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durante l’adolescenza l’adeguamento alla cultura dei pari e scemi solo
all’avvicinarsi dell’età adulta, una volta l’individuo ha più saldamente stabilito
il suo senso di identità personale [Berndt, 1979]. Nel gruppo, l’adolescente, si
rispecchia nei coetanei e “si rinforza” attraverso l’identificazione con gli altri
membri, grazie anche al forte senso di appartenenza ed ai livelli elevati di
coesione interna che caratterizzano il gruppo stesso.
Nel secondo capitolo, l’attenzione è posta sul rischio e i suoi fattori nel
contesto gruppale, in quanto l’adolescente fa cose pericolose insieme ai pari,
perché il gruppo chi chiede prove di coraggio e di forza. Il rischio, assume
importanti funzioni nel gruppo dei pari quali: favorire la comunicazione e la
condivisione di azioni ed emozioni e fungere da rito di legame e di passaggio.
Nel terzo capitolo sono delineati i principali comportamenti a rischio che
possono favorire l’insorgenza di situazioni di disagio; viene analizzato il
contesto gruppale che rappresenta una delle aree di possibile sperimentazione
di condotte “al limite”, infatti, è possibile l’assunzione di comportamenti a
rischio e condotte trasgressive all’interno del gruppo. Tra gli adolescenti si
registra un aumento di fenomeni socialmente preoccupanti quali l’uso di
tabacco, l’assunzione di alcol e droghe, le pratiche sessuali precoci, disordini
alimentari e gioco d’azzardo. L’adolescente, infatti, ricerca le sensazioni forti
in quanto vuole mettersi alla prova dal punto di vista fisico ed emotivo; vuole
mettersi in gioco. Due fattori che caratterizzano i comportamenti a rischio negli
adolescenti sono la pericolosità e l’influenza dei pari. Le attività più diffuse
(come il bere alcolici) sono valutate meno pericolose e viceversa le attività
compiute con minor frequenza (uso di sostanze stupefacenti) sono quelle
giudicate più pericolose. Il gruppo dei pari, riveste il ruolo importante
nell’orientare le scelte del singolo verso i comportamenti a rischio. Se il gruppo
condivide un orientamento favorevole nei confronti di questa attività sarà
indotto ad adottarle. Per esempio nel caso dell’assunzione di droghe, come
sostiene Palmonari [1997], l’adolescente non prova una sostanza perché si è
trovato in una situazione particolare e facilitante, o perché il caso lo ha valuto.
Perché ciò accada è necessario che egli abbia preliminarmente elaborato un
orientamento favorevole che consideri questa eventualità piacevole,
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rispondente ai suoi bisogni ed aspettative, quali la riduzione dell’ansia e
dell’incertezza, la ricerca di nuove emozioni e il tentativo di migliorare
l’immagine di sé. L’immagine della droga e dei suoi effetti è il risultato di
un’elaborazione che il soggetto compie nell’ambito delle relazioni con il
proprio ambiente di vita: è dunque il contesto (pari) a contribuire a creare
questo orientamento favorevole. I gruppi di adolescenti in cui questo è
presente, favoriscono un primo contatto con la droga.
Il gruppo influenza attività quali il bere, fumare sigarette o spinelli.
Palmonari [1997] sostiene che gli adolescenti maschi che fanno la prima
esperienza con l’hashish e la marijuana, sono stati indotti dal gruppo in cui tale
condotta è valorizzata. L’autore ritiene inoltre che vi siano delle età a rischio
per l’iniziazione a determinate sostanze: le droghe sopra citate sono correlate ai
15-17 anni.
Diversi autori sostengono che l’influenza dei coetanei sia un fattore
determinante nell’assunzione di altri comportamenti rischiosi: Maxwell [2000]
analizza l’influenza rispetto all’uso di alcol, Collins e Harpar [1985] rispetto al
comportamento sessuale, Bauman ed Ennett [1996] rispetto al fumo di
sigarette, Galambos e Silbereisen [1997] nei confronti dell’uso di droghe
illegali ed Silbereisen e Kracke [1997] per quanto riguarda i disturbi alimentari.
