2
Risulta quindi opportuno, seppur in maniera superficiale, proporre una rilettura di alcuni
istituti giuridici e delle regole di diritto internazionale contemporaneo per vagliarne
l’adeguatezza rispetto alla situazione mondiale e in misura particolare al continente
Africano.
Questa rilettura verrà fatta attraverso un particolare segmento della normativa di diritto
internazionale, quella riguardante la tutela della persona umana.
Quello dei diritti umani, infatti, va considerato un settore portante e con un ruolo
inequivocabilmente strategico nel contesto delle relazioni e del diritto internazionale.
E’ questo settore che vede delinearsi nuovi orizzonti.
In particolare l’incremento consolidato della produzione normativa in materia, un
maggior controllo esercitato da meccanismi che operano al di sopra degli ordinamenti
statali per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, una rinnovata coscienza del
valore della persona umana dei suoi diritti intorno ai quali si tenta si far convergere un
consenso sempre più deciso delle diverse componenti e membri della Comunità
internazionale.
C’è un elemento, infatti, che rischia particolarmente di indebolire alla base la
convivenza internazionale, come pure quelle azioni o attività rivolte a costruire le basi
di un “nuovo” ordine mondiale: il mancato rispetto o la negazione dei diritti
fondamentali della persona e dei Popoli.
E questo proprio mentre si acutizza un conflitto non nuovo, ma mai affrontato in chiave
risolutiva, che vede contrapposti il Nord e il Sud del mondo, intorno alle realtà
alternative della povertà e dello sviluppo, inteso quest’ultimo nella sua integrale visione
e globalità di elementi.
In particolare la sfida con cui il “nuovo” ordine mondiale incombe sul futuro dei diritti
umani è rappresentata da un numero crescente di Paesi, Popoli e gruppi con proprie
culture ed identità, portatori di concezioni alternative e spesso antitetiche rispetto a
quelle definitesi nel contesto internazionale a partire dalla Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo adottata dall’ONU il 10 dicembre 1948.
A partire da questo documento e dalle successive produzioni normative di carattere
internazionale, approfondiremo in particolar modo la vicenda del continente Africano
nella tutela dei diritti fondamentali all’interno del nuovo ordine mondiale.
In particolare ci soffermeremo sul cosiddetto diritto allo sviluppo e la sua prospettiva di
sopravvivenza.
3
CAPITOLO 1
LE POSIZIONI UFFICIALI
1. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Il 10 Dicembre 1948, l’Organizzazione delle Nazioni Unite adotta la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo, atto che a prima lettura appare come naturale
conclusione di un ampio dibattito emerso in sede ONU, ma che certamente è stato
preceduto e connesso ad una più ampia riflessione svolta a livello mondiale sui diritti
umani e sul valore della dignità umana ignorata, anche in modo drammatico negli
accadimenti della seconda guerra mondiale.
E’ in tal senso rilevante accennare alcuni riferimenti essenziali antecedenti la
Dichiarazione, legati a momenti di particolare significato per la storia del mondo e delle
relazioni internazionali del secolo scorso. Come il messaggio del Presidente degli Stati
Uniti, F. Roosevelt al Congresso Americano il 6 gennaio 1941 con la proclamazione
delle “quattro libertà”: di parola e pensiero, di religione, dal bisogno, dalla paura,
ritenute i presupposti del nuovo ordine post-bellico da realizzare nei singoli Paesi
2
.
Oppure il Radiomessaggio del Natale 1942 del Papa Pio XII contenente l’auspicio di
vedere riconosciuti in un nuovo assetto mondiale alcuni diritti fondamentali della
persona, quali il diritto alla vita, alla formazione ed educazione religiosa, al matrimonio,
alla famiglia, al lavoro, all’uso comune dei beni materiali
3
.
Per quel che riguarda l’ONU le radici del dibattito sono da ricercare già nella fase
istitutiva della Organizzazione e, quindi, nella formulazione dei principi posti a
fondamento della Carta delle Nazioni Unite che collocano la tematica dei diritti umani
tra le finalità essenziali che la nuova istituzione mondiale intende perseguire.
L’enunciazione di apertura del Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo sostiene che: «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della
famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della
libertà, della giustizia e della pace nel mondo»
4
. L’immagine offerta è quella di una
nuova considerazione e collocazione della persona nell’ambito internazionale, che
2
Si veda V. Buonuomo op. cit. supra a nt. 1 p. 13.
3
Relativamente a questa riflessine del magistero della Chiesa si veda: P. Pavan “La società a servizio
della persona”, Roma 1950, pp. 195-214.
4
Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
4
necessariamente si riflette nei più generali rapporti all’interno della famiglia umana
universale
5
.
E’ la persona, la sua dignità, i suoi diritti che vengono considerati da un atto
internazionalmente rilevante qual è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e
quindi diviene oggetto di attenzione da parte di disposizioni dello stesso ordinamento
internazionale, fino ad allora poco incline ad ammettere la persona come vero
“protagonista”.
Per la prima volta la comunità internazionale si è assunta la responsabilità della tutela e
della promozione di specifici diritti, posti alla base di ogni convivenza.
Così, dall’esperienza della violenza fatta ai diritti dei singoli e dei popoli interi nella
seconda guerra mondiale, poté scaturire una forte e inaudita affermazione della dignità
inviolabile dell’uomo.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo godette subito di grande autorità
morale, influendo sul lavoro dell’ONU e ispirando trattati internazionali, costituzioni e
leggi interne dei singoli Stati, e contribuendo il maniera decisiva all’evoluzione del
diritto internazionale contemporaneo.
Fu il primo passo verso la realizzazione della Carta internazionale dei Diritti Umani,
attraverso i due accordi internazionali adottati, all’unanimità, dall’ONU il 16 dicembre
1966: il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e il Patto
internazionale sui diritti civili e politici.
