2oltre alla crescita di statura, anche l’aumento del volume del seno e la maturazione
dell’organo genitale riproduttivo, la comparsa della peluria pubica, ascellare e del
ciclo mestruale. Nel maschio se pur con un certo ritardo, si attua un processo
corrispondente che prevede l’aumento di statura e della massa muscolare, la
maturazione dell’organo genitale, l’acquisizione della capacità eiaculativa, la
comparsa della peluria pubica e ascellare e della barba a livello facciale. Il modello
biologico riconduce le manifestazioni dell’età adolescenziale ai mutamenti
fisiologici, somatici e sessuali tipici del passaggio dall’età infantile a quella adulta.
Tra gli autori classici che hanno utilizzato tale punto di vista per spiegare la
fenomenologia adolescenziale, si può ricordare Stanley Hall (1904) che ritenne di
potere spiegare la natura dell’adolescenza partendo dalle trasformazioni biologiche di
questa fase. L’adolescenza è l’età delle tempeste emotive, degli innamoramenti
irrazionali e degli odi ciechi, delle prese di posizione estremistiche, della fiducia
smisurata nelle proprie forze e della disperazione per i propri limiti, della voracità
intellettuale e sentimentale e della rinuncia romantica fino all’autodistruzione. Hall
considera i fenomeni che descrive come caratteristiche costanti dell’adolescenza,
determinate biologicamente e perciò indipendenti da variabili culturali e ambientali.
Si tratta di una concezione ormai ampiamente superata poiché viene attribuito
all’adolescenza carattere universalistico.
1.2 Il modello sociologico e antropologico
I modelli sociologico e antropologico, al contrario di quello biologico e fisiologico,
valorizzano il ruolo essenziale dell’ambiente circostante nell’evoluzione
dell’adolescenza e nella sua fenomenologia. Gli antropologi interpretano questo
ambiente come habitat culturale di appartenenza, mentre i sociologi hanno utilizzato
un concetto di ambiente inteso come ambiente sociale.
Fondamentali per sostenere la tesi che l’adolescenza non è un fenomeno universale
e omogeneo ma culturalmente specifico cioè dipendente dall’ambiente socio-
culturale di appartenenza, sono i lavori di Margaret Mead (1928) sviluppati in ambito
antropologico culturale. Le ricerche condotte dalla Mead presso una società così
detta primitiva dell’isola di Taw nell’arcipelago di Samoa nel Pacifico meridionale,
3hanno consentito di dimostrare che l’adolescenza è un prodotto della cultura presente
nella società in cui si vive e opera, non una concomitanza inevitabile della maturità
fisiologica. Essa, infatti, non esiste nella società samoiana, dove fin dalla tenera età i
bambini hanno un’educazione completa sulla sessualità, sulla nascita e sulla morte
che passa attraverso il rapporto quotidiano con tali fenomeni naturali: al momento
della pubertà i ragazzi e le ragazze assumono quasi tutte le forme di comportamento
adulto sia sul piano della vita sociale complessiva (lavoro, impegni reciproci, ruoli,
ecc.) sia sul piano sessuale, senza passare attraverso quella stagione di passaggio che
noi osserviamo nella civiltà occidentale.
Gli studi di Margaret Mead hanno aperto la strada a una serie amplissima di
ricerche che hanno dimostrato l’importanza del fattore culturale sulle specificità di
ogni processo adolescenziale. Nei lavori di Malinowski, Benedict, Kardiner e altri,
emerge la stretta dipendenza dei contenuti, della forma e della durata
dell’adolescenza dalla cultura entro la quale si situa. Si afferma per esempio una
correlazione tra natura dell’adolescenza e grado di complessità della società studiata:
più la società è complessa, più l’adolescenza è lunga e conflittuale.
L’approccio antropologico culturale ha studiato come nelle varie società la
fenomenologia adolescenziale varia, a diversi livelli. Relativamente alla durata: in
alcune culture africane per esempio il passaggio all’età adulta è determinato da riti di
passaggio che accelerano notevolmente il processo di nascita del soggetto sociale
adulto. Relativamente ai metodi adottati per la socializzazione dell’individuo: la
socializzazione può avvenire nel nucleo familiare di origine, oppure in altri nuclei
come per esempio quello di un parente, o in seno a istituzioni extrafamiliare (per
esempio ai margini della tribù con il compito di difenderla) o infine nel gruppo dei
pari.
