2
1. GUERRA AL CANCRO: L’IPOTESI VIRALE
Negli anni ’70 la ricerca scientifica statunitense e di altri paesi occidentali in campo medico
era orientata nella risoluzione dell’enigma del cancro. L’idea che questa grave e diffusa
patologia fosse contagiosa era un’opinione molto diffusa, tanto che si pensò ai retrovirus
come possibile causa. La differenza rispetto ai virus tradizionali è che, invece di contenere
DNA, i retrovirus contengono RNA: questo è un codice utilizzato dai processi cellulari per
trasferire informazioni dal nucleo, dove risiede il DNA, ai ribosomi, dove si assemblano le
proteine. La maggior parte dei retrovirus sono nocivi per gli animali, in quanto sono
all’origine di leucemie o sarcomi, come nel caso del polioma del topo, l’SV40 della
scimmia e l’RSV del sarcoma di Rous nel pollo. Per gli esseri umani, invece, la realtà è
ben diversa dato che ognuno di noi vive in perfetta armonia con diversi retrovirus innocui,
anche se infettivi; addirittura siamo noi stessi a produrne una parte dal nostro DNA
personale. “Bisognava dunque scoprirli utilizzando reagenti preparati a partire dai
retrovirus conosciuti negli animali. Ecco spiegata questa produzione di retrovirus, che per
l’epoca era veramente su scala industriale. Alla base di questo imponente programma vi
era la semplice idea che nell’uomo le leucemie, i linfomi o i sarcomi dovessero, alla pari
dei loro omologhi negli animali, essere causati da retrovirus.”
1
L’attenzione si concentrò su
come l’RSV riuscisse a provocare il cancro nei polli, dato che sembrava identico a molti
altri retrovirus completamente innocui. Alla risoluzione di questo enigma arrivò un pioniere
della ricerca retrovirale, Peter Duesberg, che riuscì ad isolare un gene tumorale (SARC):
scoperta che gli permise, assieme ad un’altra dozzina di scienziati esperti in questo
settore, di far parte della National Academy of Sciences degli Stati Uniti.
Nel giugno 1970 due biologi americani, David Baltimore e Howard Temin, riuscirono ad
isolare l’enzima specifico dei retrovirus, che battezzarono con il nome di “trascrittasi
inversa”(RT). La particolarità di questo enzima è la sua capacità, una volta entrato nella
cellula infettata, di trasformare l’informazione genetica del RNA virale in DNA,
permettendo così l’invasione del nucleo cellulare (l’inverso del processo replicativo
cellulare). Fu una scoperta talmente determinante per lo sviluppo della biologia molecolare
che, in seguito ad una pubblicazione su Nature, i due ricercatori vinsero il premio Nobel
nel 1975.I retrovirus, con questa strategia di replicazione, non uccidono le cellule colpite,
diventando invece parte stessa della cellula, come parassiti genetici.
1
Luc Montagnier, “AIDS : l’uomo contro il virus”, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1995, cit. p.21
3
Dato che il cancro è un’affezione con una rapida crescita cellulare, questo tipo di virus fu
considerato una possibile causa. “L’ondata di entusiasmo che nel 1970 seguì alla scoperta
di geni tumorali e della trascrittasi inversa contribuì a far votare l’anno seguente la legge
nazionale sul cancro sotto l’amministrazione Nixon, e i retrovirologi si trovarono in
posizione privilegiata.”
2
Così nel 1971 l’allora presidente repubblicano Nixon, nel corso di
un Congresso nazionale, rese pubblico l’avvio del progetto miliardario “guerra al cancro”,
che coinvolse direttamente la ricerca oncologica retrovirale. Nel suo discorso, per
enfatizzare questo nuovo compito nazionale di carattere prioritario, fece paragoni con
“trionfi” scientifici come il Progetto Manhattan e l’atterraggio sulla luna, assicurando
l’opinione pubblica che entro dieci anni si sarebbe sconfitto il cancro. La legge nazionale fu
votata e firmata da Richard Nixon due giorni prima di Natale.
Grazie ad un cospicuo finanziamento da parte del National Istitute of Healt (NIH), un
esercito di ricercatori e di tecnici iniziò a produrre enormi quantità di reagente e di
retrovirus per studiarne il comportamento. I laboratori federali più rinomati nel territorio
statunitense si trovano nelle vicinanze di Washington, a Bethesda, all’interno del National
Cancer Institute (NCI) che era stato istituito nel 1937, quando Franklin Roosevelt ne firmò
l’atto costitutivo. Nel periodo in cui Baltimore e Temin scoprivano la trascrittasi inversa,
presso l’NCI lavorava, dal 1965, un giovane e promettente ricercatore di nome Robert
Gallo. Come formazione non era un virologo, bensì un biochimico che si occupava
principalmente dello studio della polimerasi del DNA nelle cellule sanguigne di pazienti
leucemici. “Questo ricercatore,[...] aveva immediatamente capito che poteva servirsi della
trascrittasi inversa per dare alle sue ricerche una nuova direzione[...].Fino ad allora, si
conoscevano solamente retrovirus che provocavano il cancro su certi animali. Il sogno di
un oncologo dell’epoca era la scoperta di un retrovirus oncogeno umano.”
