7
la consapevolezza dell’esistenza diffusa del clientelismo, ricercando però quelle condizioni
intervenute a mitigare gli effetti negativi sull’ambiente sociale [Faraoni 2004].
Infatti, molti studi politologici italiani
1
hanno indagato intorno ai meccanismi di
funzionamento della politica meridionale, analizzando il concetto di <<clientelismo>> politico
inteso come declinazione della categoria sociologica classica di particolarismo. Ciò che è
emerso da questi studi è che le modalità di distribuzione delle risorse che affluivano dal centro
alla periferia, producevano prevalentemente benefici di carattere individuale e privilegiavano
l’uso di canali di tipo clientelare. Fino all’affermazione dei partiti di massa, il notabile
rappresentava il punto di riferimento dell’intera comunità, a cui i tanti si rivolgevano per
ottenere favori e protezione. Il passaggio verso il sistema repubblicano, incentrato sul
protagonismo dei partiti di massa, è segnato, nel Mezzogiorno, dall’affermazione della
Democrazia Cristiana, che diviene progressivamente il partito di maggioranza in quasi tutte le
regioni meridionali. Come osserva Tarrow [1973], il clientelismo tradizionale si trasforma
lungo le maglie dell’organizzazione partitica, e grazie all’utilizzo di strutture e risorse
finanziarie proprie di un moderno apparato statale si è istituzionalizzato in <<clientelismo della
burocrazia>>.
Secondo la definizione classica, il clientelismo porta con sé gravi costi per la comunità,
poiché ostacola progetti e programmi di lungo periodo. Le élites locali sono spinte a ricercare
rapporti personali con politici nazionali e membri del governo al fine di ottenere risorse, che
vengono poi spese per soddisfare domande particolaristiche, che alimentano un circolo vizioso
di inefficienza e inefficacia degli interventi pubblici.
Gli ingenti e prolungati finanziamenti pubblici (ordinari e straordinari) che il governo
centrale ha ridistribuito verso la periferia, hanno sostenuto questi processi, provocando
nell’ambiente sociale <<effetti perversi>> sia rispetto alla valorizzazione delle risorse presenti
sul territorio, sia nei riguardi dell’orientamento acquisitivo degli attori
2
, con conseguenze
negative per lo sviluppo di esperienze imprenditoriali locali [Trigilia 1992].
Tuttavia, le repentine trasformazioni degli anni novanta modificano a fondo il modello
descritto. La fine dell’intervento straordinario e, quindi, la riduzione delle risorse pubbliche
hanno provocato dei cambiamenti nei tradizionali meccanismi di interazione politica. Il nuovo
scenario offerto dal Mezzogiorno degli anni novanta e l’eterogeneità che esso presenta al suo
interno, spingono verso una riflessione intorno ai percorsi intrapresi dai singoli contesti locali.
1
La letteratura sul clientelismo è ampia; si vedano, tra gli altri, Tarrow [1973 e 1979], Graziano [1974 e 1984],
Gribaudi [1980], Catanzaro [1989], Fantozzi [1993].
2
Il riferimento è agli idealtipi weberiani di <<acquisività politicamente orientata>> e <<acquisività di mercato>>.
8
Venendo all’oggetto del lavoro di tesi, lo studio si concentrerà intorno ad un’area
meridionale in particolare: il sistema locale del lavoro (SLL) di Rionero in Vulture, fortemente
specializzato nell’agro-industria. Il SLL di Rionero in Vulture, come vedremo, può essere
considerato come rappresentativo delle recenti articolazioni economiche venutesi ad innescare
negli ultimi decenni in Basilicata. Infatti, all’interno dell’area del Vulture, come nel resto della
regione, convivono due differenti modelli di sviluppo: uno basato sull’arrivo delle grandi
imprese esterne; l’altro sulla valorizzazione delle risorse endogene (nel caso in esame i prodotti
agricoli) da parte dell’imprenditoria locale. L’obiettivo, pertanto, è quello di analizzare le
dinamiche ruotanti attorno allo sviluppo locale, concentrandosi sul settore agro-industriale e
assegnando un ruolo prioritario alle cosiddette risorse endogene, in questo caso di origine
agricola (olio e vino). La specializzazione produttiva in tale comparto, come vedremo, è frutto
dell’antica tradizione artigianale, sedimentatasi nell’area a partire dai primi del Novecento, che
ha favorito, insieme alla presenza delle materie prime (l’uva DOC e le olive), la diffusione di
imprese di trasformazione dei prodotti agricoli autoctoni.
Naturalmente per comprendere le positive articolazioni economiche che si sono venute
ad innescare all’interno del sistema locale di Rionero in Vulture, risulta necessario ripercorrere
le principali tappe che hanno scandito l’evoluzione della struttura economica e sociale della
Basilicata, regione in cui si inserisce il SLL di Rionero in Vulture. Nella prima parte (I e II),
l’analisi si estenderà a tutto il territorio regionale, poiché trattandosi di una piccola regione, il
territorio degli anni cinquanta non presentava particolari differenze dal punto di vista
produttivo ed economico: solo nel corso degli anni settanta emergono alcuni segni di
dinamismo economico lungo le aree costiere e urbane.