I sociologi studiano l’adolescenza da un duplice punto di vista: quello di un
periodo di inserimento nella struttura sociale adulta e quello di un gruppo sociale con
delle caratteristiche socioculturali particolari.
41.3 Il modello psicosociale
La prospettiva psicosociale, integrando il punto di vista psicologico con quello
sociologico, considera il tema dell’adolescenza ragionando su tre livelli. In primo
luogo fornisce una definizione di adolescenza come processo universale che
caratterizza la transizione dall’infanzia alla vita adulta. In secondo luogo storicizza
questo processo in rapporto a cambiamenti di ordine politico-culturale, fra i quali
ricordiamo l’aumentata complessità della società contemporanea, il prolungamento
della scolarizzazione e il fenomeno della disoccupazione, la crisi di credibilità delle
istituzioni e la difficoltà crescente a investire nei confronti di un futuro che si
configura (almeno per alcuni aspetti come per esempio il lavoro) sempre più
destrutturato. In terzo luogo relativizza la dimensione universale e storica del
processo, considerandolo a livello di percorsi individuali che intrecciano variabili di
ordine personale (le risorse del singolo), ambientale (le appartenenze economico
culturali e relazionali (i sostegni sociali), originando diversi percorsi di crescita (Zani
B., Palmonari A.; 1996).
L’adolescenza è definita nella prospettiva psicosociale come fase di transizione tra
l’infanzia e l’età adulta e come periodo della vita in cui il soggetto è chiamato a
superare attivamente una serie di compiti di sviluppo attraverso l’acquisizione di
adeguate competenze. I compiti di sviluppo rappresentano degli eventi significativi
nel percorso di crescita, che costituiscono per il soggetto (indipendentemente
dall’esito del compito) una potenziale fonte di stress psicosociale dal momento che
ogni esperienza provoca nell’adolescente una disorganizzazione temporanea e
sviluppa un cambiamento al quale la persona deve adattarsi. Il superamento positivo
di un compito di sviluppo contribuisce a far sperimentare all’adolescente una
condizione di benessere psicologico che permette di ricavare indicazioni positive per
la costruzione della propria identità personale e sociale (Zani B., Palmonari A.;
1996).
Alcune variabili di ordine personale e sociale possono aumentare la capacità di far
fronte alle difficoltà connesse al percorso evolutivo o quantomeno attenuarne gli
effetti negativi. La percezione di essere all’altezza del compito da affrontare, cioè
una valutazione positiva circa la capacità di superare la situazione critica, rappresenta
5una prima risorsa per l’adolescente (Schunk, 1989). Tale fiducia, circa la propria
capacità di riuscita, cioè la percezione della propria Self- efficacy, si basa su una
autovalutazione le cui radici si ritrovano nell’esperienza concreta della sua storia
(Bandura, 1989) e viene rinforzata dal possesso di un locus of control interno, cioè
dal fatto di spiegare gli eventi come dipendenti dalla propria volontà. La percezione
di controllare l’ambiente che lo circonda e le diverse esperienze critiche che deve
affrontare, aiutano l’adolescente a ritenersi in grado di incidere positivamente
sull’andamento del proprio percorso di crescita.
L’adolescente che non si sente artefice della propria esperienza sviluppa
progressivamente un atteggiamento passivo che può indurre un orientamento
generale verso l’insuccesso. Tale atteggiamento è notevolmente influenzato dal tipo
di inferenze attribuzionali compiute dall’individuo sulla base dei risultati ottenuti in
precedenza, ancor prima che sull’esito reale del compito in questione. Cohen et al.