3
Fu così che nel 1970, unendosi ad un gruppo di virologi già noti, trovò prove della
presenza dell’enzima RT in campioni di tessuto cellulare proveniente da pazienti
leucemici. Approfittando di un congresso sui virus tumorali tenutosi a Parigi nel mese di
novembre, Sol Spiegelman (un rinomato ricercatore dell’equipe di Gallo) colse l’occasione
per annunciare il risultato delle loro ricerche.
2
Peter Duesberg “AIDS, il virus inventato”, Milano, Baldini e Castoldi Editori, 1998, cit. p.133
3
Mirko Grmek, “AIDS: storia di una epidemia attuale”, Bari, Laterza editori, 1989, cit. p.75
4
Per questi risultati scientifici nel 1972 Gallo fu premiato con la nomina a direttore del
Laboratory of Tumor Cell Biology, da poco aperto per volontà del NCI grazie ai ricchi
finanziamenti profusi nella guerra contro il cancro. Proseguendo le sue ricerche, nel 1975
il suo laboratorio riuscì ad isolare dalle cellule leucemiche umane un nuovo retrovirus
HL23V (Human Leukemia 23 Virus, o virus della leucemia umana del ceppo 23). Al
momento della presentazione pubblica, nel corso della conferenza annuale del
“Programma sul cancro virale”, la sua forte ambizione fu bloccata dalla confutazione
scientifica da parte di altri scienziati. Fu dimostrato che il suo risultato altro non era che un
insieme di retrovirus contaminanti di origine animale, provenienti da scimmie (gibboni,
lagotrice e babbuini). “La sua mancanza di esperienza nella virologia spiega forse i suoi
errori e le contaminazioni che si verificarono nel suo laboratorio.”
4
e “Quante volte riviste
come Nature o Science avevano anticipato “la grande scoperta” che poi si sgonfiava come
una bolla di sapone quando si scopriva che il retrovirus isolato era un contaminante di
laboratorio…”
5
Nonostante questo clamoroso fallimento, l’equipe di Gallo continuò la caccia ai virus e nel
1979 riuscì finalmente ad isolare un nuovo retrovirus: l’HTLV (Human T Lymphoma Virus,
virus del linfoma delle cellule T) in un paziente affetto da una rara forma di tumore, la
micosi fungoide. In seguito il significato della lettera “L” è stato cambiato per ben due volte:
la prima in “Leukemia”e nel 1985 in “Lymphotropic”.
Solo successivamente e grazie alla collaborazione di un istituto di ricerca giapponese
capitanato da Isao Miyochi e Yorio Hinuma, si riuscì ad attribuirgli un ruolo causale di una
patologia tipica del Giappone meridionale, chiamata ATL(Adult T-cell Leukemia, leucemia
delle cellule-T negli adulti). Questa “causalità” tra HTLV e l’ATL, benché sia ricordata nei
più famosi testi di biologia, presenta alcune stranezze. Solo l’1% degli indigeni di Kyushu
sviluppa il cancro nonostante la positività al test (in America questa proporzione passa a 1
su 1000) e viceversa in tutto il mondo sono presenti molte persone affette da leucemia che
non presentano alcun segno dell’infezione da HTLV. Infatti, non esiste nessuno studio
epidemiologico che dimostri una maggior incidenza di leucemia in persone affette
dall’HTLV rispetto ad un ipotetico gruppo di controllo HTLV-negativo.
4
Luc Montagnier, “AIDS, l’uomo…”cit. p. 30
5
Ibid., cit. p. 27
5
Gallo e i suoi colleghi, comunque, hanno trovato il modo per aggirare il problema. I medici
non possono diagnosticare ai pazienti la ATL se questi non hanno anche gli anticorpi
contro il virus…questo piccolo trucco è molto comodo per abolire una delle discrepanze tra
malattia e virus.”
6
In pratica, nel caso in cui la stessa leucemia venisse riscontrata in una
persona HTLV-negativa, la diagnosi risulterebbe diversa, ovvero le si attribuirebbe un altro
nome e le si addebiterebbero le cause batteriche e chimiche tradizionali. E’ indispensabile
fare un’accurata analisi di queste scoperte, dato che proprio in questi anni si sono
consolidate le basi tecniche ed intellettuali che hanno portato all’isolamento del patogeno
dell’AIDS. L’ultimo risultato concreto in questi dieci anni di ricerca retrovirale fu il virus
trovato in un paziente di Seattle che soffriva di una rarissima leucemia dei linfociti T.