Nel quarto capitolo viene illustrata la ricerca-intervento “A che gioco
giochiamo?” promossa dal C.e.i.s (Centro di Solidarietà di Pescara) in
collaborazione con la Cattedra di Psicologia Clinica (Prof. M. Fulcheri),
Facoltà di Psicologia dell’ Università “G. d’Annunzio” di Chieti ed il
Dipartimento di Psicologia, Università “La Sapienza” di Roma che ha
coinvolto 4 istituti superiori di Pescara (il campione è composto da 495
studenti, di cui 204 maschi e 280 femmine, di età compresa fra i 14 e i 19 anni)
con la finalità di rilevare comportamenti e atteggiamenti assunti dagli
adolescenti nei confronti delle principali forme di dipendenza.
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Capitolo 1
L’ADOLESCENTE E IL GRUPPO DEI PARI
“I giovani sono amanti degli amici e dei compagni più
che nelle altre età, poiché godono della vita in comune e non giudicano
ancora nulla secondo il loro interesse e neppure, quindi, i loro amici”
(Aristotele).
Durante l’adolescenza cresce il bisogno di ridefinire la relazione con
alcune entità sociali significative, la famiglia, e di intensificare il rapporto con
altre entità sociali, in particolar modo i coetanei.
La ricerca psicologica ha evidenziato il ruolo fondamentale delle
interazioni con i coetanei durante l’intero ciclo della vita e, in particolare,
durante i periodi di transizione. Nella nostra società, il gruppo dei pari assume,
durante l’adolescenza, un’importanza particolare in corrispondenza dei primi
tentativi di emancipazione dalla famiglia. Durante questo periodo, il ragazzo
avverte il bisogno di intensificare il rapporto con i coetanei; inevitabilmente
comincia a vivere meno in famiglia, man mano che lo sviluppo sessuale ed
emotivo lo porta ad un coinvolgimento più profondo nella vita di gruppo. Il
bisogno di entrare in nuovi gruppi è più intenso in adolescenza, dal momento
che la necessità di allontanarsi emotivamente dai propri genitori e fratelli è più
forte che in qualsiasi altro periodo della vita.
La soddisfazione nelle relazioni con i coetanei è importante per
promuovere uno sviluppo dagli esiti positivi, nell’incremento del benessere e
nella riduzione del malessere psicologico [Coleman, 1980; Hartup, 1993].
I coetanei rappresentano un riferimento normativo e comparativo
importante [Engel e Hurrelman 1989]; le relazioni con i pari offrono
all’adolescente molteplici opportunità per conoscere le strategie che gli altri
usano per affrontare i problemi simili a quelli in cui il soggetto si sente
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impegnato in prima persona e per osservare quali effetti sono in grado di
produrre. Il rapporto e il confronto con i pari permette all’adolescente di
esplorare nuovi spazi e di valutare in modo autonomo, al di là del controllo
degli adulti, il proprio comportamento e le proprie scelte [Youniss e Smollar
1989].
Il rapporto con i coetanei rappresenta un’esperienza significativa che
accompagna tutto il processo di crescita, ma le modalità di stare insieme si
modificano nel corso dello sviluppo in relazione a fattori sia di ordine
personale che di contesto [Dunphy 1963; Newman 1979; Brown, Eicher e
Petrie 1986].
Fin da tenera età, i pari sembrano costituire un oggetto di interesse per i
bambini. In uno studio su bambini di 12-18 mesi, due coppie madre-bambino
che non si erano mai precedentemente incontrate furono condotte in una stanza
di giochi. Scopo dell’indagine era osservare con quali persone i bambini
avrebbero avuto un contatto fisico e a chi avrebbero rivolto lo sguardo. I
bambini toccavano molto le proprie madri (e dunque rimanevano vicino a loro,
così come prevede la teoria dell’attaccamento). Tuttavia, essi rivolgevano la
maggior parte degli sguardi al coetaneo, che chiaramente rappresentava un
oggetto di interesse [Lewis 1975]. Le interazioni tra bambini al di sotto dei due
anni sono state spesso studiate tramite videoregistrazioni. Si tratta di una
modalità molto utile, poiché a questa età le interazioni tra pari sono brevi e
difficili da cogliere. Spesso constano di un solo sguardo o sorriso, oppure si
esauriscono nel mostrare un giocattolo o nel far confusione. Bambini di due
anni possono ad esempio mettere in atto tali comportamenti verso un coetaneo
una volta al minuto e per una durata di pochi secondi [Muller e Brenner, 1977].