(1986) riprendono a questo proposito il concetto di learned helplessness, sostenendo
che si sviluppa una sorta di impotenza appresa quando l’adolescente si convince in
virtù di un susseguirsi di esperienze negative, che qualsiasi comportamento messo in
atto non permette di uscire dalla situazione critica in cui si trova. Il malessere tende
ad essere maggiore quando il soggetto possiede un locus of control polarizzato verso
l’interno che lo porta a ritenersi il principale artefice dei propri insuccessi. Secondo
questi autori, l’impotenza appresa si caratterizza come uno dei possibili risultati di un
coping inefficace, cioè di uno stile di fronteggiamento delle difficoltà che non ha
portato verso esiti positivi. Con il concetto di coping si possono spiegare le modalità
con cui vengono affrontati i compiti di sviluppo da parte dell’adolescente. Durante
l’adolescenza infatti non solo il soggetto sperimenta quali sono le strategie efficaci
per affrontare le difficoltà legate ai compiti di sviluppo, ma si forma quello che
Patterson e McCubbing (1987) definiscono lo stile di coping specifico del soggetto,
cioè propensioni generalizzate di comportamento di fronte a degli ostacoli,
indipendentemente dal contenuto del problema (Zani B., Palmonari A.; 1996).
61.4 Il modello cognitivo e educativo
Il punto di vista cognitivo sull’adolescenza si focalizza essenzialmente sui
mutamenti che coinvolgono i processi mentali riguardanti la cognizione e i sistemi di
rappresentazione. Non vi è dubbio che l’adolescente è coinvolto in una profonda
ristrutturazione dei propri apparati di acquisizione, trattamento, utilizzo della
conoscenza: cambiano i sistemi rappresentazionali, basti pensare ai profondi
rimaneggiamenti che coinvolgono la rappresentazione di Sé, del corpo, della
sessualità, del mondo degli adulti, dei valori, ecc. Anche le modalità di pensiero e di
ragionamento vanno incontro negli anni dell’adolescenza a profondi sconvolgimenti,
paragonabili a quelli che coinvolgono il corpo. Per questo motivo l’analisi dei
mutamenti che si realizzano nell’area del pensiero costituisce la prospettiva classica
nella descrizione dell’adolescenza nel modello cognitivo.
Piaget ha descritto la comparsa di una nuova forma di intelligenza durante questa
fase di vita, l’intelligenza operativa formale, le cui strutture entrano in funzione verso
i 12-13 anni.
Secondo Piaget fra i 7-8 e gli 11-12 anni si costituisce una logica delle azioni
reversibili grazie alla costruzione di un certo numero di strutture stabili nel tempo e
coerenti (impiegate in modo appropriato su contenuti diversi); tali strutture sono il
sistema di classificazione e ordinamento secondo criteri di seriazione, i numeri
naturali, le misure di lunghezze e superfici, le relazioni proiettive (prospettiva
spaziale), certi tipi generali di causalità fisica, le operazioni di conservazione
(Palmonari A., 1993). Queste operazioni sono pero “concrete”, nel senso che i
bambini ragionano ancora nei termini di oggetti concreti sui quali applicare tali
operazioni e non in termini di ipotesi che possono essere pensate prima per conoscere
se le operazioni sono vere o false, se cioè avranno effetto oppure no.
La nuova logica che si manifesta a partire dagli 11-12 anni si caratterizza come
capacità di ragionare nei termini di ipotesi formulate verbalmente e non più soltanto
sulla base di oggetti manipolati concretamente. Questa è una capacità cruciale in
quanto ragionare in termini ipotetici e dedurre conseguenze implicate nelle ipotesi
costituisce la modalità tipica e caratterizzante del pensiero formale. Con il pensiero
7ipotetico - deduttivo l’adolescente acquisisce la capacità di ragionamento astratto,
affrancandosi dal mondo reale e accedendo al mondo del possibile.