Nel primo capitolo, saranno descritti i principali cambiamenti che hanno attraversato il
territorio regionale negli ultimi cinquant’anni: l’intervento dello Stato, la modernizzazione del
sistema politico e i differenti percorsi di crescita che sono venuti ad innescarsi in alcune parti
del territorio. Negli anni cinquanta il territorio regionale risulta uniformemente arretrato,
presenta molti degli elementi caratterizzanti le economie in via di sviluppo, vale a dire una
struttura produttiva connotata in senso fortemente agricolo, l’assenza di un tessuto industriale
di dimensione significative, alti tassi migratori, livelli di reddito bassi e diffusi fenomeni di
analfabetismo e mortalità infantile. Infatti, negli anni immediatamente successivi al secondo
conflitto bellico, l’ulteriore peggioramento delle condizioni di vita - determinato dal ventennio
fascista e dalla guerra - provoca focolai di rivolta, in gran parte delle regioni meridionali, e
un’evidente accelerazione del flusso migratorio. In Basilicata, le lotte per la terra portate avanti
dalla classe contadina si limitano a quelle aree del territorio in cui più alta era la presenza di
9
braccianti e più diffuse risultavano le idee socialiste e comuniste, importate da alcuni esponenti
politici confinati dal regime fascista. Tali lotte tendono a configurarsi nella maggior parte dei
casi come forme di ribellismo verso l’autorità, piuttosto che come una presa di coscienza degli
squilibri insiti nel processo di sviluppo capitalista. La classe dirigente è costretta a porre un
freno alla “pericolosa” situazione sociale innescatasi, varando la Riforma agraria.
Successivamente, il forte divario intercorrente tra il Nord e il Sud dell’Italia spinge lo Stato ad
intervenire, creando nell’agosto del 1950 la Cassa per il Mezzogiorno. Il modello di intervento
traeva origine da quello adottato, ai tempi della presidenza Roosevelt, per le aree depresse degli
Stati Uniti. Gli investimenti collegati alla Riforma e alla Cassa per il Mezzogiorno sono
prevalentemente di natura infrastrutturale e rispondono a necessità elementari, come la
soluzione del problema idrico, la bonifica delle aree paludose, la sistemazione della rete
fognaria.
Nel corso degli anni settanta, la creazione dell’Istituto regionale favorisce ulteriormente
il processo di trasformazione del territorio. Infatti, la Regione, nei vari documenti di
programmazione che si susseguono negli anni, inizia a riorganizzare il territorio secondo
funzioni economiche più coerenti, e a creare una rete di servizi in grado di qualificare e
valorizzare l’ambiente locale. La creazione dell’Ente regionale e la solida leadership locale,
che ne è a capo, hanno un effetto positivo sul rendimento istituzionale. Infatti grazie alla
consistente quota di consensi ricevuta dal partito di maggioranza (la DC), l’amministrazione
della cosa pubblica funziona impiegando criteri relativamente universalistici.
Anche il sisma del 1980 e il processo di ricostruzione che ne consegue contribuiscono
alla modificazione della geografia economica regionale. Il tragico evento rappresenta un
momento di svolta per molte aree lucane, in quanto determina tre importanti conseguenze.
Prima di tutto, in alcuni comuni si assiste ad un significativo recupero del patrimonio abitativo,
riorganizzato in maniera più coerente rispetto alle funzioni urbane del territorio. Inoltre, alcune
parti del territorio sono parzialmente sottratte all’isolamento geografico, attraverso la creazione
di nuovi collegamenti viari finanziati dal particolare regime di concessione. In ultimo alcuni
nuclei industriali (come Tito ad esempio) creati dalla legge per il rilancio delle attività
economiche nelle aree danneggiate dal sisma (219/81), mostrano di non legare la propria
esistenza solo alla presenza di gruppi industriali esterni.
Nel corso degli anni novanta, la fine dell’intervento straordinario e la nascita dell’Unione
Europea determinano una significativa accelerazione verso il cambiamento dei rapporti
intercorrenti tra centro e periferia. Infatti, già nel corso degli anni passati, a seguito dei processi
di decentramento e di razionalizzazione dell’intervento pubblico, la Regione si preparava a
10
divenire il punto di riferimento costante dei diversi soggetti economici presenti sul territorio.
