2
grado del radicamento e dello sviluppo di quelli già presenti risponde ai
bisogni dei cittadini che giudicano le amministrazioni principalmente sulla
base del loro soddisfacimento
2
.
Il tradizionale assetto di gestione dei servizi pubblici locali, da sempre
considerati strategici per il soddisfacimento di bisogni fondamentali del
cittadino, subiscono, a partire dagli anni novanta un processo di profondo
cambiamento, a causa di fattori endogeni ed esogeni. Le spinte alla
liberalizzazione dei mercati da parte dell’ordinamento comunitario, cui
hanno fatto seguito le norme relative alla privatizzazione,
formale/sostanziale, delle società erogatrici nonché le politiche di
esternalizzazione, oltre alle esigenze di risanamento dei conti pubblici e di
superamento delle inefficienze gestionali, nonché lo sviluppo tecnologico e
la necessità di rivitalizzare il mercato borsistico hanno fatto da cornice ai
cambiamenti succedutisi nel settore delle local utilities.
Le riforme che hanno investito il settore lo hanno profondamente
trasformato, modificando completamente i caratteri della governance delle
aziende produttrici, così come le modalità del controllo da parte degli Enti
pubblici territoriali
3
.
L’origine storica dei servizi pubblici locali è individuata nella nascita e
nello sviluppo della città moderna, al tempo stesso causa ed effetto dei
processi di concentrazione della popolazione, di addensamento delle attività
economiche e commerciali, di ampliamento dei confini urbanistici, di
affermazione di centri di interesse economici, culturali e politici, ed infine di
accrescimento del grado di civiltà esistente. È in simili contesti che si
avvertono per primi i bisogni collettivi da cui deriva la necessità di garantire
2
L. Migale, I servizi pubblici locali: esternalizzazione, contratti e controllo, Giappichelli,
Torino, 2004, “[…] Bisogni che sono indifferentemente di infrastrutture, di sicurezza, di
igiene, di cultura, di mobilità, perché il miglioramento del grado di integrazione sociale
della popolazione così come il rafforzamento della competitività del sistema di sviluppo
locale sono i due poli di crescita di un’area geografica. Infatti, il modello di sviluppo
cosiddetto post industriale necessita sempre più di una interazione diretta tra uomini e
tecnica, a differenza del modello di sviluppo di tipo industriale che si fondava su una
separazione profonda tra l’universo umano dei bisogni, relativamente passivo e stabile, e
l’universo tecnologico, in cambiamento continuo e accelerato. In tal senso i servizi di
interesse generale sono considerati veri e propri strumenti di coesione sociale e territoriale e
componente fondamentale del concetto di “cittadinanza” europea, i cui elementi comuni
riguardano: a) l’universalità del servizio; b) l’accessibilità delle tariffe; c) la continuità del
servizio, d) la garanzia della qualità e la tutela dei consumatori.
3
L. Migale, op.cit.
3
adeguati servizi con la prerogativa di assicurare benessere per la collettività
e progresso economico e sociale. Il sistema delle imprese pubbliche nella
loro prima fase storica di inizio secolo che ne ha visto la nascita e la
successiva evoluzione, appare nel complesso positivo, in particolar modo
per quanto concerne la valutazione dei risvolti sociali connessi all’intervento
pubblico. È, infatti, unanimemente riconosciuto che a favorire la diffusione
e lo sviluppo dei servizi pubblici locali, abbia contribuito in maniera decisa
la condizione di monopolio pubblico nella quale essi sono stati gestiti,
diversamente le imprese private non avrebbero consentito di anteporre
l’interesse pubblico ai movimenti di natura economico-finanziaria
4
.
La seconda metà del ventesimo secolo vede il sorgere, e
successivamente l’aggravarsi, della crisi del settore pubblico sia a livello
centrale che locale, risultato del connubio complesso ed articolato di fattori
tra i quali spiccano, l’immobilismo amministrativo e quello culturale di
molti amministratori locali, i condizionamenti esercitati dagli enti proprietari
sulle aziende pubbliche soggiacenti più a logiche politico-sociali e/o
clientelari che economiche, e più in generale una politica economica statale
profondamente orientata al mantenimento di una posizione di primo piano
nella gestione diretta della «cosa pubblica».