L’acquisizione della capacità di ragionamento astratto non risulta importante
soltanto in relazione ai compiti cognitivi più complessi che l’adolescente si appresta
ad affrontare, come per esempio l’apprendimento di nuove conoscenze e competenze
a scuola o l’adattamento nel mondo del lavoro, ma risulta importante anche rispetto
alla dinamica affettiva che caratterizza l’adolescenza: le perturbazioni affettive e
comportamentali spesso molto importanti che la pubertà provoca nei bambini affetti
da insufficienza mentale mostrano chiaramente quanto “l’intelligenza” nel senso più
estensivo del termine costituisca un dato necessario perché l’adolescente possa
assumere ed integrare le modificazioni somatiche, affettive e relazionali che si
verificano in lui e intorno a lui (Marcelli D., Braconnier A., 1999). Piaget pone come
condizione dell’emergere della capacità di ragionamento astratto la maturazione del
sistema nervoso, tanto da essere accusato da più parti di organicismo e di trascurare il
fattore sociale nello sviluppo cognitivo. Piaget rispose a queste critiche ipotizzando
una circolarità tra maturazione nervosa e apprendimento sociale nel costituirsi di
nuove strutture formali: la maturazione delle strutture nervose si limita a determinare
l’insieme delle possibilità e dei limiti caratteristici di un livello cognitivo dato ed un
certo ambiente sociale è indispensabile per l’attuazione di tali possibilità. Piaget
afferma quindi che la potenzialità umana di utilizzare il pensiero astratto deve essere
attuata grazie all’apprendimento sociale nella famiglia e a scuola.
1.5 Il modello psicoanalitico sull'adolescenza: autori e temi
Un altro orientamento di studi che si è affermato sull’adolescenza è quello che ne
ha approfondito le dinamiche alla luce della teoria psicoanalitica nelle sue varie
filiazioni, dal modello classico freudiano, al modello delle relazioni oggettuali, alla
psicoanalisi del Sé, ecc..
1.5.1 S.Freud: l’importanza delle trame pulsionali infantili
La ricerca di Sigmund Freud si è focalizzata principalmente sulla comprensione e
spiegazione delle vicissitudini dell’infanzia, periodo evolutivo fondamentale per
8comprendere la strutturazione psichica dell’individuo adulto. Tuttavia nella sua opera
non mancano contributi importanti per la comprensione delle problematiche della
fase adolescenziale di sviluppo.
In “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905), Freud afferma che la sessualità non
emerge come si è sempre creduto, durante la pubertà, ma già nel bambino
osserviamo una intensa vita sessuale le cui vicissitudini sono fondamentali per la
strutturazione della personalità individuale. In questo contesto l’adolescenza viene
considerata come la fase di transizione dalla sessualità infantile perversa e polimorfa
all’organizzazione psico-sessuale adulta, che Freud denomina “genitalità”. In
adolescenza le pulsioni parziali autoerotiche si riuniscono sotto il primato della
genitalità e si rivolgono a un oggetto sessuale esterno. Il passaggio alla genitalità
adulta necessita di trovare un oggetto d’amore esogamico con il quale realizzare gli
antichi desideri edipici senza però infrangere il divieto di incesto. Il cambiamento
nella scelta dell’oggetto d’amore può avvenire però, solo a condizione che
l’adolescente riesca a disinvestire il genitore di sesso opposto dai propri desideri
libidici e si riconcili con il genitore dello stesso sesso, liberandosi dalla sua
idealizzazione e dal suo dominio.
Nel periodo adolescenziale il soggetto è chiamato, secondo Freud, a mentalizzare il
proprio sviluppo sessuale, a rivivere le vicende infantili nel tentativo di elaborare una
soluzione soddisfacente ai conflitti remoti relativi alle prime fasi di sviluppo.
L’adolescenza è quindi il periodo deputato alla ricapitolazione delle diverse fasi dello
sviluppo libidico e al superamento del complesso edipico. Solo attraverso questo
lavoro è possibile chiudere i conti con il passato e assicurarsi l’ingresso alla maturità
genitale.
Secondo Freud, perturbazioni nello sviluppo psicosessuale infantile, che egli
definisce fissazioni, possono ostacolare l’abbandono dell’organizzazione pulsionale
infantile e l’accesso alla genialità adulta: in questo caso osserveremo proprio durante
il periodo adolescenziale diverse tipologie di difficoltà o veri e propri sintomi
riconducibili in ultima istanza a conflitti di origine infantile.