Questo basso livello di interazioni con i pari è probabilmente dovuto al fatto
che i bambini non hanno ancora molta dimestichezza con le capacità di
interazione sociale: non sanno quali siano i comportamenti appropriati alle
varie situazioni, non riescono a prevedere le risposte del partner, non sanno
aspettare il proprio turno. Al bambino sono necessari 2 o 3 anni per diventare
realmente competente con i pari. E’ ormai certo che l’esperienza precoce della
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frequentazione dei pari (ad esempio negli asili nido) può aiutare molto a
sviluppare queste abilità [Muller e Brenner, 1977; Rubin, 1980].
Ci sono anche prove empiriche del fatto che bambini con un attaccamento
sicuro alla madre hanno più fiducia in se stessi, sono più interessati agli oggetti
e ai pari e maggiormente capaci di stringere nuove relazioni sociali nel giro di
un anno [Bretherton e Waters, 1985]. D’altro canto, i bambini al di sotto dei
due anni posseggono alcune capacità che facilitano l’interazione con i coetanei,
una è l’imitazione. In una ricerca francese [Nadel-Brulfert e Baudonnière,
1992], alcuni bambini di 2 anni furono portati in una stanza in cui si trovavano
coppie di giocattoli identici. Quando un bambino ne afferrava uno, spesso un
altro si impadroniva del giocattolo uguale. Questi comportamenti di imitazione
hanno una ben precisa funzione sociale, perché aiutano i bambini ad entrare in
comunicazione e ad instaurare interazioni ludiche.
Un altro studio condotto in Francia [Tremblay-Leveau e Nadel, 1996]
evidenziò delle differenze tra le capacità sociali possedute a 11 mesi e quelle
padroneggiate a 23 mesi. I ricercatori formarono dei gruppi costituiti da due
bambini provenienti dallo stesso asilo e da uno sperimentatore a loro familiare
e poi osservarono i bambini mentre giocavano, prima da soli (situazione
“diadica”) e poi in presenza dello sperimentatore (situazione “triadica”). Si
constatò, in primo luogo, che anche i soggetti più piccoli, entro certi limiti,
erano in grado di rispettare i turni. Ma le osservazioni più interessanti furono
raccolte quando uno dei due bambini era temporaneamente escluso
dall’interazione tra adulto e il coetaneo. In circostanze del genere, il bambino
ricercava il contatto con il pari, magari provando ad attirare la sua attenzione o
interponendosi tra questi e lo sperimentatore, oppure ancora sorridendo e
nominando ad alta voce il giocattolo che aveva in mano o un altro giocattolo. A
11 mesi, i tentativi di interazione con il coetaneo erano 5 volte più frequenti in
tali contesti di “esclusione”, mentre a 23 mesi erano addirittura 8 volte più
frequenti. A parere degli autori della ricerca, avremmo a che fare con un primo
barlume di consapevolezza della propria posizione sociale e con un energico
tentativo di evitare l’isolamento. Si noterebbero inoltre i primi segnali di
attenzione nei confronti degli altri e, forse, una qualche coscienza dei propri
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stati mentali. Senza dubbio, nel periodo che va dai 2 ai 4 anni si verifica un
notevole incremento delle abilità di relazione con i pari. L’affinamento della
condotta sociale nei bambini in età prescolare è stato documentato da Mildred
Parten all’Institute of Child Development, nel Minnesota, alla fine degli anni
’80. La Parten osservò un gruppo di bambini di età compresa tra i 2 e i 4 anni.
Alcuni soggetti del campione non erano impegnati in alcuna attività, altri
osservavano le azioni dei compagni, altri ancora svolgevano attività che
potevano essere “solitarie”, “parallele”, “associative” o “cooperative”. Si parla
di attività parallela quando i bambini giocano in prossimità l’uno dell’altro, con
gli stessi materiali, ma senza interagire molto. L’attività associativa si ha
quando due o più bambini interagiscono in una medesima azione, facendo cose
simili. Con il termine di attività cooperativa si designano situazioni in cui i
bambini interagiscono in modi complementari. La Parten rivelò che, con
l’aumentare dell’età, i comportamenti di inerzia e le attività solitarie e parallele
diminuivano, mentre le attività associative e cooperative – le sole che
presupponevano costanti interazioni con i pari – aumentavano. La dimensione
dei gruppi tende ad aumentare nel corso dell’età prescolare e nei primi anni di
quella scolare; inizialmente si tratta di attività che coinvolgono da due o tre
bambini. Secondo i risultati di uno studio compiuto su più di 400 bambini
israeliani, l’attività di gruppo aumenta fino ad occupare il 57% del tempo
dedicato al gioco libero all’aperto, mentre l’attività parallela diminuisce fino a
circa il 6%; il numero dei gruppi che comprendono più di 5 bambini aumenta
dal 12% al 16% tra i 5 e i 6 anni [Hertz-Lazarowitz et al., 1981]. Negli anni
successivi la dimensione dei gruppi continua ad aumentare, in particolare per i
maschi, man mano che diventano più popolari i giochi di squadra come il
calcio [Eifermann, 1980].
