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Introduzione
L’importanza del project management agile in ambito R&D
Il nostro mondo è modellato dallo sviluppo di idee nate dalla ricerca di visionari,
scopritori, scienziati. Le prime immagini che possono venirci alla mente quando pensiamo alla
parola inventore sono Albert Einstein che fa la linguaccia, una giovane in camice che studia il
colore di un liquido fumante uscire da una beuta da laboratorio o un più contemporaneo
occhialuto nerd con il volto illuminato dalla sola luce di un monitor su cui lampeggiano
criptiche ed oscure righe di codice.
Queste istantanee così popolari sono ammantante di mistero e fascino. Capire la realtà
dell’universo grazie ad esperimenti mentali e poi essere in grado di tradurre le scoperte in
complesse formule matematiche; studiare la natura della materia con strumenti di precisione
per fornire soluzioni pratiche, innovazioni o farmaci in grado di guarire malattie; modellare la
nostra realtà con le pervasive tecnologie informatiche utilizzando abilità tecniche fuori dal
comune.
La realtà dei fatti è ovviamente piuttosto lontana da questi esempi che, pur non essendo
luoghi comuni, non possono rappresentare modelli del mondo della ricerca. Ricerca che può
essere lunga, faticosa e spesso noiosa. Ricerca che può portare a risultati che non soddisfano al
100%. Ricerca che può focalizzarsi su temi che non cambiano la vita dell’umanità ma che si
concentrano su dettagli specialistici che resteranno per sempre lontani dalla popolarità.
Esiste però un comune denominatore che unisce i grandi exploit dell’ingegno umano ed
il lavoro quotidiano dei ricercatori sparsi per il mondo: la ricerca è un processo. Cos’ha portato
l’essere umano a “catturare” il fuoco, a inventare la ruota, a comprendere come volare o a
scoprire l’espansione dell’universo? E soprattutto, come è riuscito a raggiungere questi obiettivi?
Le risposte alla prima domanda possono essere numerose: curiosità, necessità, sfida,
ambizione, narcisismo e molte altre. Lo sprono ad avanzare nella conoscenza e lo sviluppo di
facoltà intellettive in grado di scoprire strumenti con cui analizzare e modificare la natura sono
caratteristiche, insieme a linguaggio e visione artistica, che differenziano l’essere umano da
tutte le altre specie animali e che ci hanno permesso, per fortuna o purtroppo, di dominare il
mondo in tempi brevissimi.
Alla seconda domanda, come fare a ricercare e sviluppare idee, si può rispondere: con
pazienza ed ostinazione. I lampi di genio sono tema da film e possono al massimo essere la
scintilla che accende il fuoco della conoscenza ma non appartengono al quotidiano dei
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ricercatori. Il processo che parte dall’ipotesi ed arriva al risultato può essere lungo al punto tale
da scoraggiare i meno testardi ed ostinati. Le difficoltà del percorso possono rendere così
difficoltoso il cammino da renderlo quasi impraticabile. Ma è una strada finita, con un inizio
ben stabilito ed una fine di cui non si conosce la data ma che si sa esistere, nel bene (successo)
o nel male (fallimento), e che dipende non solo dagli esiti positivi dell’esperienza ma anche dal
raggiungimento di limiti a volte invalicabili come quelli di tempo e costi. Durante il percorso,
la scoperta garantisce un aumento della conoscenza individuale perché lo studio e
l’applicazione necessari per intraprendere il cammino della ricerca e dello sviluppo permettono
a chi vi partecipa di fare propria la cultura dell’argomento.
Per arrivare ad ottenere un nuovo concetto, un nuovo oggetto o semplicemente numeri
e considerazioni coerenti con il percorso di ricerca, è necessario agire in modo organizzato e
razionale seguendo passi ben precisi, controllando la validità delle azioni intraprese e dei
risultati registrati. Al tempo stesso si deve porre attenzione nel garantire validità e qualità di
quanto prodotto in modo da ridurre gli errori e soprattutto presentare un risultato non
contestabile da terzi.