Inaspettatamente, la chiusura dell’intervento straordinario segna, simbolicamente, l’inversione
di rotta rispetto al tradizionale corso economico dei decenni passati. Tale cambiamento è
confermato da segnali di dinamicità espressi, a partire dagli anni novanta, dalla positiva
variazione di alcuni indicatori economici: crescita del PIL e delle esportazioni, riduzione del
numero dei senza lavoro e l’affermazione di alcune aree fortemente specializzate dal punto di
vista produttivo (come l’agricoltura del Metapontino, il triangolo del salotto nella provincia di
Matera e le imprese di trasformazione agro-industriale del Vulture). Tuttavia, nel corso degli
ultimi anni, secondo quanto emerso dal rapporto DPS del 2004
3
, i sistemi locali impegnati
nella produzione di prodotti appartenenti alla manifattura tradizionale (beni per la casa o
abbigliamento) hanno subito una significativa riduzione dei ritmi di crescita. La difficoltà
complessiva di queste imprese sembra determinata da due ordini di fattori: da una parte, la
concorrenza esercitata dai paesi emergenti sul mercato internazionale; dall’altra, il sistema
monetario unico europeo che non consente più le svalutazioni che avvenivano in passato, e da
cui le imprese traevano vantaggio. I sistemi locali specializzati nell’agro-industria, invece,
sembrano colpiti in misura minore dalla sfavorevole congiuntura internazionale, poiché le
risorse su cui basano le proprie produzioni risultano fortemente legate al territorio di origine e
alla tradizione storica maturata nel luogo. A ciò si aggiunge il mutato atteggiamento da parte
dei consumatori dell’occidente industrializzato verso il consumo alimentare, che li spinge a
ricercare quei prodotti che oltre alla soddisfazione calorica presentano elementi di elevata
specificità. Nel suo complesso, quindi, l’allargamento del mercato piuttosto che una minaccia,
sembra rappresentare un’occasione per conquistare nuovi sbocchi commerciali.
Se osserviamo attualmente il territorio regionale, ciò che notiamo è la presenza di divari,
tra aree dinamiche e aree marginali. L’uniforme arretratezza del passato che percorreva tutto il
territorio, nel corso dei decenni, ha iniziato ad attenuarsi, producendo così differenti percorsi di
crescita. Indagheremo, pertanto, intorno a questi percorsi di crescita locale, con particolare
riferimento alle cause che hanno prodotto tali differenze. Vedremo, come alla presenza di
infrastrutture materiali, come la dotazione di materie prime o collegamenti stradali più
efficienti, si affianchino variabili legate alle caratteristiche della struttura sociale.
La seconda parte del lavoro (III e IV) si concentrerà sulle caratteristiche del SLL di
Rionero in Vulture, specializzato agro-industria. Negli ultimi anni, ha acquistato forza l’idea
dell’esistenza di una molteplicità di modelli di sviluppo a livello locale, la cui specificità deriva
dalle caratteristiche intrinseche del territorio, inteso come spazio di interazione tra elementi
3
Rapporto Annuale 2004 del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo sugli interventi nelle aree sotto-utilizzate,
a cura del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione.
11
economici, sociali e culturali, potenzialmente in grado di generare un processo di sviluppo
endogeno e cogliere le occasioni offerte da un’economia mondiale. Da quest’ottica scaturisce
una ricca letteratura sulla dimensione territoriale della crescita economica [Beccatini e Rullani
1993], in cui il territorio acquista dignità di variabile esplicativa dei processi di sviluppo.
Nell’ambito di un’economia avanzata di mercato, infatti, il territorio rurale non è uno spazio
caratterizzato da un ritardo socio-culturale e dal peso predominante del settore agricolo, ma
piuttosto un luogo in cui è possibile il realizzarsi di una stretta integrazione tra agricoltura e
relazioni economiche.
L’obiettivo sarà, quindi, quello di studiare lo sviluppo locale fondato su risorse
endogene, indagando in particolare sul versante dei prodotti tipici agro-alimentari. L’analisi si
concentrerà quindi sull’agro-industria (vino e olio), sui percorsi imprenditoriali seguiti dai
protagonisti del processo di sviluppo, e sui fattori che hanno consentito la nascita, il
consolidamento e lo sviluppo di queste imprese.
Per comprendere le variabili che incidono sul processo di sviluppo imprenditoriale, non
basta osservare solo l’impresa, ma è necessario analizzare anche le caratteristiche del contesto
locale in cui questa si inserisce. Infatti nel terzo capitolo, saranno descritte le caratteristiche del
SLL di Rionero in Vulture, ripercorrendo le principali evoluzioni degli ultimi tre decenni:
l’andamento della popolazione, le caratteristiche della struttura produttiva e sociale.
Naturalmente, particolare attenzione sarà riservata ai tre comparti produttivi principali (vino,
olio e acque minerali), alle imprese e ai percorsi di formazione dell’imprenditorialità.