Questa linea cellulare fu coltivata in vitro da David Golde a Los Angeles e Irvine Chen,
analizzando il retrovirus, si accorse che il suo RNA differiva dalla sequenza genetica
dell’HTLV. Per questo motivo nel 1982 fu battezzato con il nome di HTLV-II e il virus
dell’ATL si trasformò in HTLV-I. Il paziente di Seattle, che si chiamava M. Moore, decise di
intentare causa all’Università della California, dato che non condivideva l’utilizzo gratuito
del suo corpo per ricerche scientifiche sperimentali. Fino al 1996 fu registrato solamente
un altro caso di questa particolare leucemia in cui fu riscontrata la presenza dell’ HTLV-II.
Ciò nonostante, a partire dal 1989 l’American Association of Blood Banks ha incluso il test
HTLV fra quelli diagnostici di routine del sangue prelevato, con l’aggiunta di un costo che
varia dai 5 agli 11 dollari a persona. Considerando che la cifra annuale media di donazioni
di sangue raggiunge i dodici milioni, si possono solo immaginare gli enormi introiti
guadagnati dalle industrie bio-tecnologiche che producono i kit per i test diagnostici.
Gli studi che avrebbero dovuto svelare l’enigma del cancro non si limitarono però
esclusivamente all’ambito ematologico: diversi altri indirizzi di ricerca si svilupparono
altrettanto intensamente. Un ulteriore bersaglio della tenacia di questi virologi fu l’herpes
simplex
7
, che già dal 1968 fu messo in stretta relazione con il cancro della cervice. Furono
eseguiti diversi studi, ma più si accumulavano dati, più emergevano discrepanze. I
ricercatori hanno constatato che molte donne affette da tumore al collo dell’utero non
presentavano segni d’infezione del virus erpetico e, com’era prevedibile, verificarono la
presenza di questo virus nell’85% degli americani adulti, senza che questi fossero affetti
da alcun cancro.
6
Peter Duesberg “AIDS, il virus…”, cit. p.139
7
del tipo II, che genera ulcere ai genitali
6
Nel 1983 alcuni scienziati, non ancora disposti ad abbandonare questa ipotesi,
pubblicarono un articolo su Nature
8
secondo cui il virus svaniva dopo aver infettato il
paziente, e il tumore poteva così manifestarsi molti anni dopo l’infezione.
Come si poteva dimostrare scientificamente un processo ipotetico che non lasciava
tracce? Nel 1977 fu proposto da un virologo tedesco
9
un altro virus imputato di essere
l’agente responsabile del cancro della cervice: l’Hpv. La storia del papilloma virus umano e
il suo relativo fallimento di “possibile” causa del cancro è pressoché simile a quella del
virus dell’herpes, dato che solo l’1% della popolazione femminile affetta dall’Hpv avrebbe
sviluppato il cancro. Comunque sia, è curioso sapere che in America il test dell’Hpv (che
costa 30 dollari a persona), è raccomandato a circa sette milioni di donne ogni anno,
nonostante l’incidenza annuale del cancro della cervice negli USA sia di soli 13.000 casi.
Sempre negli anni settanta fu scritto un altro capitolo della guerra contro il cancro quando i
ricercatori furono convinti di aver trovato una stretta relazione tra il virus dell’epatite B e il
tumore epatico. ”Nel 1978 fu pubblicato un lavoro scientifico dove si sosteneva che
l’infezione che evolveva in epatite cronica recava un danno sufficiente a provocare il
cancro: nasceva così un’altra ipotesi di cancro virale. Nessuno si preoccupò di far notare,
comunque, la completa assenza di qualsiasi prova che il cancro epatico fosse
contagioso”
10
. Ovviamente anche in questo indirizzo scientifico non mancarono grossi
ritorni economici provenienti da numerosi programmi di vaccinazione di massa nei paesi
asiatici (costo per persona: 38 dollari).
Nonostante i risultati raggiunti dall’equipe di Gallo effettuati su due forme rarissime di
leucemia, non si può di certo dichiarare che questa “guerra al cancro” abbia soddisfatto le
aspettative scientifiche del 1971. In questa meticolosa ricerca retrovirale vennero investiti
miliardi di dollari a scapito di molte altre attività di ricerca nell’ambito oncologico, tanto che
nel 1981, a causa di una totale mancanza di risultati tangibili, gli enormi finanziamenti (i
più alti di tutta la storia della medicina) furono sospesi. Proprio negli stessi mesi in cui si
prese atto di questo fallimento scientifico, vennero diagnosticati i primi casi di AIDS: “A
partire dall’autunno del 1981, l’NCI prese ad interessarsi alla nuova malattia degli
omosessuali californiani e newyorkesi.”
11
8
D.A. Galloway e J.K. McDougal, “The Oncogenic Potential of Herpes Simplex Viruses: Evidence for a –Hit and
Run- Mechanism”, Nature, 302, 1983, cit. pp. 22-24
9
Harald zur Hausen, che lavorava presso il Centro di ricerca sul cancro di Heidelberg in Germania.
