4
Introduzione
Il presente lavoro di ricerca nasce con l’obiettivo di indagare il tema del
cambiamento nel mondo adolescenziale, riferendosi all’evoluzione dalla
figura di Edipo a quella di Narciso, che si considera collegata
all’evoluzione delle due famiglie di riferimento, da quella “normativa”,
basata sulla regola e sul conflitto che ne deriva, a quella ”affettiva”,
basata su dialogo, pace e partecipazione paritaria (Charmet, 2008).
L’indagine si propone di rilevare gli aspetti relazionali dell’adolescente
(con le figure adulte di riferimento, con i pari), con un particolare
sguardo ai vissuti sperimentati con le figure genitoriali nella rete dei
rapporti familiari, e ad alcuni aspetti che caratterizzano l’adolescenza,
per poter approfondire e migliorare le riflessioni psicologiche intorno a
questa specifica fase di sviluppo.
Nel primo capitolo si introduce subito il tema del cambiamento, del
passaggio dall’una all’altra immagine dell’adolescente e della sua
famiglia, concentrandosi particolarmente sulle caratteristiche della
famiglia nuova, affettiva, luogo privilegiato di accudimento e protezione
(Charmet, Riva, 1995), in cui padre e madre sono d’accordo, mandano
gli stessi messaggi, anche se in modo differente (Charmet, 2001), e sono
“intercambiabili” nel rapporto coi figli (Charmet, Riva, 1995).
Per spiegare questa intercambiabilità si introduce la teoria dei codici
affettivi di Fornari (in Maggiolini, 1988): i codici affettivi sono sistemi
di valore che guidano gli uomini nelle relazioni interpersonali,come
copioni interni potenzialmente presenti in tutti gli individui (Maggiolini,
1988). Se in ogni persona sono simultaneamente presenti tutti codici
(materno, femminile, paterno, maschile, fraterno e del bambino
onnipotente), questo significa che sia nella madre che nel padre ognuno
di questi può essere attivo, in determinate circostanze; i codici sono
“intrecciati” sia nel maschio che nella femmina.
Nel secondo capitolo, definito il suddetto contesto di riferimento, ci si
propone di analizzare e approfondire quelli che sono i principali compiti
evolutivi dell’adolescente attuale, sintetizzabili in 3 aree (Palmonari,
2001):
5
1. compiti legati allo sviluppo fisico e sessuale e all'esperienza che di
tali aspetti viene fatta.
2. compiti legati allo sviluppo cognitivo e alle possibilità che
l'acquisizione del pensiero ipotetico-deduttivo consente rispetto
all'allargamento degli interessi personali e sociali.
3. compiti di sviluppo legati all'evoluzione identitaria in generale e
alla conseguente riorganizzazione del sé.
Ognuna di queste tre aree viene sviluppata e discussa nelle sue varie
componenti, tra le quali una emerge in modo particolare, e getta le basi
che delineano gli sviluppi successivi: l’individuo per tutto il ciclo di vita,
ma in particolare durante l’adolescenza, ha bisogno di conferma e
riconoscimento. L’adolescente ha necessità di vivere all’interno di
relazioni in cui sia confermato e riconosciuto da parte dell’Altro,
sentendo così di aver valore almeno per qualcuno (Taylor, 1998).
Gli attuali Narcisi, però, se da bambini erano attenti a non deludere le
aspettative dei genitori per timore di perderne la stima e l’affetto, da
adolescenti “sfidano” i genitori allo scopo di capire se essi accettino il
figlio per quello che è, e non per quello che desiderano che sia, in
un’appassionata ricerca di una nuova affermazione, che non avviene più
all’interno della famiglia ma al di fuori (Vegetti Finzi, 2000).
È dunque il gruppo dei pari che viene a sostituire una funzione
originariamente svolta dai genitori. L’adolescenza è un ponte tra
l’infanzia e l’età adulta, tra il familiare e l’estraneo (Charmet e
Maggiolini, 2004).
In questo contesto il corpo è descritto come uno strumento relazionale
perchè comunica, anzi è il primo veicolo attraverso il quale presentiamo
agli altri qualcosa di noi stessi (Charmet, 2004). Alla base della relazione
c’è proprio la comunicazione, in cui la corporeità assume una grande
importanza: il corpo non esprime solo intenzioni ma dice agli altri
qualcosa su di noi, sulle nostre emozioni, sulla nostra cultura e storia; è
come se il corpo parlasse suo malgrado e pertanto ogni comportamento è
sempre comunicazione. Il corpo rappresenta per l’adolescente un mezzo
6
di espressione simbolica della propria identità e dei conflitti relativi
(Charmet, 2004).
