7
Quest’atto di singolare gravità si faceva in forma solenne dinanzi ai comizi
curiati3, presieduti dal pontefice massimo (successivamente rappresentati da
trenta littori).
L’adoptio in senso stretto si configurava come un negozio giuridico,
consistente in una vendita fittizia dell’adottando, sottoposto alla volontà del
suo pater familias, all’adottante che gli conferiva lo status di figlio o di
nipote.
Seguiva poi una fase giurisdizionale che si svolgeva davanti al magistrato,
cioè al pretore o in provincia davanti al governatore. Partecipavano all’atto
solo l’adottante e il pater familias dell’adottato, che non veniva neppure
interpellato perché la sua sorte era legata esclusivamente alla volontà del
pater.
Questo tipo di adozione, posteriore alla “legge delle XII tavole”, determinava
l’inserimento definitivo della nuova famiglia, salvo ad uscirne per
emancipazione o per adozione ad opera d’un terzo.
Ma già nell’età classica l’adozione viene considerata come una sorta di
filiazione artificiale, tanto da richiedere nell’adottante un’età maggiore
rispetto all’adottato, che si compie anche nell’interesse di quest’ultimo a cui
deve essere garantito un decoroso mantenimento.
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3
Branca G. , a cura di, voce “Adozione”, in Enciclopedia del Diritto, Ed. Giuffrè.
8
Nell’epoca post-classica e giustinianea questi principi si consolidano: nel
diritto giustinianeo l’adozione si compie davanti al giudice che registra le
volontà concordi del padre dell’adottato e di quest’ultimo, il cui silenzio ha
valore di assenso.
Con Giustiniano si distinguono due casi:
1) l’adoptio plena, che è quella fatta da un ascendente dell’adottato e non
differisce dall’adozione dei classici;
2) l’adoptio minus plena, in tutti gli altri casi : l’adottato resta nella famiglia
originaria e non cade sotto la podestà dell’adottante, ma acquista nei
riguardi di questa i diritti di successione ab intestato.
Nel diritto intermedio, sopravvive una forma di adozione simile all’adoptio
minus plena, che attribuisce semplicemente un’aspettativa successoria sui
beni dell’adottante. Essa si perfezionava con la redazione per iscritto, nella
quale ricorrevano tanto la forma epistolare che quella oggettiva, oltre alla
forma testamentaria. Scompare dunque la fase giurisdizionale.
Questo tipo di adozione – per chartulam – si diffuse anche presso i
Longobardi, che abbandonarono i loro riti tradizionali, adeguando l’istituto
dell’adozione germanica all’adozione romano-volgare, che era essenzialmente
un’adoptio in hereditatem, cioè un atto destinato a realizzare mediante
9
l’attribuzione dello status di figlio una chiamata alla successione ereditaria
dell’adottante.
Nell’epoca del diritto comune si riafferma la necessità dell’intervento di
un’autorità pubblica e si consolida la massima “adoptio naturam
imitatur”,cioè l’adoptio si fa a somiglianza della filiazione.
Nella pratica però l’istituto decadde e il diritto feudale contribuì a ridurre
ulteriormente la fortuna dell’adozione, escludendo dalla successione nei feudi,
nei fedecommessi e nei beni aviti dell’adottante, i figli adottivi, ai quali era
pure negata la successione nel diritto di nobiltà e allo stemma.
La scuola giusnaturalistica, in conformità ai principi che la ispiravano, si
rivelava ancor meno propensa all’istituto che sembrava destinato ad
estinguersi. Ma la rivoluzione francese, anziché abrogare, richiamò in vita
l’istituto dell’adozione, che era quasi del tutto scomparso perfino nella pratica
dei Paesi di diritto scritto.
Il Codice napoleonico tenne in vita l’adozione, forse più che altro per motivi
sentimentali, a conforto di chi non avesse avuto figli o li avesse perduti.
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1.2 L’adozione come surrogato della filiazione: la visione dell’istituto nel
codice del 1865 e del 1942
Nella sua configurazione tradizionale, impressale dalla codificazione
napoleonica del 1804 e largamente recepita dai codici che ne furono
influenzati, l’adozione venne concepita come uno strumento di natura
negoziale, produttivo di limitati effetti giuridici e idoneo ad assicurare la
continuazione del nome e la trasmissione del patrimonio a chi fosse privo di
prole naturale.4
Solo chi non aveva figli poteva quindi pensare di ricorrere all’adozione, ma
l’adottante non poteva avere meno di cinquant’anni e l’adottando non poteva
averne meno di diciotto. I giuristi definivano quell’adozione come un
"negozio giuridico bilaterale di diritto familiare", e i giudici un "accordo
privatistico" non molto dissimile da un normale contratto.5
Accanto all’adozione ordinaria se ne riconobbero anche due forme speciali:
la testamentaria e la remunerativa, consentita, quest’ultima, quale ricompensa
di un salvataggio compiuto in circostanze eccezionali.
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4
Davì A., a cura di, “Diritto comparato straniero”(V), in Enciclopedia Giuridica Treccani.