Disegnati i confini teorici di cosa si possa definir attività di ricerca e sviluppo, risulta
facile fare un parallelismo con il concetto di progetto. La definizione sintetica di progetto,
riportata da norme internazionali recita: “…Un progetto è costituito da un insieme di processi
che comprendono attività coordinate e controllate, con date di inizio e di fine, realizzate allo
scopo di conseguire gli obiettivi del progetto stesso, nel rispetto di vincoli interdipendenti di
costi, tempi e qualità…”
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Non è azzardato affermare quindi che ogni attività di ricerca, di là della sua complessità
che può passare da semplice ad estrema, rappresenta un progetto. E’ lecito allora chiedersi quale
sia il modo migliore di gestire un progetto di ricerca e, anche se chiaramente non può esistere
un’unica risposta ad una domanda così complessa, formulare alcune considerazioni.
La ricerca è un processo che prevede rischi ed incertezze, che ammette di poter
incappare in inciampi nei momenti più imprevisti e che non garantisce mai un successo alla fine
del percorso. Per sua natura può essere un’attività solitaria o che coinvolge una moltitudine di
persone dai più diversi background proveniente da team organizzati nei più svariati modi.
Differenziandosi in modo così sostanziale da attività produttive o di staff più consolidate e meno
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UNI ISO 21500:2021
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soggette a variabilità (produzione, finanza, marketing, etc…), è necessario che la sua gestione
sia rapida, elastica e flessibile. In una sola parola: agile.
E’ importante che lo sia per non incappare in inutili formalismi e per svincolarsi da
rigidità che ne possano rallentare l’esecuzione o ridurre i gradi di libertà. E’ necessario sia agile
per garantire una partecipazione collegiale ed allo stesso tempo poco formale a tutte le persone
coinvolte in modo diretto o indiretto. E’ auspicabile sia agile per assicurarsi un ritmo elevato in
termini di aggiornamenti o verifica dei risultati e per facilitare la scoperta di errori o
considerazioni che necessitano di una rapida valutazione.
La storia della ricerca e dello sviluppo è antica tanto quanto l’essere umano mentre
quella del project management è estremamente recente, si può pensare quindi che la seconda
non presenti una varietà di applicazioni tale da differenziarne l’uso su temi come quelli di R&D.
Se invece dividiamo la sua giovane storia in due periodi separati tra loro dall’avvento e dalla
successiva esplosione della scienza dell’informazione possiamo separare un approccio classico
da uno innovativo.
L’approccio classico, sequenziale/procedurato e formalizzato da PMI (Project
Management Institute) è una storia di successi e svolte epocali. La sua applicazione in
innumerevoli campi e modi ha rappresentato la strada per l’ottenimento di fantastici risultati
negli ultimi 70 anni.
Nonostante la sua storia lastricata di trionfi, la necessità di gestire progetti nella nascente
scena informatica ha spinto la creazione di un nuovo paradigma di gestione progettuale che ha
preso il nome di Agile. Con il suo focus sul cliente, sulla qualità e sulle persone, ha conquistato
dapprima la comunità informatica e poi interessato ed entusiasmato tutti coloro che sono
coinvolti nel project management a prescindere dal settore di appartenenza.
La sua natura iterativa e flessibile si è adattata ad un vastissimo insieme di realtà, l’una
la più diversa dalle altre in termini di dimensioni e campo di applicazione. Anche R&D ha
saputo giovare di una gestione Agile dei progetti e, per quanto detto in precedenza, l’intera
organizzazione di dipartimenti di ricerca e sviluppo ha iniziato ad essere gestita utilizzando
modalità Agile. La sovrapposizione quasi perfetta delle esigenze dell’una e delle caratteristiche
dell’altra (variazioni improvvise – iterazioni frequenti, richieste mutevoli – scarso focus sui
requisiti, incertezza di fondo – approccio test-based, etc…) sembra suggerire che un approccio
Agile al project management possa rappresentare un importante passo in avanti in termini di
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efficacia ed efficienza per i dipartimenti R&D ed in generale per tutte le realtà organizzative
basate su innovazione e ricerca.