L’ultima parte dello studio, invece, si basa su un’indagine empirica condotta sul territorio
intervistando alcuni imprenditori, esponenti della classe politica (locale, provinciale, regionale,
statale), e alcuni testimoni privilegiati dell’area. Da una parte, attraverso le interviste condotte
presso alcune case vinicole e aziende produttrici di olio, verranno ricostruite le principali
caratteristiche del tessuto imprenditoriale locale, il tipo di imprenditorialità presente, i rapporti
tra imprenditori e quelli tra classe imprenditoriale e politica. Dalle interviste rivolte ad alcuni
imprenditori è emerso che la nascita, il consolidamento e lo sviluppo delle imprese nel settore
non è semplicemente legato ai fattori tecnici di produzione, ma anche alla storia sociale del
luogo, alle trasformazioni del settore agricolo, alla cultura e alla formazione delle aziende
contadine, allo sviluppo della mentalità imprenditoriale e alla famiglia. Quest’ultimo elemento
assume una valenza molto importante. Infatti, nel Mezzogiorno d’Italia, le forme di “fiducia tra
estranei” risultano tradizionalmente più deboli, e come vedremo, i legami famigliari assumono
spesso una valenza più di tipo politico che economico; vengono cioè più utilizzate nei circuiti
clientelari della politica piuttosto che nel mercato. Tuttavia, le nuove imprese si sono formate
12
proprio grazie alla collaborazione, nella maggior parte dei casi, del ristretto nucleo famigliare,
composto da quattro cinque membri.
Lo studio ha presentato qualche difficoltà. Alcune legate al settore produttivo, in quanto
le imprese impegnate nella produzione di beni agro-industriali tipici di alta qualità, risultano
relativamente poco studiate
4
; inoltre queste piccole imprese hanno una genesi differente sia da
quelle sviluppatesi nella Terza Italia, sia da quelle appartenenti ad altre parti del Mezzogiorno.
Infatti, per ragioni storiche evidenziate in molti studi
5
, il tessuto imprenditoriale del Vulture
presenta limitati fenomeni di cooperazione tra imprese - se comparti con altre parti d’Italia – e
scarsi canali di comunicazione con le istituzioni locali. Tuttavia, si tratta di imprenditori dotati
di un forte orientamento verso il mercato, ma che, allo stesso tempo, mantengono uno stretto
legame con la famiglia. Tali imprese, contrariamente a quanto accaduto in altre parti del
Mezzogiorno, si mostrano del tutto indipendenti dai canali di finanziamento pubblico del
passato, e, per questa ragione, sembrano alla ricerca di un nuovo rapporto che le metta in
comunicazione con le istituzioni. L’autonomia di questi imprenditori, in parte, sembra
ostacolare il rapporto con la politica, in quanto quest’ultima ha di fronte a sé attori economici,
che essendo stati meno “assistiti” nel passato, presentano delle richieste che vanno al di là della
semplice erogazione di finanziamenti pubblici.
In ultima analisi volendo avanzare alcune ipotesi che possano spiegare che cosa abbia
favorito l’innescarsi dello sviluppo locale all’interno del SLL di Rionero in Vulture, possiamo
isolare due ordini di fattori: alcuni di carattere esogeno, altri di carattere endogeno. Prima di
tutto, come abbiamo già visto, la presenza di una domanda esterna fortemente orientata verso la
ricerca di beni alimentari tipici e di qualità e le nuove possibilità offerte dall’apertura dei
mercati, rappresentano uno stimolo decisivo alla crescita dell’intero settore agro-industriale del
Vulture.
Accanto a fattori esogeni si inseriscono le caratteristiche del contesto locale. Infatti, fin
dai primi del Novecento, all’interno della struttura agricola del SLL si riscontra la diffusa
presenza di una piccola proprietà contadina, a cui si associa un tipo di agricoltura specializzata
(vite e olivo). In tale contesto, come vedremo, un ruolo centrale è stato esercitato dalla
famiglia, la quale sembra aver svolto una duplice funzione. Da una parte, è stata portatrice di
conoscenze implicite, garantendo così un processo di conservazione e trasmissione del saper
fare, rappresentato, nel nostro caso, dalla lavorazione dei prodotti agricoli. Dall’altra, ogni
4
La maggior parte degli studi sui fenomeni di concentrazione territoriale di imprese impegnate nel settore
dell’agro-industria risultano in prevalenza di carattere economico-agrario.
5
Bagnasco [1977] Bagnasco e Trigilia [1985], Trigilia [1986].
13
membro della famiglia, in base alle proprie competenze, partecipa all’impresa, e con il tempo
matura esperienza e nuove conoscenze nel settore.
Inoltre, risulta importante porre attenzione su un altro fattore quale l’intervento dello
Stato, che, all’interno dell’area, appare modesto rispetto ad altre parti del Mezzogiorno. Tale
circostanza ha senz’altro evitato gli <<effetti perversi>> che si sono verificati altrove.
L’iniziativa economica locale risulta essere stata favorita da un’ulteriore variabile, legata
alle caratteristiche della società locale. Infatti, il SLL di Rionero in Vulture si presenta come un
contesto socialmente integrato e tradizionalmente libero da fenomeni di criminalità
organizzata.