5
Fadiga L., “ L’adozione. Una famiglia per chi non ce l’ha”, Il Mulino, Bologna, 1999.
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Gli ex Stati italiani diedero all’adozione una disciplina che, ispirandosi a
quella del codice di Napoleone, non presentava diversità sostanziali quanto
agli effetti dell’adozione stessa e ai suoi requisiti.
Tali effetti si risolveranno principalmente nella trasmissione del nome, nel
diritto agli alimenti, nel diritto alla successione, senza però che l’adottato
entrasse nella famiglia dell’adottante e senza che acquistasse normalmente il
diritto a succederne nella nobiltà e nel titolo.
In questo indirizzo si mantenne il codice civile del 18656.
I principi della codificazione francese furono dunque sostanzialmente accolti
in Italia nel codice civile del 1865: l’adozione era soprattutto l’istituto
previsto per dare una continuità familiare e al pari del codice francese,
l’art.206 sanciva che “ il minore non può essere adottato se non ha compiuto
l’età di anni diciotto”. Il codice del 1865 è rimasto in vigore fino alla vigilia
della seconda guerra mondiale.
Nel 1942 fu promulgato il codice civile ancor oggi in vigore che,
disciplinando la cosiddetta adozione ordinaria, abolì il divieto di adottare i
minori di anni diciotto, permettendo quindi anche l’adozione di bambini.
Pur essendo dunque stati modificati alcuni termini nel regolamento della
materia, l’impostazione codicistica del ’42 ha sostanzialmente continuato a
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6
Vismara G., a cura di, voce “Adozione”, in Enciclopedia del Diritto.
12
considerare l’adozione come uno strumento atto a sopperire ad una mancata
filiazione, sempre su base essenzialmente volontaria come atto bilaterale (con
la sola differenza che il consenso dell’adottando minorenne doveva essere
dato in sua vece dal genitore), ma inserita nel sistema di un controllo
giudiziario della “convenienza” per il bambino.7
La disciplina codicistica dell’adozione non prevedeva alcuna interruzione dei
legami tra il bambino adottato e la sua famiglia d’origine, anzi, sia pure in
forma attenuata, sopravvivevano diritti e doveri reciproci, compreso l’obbligo
alimentare fra genitori naturali e figlio. E’ evidente dunque che la permanenza
di tal vincolo con la famiglia d’origine, privava il legame adottivo di una delle
componenti più vere e sentite di un rapporto di filiazione, cioè la caratteristica
dell’esclusività che è propria del legame fra genitori e figli.
Questo tipo d’adozione basato sul consenso delle parti e sugli schemi di
diritto privato entrò in crisi in Italia all’inizio degli anni ’60. La progressiva
attenzione per i problemi del minore e soprattutto lo spostamento
dell’interesse, prima focalizzato sulla tutela quasi esclusivamente
patrimoniale, ad una tutela soprattutto del minore come "persona", determinò
l’esigenza di creare un nuovo tipo d’adozione, che avesse come fine primario
quello di dare una famiglia al bambino che ne fosse privo e solo come fine
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7
Trabucchi A., a cura di, “Adozione in generale” (I), in Enciclopedia Giuridica Treccani.
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secondario quello di soddisfare il desiderio di un figlio da parte degli
adottanti.
La concezione negoziale sottesa alla vecchia adozione, cedeva il passo ad una
moderna concezione "assistenziale", a cui si erano già ispirati i Paesi che, per
varie ragioni storiche, avevano introdotto l’adozione nei loro ordinamenti
soltanto in epoche relativamente recenti, tra cui i Paesi di common law, i
Paesi nordici e gli Stati socialisti8.
Questo processo di sensibilizzazione verso la problematica minorile investì
tutti i Paesi europei che avevano regolamentato l’adozione ispirandosi alla
concezione tradizionale patrimoniale, in particolare Francia, Spagna,
Germania e Austria, determinando l’esigenza di un rinnovamento legislativo
nell’ambito dell’ordinamento giuridico. Tale rinnovamento si è attuato
attraverso due fasi: nella prima fase si è cercato di modificare la normativa
vigente attraverso una serie di interventi legislativi parziali volti ad eliminare
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8
L'Inghilterra introdusse l'adozione nel suo diritto con l'Adoption Act del 1926, e più o meno alla stessa
epoca risalgono le legislazioni degli altri Paesi del Commonwealth, tutte sostanzialmente ispirate alla legge
inglese.
Tra i caratteri essenziali dell'istituto, in questo gruppo di Paesi, possono indicarsi i seguenti:
l'adozione è riservata ai minori e deve aver luogo unicamente nel loro interesse;
si costituisce mediante provvedimento giudiziario;
interrompe i legami tra l'adottato e la famiglia d'origine, anche quando abbia luogo da parte di una persona
singola.
Nei Paesi del gruppo nordico, la disciplina dell'istituto si è indirizzata, fin dal momento della sua
introduzione, in senso familiare – assistenziale , avvenuta per lo meno in forma organica, soltanto dopo
l'inizio del secolo scorso.