10
Peter Duesberg “AIDS,il virus…”, cit. p.126-127
11
Mirko Grmek, “Aids: storia di una epidemia attuale”, cit. p. 77
7
2. CAUSE SPECIFICHE DELLO STRESS IMMUNITARIO INTENSO E
PROLUNGATO
La Food and Drug Administration (FDA) è l’ istituzione statunitense preposta al controllo
dei farmaci, dei prodotti alimentari e dei cosmetici, prima della loro immissione sul
mercato. Nel 1960 decise di abolire l’obbligo della ricetta medica per il nitrito organico, una
sostanza gassosa chiamata biochimicamente nitriro di amile. A partire dal 1867, il suo
utilizzo farmaceutico era destinato unicamente ad una patologia, l’ Angina Pectoris (AP),
che consiste nel restringimento dei vasi coronarici. Si assumeva per via inalante, e grazie
alla sua azione vasodilatatrice sopprimeva quel dolore acuto a livello toracico tipico dell
‘AP. Nel 1879, Murell descrisse in diverse pubblicazioni gli effetti del nitrito di amile e quelli
della nitroglicerina, privilegiando la seconda per il trattamento dell’AP. Rientrando in una
categoria di farmaci particolarmente specifici, potenti e di conseguenza pericolosi, la
decisione presa dalla FDA di annullare l’obbligatorietà della ricetta apparve inspiegabile.
A partire da questo momento, la diffusione di questa sostanza invase il mondo giovanile
americano e, dato che il suo nuovo impiego fu quello di stimolante sessuale, fu
ribattezzato con il nome onomatopeico popper (richiamando il suono della fialetta di vetro,
al momento della rottura). Era utilizzato quasi unicamente da omosessuali, dato che le
proprietà vasodilatatrici del nitrito rendevano meno dolorosi i rapporti.
Apparentemente l’unico effetto collaterale di questa nuova droga era solo un forte mal di
testa, e probabilmente fu questo a far sì che circolasse così facilmente e in modo capillare.
La sua distribuzione coinvolgeva principalmente due canali: quello illegale del narcotraffico
e quello legale attraverso la fitta rete di sexy shop presente nel territorio statunitense.
Come conseguenza del suo impiego spropositato, infatti, dopo solo 3 anni vennero
diagnosticati i primi casi di intossicazioni croniche e di decessi provocati da inalazioni di
nitriti, documentati in uno scritto di Lubell
12
:
“I nitriti inalanti sono fra le sostanze chimiche più cancerogene che esistano[…]sono
citotossici, il che significa che avvelenano o uccidono le cellule, comprese quelle di cui è
composto il sangue e quelle epiteliali che tappezzano i polmoni.
12
H. Kramer “La rivoluzione silenziosa della medicina, del cancro e dell’AIDS”, Diegaro di Cesena (FC), Macro
Edizioni, 2003, cit. p. 10
8
Dato che queste sono le cellule a crescita più veloce nel corpo umano, saranno anche le
prime a scarseggiare se vengono intossicate alla fonte. Questa è la ragione per cui i nitriti
causano anemia, immunodeficienza e polmonite…”
Quando questi ragazzi arrivavano al pronto soccorso, due terzi della loro emoglobina
(proteina che permette il trasporto dell’ossigeno nel sangue) erano fortemente alterati
chimicamente, tanto da non riuscire più a svolgere la loro funzione primaria. Si dedusse
quindi che l’azione dei nitriti sul corpo umano è pressoché simile a quella dell’ossido di
carbonio che, impedendo il regolare trasporto dell’ossigeno ai tessuti cellulari, provoca la
morte quando viene erroneamente inalato. Il principale produttore era il gruppo
farmaceutico Burroughs Wellcome, che intimorito dalla possibilità di conseguenze
giuridiche compromettenti, ma soprattutto onerose, fece pressioni sulla FDA, che nel 1969
reintrodusse l’obbligo di ricetta per il nitrito di amile. Ma il danno era ormai fatto. Tuttavia,
l’apprezzamento per questa nuova droga fu tale da renderlo comunque disponibile
attraverso qualche piccolo escamotage commerciale. Furono creati altri nitriti organici
sotto forma di butilnitrito e isobutilnitrito che, pur producendo gli stessi effetti bio-chimici
del nitrito di amile, non rientravano nelle tabelle farmacologiche e cosmetiche della FDA.
In questo modo erano esenti da ogni controllo e potevano quindi essere venduti
liberamente da chiunque, spacciandoli come profumi, prodotti antigelo o più comunemente
come “room odorizer ” (deodoranti per ambienti) tuttora disponibili presso tutti i sexy-shop.
Il culmine di consumo negli Stati Uniti avvenne tra gli anni 1974-1977 e, di riflesso, nel
territorio europeo tra il 1977 e il 1980.