Fra la fine dell’infanzia e i primi anni dell’adolescenza il rapporto amicale
si esprime principalmente attraverso una relazione diadica privilegiata (l’amico
o l’amica del cuore), formata da soggetti dello stesso sesso. Anche i rapporti
interpersonali più allargati (per esempio, all’interno della classe, nell’attività
sportiva, in gruppi organizzati) sono mediati spesso dal peso e dal significato di
questa relazione privilegiata. Nei confronti dell’amico/a, gli adolescenti si
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dimostrano molto esigenti, chiedendo fedeltà ed esclusività, aiuto e
comprensione.
Nella vicinanza rassicurante dell’amico/a cercano, una risposta al loro
bisogno di essere costantemente confermati e rassicurati rispetto a nuovi
comportamenti da adottare e a nuove esperienze da affrontare [Duck e Sants
1983].
Nel contesto culturale gli adolescenti, fin verso i 13-14 anni, stanno con i
loro coetanei sopratutto per fare delle cose; alta è la loro partecipazione
all’associazionismo (educativo, religioso, sportivo).
Negli ultimi anni della scuola dell’obbligo, oltre all’adesione a gruppi
organizzati con finalità socio educative, gli adolescenti sperimentano modalità
di aggregazione spontanea; intrattengono cioè rapporti interpersonali,
generalmente a piccoli nuclei, che si alimentano attraverso iniziative gestite al
di fuori dell’ingerenza adulta: può trattarsi di un’uscita domenicale al cinema,
di un giro in bicicletta, di un incontro in pizzeria o in gelateria. La
frequentazione parallela di contesti relazionali assai diversi fra loro per
obiettivi e per stili comunicativi (dal gruppo formale alle aggregazioni
spontanee) costituisce un fenomeno assai tipico della prima adolescenza, un
periodo che si configura prevalentemente come fase di esplorazione di
modalità diverse di stare con i coetanei [Pombeni 2002].
Le relazioni tendono a modificarsi nell’età della piena adolescenza: la
partecipazione ad esperienze aggregative di tipo organizzativo tende a calare in
corrispondenza dei primi anni della scuola superiore [Petter e Tessari 1990].
L’acquisizione di una maggiore autonomia negli spostamenti e la maggiore
difficoltà di controllo da parte della famiglia, l’ampliarsi delle relazioni con i
coetanei, il crescente bisogno di differenziarsi dalle indicazioni dei genitori e
l’insofferenza nei confronti di regole prestabilite sembrano essere alcuni dei
fattori che mettono in crisi la partecipazione a gruppi formali o associazioni di
tipo socio educativo.
Nella piena adolescenza il gruppo informale viene percepito da buona
parte degli interessati come modalità aggregativa più rispondente alle attese e
agli interessi del momento. Confermando le osservazioni degli Sherif [Sherif e
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Sherif 1965; Sherif 1984] e di Wilmott [1966] che avevano già descritto questo
fenomeno nelle aree urbane delle società industriali alla fine degli anni ’60,
alcune ricerche italiane [Baraldi 1988; Altieri 1988; Durando 1990; Palmonari,
Pombeni e Kirchler 1990] descrivono le relazioni interpersonali di gruppo
come modalità prioritaria di impiegare il tempo libero nella fascia 15-17 anni.
In letteratura [ Coleman e Hendry 1990] il termine gruppo dei pari viene
spesso utilizzato in senso generale per indicare complessivamente gli
adolescenti di una stessa fascia di età. All’interno della categoria sociale
gruppo dei pari è possibile individuare una pluralità di esperienze di gruppo
dalle caratteristiche e dai significati diversi fra loro. Una prima distinzione può
essere fatta fra gruppi formali e quelli informali o spontanei.