Come disse il Nobel per la pace René Cassin
6
, uno dei padri della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani, la Dichiarazione stessa era la pala centrale di un trittico ai
cui lati dovevano stare i due Patti internazionali.
Non c’è dubbio che, per quanto l’idea generale e la terminologia della Dichiarazione
Universale riflettano momenti della storia del pensiero e delle istituzioni politiche
dell’Occidente, essa non è riducibile a un’espressione di una cultura particolare.
L’autentica universalità della Dichiarazione, nonostante l’inevitabile forma storica
limitata del suo linguaggio, consiste nella sua capacità di riflettere istanze fondamentali,
riscontrabili in ogni cultura del nord e del sud e nella grandi tradizioni religiose,
d’Oriente e d’Occidente, istanze riconducibili all’esigenza di un rispetto e di uno
sviluppo integrale della persona.
5
Questo concetto di famiglia umana è ripreso dalla visione cristiana ed è uno dei presupposti della
visione del Magistero della Chiesa quanto alle relazioni internazionali.
6
René Samuel Cassin (October 5, 1887-1976) nel 1968 premio Nobel per la Pace, presidente della Corte
Europea dei diritti Umani.
5
Essa è il punto di incontro e di raccordo di concezioni diverse dell'uomo e della società,
una specie di decalogo per cinque miliardi di individui, che ha avuto il merito di
formulare un concetto unitario e universalmente valido di valori che dovevano essere
difesi da tutti gli stati nei loro ordinamenti interni.
Questa universalità trova la sua verifica nella progressiva ricezione, nella legislazione di
Paesi di ogni parte del mondo, della Dichiarazione e dei Patti del 1966 e trova
conferma nella positiva constatazione che il tema dei diritti umani sta assumendo un
ruolo importante nella stessa politica internazionale, nei rapporti tra Stati che in altri
momenti non ne riconoscevano la centralità o ne davano un’interpretazione diversa.
Lungi dall’essere un documento del passato, la Dichiarazione è universale anche nel
tempo: essa può proiettare la sua luce nel futuro di un’umanità in cui lo scambio, ma
anche lo scontro tra culture, continua ad essere sempre più frequente.
Se i conflitti, purtroppo, continueranno a moltiplicarsi dobbiamo prevedere al tempo
stesso la sempre maggiore attualità dei valori di tolleranza, di uguaglianza nella
diversità contenuti nella Dichiarazione.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo riconosce due tipi di diritti: i diritti
civili e politici, gradualmente affermatisi attraverso la storia del pensiero e delle
istituzioni democratiche, e i diritti economici, sociali e culturali, la cui importanza è
stata riconosciuta più di recente, nel momento in cui ci si rese conto che, senza
l’affermazione reale di questi ultimi, il godimento dei diritti civili e politici rimaneva
puramente formale.
Nella concezione della Dichiarazione Universale i due tipi di diritti, pur ricevendo
trattazione separata, sono interdipendenti e indivisibili.
Nella Dichiarazione vi è una predominanza di diritti civili e politici rispetto a quelli
economici, sociali e culturali. Tuttavia questi diritti sono egualmente importanti ed
indispensabili dato che se una delle colonne venisse a mancare, l’intero tempio
crollerebbe.
6
2. I patti e i meccanismi di controllo.
Dopo la stesura della Dichiarazione Universale, il passo successivo, avrebbe dovuto
essere l'elaborazione di un accordo giuridico internazionale, vincolante, che enunciasse
gli stessi diritti della Dichiarazione; questo almeno secondo le intenzioni della
Commissione sui Diritti dell'Uomo ma nel dibattito dell'Assemblea Generale prevalse la
volontà di dividere i diritti in due categorie, secondo la visione dei Paesi occidentali,
diritti civili e politici e diritti economico e sociali. L'Assemblea Generale quindi
incaricò la Commissione di elaborare due accordi distinti. Dopo ben 18 anni di lavoro e
contrasti le due convenzioni, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e
culturali e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, vennero approvati
dall'Assemblea Generale ed aperti alla ratifica nel 1966. Entrarono in vigore nel 1976.
Ci vollero infatti 10 anni perché 35 Paesi, il numero minimo per rendere effettivo il
trattato, ratificassero le due Convenzioni.
Al fine di tradurre i principi della Dichiarazione Universale in strumenti giuridicamente
vincolanti vennero adottate le due convenzioni sopra citate. In esse compare il diritto
all'autodeterminazione che non venne citato nella Dichiarazione Universale ed è
identico in entrambe le convenzioni:«Tutti i popoli hanno diritto all'autodeterminazione.
In virtù di tale diritto essi liberamente stabiliranno il loro assetto politico e liberamente
raggiungeranno il loro sviluppo economico sociale e culturale».
In nessuno di esse però
figura il diritto alla proprietà che pure appariva nella Dichiarazione Universale
7
, né il
diritto d'asilo o alla nazionalità. Il Patto relativo ai diritti civili e politici stabilisce anche
che i Paesi che fanno ricorso alla pena di morte ne limitino l'impiego ai crimini più
gravi.
Indubbiamente con l'adozione dei Patti trova consistenza l'idea di un corpus normativo
che sul piano dell'ordinamento internazionale è finalizzato alla tutela dei diritti
fondamentali, influenzando direttamente la condotta, la struttura e la legislazione degli
Stati. Un corpus nel quale i diversi strumenti tendono ad interagire fino a completarsi
reciprocamente ma soprattutto in cui le diverse norme formano un insieme coerente al
quale il principio dell'indivisibilità non permette una tutela o un'attuazione separata.
7
Art 17 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.