In ultimo, contrariamente a ciò che è accaduto in molte regioni meridionali, la politica
sembra aver agito più efficacemente, riuscendo ad attutire gli effetti negativi prodotti dal
clientelismo. Come vedremo, la propensione associativa – inferiore ad altre parti d’Italia, ma
comunque superiore al dato medio regionale – è stata stimolata dall’azione della politica.
Infatti, la creazione di alcune cooperative di trasformazione olivicola, nate in origine come
articolazione dei partiti sul territorio, oppure la realizzazione del Consorzio dei viticultori di
Barile, voluta fortemente da Emilio Colombo, rappresentano esempi di un tipo di politica volta
alla produzione di beni collettivi utili all’intera comunità.
Oltre a ciò non bisogna sottovalutare il ruolo della Regione Basilicata nella messa a
punto di politiche volte a frenare i fenomeni di disgregazione del territorio. Già nella prima
legislatura (1970-1975) con la programmazione per progetti – ovvero con la ricerca di una
soluzione specifica ed operativa ad un problema settoriale (ad esempio agricoltura) ma di
livello sub-regionale (ad esempio montagna) - la giunta regionale, allora in carica, si è
impegnata ad ottenere per l’intero territorio un tipo di sviluppo diffuso, volto a riequilibrare i
divari economici e territoriali prodotti dal processo di industrializzazione. Me le capacità della
classe politica regionale sono ulteriormente confermate dalla gestione dei fondi europei. Infatti,
la scelta di assegnare al Dipartimento di Programmazione la funzione di raccordo di tutti i
programmi finanziati dalle risorse europee, ha ridotto i fenomeni di <<balcanizzazione
assessorile>> [Colangelo 2001] delle politiche regionali, diffusi in altre regioni italiane.
14
CAPITOLO I
Economia e società in Basilicata: una prospettiva storica
1. La Basilicata: il territorio, le città e la popolazione
La Basilicata si estende per poco meno di 10.000 Kmq di cui circa due terzi ricadenti
nella provincia di Potenza, a occidente, e il restante terzo nella provincia di Matera, a oriente.
La principale caratteristica della geografia regionale è la presenza di un territorio
prevalentemente montuoso e collinare. L’incidenza della pianura risulta ridotta rispetto alla
generale conformazione della superficie regionale (8%). Tuttavia, nelle due province si
riscontra una differente morfologia: in particolare, la provincia di Potenza, presenta un
territorio composto, quasi esclusivamente, da aree montane (70%) e, in misura minore, da
quelle collinari; mentre la provincia di Matera è caratterizzata da una netta prevalenza della
collina a cui si accompagna una presenza della pianura conforme al dato medio nazionale
(23%).
Il territorio presenta gli elementi propri di un’area interna: limitata estensione delle fasce
costiere, prevalenza di territori montani e collinari, generale diminuzione demografica,
fenomeni di emarginazione economica e abbandono di parti del territorio. I processi di
emarginazione economica, in particolare, hanno teso negli anni ad aumentare la propria
intensità, a seguito della crescita dei contesti vicini, prevalentemente costieri, più dinamici e
interessati da un significativo sviluppo urbanistico e industriale [Cuoco 1979]. Alla marginalità
geografica ed economica si aggiunge la mancanza di moderni centri urbani, paragonabili a
quelli pugliesi e campani; a questo proposito, a lungo, la Basilicata è stata considerata come
una “regione senza città” [Viganoni 1992].
Nonostante il consistente aumento demografico che registrano i due capoluoghi negli
anni che vanno dal 1950 al 1970, Potenza e Matera non possono essere considerati come dei
moderni centri del Mezzogiorno, poiché risulta evidente la mancanza di un solido sviluppo
industriale e di un efficiente collegamento con le principali arterie nazionali. Infatti, il tratto
autostradale A3 Salerno-Reggio Calabria è tangenziale rispetto al capoluogo di regione, e
Matera è l’unico capoluogo di provincia non ancora raggiunto dalla rete ferroviaria nazionale.
Inoltre, a lungo, i due centri si sono connotati più che altro per le loro funzioni prevalentemente
amministrative.
A partire dagli anni novanta, anche a seguito del lavoro svolto da amministrazioni locali
più efficienti e competenti, le due province sono state attraversate da significativi processi di
15
modernizzazione legati alla creazione di una serie di servizi civili e sociali, come ad esempio la
costruzione di due strutture ospedaliere tra le più grandi del Meridione, e dallo sviluppo
dell’industrializzazione, avviata a partire degli anni sessanta. Tuttavia, mentre Matera si
qualifica più come centro di terziario tradizionale e di servizi per il commercio, Potenza
assume connotati più marcati di centro di servizi con funzioni prevalentemente industriali
[Viganoni 1992].
Inoltre, nel corso degli anni novanta, emergono una serie di piccoli centri, collocati
nell’area Nord-occidentale (Lavello, Melfi, Rionero in Vulture e Venosa), che vanno
assumendo sempre maggior peso economico e politico nello scenario regionale, a seguito delle
scelte di alcuni grandi gruppi di decentrare la propria produzione in quest’area (la Barilla e la
FIAT a Melfi).