In un documento dell’epoca scritto dal Dott. Lowry
13
che descriveva l’utilizzo del nitrito e di
altre droghe psichedeliche, emergono dati che ci possono suggerire gli enormi volumi di
vendita delle case produttrici: nel 1979 cinque milioni di americani consumavano poppers
almeno una volta alla settimana e nel 1980 altre statistiche evidenziavano, sempre per gli
USA, un consumo annuo di 250 milioni di fiale di nitriti organici utilizzati come recreational
drugs. “Nel 1975, in un lavoro sul nitrito di amile come “afrodisiaco” nei rapporti fra
omosessuali, si riferiva di consumatori di nitriti le cui prestazioni sessuali erano fortemente
compromesse senza la regolare inalazione…[Everett 1975, Sigell 1978]. Questa
evenienza del possibile carattere di dipendenza del consumo incontrollato di droghe
psicosessuali a base di nitriti organici, sulla base dei criteri di tossicodipendenza del
13
H. Kramer “La rivoluzione silenziosa…”, cit. p.10 [Lowri 1980]
9
Diagnostic and Statistical Manual (DSM II) della American Psychiatric Association, venne
confermata in una ricerca clinico- psichiatrica del 1978[Haverkos 1988].”
14
Il decennio degli anni settanta ha rappresentato un periodo molto importante per il
processo d’emancipazione delle minoranze, caratterizzate da una forte promiscuità
sessuale e da un utilizzo smisurato di stimolanti sessuali a base di nitriti. Questi
contribuirono a distruggere confini fisici e psichici da sempre esistiti, conferendo a questo
fenomeno di costume avviato nel 1968, una forza sociale e politica mai raggiunta prima.
Durante tutto il corso dell’Ottocento e per la prima metà del Novecento l’omosessualità era
repressa socialmente e considerata una degenerazione patologica. Specialmente verso la
fine dell’Ottocento, malattia morale e malattia fisica erano considerate allo stesso livello e
venivano equiparate e così il ruolo dei medici si ampliò a quello di nuovi protettori della
normalità. ”Il prestigio medico intervenne direttamente nella creazione dello stereotipo
morale e fisico dell’estraneo, si trattasse del cosiddetto razzialmente inferiore, della donna
emancipata, dell’ebreo o dell’omosessuale. La mascolinità moderna era il simbolo della
norma, e i suoi nemici erano i nemici della società costituita.”
15
Per quanto riguarda la società americana del 1948, il rapporto Kinsey dimostra quanto
l’omosessualità fosse ancora condannata. A partire dagli anni sessanta, con la
liberalizzazione dei costumi e l’introduzione della pillola anticoncezionale (1961), la vita
sessuale degli adolescenti subì un improvviso cambiamento che portò ad una maggiore
precocità e molteplicità dei rapporti sessuali. Fra le diverse lotte sociali tipiche del ’68,
quella omosessuale acquisì un forte impatto politico dopo l’estate del 1969, anno in cui si
verificò un duro scontro con la polizia nella Christopher street di New York, in seguito ad
un tentativo d’irruzione in un bar “simbolo” per la comunità gay americana, chiamato
Stonewall. “Negli anni settanta, una straordinaria proliferazione di associazioni, club, bar,
discoteche, bathhouses, sex shop, agenzie di viaggio e giornali di annunci riservati ai gay
permise loro di “esplodere” e di generalizzare un nuovo comportamento erotico, senza
paragone con attività equivalenti del passato. I luoghi d’incontro permettevano a quelli che
lo desideravano di avere rapporti sessuali con molteplici partner anonimi in una sola
giornata…”
16
14
H. Kramer “La rivoluzione silenziosa…”, cit. p. 11
15
George L. Mosse, “L’immagine dell’uomo- Lo stereotipo maschile nell’epoca moderna”, Einaudi Editore, 1997,
Torino, cit. p. 106
16
M. Grmek, “AIDS, storia…”, cit. p. 218
10
Per avere un’idea della portata reale di questo fenomeno bisogna prestar fede a inchieste
e statistiche dell’epoca da cui emerse che la maggior parte degli intervistati riferì di avere
una media annuale di 10 partner. Molto numerosi furono gli omosessuali che rivelarono
una media sulle 80-100 persone all’anno, abbastanza frequenti quelli che ne avevano
diverse centinaia e il 10% degli intervistati svelò di avere avuto più di 500 partner nel corso
della propria vita. Dal punto di vista clinico, tutto questo si tradusse in un brusco aumento
della tipologia delle malattie sessualmente trasmissibili e della loro relativa diffusione.
Questa situazione critica, oltre ad includere le patologie “tradizionali” tra cui sifilide,
gonorrea e blenoraggia, presentava un drastico incremento di particolari virosi (herpes
simplex I e II, epatiti, infezione da citomegalovirus, da Epstein Barr), candidosi e
parassitosi intestinali (amebiasi). A questa crescita esponenziale di malattie veneree
all’interno della comunità gay americana, corrispose un uso massiccio di farmaci
immunotossici, sia in termini preventivi, che come trattamento di sintomatologie cliniche.
