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I NTRODUZIONE Parlare di adolescenti è diventato un compito arduo, essendo materia così
inflazionata che si rischia di non essere particolarmente originali e di arenarsi
nel già sentito o, peggio ancora, nei luoghi comuni. Non è difficile, infatti,
imbattersi in studi più o meno autorevoli, progetti e iniziative che si
focalizzano sui teenager e su quel “periodo critico” che è la giovinezza, spiata
con interesse -quando non è morbosa curiosità-, ma mai compiutamente
compresa.
D’altro canto, si rivelano sempre più deboli i discorsi che descrivono “ l’età
dell’oro ” -evocativa espressione usata da Fabbrini e Melucci (2000) per
indicare l’adolescenza- meramente come una tappa obbligata verso
l’acquisizione definitiva dei tratti adulti, a conferma dell’idea per cui la
costellazione fenomenica che l’accompagna è molto più che una serie di
successivi accomodamenti rispetto alle attese sociali o ai dettami della cultura
d’appartenenza.
Alla luce di tali considerazioni, nel momento in cui è stato sviluppato il
progetto del presente lavoro, si è palesato il desiderio di cercare dei vertici di
lettura anche critici che guidassero la comprensione di questa delicata fase
dello sviluppo, fatto presente che in essa ogni movimento evolutivo ha la non
trascurabile funzione di contribuire alla futurizzazione del Sé e ogni
comportamento reca i segni dei modelli interiorizzati nell’infanzia. E poiché in
gioventù ogni atteggiamento può svelare i primi tratti di una personalità in
costruzione, ma può anche costituire un aspetto transitorio del proprio essere
10 - Introduzione -
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instabile, è emerso come il confine tra normalità e a-normalità sia così sottile
da richiedere parametri ad hoc per essere sondato.
Siamo giunti così a chiederci cosa significa essere un “adolescente
disagiato”, mettendo in discussione le definizioni che ne descrivono
atteggiamenti e malesseri come manifestazioni patologiche tout court.
Se è vero che l’innegabile urgenza dei casi di devianza giovanile, da un
lato, e le pressanti richieste interpretative rivolte agli esperti, dall’altro, danno
sempre più visibilità ai problemi delle nuove generazioni, in effetti non si può
sottovalutare la sbrigatività con cui spesso vengono formulare le ipotesi
esplicative, pregiudicando il lavoro profuso a sostegno di questi ragazzi. E’
allora che il concetto di “adolescenti in situazioni di disagio” si svuota fino a
diventare un’espressione pass par tout, utilizzata sommariamente per nominare
una gioventù incontrollabile e inconoscibile.
A sollevare i nostri maggiori dubbi, quindi, è la patologizzazione dei
“disagiati”, ciò che induce la famiglia, la scuola, il gruppo dei conoscenti e la
comunità a darsi pena per quel “povero” ragazzo, vittima indifesa, malato di
dis -adattamento: nello specifico, il frequente ricorso a rimedi farmacologici
che cancellano il sintomo o la predisposizione di interventi psicoterapici che
promettono di ridare senno al paziente -contribuendo al ripristino degli
equilibri eburnei del buon costume.
A fronte di ciò, si è riconosciuta la necessità di assorbire in primis un’idea
di adolescenza che è essa stessa in trasformazione -come il soggetto che è
chiamata a designare-, rimandando ora ad un individuo impacciato, timoroso,
spesso privo del proverbiale entusiasmo che dovrebbe sostenere la
combattività e il dinamismo delle nuove generazioni. D’altra parte, si osserva
che le spinte regressive di questi giovani “irrisolti” spesso hanno la meglio su
- Introduzione -
_____________ quelle progressive, inibendo i movimenti evolutivi che dovrebbero condurli ad
un’efficace separazione dalle gratificanti esperienze infantili.
Nel corso della trattazione, pertanto, si è cercato di esaminare la sensazione
di inadeguatezza che spegne sempre più gli slanci degli adolescenti e i motivi
che la sostengono: ne è emerso un quadro in cui si prolunga il più possibile la
propria adolescenza, evitando di fare i conti con le istanze della maturazione
-soprattutto sociale-, fino ai casi di quanti si arrendono e, incapaci di esistere
in un mondo in cui si sentono estranei, arrivano ad “autoescludersi”.