Si può affermare, quindi, che per Freud l’adolescenza è una fase della vita
particolarmente significativa per i cambiamenti che porta con sé, ma anche che le
caratteristiche di questo periodo dello sviluppo siano da mettere in stretta relazione
9con le fasi precedenti. In questo senso, ciò che avviene nell’adolescenza è
determinato dalle esperienze infantili ed è a queste precedenti esperienze che bisogna
riferirsi per comprendere le manifestazioni di questo periodo del ciclo di vita. Gli
eventi adolescenziali possono essere interpretati solo alla luce delle vicende
pulsionali infantili.
1.5.2 I meccanismi di difesa fase specifici: il contributo di Anna Freud
Anna Freud dedica, rispetto a quanto fatto dal padre, una maggiore attenzione
all’adolescenza. Nel periodo dell’adolescenza l’Io si trova al centro di un violento
conflitto tra istanze differenti: le pulsioni sessuali che chiedono urgentemente di
essere soddisfatte e la coscienza morale che proibisce tale appagamento.
Durante la pubertà la maturazione sessuale comporta un’esplosione libidica e una
crescita esponenziale dell’eccitamento pulsionale che cerca una via per soddisfarsi e
ridurre la tensione. Si determina il rischio che tale energia libera rifluisca lungo la via
degli oggetti infantili, cercando di realizzare l’incesto edipico. Tale pericolo, e il
pericolo costituito dall’aumento dell’energia non legata, finisce per determinare
nell’Io un sentimento di angoscia particolarmente rilevante. Questa angoscia induce
l’Io a rafforzare i tipici meccanismi di difesa già in vigore nella fase di latenza, quali
la rimozione, lo spostamento, la negazione, l’inversione, il ritiro della libido sul Sé,
ma favo-risce anche l’instaurarsi di meccanismi di difesa nuovi, originali, fase
specifici.
I meccanismi di difesa tipici del periodo adolescenziale, che forniscono la chiave
per comprendere le vicende specifiche di questa fase, sono, secondo A. Freud, due.
Il primo è “l’ascetismo”, definibile come meccanismo difensivo dell’Io volto a
migliorare il controllo delle pulsioni a livello del corpo. Esso è descritto come una
lotta da parte del soggetto nei riguardi dei propri impulsi aggressivi e sessuali. Una
lotta che finisce per coinvolgere anche il corpo dell’adolescente determinando in
alcuni casi un meccanismo difensivo che comporta il mancato soddisfacimento dei
bisogni fisiologici primari quali l’assunzione di alimenti e il sonno. Gli adolescenti
ascetici diffidano del godimento in genere e ritengono che il comportamento più
10
sicuro sia quello di opporre ai desideri urgenti e agli istinti delle proibizioni rigorose
e assolute.
Il secondo meccanismo di difesa tipicamente adolescenziale è la
intellettualizzazione che ha lo scopo di controllare le pulsioni a livello del pensiero.
Con la pubertà si assiste a una progressiva trasformazione degli interessi del
soggetto, che divengono sempre più astratti. Emerge una forte esigenza tipicamente
giovanile di pensare ed elaborare insieme ai coetanei tematiche vaste, esistenziali,
ideologiche e di affrontare argomenti religiosi e discussioni a sfondo politico. La
peculiarità di questo meccanismo di difesa è che la febbrile attività intellettiva di
questi ragazzi non si traduce mai in azione concreta.
Questa linea di indagine relativa alla fase adolescenziale, inaugurata da Anna Freud
e consistente nello spiegare i vissuti e i comportamenti adolescenziali come frutto dei
meccanismi di difesa utilizzati dall’Io per difendersi dall’aggressione dell’Es, verrà
utilizzata da diversi autori successivi che descriveranno come anche altri meccanismi
difensivi sono utilizzati tipicamente in adolescenza. Possono per esempio fare una
nuova comparsa i meccanismi di difesa arcaici come la scissione con lo scopo di
proteggere l’adolescente dal conflitto di ambivalenza che coinvolge le immagini
genitoriali e il Sé. Anche l’identificazione proiettiva, l’idealizzazione primitiva, la
proiezione di tipo paranoide fanno spesso la loro comparsa. Infine un altro
meccanismo di difesa chiamato in causa per descrivere molte condotte adolescenziali
è l’acting out.
