caso
talmente complesso e particolare da non poter essere ricompreso nei
modelli di integrazione esistenti. L’originalità del progetto europeo ed
il fatto che esso si allontani dal modello classico della sovranità fu
evidente sin dagli albori, quando la dichiarazione Schuman, pietra
miliare del nascente Trattato CECA, stabilì che la produzione del
carbone e dell’acciaio, degli Stati che avessero aderito, sarebbe stata
sottoposta al controllo di un’autorità sopranazionale. Nonostante siano
passati più di cinquant’anni, riemerge puntualmente il dibattito sulla
governance europea, e nel definire il sistema europeo non si può non
concordare che esso è un sistema sopranazionale; «la Comunità
europea è una comunità di diritto fondata su competenze di
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attribuzione», vale a dire che gli Stati hanno ceduto quote sempre più
ampie di sovranità alle istituzioni comunitarie, nella prospettiva che
tali istituzioni centralizzate avrebbero al meglio gestito gli interessi
della comunità e il processo del policy-making. Una cessione di
sovranità che va ben oltre il semplice principio di sussidiarietà, pur
contemplato nei trattati, perché la maggior parte delle competenze
cedute alle istituzioni sono irrevocabili, sono divenute parte propria
dell’ente sopranazionale. E’ chiaro, quindi, che il sistema comunitario
non può essere confuso con l’ordinamento di un’organizzazione
internazionale classica, che riconosce la piena sovranità dello Stato
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T. Ballarino, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Padova, 2001, p.300.
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membro, perché con essa condivide il solo momento costitutivo: il
trattato.
Nonostante questa defezione originaria, l’Unione Europea è ben altro,
infatti le organizzazioni internazionali sono strumenti degli Stati che
le hanno istituite e il loro ambito d’azione è appannaggio degli stessi
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Stati interessati. L’Unione europea va oltre questo, i poteri propri
delle istituzioni comunitarie sono stati definitivamente devoluti dagli
Stati membri, senza che questo abbia comportato una delegittimazione
del ruolo degli Stati. A conferma di ciò basti ricordare che il sistema
comunitario comprende soggetti estranei a qualsiasi logica
internazionalista; esiste infatti un popolo dell’Unione Europea, che
benché partecipi alle decisioni in modo ancora residuale, tanto da far
parlare di deficit democratico, è riconosciuto dall’ordinamento
comunitario come portatore di diritti inalienabili che può far valere nei
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confronti delle istituzioni. Per non parlare poi del ruolo dei partiti che
mediano la partecipazione attiva dei cittadini e con la loro struttura
attiva transnazionale agiscono da ponte tra il corpo elettorale europeo
e le istituzioni.
Pertanto gli Stati membri non sono i soli ad influenzare il processo di
policy-making comunitario, ma vi è un’infinità di soggetti portatori dei
più disparati interessi, si va dalla Commissione, ai gruppi di interesse,
ai singoli cittadini che influenzano e scandiscono il percorso europeo.
La sovranità statale è inglobata in questo intricato sistema di relazioni
e soggetti. All’interno del dibattito sulla governance vi è poi la
tendenza ad assimilare l’Unione Europea ad una forma di Stato
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P. Gaeta (a cura di), Diritto internazionale. I lineamenti, Bologna 2003, pp.146-151.
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Basti pensare al ruolo del PE, ma anche alla possibilità di azione diretta del cittadino europeo:
diritto di petizione (art.194 CE), ricorso al mediatore (art.195 CE), ricorso alla Corte e possibilità
di far valere la responsabilità diretta dello Stato membro, a seguito della sentenza Francovich del
19 novembre 1991.
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