Il perdurare di simili impostazioni è sfociato in una critica aspra e
diffusa da parte degli operatori economici e della dottrina circa il ruolo e
l’agire del sistema delle aziende ed amministrazioni pubbliche. In risposta a
tale situazione, non più sopportabile sul piano dei conti pubblici e su quello
della inadeguatezza delle modalità di gestione e della natura dei servizi
erogati si è reagito a partire dagli anni novanta con una riforma improntata
sui processi di decentramento e privatizzazione, volta al riconoscimento di
un grado di autonomia sempre più spinta al sistema delle aziende pubbliche,
locali e non, per mezzo della quale perseguire primari obiettivi quali,
l’esclusione delle ingerenze su di esso della burocrazia e della politica e
l’affermazione dei valori imprenditoriali, manageriali, o in altri termini,
economico-aziendali, tra quelli che devono ispirare l’operato degli enti
locali e degli organismi da essi promanati ed ad essi strumentali.
4
D. Baroni, op. cit.
4
Il processo mediante il quale si è proceduto nel corso dell’ultimo
decennio a trasferire agli enti locali, ed in particolare modo ai Comuni,
nuovi compiti ed attribuzioni, e successivamente a privatizzare aprendo al
mercato, in taluni casi, il sistema delle aziende pubbliche locali, ha
contribuito fortemente ad assegnare loro nuove e più profonde responsabilità
e a qualificarli quali soggetti fornitori, non più e non solo di servizi
essenziali, ma anche di servizi non strettamente collegati alla tutela del
pubblico interesse; i modelli che vanno affermandosi, specie nelle realtà di
medio-grandi dimensioni, come vincenti, rispecchiano, infatti, situazioni
nelle quali al core business originario si affiancano servizi diversificati
dando origine a vere e proprie multi-utilities, aziende o sistemi di aziende
che perseguono nuove strategie e nuovi equilibri in vista ed in coerenza con
futuri, possibili, processi di liberalizzazione, ma che inevitabilmente portano
alla luce strutture organizzative complesse da gestire per gli enti locali, vuoi
perché articolate, vuoi perché ad essi sconosciute sino ad alcuni anni fa.
Agli amministratori spetta dunque l’arduo compito di conciliare
l’interesse pubblico con esigenze di efficienza, di efficacia, di economicità e
di creazione del valore
5
, nel presente ed in prospettiva, manovrando, nel
rispetto di un disegno strategico pianificato di riordino dei servizi erogati, le
disposizioni normative speciali previste appositamente dal legislatore per
l’avvicinamento delle gestioni pubbliche ai canoni di quelle private, e le
norme del diritto commerciale comune; in aggiunta all’aspetto più
prettamente giuridico/societario, si pone poi quello meramente economico-
aziendale, per il quale diviene necessario approntare validi strumenti di
pianificazione e controllo indirizzati a vigilare l’operato delle aziende
partecipate, nella loro duplice dimensione di aziende singolarmente
considerate, e di aziende inserite in coalizioni composte da una molteplicità
di realtà economiche differenziate e per le quali si rende opportuno delineare
programmi rispondenti a strategie comuni di gruppo.
5
Creazione di valore in prospettiva, intesa in riferimento alla ricerca delle condizioni che,
sfruttando anche i vantaggi ancora in essere relativi ai monopoli pubblici legali o naturali,
possano garantire all’azienda pubblica locale di accrescere il proprio valore, e dunque la
propria attrattività, all’avvicinarsi del momento di parziale o totale dismissione delle quote
detenute dall’Ente pubblico proprietario, recando anche a quest’ultimo evidenti ed indubbi
vantaggi economici.
5
Nel quadro di cambiamento, normativo e gestionale, dell’ultimo
decennio, che cercherò di delineare, ha caratteristiche peculiari il caso del
Gruppo HERA S.p.a., multiutilities nata dall’aggregazione di 12 società
dell’area emiliano-romagnola ed attualmente secondo gruppo in Italia nel
settore delle local utilities, di cui mi occuperò specificatamente nella
seconda parte del mio lavoro.