Nei Paesi socialisti, nei primi anni successivi alla rivoluzione, il diritto sovietico si dimostrò decisamente
contrario all'adozione, che addirittura era vietata dal Codice di Famiglia del 1918.
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quegli aspetti della disciplina tradizionale, che in qualche modo potessero
ostacolare il raggiungimento di obiettivi di carattere socio-assistenziale; nella
seconda fase è stata introdotta l’adozione legittimante, che in sintesi
attribuisce all’adottato gli stessi diritti e doveri di un figlio legittimo e dispone
l’interruzione dei suoi rapporti personali con la famiglia d’origine.
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Il gran numero di orfani provocato dalla guerra civile, indusse ben presto a mutare tale atteggiamento e nel
1926, l'istituto riservato ai minori e volto all'esclusiva tutela dei loro interessi, fece la sua apparizione
ufficiale (vedi D’Avì A., a cura di, “Diritto comparato straniero” (V) , in Enciclopedia Giuridica Treccani).
15
1.3 Dalla concezione “patrimoniale” alla concezione “assistenziale”:
la legge 431/67 e l’adozione speciale
Nel nostro Paese, nella direzione indicata, fu emanata una legge di ampia
riforma dell’istituto, la L.431 del 5 giugno ’67, che da un lato operò delle
modifiche nella disciplina codicistica vigente e dall’altro introdusse, nel
Titolo VIII del libro I del codice civile, un capo III, contenente circa trenta
articoli, rubricato dell’adozione speciale. L’adozione ordinaria dunque,
venne a trovarsi in posizione alternativa con l’adozione speciale, forma legale
destinata agli abbandonati di età inferiore agli anni otto.
Gli interventi effettuati dalla L.431/67 sull’adozione ordinaria sono di
modesta entità: modificano il requisito dell’età dell’adottante (infatti il limite
si abbassa da cinquanta a trentacinque anni, e in circostanze eccezionali è
sufficiente che l’adottante abbia compiuto i trent’anni) e ammettono
l’adozione di più persone, anche con atti successivi.
L’introduzione dell’istituto "adozione speciale" costituisce invece senza
dubbio la vera innovazione della L.431/67: con essa si mira ad inserire il
minore in una famiglia e a tal scopo si richiede che gli adottanti siano una
coppia di coniugi uniti dal vincolo matrimoniale da almeno 5 anni; che la
sussistenza di tale vincolo non sia inficiata da una separazione personale e che
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le loro condizioni morali e materiali permettano di educare, istruire e
mantenere i minori.
L’età degli adottanti deve superare di almeno venti e di non più di
quarantacinque anni l’età dell’adottando, in modo da evitare perlomeno i
conflitti generazionali tra “figlio” e “genitori” adottivi. Per garantire poi
l’esclusività del rapporto tra genitori e figli che caratterizza la famiglia
biologica, la legge in esame tronca ogni rapporto e legame giuridico tra
l’adottando e la famiglia d’origine.
Il nuovo is tituto prevedeva un massiccio intervento dell’autorità giudiziaria
nella procedura che si articolava in tre fasi:
I ) accertamento della situazione di abbandono del minore e conseguente
decreto che dichiara lo stato di adottabilità;
II ) abbinamento, ossia scelta della coppia ritenuta più idonea ad adottare il
minore, e decreto di affidamento preadottivo;
III ) decreto di adozione.
In quest’ottica, la domanda di adozione più che domanda, diveniva “offerta di
disponibilità” ad accogliere come figlio un bambino abbandonato. La coppia
desiderosa di adottare non era più l’attore principale, ma una risorsa da
utilizzare in caso di bisogno.
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Il soggetto principale, il protagonista della procedura, diventava finalmente il
bambino. 9
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9
Fadiga L., ”L’Adozione. Una famiglia per chi non ce l’ha”, Il Mulino, Bologna, 1999.
18
1.4 La legge 184/83: l’introduzione dell’adozione internazionale
Dal punto di vista strettamente giuridico ben poco è cambiato nell’adozione
nazionale dal ’67 in poi. La successiva legge 184/83, che ha sostituito la legge
del ’67, ha essenzialmente ricalcato in grandissima parte la legge
sull’adozione speciale, apportando modifiche non sostanziali all’adozione
nazionale e ispirandosi allo stesso modello familiare (coppie di coniugi)
imposto dal legislatore del ’67.
Le vere novità della 184/83 sono costituite dall’istituto dell’affidamento
familiare, che si rivela un mezzo alternativo all’adozione, a cui ricorrere per
far fronte a situazioni di disagio temporaneo, e dalla regolamentazione
dell’istituto internazionale. La precedente disciplina di legge in ordine
all’adozione era quanto mai scarna. Le uniche norme a cui far riferimento
erano costituite dall’art.17 delle disposizioni preliminari del codice civile, per
il quale “Lo stato e la capacità delle persone e i rapporti di famiglia sono
regolati dalla legge dello Stato al quale esse appartengono e dall’art.20,
comma 2, delle stesse disposizioni per il quale i rapporti tra adottante e
adottato sono regolati dalla legge nazionale dell’adottante al tempo
dell’adozione”.