Analgesici, antibiotici, chemioterapici, antiparassitari, fungistatici e virostatici iniziarono ad
essere prescritti singolarmente o ad azione combinata in enormi quantità agli omosessuali,
la cui vita era costantemente compromessa da molteplici infezioni. Il trattamento cronico di
antibiotici permetteva a queste persone di mantenere il loro stile di vita altamente
promiscuo inalterato, ignorando totalmente i possibili effetti collaterali a danno del proprio
metabolismo cellulare. La strategia della terapia preventiva superò di molto quella curativa
trasformandosi in poco tempo in una prassi comune che portò questi ragazzi ad assumere
qualche compressa, prima di ogni rapporto. Dato che alcuni medici prescrissero questi
farmaci attraverso ricette ripetibili, si perse di mano il controllo della situazione,
provocando in maniera irreversibile la trasformazione da uso ad abuso.
Occorre comunque fare un’analisi accurata dei farmaci in questione considerando
soprattutto quando e per quale motivo furono immessi sul mercato. La tetraciclina, il
trimetoprim (TMP) e il cotrimossazolo (T+S) erano i principi attivi degli antibiotici che
venivano maggiormente somministrati. La prima sostanza altera il normale equilibrio
metabolico delle cellule, i medici raccomandano di non esporsi al sole durante la terapia
dato che questo antibiotico annulla completamente la capacità di cicatrizzazione
dell’epidermide e, a seguito di somministrazione prolungata, può provocare anche
immunosoppressione.
11
L’azione del trimetoprim fu scoperta nel 1965 ed è quella di inibire il metabolismo
dell’acido folico nei batteri. I ricercatori constatarono che con l’uso combinato del TMP
assieme a dei chemioterapici sulfonamidi utilizzati fin dal 1935 si rafforzava l’azione
inibitrice delle singole sostanze, riuscendo a creare un’azione battericida con cui inoltre
speravano di porre fine al problema della resistenza microbica contro i singoli principi
attivi. Nel 1969 questa combinazione terapica invase il mercato farmaceutico americano
ed europeo con i seguenti nomi commerciali: Bactrim, Septrin, Eusaprim e Cotrim forte.
“L’introduzione sul mercato del T+S come strategia chemioterapica unica fino a quel
momento, allo scopo di inibire nell’organismo umano la diffusione di batteri, parassiti e
funghi tramite la contemporanea inibizione di due enzimi essenziali per il metabolismo
dell’acido folico dei microbi, coincideva storicamente con l’inizio del decennio della
cosiddetta liberazione sessuale degli omosessuali.”
17
Considerando che l’inibizione
dell’acido folico a sua volta può seriamente compromettere la formazione di DNA nuovo,
un gruppo di ricerca del St. Mary’s Medical School di Londra, già nel 1970, aveva avviato
uno studio sugli eventuali effetti immunotossici del TMP, che fu finanziato dalla casa
produttrice Burroughs Wellcome. Partendo dal presupposto che la struttura biochimica
del trimetoprim era molto simile a quella di un farmaco immunosopressore (azatioprina),
che veniva somministrato ai pazienti organo-trapiantati per inibire il rigetto e successive
complicazioni, i ricercatori mirarono a constatare se esistevano effetti immunotossici
analoghi fra i due principi attivi. Va ricordato che nei pazienti organo-trapiantati curati con
azatioprina si verificavano di frequente infezioni opportunistiche tra cui una particolare
forma di polmonite chiamata Pneumocystis carinii (PCP),un cancro dei tessuti di nome
Sarcoma di Kaposi (KS) e l’infezione da Citomegalovirus, dovute all’immunodeficienza
acquisita dall’utilizzo prolungato di farmaci immunotossici.
L’esperimento dei ricercatori londinesi consisteva quindi nel trapiantare un lembo di pelle
proveniente da un ceppo di topi marroni in altre cavie, anch’esse appartenenti allo stesso
ceppo, ma di colore bianco. I topi che hanno subito il trapianto sono stati divisi in quattro
gruppi: il primo trattato solamente con azatioprina, il secondo con trimetoprim, al terzo fu
iniettato TMP e tetraidrofolato (THF) e all’ultimo gruppo non fu somministrato niente,
svolgendo la funzione di gruppo di controllo. Per fare in modo di rispettare le quantità
somministrate all’uomo fu eseguita una comparazione di peso delle cavie e la rispettiva
dose fu proporzionalmente calcolata.