6
2.1 I servizi pubblici locali. Generalità
Qualsiasi indagine che abbia ad oggetto i Servizi pubblici Locali non
può prescindere da un tentativo di definizione di cosa si intenda,
innanzitutto, per Servizio Pubblico Locale. E ciò anche se il legislatore, sin
dall’inizio del secolo e fino ai giorni nostri non ne ha mai offerto una
definizione, né ha mai fornito gli elementi contenutistici per una sua
qualificazione
6
.
Quanto alla più generale nozione di Servizio Pubblico che sia “una fra
quelle dai confini più incerti e fluidi dell’intero diritto pubblico”, così che se
ne possa predicare la sostanziale indeterminatezza è affermazione comune di
tutte le trattazioni in materia. Vi è una sostanziale difficoltà
nell’individuazione del significato di servizio pubblico, dato che l’evolvere
sociale, ed i connessi mutamenti negli usi e costumi delle comunità, rendono
estremamente labile e relativa qualsiasi tipo di classificazione o confine tra
l’area «pubblica» e quella privata. Tale relatività induce ad avvicinarsi con
la maggiore flessibilità possibile all’argomento, tenendo conto che un
servizio pubblico in un determinato istante perché considerato di pubblica
utilità, può non esserlo più nell’istante successivo se cambia il contesto
socio-economico
7
.
Inoltre, dal punto di vista giuridico, come evidenziato da autorevole
dottrina
8
, la questione è complicata dal fatto che nell’ordinamento
comunitario, che è integrato con quello interno, non vi è il testuale utilizzo,
se non in via marginale, della locuzione servizi pubblici, perché, invece,
ricorrono, espressioni quali servizi di interesse economico generale e servizi
universali ovvero, facendo richiamo a requisiti e garanzie cui è tenuto il
prestatore di tali servizi, vi è il riferimento ad obblighi di servizio pubblico.
6
Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma. Voce: Servizi Pubblici Locali
7
D. Baroni, op. cit.
8
G. Caia, I Servizi pubblici, in Diritto Amministrativo, (a cura di) L. Mazzarolli, G. Pericu,
A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F. G. Scoca, cap IV, Monduzzi Editore
7
Sembra possa condividersi in ogni caso la nozione oggettiva di servizio
pubblico così come ricostruita dalla dottrina e dalla giurisprudenza
9
, nozione
che presuppone, altresì, un ruolo dell’amministrazione in funzione di
regolatore o organizzatore (integrando così in un certo senso la nozione
soggettiva con quella oggettiva!). In particolare, la sentenza della Corte
Costituzionale del 6 luglio 2004, n. 204 ha legato la presenza dei servizi
pubblici ad atti di concessione od affidamento o ad altri provvedimenti della
pubblica amministrazione anche per la vigilanza e controllo nei confronti
del gestore del servizio pubblico
10
. In questo modo, seppur indirettamente, si
viene a disegnare il servizio pubblico come attività, o insieme di attività che
presuppongono la presenza della pubblica amministrazione che agisce come
autorità, in funzione dell’istituzione e/o organizzazione, più o meno ampia,
del pubblico servizio, fermo restando che esso può essere espletato anche da
soggetti privati, ma non al di fuori del richiamato contesto istitutivo-
organizzativo
11
. Se come affermato dalla giurisprudenza i servizi pubblici
non possono essere visti solo come attività imprenditoriali da regolare alla
stregua della tutela della concorrenza, emerge che essi “debbono, per poter
essere riconosciuti come tali, essere contraddistinti da elementi ulteriori
rispetto ai programmi e controlli amministrativi nei confronti delle (normali)
attività economiche. Tali elementi nell’esperienza ordinamentale, si
sostanziano in un ruolo istitutivo e/o organizzativo del servizio pubblico da
parte della pubblica amministrazione (ancorché, ovviamente, la gestione
possa essere, e sarà sempre di più, ad opera di privati incaricati), ruolo che è
determinato nelle discipline normative che prendono in considerazione la
prestazione dei vari servizi pubblici dei quali si vuole assicurare la presenza
9
G. Caia, op. cit. “[…] poste le già richiamate scelte del legislatore in punto di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si era ritenuto che nell’ordinamento si
fosse formata, e si dovesse registrare per tutte le relative conseguenze, una nozione
oggettiva ampia di servizio pubblico comprendente «tutte le attività svolte da qualsivoglia
soggetto, riconducibili ad un ordinamento di settore, sottoposte cioè a controllo, vigilanza
o mera autorizzazione da parte di una amministrazione pubblica» Cons. Stato, ad Gen., 12
marzo 1998, n. 30/98. Tuttavia, la Cassazione ha assunto un diverso orientamento, Cass.