In ultimo, le molteplici iniziative in campo turistico che interessano la costa tirrenica e
ionica e anche la parte meridionale della regione
6
, contribuiscono a ridurre il grado di
gravitazione intorno ai due capoluoghi e, perciò, ad aumentare l’indipendenza rispetto a questi.
Quindi la Basilicata da regione “senza città” viene progressivamente a configurarsi come una
regione con “embrioni di città” [Viganoni 1992].
Per quanto riguarda, invece, le dinamiche demografiche, in via generale, la Basilicata è
una delle regioni italiane meno popolose (597.768 abitanti al 2001) e con una densità
demografica tra le più basse del Mezzogiorno (61 abitanti per kmq)
7
. Già a partire dagli anni
cinquanta, la regione è attraversata da un significativo calo demografico (pari al 3%), e da un
costante invecchiamento della popolazione, che persiste tuttora. Infatti, la diminuzione della
popolazione e l’invecchiamento che ne consegue, si configurano come fenomeni molto
accentuati
8
. Tuttavia, allo spopolamento generale provocato dalle massicce emigrazioni degli
anni ’50 e ’70, si contrappongono aree, in prevalenza nella provincia di Matera, che fanno da
contrappeso, come la fascia ionica. Si tratta di piccoli centri come Nova Siri, Policoro e
Scanzano Jonico che registrano, oggi, oltre che una discreta presenza di popolazione giovanile,
un tasso di natalità intorno al 20 per mille e un tasso migratorio positivo. Parimenti i centri
della Val Basento, interessati da rilevanti processi industriali negli anni sessanta, mostrano
6
Sul versante tirrenico, troviamo il centro turistico di Maratea e i comuni di Lauria e Lagonegro; sul versante
jonico la frazione di Metaponto e i centri di Bernalda, Pisticci, Policoro e Scanzano Jonico, infine nella parte
meridionale confinante con la Calabria, vi è il Parco nazionale del Pollino.
7
La prevalenza di territorio montano ha come corollario la scarsa densità abitativa, superata soltanto dalla Valle
d’Aosta e dal Trentino Alto Adige. Come termine di confronto, la densità abitativa media italiana è di 190 abitanti
per Kmq, quella del Centro-Nord di 204 ab/Kmq e quella del Mezzogiorno di 168 ab/Kmq.
8
Infatti, questi fenomeni, in linea con l’andamento nazionale, registrano la percentuale più alta all’interno del
Mezzogiorno.
16
andamenti demografici positivi, come ad esempio Pisticci, uno dei centri abitati più grandi
dopo i due capoluoghi.
Da quanto detto emerge una forte differenziazione territoriale. Da una parte, il
dinamismo delle aree collinari-costiere e dei due capoluoghi, in cui gli interventi per lo
sviluppo, che andremo ad analizzare, sembrano avere influito positivamente sulle dinamiche
demografiche. Dall’altra, le aree interne montuose, contraddistinte da piccoli centri con meno
di 5.000 abitanti, in cui si osserva una continua riduzione del loro potenziale umano a
vantaggio dei centri medi.
17
2. Uno sguardo al passato
All’indomani del secondo conflitto mondiale, in Basilicata persistevano le tradizionali
posizioni di arretratezza economica e sociale. Il sottosviluppo si sostanziava in un tessuto
produttivo mono-settoriale, in cui prevaleva un’agricoltura di tipo estensivo che occupava la
maggior parte della popolazione attiva, e in fattori socio-culturali differenti da quelli prevalenti
in contesti più dinamici, come una scarsa propensione verso l’associazionismo e un diverso
tipo di famiglia contadina, generalmente nucleare e accentrata nel borgo. Le scarse possibilità
offerte dal contesto locale fanno sì che l’emigrazione si configuri, a lungo, come l’unica forma
di mobilitazione adottata dall’individuo per far fronte alle proprie esigenze di sussistenza
[Barbagallo 1973]. Allo stesso tempo la “scelta” di emigrare tende a produrre un duplice
effetto nella comunità. Da una parte, rappresenta una perdita di risorse umane, di tradizioni
artigianali e commerciali diffuse, che saranno messe a frutto in altri luoghi; dall’altra, invece,
offre un’occasione di modernizzazione per la società. Infatti, vedremo come la possibilità di
emigrare determinerà dei forti cambiamenti sia nel comportamento dei singoli individui e sia
nelle strategie messe in atto dagli attori politici.
Secondo un approccio di tipo socio-economico, cercheremo, quindi, di indagare intorno
all’origine di quest’arretratezza, valutando l’interazione tra fattori economici e fattori socio-
culturali e politici. Vedremo come il processo di sviluppo è stato ostacolato sia dalla mancanza
di risorse materiali (risparmio, capitale), ma anche da fattori istituzionali che influiscono sulle
diseconomie ambientali (orientamento verso il lavoro, imprenditorialità).