Il nostro lavoro ha preso le mosse da una breve disamina del concetto di
adolescenza: nel Capitolo Primo, infatti, si evidenziano i criteri usati più
comunemente per definirne contenuti e delimitazioni temporali, con
particolare riferimento alla prospettiva psicoanalitica. Quella che emerge è una
fase del ciclo di vita connotata -non meno delle altre- dalla transitorietà, ma
decisiva per lo sviluppo, in quanto gli intensi movimenti di
separazione/individuazione che l’attraversano dovrebbero portare il soggetto
ad un sano sconvolgimento dei modelli interiorizzati, e la temporanea
regressione agli stadi infantili consente all’individuo in fieri di pervenire a
nuovi e più congeniali riposizionamenti, contribuendo così alla formazione
dell’ identità .
Di qui si è passati ad analizzare il paradosso di adolescenze che si
perpetuano nell’immobilismo, dissipando il potenziale evolutivo insito nel
concetto di “crisi” e disattendendo la vocazione trasformativa che
caratterizzerebbe l’essere totipotente . Nel Capitolo Secondo, infatti, si è
riflettuto sulle possibili cause di questa diffusa abdicazione alla progettualità e
della rinuncia alla sperimentazione di sé che priva un’ampia percentuale di
giovani di un nutrimento essenziale per il loro processo di individuazione.
Attraverso la teoria della neotenia di Georges Lapassade, abbiamo tentato una
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12 - Introduzione -
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rilettura dell’indeterminatezza adolescenziale in termini evolutivi; salvo, poi,
riconoscere che a caratterizzare le nuove generazioni è una degenerazione
della teoria neotenica, là dove al costante slittamento in avanti
dell’adolescenza non si accompagna la capacità di essere produttivi, vitali e
continuamente innovativi.
In questo modo, ha preso forma il discorso sulle nuove declinazioni del
disagio giovanile , sviluppato nel Capitolo Terzo: dall’aggressività e dalla
ribellione del teenager sfidante, infatti, si è passati a quadri fenomenologici
che hanno molto in comune con la costellazione depressiva, fino a forme di
malessere che, sempre più spesso, assumono i contorni di una rivolta
silenziosa, veicolata da canali espressivi diversi a seconda dei contesti e delle
culture, ma consumata prevalentemente nell’interiorità e destinata all’auto-
sabotaggio. Si vedrà che lo scacco di quel Narciso che generalmente anima
l’adolescenza può diventare talmente inibente da scaturire nella castrazione di
ogni volontà: il fenomeno noto con il termine giapponese di Hikikomori
riassume i tratti di questo disagio. Se ne propone, pertanto, uno studio
dettagliato, che non manca di sottolinearne le correlazioni con le
caratteristiche socio-culturali dei Paesi in cui l’incidenza della sindrome è
vistosamente più alta.
Nel Capitolo Quarto, quindi, si mostra come l’approfondimento di queste
forme di dis -adattamento adolescenziale richieda un’attenta valutazione delle
responsabilità del contesto allargato e della diffusa mancanza di prospettive e
progetti, oltre che una riconsiderazione critica degli approcci che vedono
soltanto un problema localizzato nel singolo: ci siamo chiesti, infatti, quanto
influisca sul disorientamento giovanile la diffusa sterilità relazionale e la
difficoltà di rapportarsi con adulti che hanno smesso di essere validi punti di
- Introduzione -
_____________ riferimento, indipendentemente dai diversi tipi fenomenologici in cui
l’adolescenza problematica si traduce.
Se, infatti, i ragazzi mancano l’appuntamento con le loro cerimonie di
iniziazione, si deve ipotizzare che una certa influenza in questo senso vada
attribuita alla svilente e paralizzante condizione di precarietà che permea tutti
gli ambiti della quotidianità, e che rende assolutamente inattendibile il
principio di stabilità e sicurezza generalmente associato al concetto di
maturità. Certo, di fronte alla vorticosa provvisorietà che caratterizza la nostra
epoca o ai diktat del cambiamento continuo e della flessibilità a tutti i costi,
risuonano le parole di Mao Tze Dong, quando affermava “ Grande è la
confusione sotto il cielo, la situazione è dunque eccellente ”; ma per quanto il
rinnovamento costante potrebbe risultare a tutto vantaggio delle nuove
generazioni -tipicamente caratterizzate dallo stesso galoppante dinamismo-, di
fatto si deve fare i conti con una negazione della fruttuosa entropia
preconizzata dal leader cinese.