Civ, sez. un., 12 nov. 2001, n. 14032 «nozione di servizio pubblico corrisponde a quella di
prestazione resa alla generalità, da parte di un soggetto, anche privato, che sia inserito nel
sistema dei pubblici poteri o sia a questo collegato, e che sia sottoposta a un regime
giuridico derogatorio al diritto comune»
10
Orientamento confermato anche nella sentenza Corte Costituzionale 27 luglio 2004,
n.272.
11
G. Caia, op. cit.
8
ed il risultato a vantaggio della collettività
12
”. Nell’ambito delle attività
economiche di interesse generale, dunque, “può ancora parlarsi di servizio
pubblico quando rispetto ad essa il ruolo dell’amministrazione stessa assume
su di sé la responsabilità, pur astenendosi dall’occuparsi direttamente della
produzione e distribuzione del servizio
13
”.
Per quanto riguarda invece i servizi pubblici locali, va notato che l’art.
22 comma 1, L. 142/1990, pur non fornendo una definizione di servizio
pubblico locale, fa riferimento ai “servizi pubblici che abbiano per oggetto
produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere
lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, il che è perfettamente
conforme alla norma di principio secondo cui il Comune (al pari della
Provincia) “cura gli interessi” e “promuove lo sviluppo” della collettività
locale (art. 2 commi 2 e 3, L. 142/1990). L’ente territoriale non può quindi
decidere di svolgere quale servizio pubblico un’attività qualsiasi: pur
facendosi necessariamente riferimento ai differenti contesti socio-economici
e territoriali, si dovrà trattare di un’attività “tale da incidere in via diretta
sulla comunità, perché rispondente ad esigenze essenziali e diffuse
14
”.
L’attività dei servizi pubblici deve avere delle caratteristiche
necessarie, che sono: il soddisfacimento dei bisogni fondamentali, seppur
mutevoli, per la vita del cittadino; il valore di pubblica utilità; l’impossibilità
economica del suo esercizio mediante organizzazioni alternative in
concorrenza tra loro; l’impossibilità per l’iniziativa privata di far fronte
all’ingente volume di capitali necessari per la sua gestione ed erogazione; il
suo funzionamento deve essere sempre garantito in modo socialmente
soddisfacente.
La norma fondamentale in materia, non abrogata né modificata dai
successivi interventi del legislatore è l’art. 112 del d. lgs 18 agosto 2000 n.
267 (T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Nel primo comma è
contenuta una definizione delle attività oggetto del servizio “produzione di
beni e di attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo
12
G. Caia, op.cit.
13
R. Villata, Pubblici Servizi. Discussioni e problemi, Milano, Giuffré, 2003.
14
G. Caia, I modelli di organizzazione dei Servizi Pubblici Locali: quadro generale e
comparativo, in AA.VV., I modelli di gestione dei Servizi Pubblici Locali, Bologna, 1995,
pp. 56 e ss.