2.1 La struttura produttiva della Basilicata
La Basilicata degli anni cinquanta presentava tutti gli elementi caratterizzanti una società
arretrata [Graziani 1972]: alta percentuale di attivi dediti all’agricoltura, elevata pressione
demografica nelle campagne e scarso sviluppo delle attività industriali
.
L’economia regionale
tendeva a reggersi quasi esclusivamente sul settore primario, che, oltre ad occupare, nel 1951,
il 73% della popolazione attiva, contribuiva per il 60% alla produzione del reddito regionale.
L’industria, invece, si presentava come un settore residuale, con pochi addetti e con imprese
dai connotati più artigianali che industriali. Nonostante il grosso peso dell’agricoltura, questa
18
restava quasi ovunque arretrata e precaria, attraversata ancora dai problemi del paludismo,
della malaria, dalla presenza di latifondo e dal continuo e dissennato disboscamento di intere
aree
9
.
L’analisi della struttura agricola e della natura dei rapporti di proprietà terriera che
caratterizzavano l’organizzazione economica della regione, all’inizio del Novecento, permette
di comprendere le cause delle problematiche di natura economica e tecnica del settore agricolo,
oltre che a formare un quadro della struttura sociale dell’epoca. Tuttavia, risulta difficile
definire quali fossero le forme contrattuali prevalenti, perché, come scriveva Rossi Doria
[1956, p. 31], <<si tratta della cosiddetta zona del Mezzogiorno nudo, dove prevale un tipo di
agricoltura estensiva>> ad orientamento cerealicolo pastorale in cui <<i rapporti sono
complessi e vari, […] cioè danno vita ad una miriade di imprese piccole e medie di carattere
precario e contadino>>, difficili quindi classificare e valutare.
Dalle indagini condotte dal Ministero per l’agricoltura per la piccola proprietà rurale e
contadina [1922] e da quelle successive dell’Istituto nazionale di Economia Agraria (INEA)
[1932, 1947] emerge che, in linea generale, la proprietà fondiaria appartiene ai privati
10
.
Inoltre, a un certo tipo di distribuzione della proprietà fondiaria, in cui prevale un determinato
tipo di contratto agricolo, corrisponde una particolare struttura agraria, e soprattutto una
specifica coltura [Bergeron 1994].
Dalla tab. 1.1, che riporta in percentuale il numero di famiglie secondo il tipo di
conduzione della proprietà, seguendo una suddivisione del territorio in regioni e zone agrarie
11
,
emerge la prevalenza di alcune figure agricole rispetto ad altre.
9
Infatti, Coppola [1977, p. 6] sostiene: <<La morfologia tormentata, i terreni poveri ed instabili, i contrasti
pluviometrici del clima mediterraneo avrebbero richiesto ben altra cura ed organizzazione per il controllo delle
acque e dei versanti. Invece, il disboscamento insensato, che si era offerto come una risposta alle esigenze di
materiale da costruzione sin dall’epoca dei Romani e alla ricorrente fame di terre comunque utilizzate dai
contadini e dalle loro voraci greggi, avevano finito con l’impoverire con gradualità le naturali capacità di difesa
dell’ambiente, rendendo sempre più esposte le genti del Sud alle “calamità” dell’acquitrino, delle frane e
dell’isterilimento dei suoli>>.
10
La quota censita appartenente ai privati è pari all’83% mentre è di proprietà di Stato, Comuni o Enti il restante
17%.
11
Le zone agrarie sono costituite da raggruppamenti di comuni di una stessa provincia aventi analoghe condizioni
naturali e agrarie, mentre le regioni agrarie sono raggruppamenti delle zone agrarie aventi caratteristiche affini, in
tutto sono tre: montagna, collina, pianura.
19
TAB. 1.1 Percentuale delle famiglie attive in agricoltura secondo il tipo di conduzione della
proprietà del capo famiglia nelle province di Potenza e Matera 1931*.
Addetti all’agricoltura
ZONE E REGIONI
AGRARIE
Contadini Affittuari Mezzadri Lavoratori Altri
addetti
TOT
Regione di Montagna 44 18 7,3 23 7,7 100
Regione di Collina 24 16,3 3 27,5 29,15 100
Provincia di Potenza 38,3 17,5 6 25,2 13 100
Regione di Montagna 34,5 13 3,5 36,7 12,3 100
Regione di Collina 24,4 24,6 2 39 10 100
Regione di Pianura 34,6 14,6 1,3 29 20,5 100
Provincia di Matera 31,6 16,8 2,3 35,7 13,6 100
BASILICATA 36,7 17,3 5 27,6 13,4 100
Fonte: dati ISTAT [1931]. Nostre elaborazioni.