1.5.3 Crisi di identità e rinnovamento delle identificazioni in adolescenza
(E.Erikson, E.Kestemberg)
Durante l’adolescenza il soggetto deve affrontare il compito di definizione della
propria identità. Si tratta di costruire una rappresentazione sufficientemente stabile e
coerente che definisca la propria persona e risponda alla domanda relativa al “chi
sono”, dopo che i mutamenti somatici, cognitivi, sociali, che hanno sconvolto la vita
del pre-adolescente, hanno cambiato completamente l’universo di vita del ragazzo.
Gli studi psicologici e psicoanalitici relativi all’adolescenza hanno riservato al tema
della formazione dell’identità adulta un’attenzione particolare, considerando tale
11
aspetto come una vera e propria prospettiva da cui analizzare il processo
adolescenziale stesso.
La ricerca della propria identità da parte dell’adolescente può essere vista in due
prospettive differenti. Può essere collocata all’interno di una linea di continuità che
fa capo all’infanzia secondo il modello proposto da E. H. Erikson, che formula una
concezione dell’identità come costruzione progressiva dal bambino all’adulto
passando per l’adolescente (punto di vista evolutivo-costruttivista). Oppure può
venire collocata all’interno di una sequenza che va dall’adolescenza all’età adulta
secondo un modello che mette in evidenza la dimensione del conflitto e della rottura
(punto di vista economico- dinamico). A quest’ultima prospettiva appartiene il
contributo di E. Kestemberg (1971) che spiega il processo di costituzione
dell’identità adulta in termini di identificazioni: rigetto delle identificazioni infantili
con i genitori e ricerca-conquista di nuovi oggetti d’identificazione esogamici.
Erikson sostiene che lo sviluppo può essere concepito come una serie di stadi,
ciascuno caratterizzato da un dilemma di base che deve essere risolto e da una
relativa crisi. Il dilemma o compito che l’adolescente deve realizzare è quello di
acquisire una identità adulta stabile e integrata definibile come un insieme coerente
nel tempo di atteggiamenti, caratteristiche e valori. Essa si forma secondo Erikson,
durante l’adolescenza, tramite l’identificazione con i pari o con figure adulte
significative e stimate.
Il passaggio dall’infanzia all’età adulta risulta carica di ambivalenza. L’adolescente
vive normalmente il conflitto tra il desiderio di non abbandonare le sicurezze e le
garanzie del mondo infantile e l’irresistibile richiamo verso il mondo adulto, sentito
tra l’altro come complesso, sconosciuto e addirittura inquietante. Questa ambivalenza
può ostacolare il processo di costruzione dell’identità e produrre una confusione di
ruoli, definita come lo stato psicologico che si verifica quando si attua il passaggio
da una identificazione all’altra, provando e riprovando ruoli sociali diversi in una
sorta di “turismo psicologico”, senza mai riuscire a costruire una sintesi originale.
Erikson parla di “crisi di identità” nel definire il tentativo di superamento della
confusione e dell’ambivalenza, per insediarsi in una identità più stabile, coerente e
separata dagli altri. Si tratta della crisi che è propria dello stadio adolescenziale
attraverso il quale si acquisisce l’identità. Quest’ultima, non dipenderà soltanto da
12
come l’adolescente saprà affrontare la crisi di identità ma dipenderà anche dalle crisi
di sviluppo delle fasi evolutive precedenti. In questo modo Erikson sottolinea che il
processo di formazione dell’identità non è circoscrivibile all’adolescenza ma risente
anche delle esperienze infantili.
Attualmente molti autori che come Kestemberg descrivono il costituirsi
dell’identità adulta come frutto di operazioni identificatorie ossia di processi
psicologici ripetuti, attraverso cui il soggetto assimila proprietà e attributi delle
persone significative che lo circondano, tendono a descrivere questo processo,
considerando le influenze che su esso risulta avere l’antagonismo narcisistico-
oggettuale. Se le relazioni precoci sono state soddisfacenti, si avrà un Sé più forte e
integrato: l’oggetto non è una minaccia per il soggetto nella misura in cui la relazione
oggettuale ha sempre sostenuto il narcisismo. In questo caso l’avvento
dell’adolescenza contrassegnato dal suo bisogno di oggetto, non minaccerà la base
narcisistica dell’individuo e il rinnovo delle identificazioni potrà attuarsi senza grossi
problemi.