E sono gli stessi adolescenti a confermare che il deserto interiore che li
intorpidisce è spesso una risposta allo sfibrante squallore esterno. In uno dei
tanti blog che danno voce ai giovani internauti, ad esempio, si legge:
“ la gente... una massa di cialtroni che vive come un gregge di pecore…
tu ti sposi? anch’io; tu tradisci? anch’io. Non ci si pone più nessuna
domanda. [...] La normalità spesso è frutto del NON PENSIERO
COMUNE. Se pensi, o vieni escluso o ti escludi ”
(www.youkosoitalia.net/2009 ).
Nel Capitolo Quinto, allora, si auspica l’applicazione di interventi di tipo
psicosociale, in cui si persegua una presa in carico integrata, che oltre ai
ragazzi coinvolga sia i genitori che il più ampio ambiente di crescita
dell’adolescente. Al contempo, si rimarca la necessità di pensare strategie ad
hoc, che cerchino da un lato di garantire a questi adolescenti una funzione di
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contenimento -di grande utilità in questo momento di massima disgregazione
di sé-, dall’altro, di evitare la medicalizzazione del rapporto e, anzi, di
sostenere empaticamente i loro sforzi per il riconoscimento della propria
identità. In quest’ottica rientra anche la promozione di iniziative di
prevenzione, volte ad amplificare l’efficacia dei trattamenti individuali,
riducendo a monte il rischio di sperimentare condizioni disagianti. Così,
mentre nel contesto sociale si diffonde la consapevolezza di un problema che
non è mai soltanto del singolo, si cerca di riconsegnare al ragazzo la fiducia
nelle proprie risorse e la responsabilità del proprio sviluppo.
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C APITOLO PRIMO A DOLESCENZA , OVVERO TENTATIVI DI DEFINIZIONE L’adolescenza, dove l’identità appena abbozzata [...] si gioca nel divario drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna.
G ALIMBERTI U., 2007
Il titolo che introduce il presente lavoro ha volutamente un duplice rimando:
si potrebbe dire, infatti, che la definizione dell’adolescenza, sia per chi ne
osserva dal di fuori la fenomenologia -soprattutto per finalità scientifiche-, sia
per chi invece deve viverla in prima persona, è e resterà sempre provvisoria,
perché tale è l’essenza stessa dello sviluppo, e l’adolescenza è per
antonomasia l’età dello sviluppo. L’adolescente stesso è incapace di
configurarsi, confermando il suo essere in fieri , incompiuto, com’è incompiuto
il discorso su di lui.
Si potrebbe obiettare che si tratta pur sempre di una delle fasi del percorso
evolutivo della vita di un individuo e che, pertanto, è possibile attribuirle dei
precisi margini temporali; ma si vedrà che è proprio questo il fulcro della
16 - Capitolo Primo -
______________________________________ nostra discussione, laddove si constata oggi l’insostenibilità di quel principio
di “maturità” che stabilisce l’effettivo compimento del periodo di transizione.
E allora si osserva che parlare dell’adolescente o delle sue debolezze è
tutt’altro che scontato, quando sono incerti gli obiettivi cui tende la sua
iniziazione e i parametri che ne decretano il successo.
O forse è a monte che si deve riconoscere un vizio di forma: non è di lui che
bisogna parlare, ma con lui, cercando, da un lato, di prendere atto di quanto lo
sguardo dell’adulto o dell’esperto spesso sia fuorviato dal suo stesso essere su
un diverso piano di realtà e, dall’altro, di riattivare un importantissimo veicolo
di conoscenza reciproca, la comunicazione. Anche così si potrà “ favorire il
suo riconoscersi, e quindi la promozione dei suoi processi di separazione-
individuazione ” (Aliprandi, Pelanda e Senise, 1990, p. 13), perché sono queste
le sfide che, a nostro modo di vedere, sanciscono la transizione.
1.1 Un concetto dalla molteplici implicazioni In tutte le società sussiste la distinzione tra l’adulto e il bambino, nella
misura in cui il primo si caratterizza per l’esercizio della funzione sessuale e
del lavoro, mentre l’infanzia è segnata dall’immaturità sessuale e dalle attività
non produttive (Lapassade, 1963). Il passaggio dall’una all’altra macro-area
evolutiva, dunque, sarebbe subordinato all’adempimento di alcuni
“ developmental tasks ” -compiti di sviluppo-, come li ha definiti Havighurst
(1952). Sarebbe, tuttavia, inesatto guardare all’adolescenza solo in termini di
preparazione all’adultità, perché in essa sono in gioco tanto i progetti per il
futuro quanto le conquiste del passato, con tutte le implicazioni emotive che
questo comporta.