9
economico e civile”, e si evidenzia inoltre che gli enti locali “provvedono
alla gestione dei servizi pubblici”. Si tratta di una previsione che, se da un
lato, segna una distanza rispetto al tradizionale ruolo dell’ente locale diretto
erogatore del servizio (che gestiva il servizio, non provvedeva soltanto alla
sua gestione), da un altro, rimarca l’essenzialità del ruolo dell’ente locale
che, rispetto ai servizi pubblici locali, non è chiamato ad una regolazione
neutrale ab extra, ma ad una assunzione di responsabilità in un’area
strategica di attività di sua competenza
15
. Dunque l’art. 112, comma 1, T.U.,
ripropone una visione del servizio pubblico nella quale il ruolo
dell’amministrazione è forte e finalizzato all’espletamento di un compito
suo proprio, essendo connotato in termini di responsabilità della erogazione
del servizio, in conseguenza della scelta legislativa od autonoma – entrambe
legate alla inidoneità del mercato a soddisfare equamente le esigenze della
collettività
16
di assunzione di un’attività come servizio pubblico.
15
F. Liguori, I servizi pubblici locali. Contendibilità del mercato e impresa pubblica,
Giappichelli, Torino, 2004.
16
R. Villata, Pubblici Servizi. Discussioni e problemi, Milano, Giuffré, 2003. cfr., inoltre
Cassese, Dalla vecchia alla nuova disciplina del servizio pubblico, in Rass. Giur. En. El.
1998, p. 235, che ritiene possibile continuare a configurare il servizio pubblico
relativamente a quei segmenti del servizio di interesse economico generale per i quali
l’amministrazione interviene (per garantire gli obiettivi di universalismo) in funzione
organizzatoria e non meramente regolatoria.
10
2.2 I servizi pubblici locali, aspetti economici.
Da un punto di vista strettamente economico, va rilevato, che la
materia dei servizi pubblici è delineata nell’ambito delle teorie sui fallimenti
del mercato e della distribuzione del reddito che hanno costituito, da sempre,
le giustificazioni di un intervento diretto dello Stato nell’economia. In
presenza di risorse scarse, il libero mercato non riesce a conseguire
allocazioni ottimali, efficienti in termini di benessere collettivo
17
. Le
argomentazioni intorno al concetto di ottimo paretiano, evidenziano, infatti,
l’esistenza di frizioni nel mercato che spingono verso posizioni di
disequilibrio nelle condizioni economiche e sociali tra i singoli membri della
comunità, a cui si può far fronte in qualche misura mediante l’intervento
pubblico nell’esercizio di funzioni regolatrici o di gestione diretta
18
. Inoltre,
strettamente avvinta alla dottrina economica descrittiva di market failure, è
la teoria della distribuzione del reddito, che trova una sua rilevanza empirica
anche nel contesto dei servizi pubblici, dato che le amministrazioni
pubbliche, centrali e locali, ne fanno uso strumentale al perseguimento di
finalità redistributive della ricchezza e di ridimensionamento delle
disuguaglianze esistenti.
In maniera perfettamente lineare rispetto alle esigenze assistenziali o
di welfare predominanti anche in molti paesi ad economia capitalistica tra i
quali il nostro, le teorie economiche in primis, sostenute da tendenze
politiche ad esse coerenti, e supportate nella loro traduzione pratica dalle
discipline giuridiche, hanno nel corso degli anni attribuito ai servizi pubblici
il compito di assicurare ritorni di socialità dalla loro erogazione, fino al
punto di associare in maniera indissolubile, legandoli ad una relazione
biunivoca, i due concetti di «sociale» e «servizio pubblico».
17
Riguardo ai contributi degli economisti sui concetti che si richiamano, si vedano, a titolo
esemplificativo: A. Petretto, Manuale di Economia Pubblica, Il Mulino, Bologna, 1989; S.
Zamagni, Economia Politica, La nuova Italia scientifica, Roma, 1987; R.A.Musgrave,
Finanza Pubblica, equità, democrazia, Il Mulino, Bologna 1995; J.M. Buchanan,
L’Economia pubblica. Domanda ed offerta di beni pubblici, FrancoAngeli, Milano, 1969;
F. Bulckaen, Beni Pubblici, Giappichelli, Torino, 1994; F. Delbono, S. Zamagni, Lezioni di
Microeconomia, Il Mulino, Bologna.
18
Talune attività sono di fatto, per motivazioni diverse, precluse alla gestione dei privati,
anche se non per la loro natura antieconomica, si pensi ai servizi resi dall’esercito, o alla
polizia, che motivazioni sociali impongono in mano pubblica