Proprio la discussione sul corpo relazionale fornisce uno spunto
introduttivo per un discorso più generale sulla comunicazione umana,
argomento del terzo capitolo, in tutte le forme che può assumere,
prendendo in considerazione sia quelle classiche, scritta e orale, che
quelle più estreme e “di impatto”, come le modificazioni corporee.
La domanda d’origine è relativa al perché le persone manifestano il
desiderio di comunicare, di narrare qualcosa di sé; da questa prende
forma una rassegna di ipotesi esplicative, relative:
- alla rielaborazione temporale (Bruner, 2005);
- al già menzionato riconoscimento sociale (Taylor, 1998; Charmet,
2009);
- all’evitamento della depressione causata dalla solitudine (Klein, 1969;
Bowlby, 1983; Mahler, 2005);
- alla memoria di sé (Capello, 2001; Demetrio, 1996);
Il quarto e ultimo capitolo si collega a quanto appena affermato,
riprendendo gli argomenti trattati nel terzo ed approfondendo a parte la
relazione fra lo sviluppo identitario e la narrazione di sé.
Fin da bambini, gli individui imparano a capire e modulare il proprio
mondo emozionale interno, per riuscire a sviluppare adeguati livelli di di
adattamento alle esigenze della crescita e della realtà (Bowlby,1988).
Nel corso dell’interazione col proprio ambiente costruiscono dei Modelli
Operativi Interni (MOI) del mondo fisico e sociale che li circonda
(Bowlby, 1983), che comprendono i Modelli Operativi di sé e delle
figure di accudimento o, ancor più precisamente, modelli di sé-con-
l’altro (Liotti, 2001), vale a dire modelli della relazione. I modelli
operativi interni, modelli non verbali, si formerebbero come risultato
della regolazione e modulazione affettiva nell’evoluzione dei processi di
attaccamento nel rapporto madre-bambino, e influenzerebbero il modo di
rappresentare se stessi attraverso la narrazione verbale (Bowlby,1988).
7
Attraverso le narrative si crea uno spazio potenziale in cui condividere i
turbamenti emotivi, elaborare insieme immagini e significati veicolati
da un linguaggio filtrato dalla nostra esperienza empatica. Creando e
raccontando storie si assegnano significati alla propria vita, ricostruendo
scenari passati e intravedendo strade future. Così facendo si osserva la
vita stessa da un’altra angolatura e si può comunicare questa visione agli
altri. La narrazione permette quindi di ricostruire e dare significato ad
alcuni aspetti di essa (Bruner, 1990; Smorti, 2007).
Questa ricerca di significato va di pari passo col tentativo di integrare
tutto in un Sé coerente. I contenuti veicolati dalle storie rinviano sia ad
un certo contesto relazionale e culturale, sia al mondo interno di chi
narra. Nel momento in cui la storia viene raccontata subisce una
rielaborazione, che permette una presa di coscienza dell’evento che si sta
trattando. Nel caso sia necessaria un’ulteriore riformulazione il narrante
sarà in grado di discriminare gli eventi importanti da quelli che non lo
sono (Pennebaker, 2001).
Durante l’adolescenza, in particolare, la capacità di narrare riveste un
ruolo centrale nella costruzione dell’immagine di Sé, di supporto ai
compiti evolutivi che i ragazzi sono chiamati ad assolvere (Maggiolini,
Charmet, 2004). La narrazione diviene fondamentale sia per dare
un’organizzazione al proprio mondo interiore, sia per imparare ad
attribuire significati all’esperienza umana.
Sulla base di tutte queste considerazioni prende forma l’ultima parte del
lavoro, che si concentra sulla ricerca vera e propria, basata sullo studio
empirico di un campione di adolescenti; il lavoro prende le mosse
proprio dal tentativo di dar voce ai ragazzi, nel tentativo di verificare
l’ipotizzato passaggio da Edipo a Narciso e dalla famiglia normativa a
quella affettiva.