In un periodo storico nel quale la velocità di aggiornamento tecnologico è in vertiginoso
aumento e nel quale di conseguenza sono richieste un’efficienza ed una produttività sempre
maggior nei team R&D, adottare in modo organico un approccio progettuale di tipo Agile può
essere la chiave di volta per sostenere l’impatto dell’emergente ondata di richieste di soluzioni
e prodotti innovativi ed altresì per costituire le fondamenta di un cambio paradigmatico
innescato dai sempre più importanti e centrali temi di circolarità e sostenibilità.
Obiettivi della tesi
Questa tesi vuole descrivere l’evoluzione del project management classico in ambito
R&D e di quanto sia alla base del lavoro quotidiano dei ricercatori di tutto il mondo, descrivere
cosa siano i metodi di Agile project management e perché possano integrarsi facilmente in
dipartimenti di ricerca e sviluppo, analizzare nello specifico la struttura e l’integrazione in R&D
di due popolari framework Agile (SAFe e DA) per terminare con un excursus di casi d’uso di
Agile project management in R&D e con una breve analisi su pregi e difetti dell’applicazione
di questo stile di gestione progettuale nell’ambito della ricerca.
L’obiettivo di questo elaborato è quindi quello di avere una visione chiara
dell’importanza del project management nel mondo della ricerca e di quanto i benefici di un
approccio Agile possano apportare miglioramenti nei risultati di progetti gestiti con questo stile
manageriale.
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Il PM in ambito R&D
Panoramica della gestione progettuale in ricerca e sviluppo
Parlare di progetti nel settore della ricerca e dello sviluppo, ed ancora più nello specifico
della loro gestione, significa scavare sotto la superficie di un sistema estremamente complesso.
Complesso non solo per le sfide che comporta l’organizzazione di filoni di ricerca caratterizzati
per loro natura da un’alta percentuale di rischio, ma anche e soprattutto per come il lavoro in
R&D tracci traiettorie complesse difficilmente prevedibili a priori.
E’ un dato di fatto che lo strutturarsi spontaneamente puntando ad obiettivi e risultati, a
discapito di un’organizzazione più rigida basata su gerarchie gestionali, sia una tendenza
naturale dei dipartimenti dedicati alla ricerca e sviluppo. Questa propensione alla plasticità,
all’adattare le relazioni interdipartimentali per favorire le attività di ricerca, permette
l’instaurarsi di una eterogeneità di relazioni tra i gruppi di lavoro figlia delle diverse
configurazioni che i progetti di studio e valutazione necessitano di volta in volta.
Dal punto di vista del project management questo è contemporaneamente croce e delizia.
Rappresenta un punto di forza perché una struttura così malleabile garantisce la possibilità di
essere modificata a seconda delle esigenze. Evita così rigidità organizzative che potrebbero
appesantire le attività di progetto coinvolgendo unità operative non direttamente interessate. Al
tempo stesso è innegabilmente più complesso schedulare passaggi chiave quando non si
conosce in partenza come le fasi del progetto possano necessitare dell’intervento di un
determinato gruppo a seconda dei risultati intermedi delle sperimentazioni. Non ci si deve
aspettare però un’organizzazione anarchica, al contrario i dipartimenti di R&D sono fortemente
legati da spirito di appartenenza e collaborazione. L’ambiente dinamico ed adattabile alle
circostanze è in ogni caso stimolante e sfidante per ciò che concerne il project management.
Sotto un certo punto di vista è possibile addirittura affermare che i primi project manager
nel senso moderno del termine (escludendo quindi da questa considerazione tutti i progetti
precedenti l’età contemporanea) sono stati i leader di grandi progetti di ricerca senza che gli
stessi sapessero di avere assunto un ruolo che, nel corso degli anni, avrebbe goduto dello status
di posizione lavorativa prestigiosa.
Alcuni esempi dell’embrionale ricerca di una gestione progettuale in campo R&D
precedente alla formalizzazione di framework largamente distribuiti (CPM/PERT nel 1957/58)
sono così famosi da nascondere agli occhi della maggioranza degli osservatori la loro natura
profondamente sperimentale e di ricerca.