17
H. Kremer, “La rivoluzione silenziosa…”, cit. p. 244
12
Il risultato fu un’inibizione immunosoppressiva per la stessa durata nei primi due gruppi,
mentre nel terzo gruppo e in quello di controllo si verificò un rigetto tipico dei trapianti di
pelle. Nonostante l’evidente significato di questa ricerca scientifica, non fu pubblicato
alcun articolo che mettesse in evidenza i gravi effetti collaterali di questo chemioterapico
sulfonamide, allora presentato come “nuovo” antibiotico e considerato a distanza di un
ventennio come “una delle sostanze antimicrobiche di maggior successo mai
sviluppate”
18
. Inoltre “..il risultato dello studio non indusse il produttore di preparati T+S
[Barroughs Wellcome, poi Glaxo Wellcome, oggi Glaxo Smith Kline] a esprimere una
riserva sulla medicazione a lungo termine con trimetoprim (Bactrim, Septrin, Eusaprim
ecc.), né un avvertimento sull’utilizzo a breve di queste sostanze nelle persone con
predisposizione all’immunosoppressione.”
19
18
Then, Divisione ricerche del produttore di Bactrim/Septrim,- Hofmann-La Roche, 1993
19
H. Kremer, “La rivoluzione silenziosa…”,cit. p. 248
13
3. I CDC: GENESI DI UN’EPIDEMIA
L’annuncio ufficiale di una probabile nuova epidemia risale al 5 giugno 1981. Un segnale
d’allarme epidemiologico fu pubblicato nel bollettino settimanale Morbidity and Mortality
Weekly Report (MMWR) del centro federale d’Atlanta preposto al monitoraggio delle
malattie trasmissibili, chiamato Center for Disease Control (CDC – Centro per il controllo e
la prevenzione delle malattie).
La storia di quest’istituzione era cominciata nel 1942 quando, allo scopo di controllare le
epidemie di malaria nelle zone di guerra, il Public Health Service (PHS – Servizio Sanitario
Pubblico) pianificò la creazione di un’unità speciale chiamata Malaria Control in War Areas
(MCWA). Per far in modo che alla fine della guerra questo programma non fosse sospeso,
gli ufficiali del MCWA fecero pressioni affinché si potesse includere nelle loro competenze
anche il monitoraggio della malaria fra i civili. Nel 1946 il PHS effettuò quindi una
riorganizzazione dell’istituzione e creò un organismo permanente, il Communicable
Disease Center o CDC (Centro delle malattie contagiose), con sede in Georgia, ad
Atlanta, estendendo la sua ricerca anche a malattie professionali e al cancro. La sigla è
rimasta tuttora invariata, pur cambiando più volte il significato.
La situazione cambiò radicalmente nel 1951 quando la sospensione del progetto sulla
malaria provocò uno slittamento di milioni di dollari a favore di un nuovo progetto: la
nascita di una divisione speciale del CDC, l’Epidemic Intelligence Service (EIS), il servizio
segreto della medicina. Sotto la direzione di Alexander Langmuir, nel luglio di quell’anno
iniziò il primo corso di formazione rivolto a 23 neolaureati in sanità pubblica e medicina
che, dopo aver svolto un intenso addestramento di sei settimane, dovevano svolgere per
due anni un’esperienza sul campo in diversi ospedali o dipartimenti per la salute, sparsi
per tutto il territorio nazionale. Questi corsi ogni anno reclutano centinaia di nuovi allievi
che in ogni caso, una volta terminato il percorso formativo, sono liberi di scegliere
qualsiasi carriera desiderino, purché rimangano fedeli e attivi per il CDC, “…di cui
sarebbero stati sempre i vigili occhi e orecchi. L’attivismo piuttosto che la ricerca era
l’obiettivo primario di questa èlite […] Anche se una lista completa dei funzionari dell’EIS
era consultabile fino alla primavera del 1993, era raro che i suoi membri si qualificassero
come tali; oggi poi la lista non è più di dominio pubblico.”
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Peter Duesberg, “AIDS, il virus…”, cit. p. 148
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Nessuna aspettativa del fondatore Langmuir è stata tradita, a parte il fatto che questa rete
di monitoraggio si è sviluppata in un contesto sociale altamente industrializzato, in cui per
esempio, nel 1978, il tasso di decessi dovuti ad epidemie non superava l’1%.
“Gli stessi CDC, quando assunsero un ruolo di punta nella nascente emergenza AIDS,
venivano da un periodo in cui le loro quotazioni presso l’opinione pubblica avevano
toccato uno dei minimi storici.”
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In effetti prima dell’avvento dell’epidemia AIDS gli stessi
CDC erano stati coinvolti in allarmi e in campagne di vaccinazione controverse.
A tal proposito mi sembra doveroso ricordare l’infondata predizione epidemica annunciata
dai CDC nel gennaio del 1976, dopo aver ricevuto notizie riguardanti cinque soldati
americani di stanza presso una base militare a Fort Dix, nel New Jersey, che erano malati
d’influenza. Nonostante fosse stato imposto loro di astenersi da qualsiasi sforzo fisico, uno
dei cinque non rispettò questo parere medico e morì. Questo episodio spinse il direttore
del CDC, David Spencer, ad ipotizzare l’avvento di una nuova epidemia ed a dichiarare
uno stato di allerta per questa nuova forma influenzale, che fu soprannominata “suina”
data la presunta origine del virus.