* Le figure individuate sono: i contadini (indicati nel censimento come agricoltori o conducenti di terreni propri);
gli affittuari (fittavoli); i mezzadri (coloni e mezzadri); i lavoratori agricoli (contadini obbligati, giornalieri ed
operai di campagna). La voce altri addetti all’agricoltura comprende una categoria molto vasta: gli usufruttuari, gli
enfiteuti od utilisti, i direttori tecnici ed impiegati di aziende agricole, gli addetti alla produzione dell’olio e alla condizionatura
e conservazione del foraggio ecc. L’ISTAT [1931, avvertenze nn. 13 e 15 a pp. 5 e 6] ha raggruppato tutte queste categorie in
un’unica.
Per quanto riguarda la montagna, osserviamo una netta prevalenza della conduzione
diretta da parte del proprietario. Il fenomeno della polverizzazione, vale a dire la presenza di
aziende di micro dimensioni
12
, risulta accentuato e ciò implica una vastissima tipologia di
colture (dai cereali agli ortofrutticoli). La popolazione contadina tende generalmente a vivere
accentrata nel borgo, che rappresenta il centro della dispersa e mutevole impresa agricola. Il
contadino compone il bilancio della sua impresa attraverso il molteplice lavoro svolto; si tratta
di una figura mista: piccolo proprietario, affittuario, compartecipante, salariato a mese o a
giornata [Rossi Doria 1956]. La precarietà di quest’impresa, composta di infiniti pezzi e da una
dimensione aziendale non ottimale per il raggiungimento dell’efficienza di un’economia rurale
[Morelli 1996], fa sì che la regione agraria della montagna si presenti come la zona più
disastrata e più insidiosa su cui la Riforma agraria del 1950
13
avrebbe dovuto operare.
12
Prevalenti nella provincia di Potenza, in particolare delle colline del Vulture.
13
La Riforma agraria è il provvedimento legislativo varato negli anni cinquanta volto a modificare il regime
fondiario e i rapporti di produzione nelle campagne.
20
Per quanto riguarda la collina e la pianura, oltre ad essere le zone più suscettibili ad uno
sviluppo di un’agricoltura di tipo intensivo, come nota Bergeron [1978]
14
, sono anche quelle
dove la Riforma pare aver operato meglio. In collina, alla proprietà piccola e media, molto
diffusa, si accompagna un discreto numero di contratti d’affitto e di compartecipazione, e una
bassa percentuale di lavoratori agricoli, addebitabile alla presenza di colture, quali ulivi e
vigneti, che necessitano di un tipo di manodopera specializzata
15
.
La proprietà di grande estensione è invece tipica della pianura, dove si concentra il
numero maggiore di giornalieri, effetto della predominanza del cerealicolo, che richiede un tipo
di manodopera poco specializzata e, quindi, assoldabile giorno per giorno
16
.
In via generale, si nota una convivenza fra strutture agricole di medio-grandi
dimensioni
17
e una miriade di piccolissime aziende. Inoltre, sia nelle zone ad agricoltura
intensiva che in quelle ad agricoltura estensiva, le aziende salariate di tipo capitalistico
risultano poco diffuse.
2.2. La struttura socio-economica
Uno degli elementi che ci permette di fare luce sui motivi che sono all’origine dei
differenti percorsi di sviluppo del Nord e del Sud dell’Italia è la struttura sociale. Infatti, se
facciamo riferimento agli studi sulla Terza Italia
18
vediamo come proprio la famiglia sia stata
tra i fattori istituzionali cruciali per la crescita economica di alcune zone dell’Italia. Osservando
le regioni del Centro-Nordest notiamo come la famiglia appoderata in campagna abbia
sostenuto la formazione di una manodopera flessibile, a costi ridotti e con conoscenze e
motivazioni congeniali allo sviluppo della piccola impresa [Trigilia 1995a]. In tale contesto, la
famiglia è generalmente estesa e i figli, una volta sposati, continuano a vivere con i genitori e a
partecipare con il proprio lavoro all’azienda agricola di famiglia. In questo modo, il “sostegno
familiare” permette all’individuo di riuscire facilmente a far fronte ai periodi di recessione
economica
19
.
14
Il geografo francese visitò a più riprese la Basilicata, durante gli anni ’60 e ’70.
15
Molto probabilmente questo tipo di manodopera è raccolta nella categoria altri addetti all’agricoltura, che nella
regione di collina raccoglie il 29,15% degli addetti.
16
Bergeron [1994, p. 80] evidenzia che il 28,4% degli attivi in agricoltura presenti in Basilicata sono braccianti e
solo un quarto di essi hanno un contratto, il resto sono giornalieri.
17
Prevalenti nella provincia di Matera.
18
Si rimanda, dell’ampia bibliografia al riguardo, ai testi di Bagnasco [1977 e 1988] e Trigilia [1986].
19
<<I legami sociali tradizionali (familiari, di parentela) possono diventare un’importante risorsa per lo sviluppo
economico, quando sostengono il comportamento individuale sul mercato, sia in termini di offerta di lavoro che di
formazione e di imprenditorialità. Le risorse tradizionali consentono di aumentare la flessibilità dell’economia
locale favorendo la cooperazione>> [Trigilia 1992, p. 93].