- Adolescenza, ovvero tentativi di definizione -
______________________________________ Il compito psico-sociale, specifico della fase evolutiva adolescenziale, è la
costruzione di un'identità separata, con la capacità di assumere e riprodurre dei
ruoli autonomi (Mahler, 1963). Si conviene, quindi, con Rousseau (1762)
1
che
si tratta di una “ seconda nascita ”, un momento in cui realizzare ed elaborare
decisivi riposizionamenti. Proprio come in una nascita, infatti, al concetto di
distacco si accompagna dialetticamente quello di “cambiamento”, inteso qui
nell’accezione che ne dà la lingua cinese, cioè come sinonimo di “opportunità”
(Corradini, 1990).
Spesso si usa paragonare l’adolescenza ad una tempesta, non solo in
riferimento ai turbamenti che ad essa si accompagnano, ma anche per gli
sconvolgimenti che questa comporta. Tuttavia, Coleman e Hendry (1980)
hanno precisato che attualmente si può parlare piuttosto di una mutazione di
ampio respiro, ma continua e distribuita in modo focale attorno alle diverse
componenti dei compiti evolutivi. Pertanto, è possibile sostenere con
Maggiolini e Charmet (2004) che “ se da una parte è giusto pensare al
cambiamento adolescenziale non come ad una rottura momentanea, ma come
ad un periodo continuo di transizione, dall’altra l’esito di questa
trasformazione resta una metamorfosi, un cambiamento qualitativo che
comporta una profonda discontinuità nell’idea di sé ” (p. 17).
E’ vero, altresì, che trattandosi di una seconda nascita, essa comporta degli
aspetti ulteriori rispetto al venire al mondo del neonato. Durkheim (1912), di
fatti, interpreta questa iniziazione come una “ scuola di morale sociale ”, grazie
alla quale “ l’uomo impara a dominarsi, a vincere se stesso [...] e a realizzare
dentro di sé la società ” (p. 346). Questo modo di pensare gli anni
adolescenziali implica, dunque, una sorta di progressivo fisiologico
1
J. J. Rousseau, nel suo romanzo pedagogico del 1762, Emilio o dell’educazione , con
l’espressione “ seconda nascita ” riusciva efficacemente a sintetizzare il potenziale innovativo
ed evolutivo di questo importante capitolo dell’esistenza umana.
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18 - Capitolo Primo -
______________________________________ adeguamento delle proprie strutture -fisiche, psichiche e morali- a quelle che
caratterizzano la propria cultura, per cui, come ha scritto Benedict (1959), si
rende necessario specificare quel peculiare significato di virilità rispetto al
quale, in un dato scenario sociale, si declina il rito dell’adolescenza.
Purché non si oscuri, quindi, l’importanza delle più note variabili universali
-biologiche e psicologiche- e, in particolare, le differenze di genere, così come
suggerisce la psicologia del ciclo di vita - life span psychology - (Maggiolini e
Charmet, 2004)
2
, non si può certo trascurare il contributo delle variabili
storiche -mercato del lavoro, formazione scolastica, ecc.- e di quelle legate alle
interazioni interpersonali -nella famiglia o nel gruppo dei coetanei- nel
determinare il volto dell’adolescenza in un dato contesto culturale.
1.1.1 Un accenno al passato Nel manuale di Maggiolini (2004), curato da Pietropolli Charmet, si
descrive puntualmente l’evoluzione storica della nozione di “adolescenza”, sin
dai tempi dell’antica Roma, dove “ si era puer fino a 15 anni e l’adulescentia
andava dai 15 ai 30 anni ” (p. 13): in particolare per i maschi, l’assunzione
della toga virile candida coincideva con l’inizio di una sorta di tirocinio, in cui
apprendevano le principali conoscenze relative alla vita adulta -dominata dalla
carriera militare, la cui scalata scandiva anche le tappe dello sviluppo dei
giovani (Fraschetti, 1994). Com’è evidente, la definizione dell’identità
personale era subordinata all’acquisizione di un preciso status all’interno di
una rigorosa struttura sociale, sebbene questo significasse pensare gli
adolescenti in funzione degli uomini che sarebbero stati, trascurando le
2
Per questo sembra riduttivo parlare di pubertà, piuttosto che di adolescenza: si correrebbe il
rischio di ricondurre le complesse vicende psichiche di questo intenso momento evolutivo ad
un epifenomeno delle trasformazioni somatiche e fisiologiche che lo sviluppo puberale
determina (Maggiolini e Charmet, 2004).