All’opposto, un Sé fragile e incerto, frutto di relazioni precoci non adeguate che
rendono il bisogno oggettuale minaccioso, non consentirà all’adolescente di vivere
adeguatamente le relazioni entro il quale assicurarsi quella dose di identificazioni
alla base dell’identità adulta.
Il conflitto tra “fame d’oggetto” per cercare identificazioni nuove e difesa
narcisistica per preservare il Sé rappresenta una delle poste in gioco essenziali
durante l’adolescenza
1.5.4 Modificazioni del narcisismo e degli investimenti oggettuali in
adolescenza
Un altro aspetto dell’adolescenza che è stato analizzato in ambito psicoanalitico e
che fornisce una ulteriore prospettiva per interpretare le vicende ad essa correlate,
riguarda la dinamica cui va incontro il narcisismo in questa fase. I vari autori sono
concordi nell’affermare che l’adolescenza è caratterizzata da un indebolimento del
Sè legato alla perdita delle identificazioni con le figure genitoriali idealizzate. Il
passaggio dal bambino all’adulto implica una fase di ristrutturazione del Sé che
13
dovrà congedarsi come Sé infantile e costituirsi come Sé maturo. Questo crea
inevitabilmente una fase di incertezza che rende il sentimento di identità labile e
incerto. Per questi motivi l’adolescente è spesso alla disperata ricerca di sostegni
narcisistici.
Di fronte a questa breccia che si apre nell’area egoica, noi osserviamo un aumento
delle preoccupazioni rivolte alla propria persona e la comparsa di meccanismi di
difesa tesi a proteggere il narcisismo. Tra questi primo fra tutti l’onnipotenza, che si
manifesta con un certo disinteresse verso il mondo esterno (egoismo) e una
immagine grandiosa di sé (megalomania). Da questo punto di vista l’adolescenza
risulta la fase di passaggio dalla grandiosità infantile a un narcisismo ridimensionato
e equilibrato, consapevole dei propri limiti e che sappia tenere conto degli altri. Altri
meccanismi di difesa narcisistici correlati con l’onnipotenza, che fanno la loro
comparsa in questa fase, sono l’idealizzazione e la svalutazione.
Sul piano delle relazioni oggettuali la perdita degli oggetti infantili e del Sé
infantile onnipotente, rende il sistema Io-Sé particolarmente bisognoso di appoggio.
Questo appoggio solitamente avviene tramite la dinamica di “doppio” con cui
l’oggetto diviene contemporaneamente meta di investimenti narcisistici ed
oggettuali (Novelletto A., 1992). In altre parole l’adolescente usa gli oggetti come
sostegni narcisistici sfruttando le loro capacità di rispecchiargli e restituirgli una
immagine positiva.
1.5.5 Adolescenza come secondo processo di separazione-individuazione:
P.Blos
Diversi autori hanno interpretato la fase adolescenziale come secondo processo di
separazione- individuazione e hanno spiegato le vicende e le problematiche
adolescenziali come conseguenze di questo processo. Tali autori si rifanno ai concetti
espressi da Margaret Mahler riguardanti l’esistenza di una fase precoce dello
sviluppo infantile in cui il neonato si separa dalla madre, e si individua come essere
separato da lei. E’ possibile paragonare il processo adolescenziale con questo
processo di separazione del bambino piccolo, descritto da questa autrice. Se il
bambino si è staccato dalla madre tramite l’internalizzazione, l’adolescente si
14
distacca dagli oggetti internalizzati per amare gli oggetti esterni ed extrafamiliari. Si
opera attivamente un gioco identificatorio complesso fra lo sviluppo identificatorio
melanconico legato all’elaborazione del lutto e della separazione e la costruzione di
identificazioni che saranno all’origine della nascita di una nuova immagine di sé e
quindi di un processo di individuazione.