8
Capitolo primo: L’adolescenza nell’era di Narciso: dalla famiglia
normativa alla famiglia affettiva
Quando si parla di adolescenza si fa un riferimento automatico al tema
del cambiamento, e in genere vi si pensa come a qualcosa di così
sconvolgente da aver spesso suggerito la metafora dell’adolescenza
stessa come ”tempesta”, come rottura o nuova nascita (Charmet,
Maggiolini, 2004). Le ricerche più recenti sul tema suggeriscono, però,
un’immagine nel complesso meno turbolenta di quanto siamo portati a
pensare, descrivendo una mutazione che ha sicuramente il carattere di un
cambiamento ampio, ma del quale si mette in risalto la continuità
piuttosto che la rottura, nel suo distribuirsi intorno alle diverse
componenti dei compiti evolutivi (Coleman, Hendry, 1990).
Una certa continuità dell’idea del sé caratterizza, infatti, gli adolescenti
contemporanei, che quindi non necessitano più di una vera e propria
rottura con la famiglia d’origine, come invece avveniva in passato: per
crescere, non è più indispensabile separarsi dalla madre e dall’attrazione
edipica che esercita, né sconfiggere il padre (Charmet, Maggiolini,
2004).
Per trovare le ragioni profonde di questa differenza rispetto al passato è
necessario addentrarsi nel mondo degli adolescenti attuali, facendo
principalmente riferimento al cambiamento “a monte”, quello relativo
alla famiglia d’origine, che ha introdotto nuove figure genitoriali e ha
modificato le relazioni tra i suoi componenti, dando vita al tramonto di
Edipo e alla nascita sociale di Narciso (Charmet, 2008).
1.1. Il passaggio dalla famiglia “normativa” alla famiglia“affettiva”
Quando si parla di un cambiamento nei sistemi di rappresentazione della
funzione genitoriale, e in particolare il passaggio dalla ‘famiglia
normativa’ alla ‘famiglia affettiva’, ci si riferisce ad un cambiamento
profondo, che riguarda gli scopi stessi della famiglia e le funzioni che le
vengono attribuite. Nel primo tipo di famiglia, che privilegiava il polo
normativo rispetto a quello affettivo, esistevano distinzioni di ruolo
9
precise, con rapporti formali tra genitori-figli: la gerarchia che
caratterizzava la famiglia, governata da un’autorità paterna ancora
solida, forniva agli adolescenti la motivazione a spostare precocemente
il loro interesse all’esterno, alla ricerca di un’indipendenza e di una
libertà sessuale che la famiglia del passato non consentiva: un “volgersi
altrove”, che spesso avveniva all’insegna della ribellione e dello scontro
generazionale (Charmet, Riva, 1995).
Il bambino era visto come polimorfo, colpevole, e la sua natura,
considerata espressione di aggressività e sessualità, doveva essere
dominata con le regole della cultura (Charmet,2001).
Analizzando il secondo tipo di famiglia, emerge invece il ruolo centrale
attribuito all’esperienza genitoriale, che diventa il perno della sua vita
affettiva. Il figlio voluto, scelto, diventa l’oggetto di un
superinvestimento da parte dei genitori (Charmet, Riva, 1995). Il
bambino è visto come una creatura innocente, un cucciolo buono; i
genitori lo idealizzano, non credono che sia nato all’ombra del peccato
originale, che sia tendenzialmente colpevole e che perciò debba essere
riscattato da regole e valori imposti, come non credono che debba
rinunciare alla soddisfazione dei suoi bisogni. Non progettano, in
sintesi, di farsi obbedire per paura dei castighi, né ritengono che
serviranno molte regole. Ci vorrà, piuttosto, molto amore: è così che
crescono i bambini, circondati da adulti che danno loro sicurezza, li
proteggono e li amano. I bambini crescono bene e sono contenti e buoni
se i genitori li capiscono, vogliono bene alla loro intrinseca natura e li
assecondano nei loro desideri, che reputano perfettamente sani e naturali
(Charmet, 2008).
È per questo motivo che il bisogno di regole diventa minore, mentre
aumenta il bisogno di costruire insieme con la parola, i pensieri, la
cultura. Oggi i genitori sono incoraggianti , capaci di individuare la
vocazione e le attitudini del figlio, al quale attribuiscono una “missione
speciale” di indole narcisistica ed un singolare ed esclusivo destino
(Charmet, 2008).