Furono calcolate delle predizioni statistiche che vennero successivamente pubblicate nel
bollettino settimanale MMWR e riferivano drammatiche proporzioni epidemiche: 500.000
morti all’anno solamente negli USA. Spencer inoltre sostenne pubblicamente la necessità
di ricorrere ad un programma di vaccinazione d’emergenza, prima della stagione
influenzale. L’allora presidente degli Stati Uniti Ford decise quindi d’istituire un comitato
speciale per valutare la proposta di Spencer, che fu giudicata attendibile e doverosa. Dopo
l’annuncio televisivo da parte dello stesso presidente, in cui sollecitava tutti gli americani a
vaccinarsi contro l’influenza suina, furono impiegati milioni di dollari per la campagna di
vaccinazione “Swine Flu”. “L’azione fu condotta a tamburo battente e, con gran vantaggio
dell’industria specializzata, si vaccinarono circa 50 milioni d’americani. L’influenza non si
manifestò, o quanto meno non fu per niente grave, ma la vaccinazione provocò più di 500
casi di sindrome di Guillain-Barrè. Per ottenere un bene ipotetico, si era dunque prodotto
un male sicuro, un’affezione iatrogena grave del sistema nervoso”
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Il vaccino Swine Flu , a partire dall’ottobre 1976, provocò inoltre circa 600 casi di paralisi e
74 decessi, che ovviamente il CDC classificò come morti per altre malattie, ma ciò
nonostante lo scandalo era oramai alla portata di tutti, tanto da portare il direttore Spencer
a presentare le dimissioni. Torniamo comunque all’inizio ufficiale dell’epidemia AIDS.
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Massimiano Bucchi, “La scienza imbavagliata: Eresia e censura nel caso AIDS”, Arezzo, Limina Edizioni, 1998,
cit. p. 138
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Mirko Grmek, “AIDS, storia…”, cit. p.24
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Il CDC pubblicò il 5 giugno 1981 un rapporto medico in cui si descriveva la presenza di
una grave forma di polmonite riscontrata in cinque pazienti omosessuali, ricoverati in tre
differenti ospedali di Los Angeles tra l’ottobre 1980 e il maggio 1981.
La biopsia polmonare permise di capire con assoluta certezza che la polmonite era
causata da un protozoo chiamato Pneumocystis carinii (PCP), che comunemente si trova
nel nostro organismo senza arrecare nessun tipo di danno fisiologico. Solamente in
soggetti che presentano deficienza immunitaria questo parassita provoca gravi disturbi,
che portano gradualmente al decesso del paziente, come nei lattanti con
immunodeficienza acquisita o nelle persone adulte trattate con farmaci
immunosoppressori. Fu quindi la giovane età dei cinque pazienti (compresa tra i 29 e i 36
anni), e la loro dichiarata omosessualità, che destò sospetto nei centri sentinella dei CDC,
tanto da proclamare lo stato di allerta. Nella pubblicazione sul MMWR si riferiva inoltre che
tutti e cinque presentavano un’infezione da Candida alle mucose e i test sierologici
confermavano una positività al Citomegalovirus (CMV).
Data l’inusuale presenza della polmonite causata dal PCP, su tre pazienti furono eseguiti
studi sui linfociti T, che rivestono un ruolo fondamentale nel sistema immunitario
dell’uomo. Proprio in quel periodo fu infatti introdotta una nuova bio-tecnologia che
permetteva di contare con precisione le sottopopolazioni linfocitarie e fu constatato un
numero bassissimo di linfociti CD4.
Occorre però sottolineare che per quanto riguarda l’anamnesi dei cinque malati dal
rapporto dei CDC risulta chiaramente un uso di popper e solo per un paziente quello
d’eroina, mentre mancano totalmente informazioni sull’eventuale consumo precedente
d’antibiotici, antimicotici, antiparassitari, antivirali, chemioterapici o corticosteroidi. Questi
cinque omosessuali maschi, precedentemente sani, che non avevano avuto alcun contatto
sessuale tra loro, rappresentavano quindi un enigma per la classe medica, che si trovò ad
affrontare una situazione fisio-patologica mai verificatasi prima.
Tutto ciò portò i funzionari dei CDC a trarre una conclusione alquanto prudente, senza
fornire alcuna spiegazione causale: “Tutte queste osservazioni suggeriscono la possibilità
di una disfunzione dell’immunità cellulare legata ad un’esposizione comune che
predispone i soggetti alle infezioni opportunistiche, quali la polmonite interstiziale
plasmocitaria (PCP) e la candidosi.”
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traduzione del bollettino MMWR del 5/6/1981