Il primo autore a utilizzare questo tipo di lettura del processo adolescenziale fu
Peter Blos (1962) che definì la fase adolescenziale come quella in cui il giovane
elabora la totalità delle sue esperienze per raggiungere un’organizzazione stabile
dell’Io. Le ansietà e le turbolenze di questa età non dipendono esclusivamente dal
primato della genitalità e dalla lotta dell’Io per non essere sopraffatti dalla forza delle
pulsioni, ma anche dall’attivazione dei processi di separazione e individuazione.
Sono infatti questi processi che portano l’adolescente alla costruzione del senso di
identità.
Blos ponendo un’attenzione preferenziale ai processi di identificazione e di
costituzione dell’ideale dell’Io, indirizza i suoi sforzi nel comprendere i compiti che
l’adolescente deve affrontare per acquisire e raggiungere una identità stabile e
definita.
Il secondo processo di separazione- individuazione si dipana lungo tutta
l’adolescenza e Blos ne ha individuato cinque fasi distinte: la preadolescenza, la
prima adolescenza, l’adolescenza propriamente detta, l’adolescenza tardiva, la post-
adolescenza. Esso ha una direzione e uno scopo ben precisi, indirizzandosi con
continuità verso il disimpegno dagli oggetti infantili e parallelamente verso la
maturazione dell’Io. I disturbi dello sviluppo e delle funzioni dell’Io in adolescenza
sono sintomatici di fissazioni pulsionali e di dipendenza dagli oggetti infantili. In
questa condizione, la maggior parte dei disturbi psichici dell’adolescenza è legata
secondo questa prospettiva agli ostacoli che si frappongono a questo processo di
separazione-individuazione
1.5.6 Adolescenza e lutto per la perdita degli oggetti infantili.
In adolescenza si verifica un importante processo intrapsichico, legato
all’esperienza di separazione dalle figure autorevoli dell’infanzia: questo processo
15
può essere paragonato a un lavoro di elaborazione del lutto. Il lavoro
dell’adolescente, come quello legato all’elaborazione del lutto, consiste in una
“perdita d’oggetto” nel senso psicoanalitico del termine e cioè di ritiro e ri-
orientamento degli investimenti originariamente destinati all’oggetto che ora non c’è
più. Questa perdita degli oggetti infantili può essere schematicamente analizzata a
due livelli (Marcelli D., Braconnier A., 1999):
1) innanzitutto perdita dell’ “oggetto primario”, il che talvolta permette di
paragonare l’adolescenza alla prima infanzia (fase di separazione dall’oggetto
materno). A questo proposito si può citare E. Kestemberg, D. Meltzer e soprattutto
J.F. Masterson. Riprendendo la terminologia di M. Malher, molti autori parlano in
questo caso di secondo processo di separazione –individuazione.
2) perdita dell’oggetto edipico investito di amore, di odio di ambivalenza:
l’adolescente è indotto a liberarsi dall’ascendente che i genitori hanno su di lui e
liquidare la situazione edipica.
Uno dei compiti psichici centrali dell’adolescenza è dunque quello di giungere a un
distacco dall’autorità genitoriale e dagli oggetti infantili. F.G. Ladame rileva che “un
adolescente che vada incontro ad uno sviluppo normale, vive dei momenti di
depressione inerenti al processo evolutivo di separazione dagli oggetti dell’infanzia
in cui è impegnato.
1.5.7 Il ruolo dell’ideale dell’Io in adolescenza (P.Blos e M.Laufer)
Molti sono gli analisti che studiano il processo adolescenziale, considerando
essenziale il ruolo dell’Ideale dell’Io, cioè di una immagine soddisfacente di se
stessi, capace di fornire un sostegno narcisistico al soggetto. Sono stati due autori,
P.Blos e M. Laufer, ad affrontare in profondità il tema del ruolo dell’ideale dell’Io in
questo periodo di vita.
Secondo P.Blos l’ideale dell’Io è l’erede del processo adolescenziale, nello stesso
modo in cui il Super-Io è l’erede del complesso edipico. Se il Super-Io deriva
dall’interiorizzazione del padre edipico giudicante e punitivo che caratterizza la
prima fase dell’Edipo, l’Ideale dell’Io deriva invece dall’interiorizzazione del padre
amato ed ammirato della seconda fase edipica e del suo ideale relativo al figlio.