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Oramai tutti gli studiosi concordano nell’evidenziare la caduta
d’autoritarismo del padre, ma in generale la tendenza a cercare di evitare
qualunque sorta di dolore fisico e mentale ai pochi nascituri che
sopraggiungono a condividere l’esistenza della coppia parentale. Dalla
famiglia “etica” si è oramai approdati – secondo la definizione di Charmet–
alla famiglia “affettiva”, con al centro non più il problema dei sensi di
colpa alimentati da un Super-io attento che il desiderio verso il genitore di
sesso opposto non oltrevalichi i normali limiti entro cui contenere il
complesso edipico, bensì enormi problemi legati a un narcisismo
dirompente, alimentato proprio dall’incapacità genitoriale di fissare norme
e sanzioni non negoziabili.(Pietropolli,Charmet,G.,2000)
Generalmente privi di una regolamentazione familiare, gli adolescenti
(soprattutto i maschi) ricercano una misura di sé e una nuova assunzione
identitaria proprio sulla base di sfide (in cui vengono messi alla prova forza
e coraggio) che possono facilmente debordare in comportamenti a rischio.
Ma nonostante i luoghi comuni e le analisi superficiali sul mondo giovanili,
i dati statistici dicono chiaramente che a oltrepassare la soglia del rischio è
una percentuale ristretta dell’universo giovanile, un numero che si aggira
stabilmente intorno ai dieci individui su cento.(Sgritta,G.B.,2000)
La domanda che pervade il resto del primo capitolo, quindi, è la seguente:
cosa spinge questo dieci per cento di giovani a oltrevalicare i limiti
comunemente accettati, ad attivare un processo di reiterazione
tendenzialmente sempre meno reversibile?
Si scopre in tal modo che l’instabilità sociale favorisce l’aumento degli
individui (nel nostro caso adolescenti) che adottano comportamenti
devianti; o che un incremento simile si registra tra gli studenti che
frequentano gli istituti tecnici e commerciali, ma l’una e l’altra cosa si
limitano a giustificare un aumento dei comportamenti a rischio, non
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spiegano la genesi di questi ultimi. Pertanto l’intenzione del nostro studio è
stabilire quanta rilevanza ha il fattore psicologico nella determinazione di
questa schiera di individui, quanto cioè contano i rapporti familiari e
l’eventuale insorgenza di disturbi più o meno gravi della psiche
nell’originare soggetti instabili e più o meno devianti. Ovvero, il fine della
ricerca «non è stabilire in che modo alcune situazioni limite della nostra
attuale società occidentale possono sospingere una folla di giovani
potenzialmente simili a mettere in atto comportamenti pericolosi per sé e
per gli altri; bensì cercare di determinare quali fattori interagiscono e in che
modo per produrre delle personalità instabili che, a contatto con situazioni
borderline, assumeranno atteggiamenti altamente pericolosi».
Per raggiungere – o quanto meno cercare di avvicinare– un simile
obiettivo, il secondo capitolo presenta un’approfondita disamina
dell’approccio emerso dalla scuola di Melanie Klein, sia nel suo aspetto più
tradizionalmente legato ai presupposti freudiani, in particolare nella
posizione di Winnicott, sia nel distacco operato da Bowlby e dalla sua
teoria dell’attaccamento. Tenendo conto, sebbene sinteticamente, delle
integrazioni di Mary Ainsworth(1978) e della sua Strange Situation, e degli
esperimenti esplicativi di Harlow(1958) sulle scimmie rhesus.
Quindi si cercherà di analizzare più da vicino la portata dei fenomeni
empatici, rimarcando le convergenti convinzioni che in un’affettività
povera e trascurata o del tutto mancante sia possibile individuare una delle
principali cause generatrici di molteplici scompensi psichici, in particolare
quelli legati alla organizzazione e integrazione della personalità, nonché
all’insorgere dei fenomeni di depressione o di accesa aggressività.
Sottolineando come la mancata insorgenza del sentimento empatico venga
generalmente additata quale la causa principale dell’incapacità di
compenetrarsi con la sofferenza altrui e, conseguentemente, divenire
9
supporto psichico della ragnatela disumanizzante entro cui l’aggressore
intrappola la sua vittima prima di usarle violenza. Un’infanzia priva di
affetto, secondo la ricostruzione di molti autori, genera la necessità di
dissociarsi dal dolore che suscita il doversi necessariamente avvicinare alla
figura d’attaccamento: è questa anestesia del dolore che consente
all’infante abusato di accostarsi comunque al suo caregiver; ma dal
momento in cui la negazione del dolore emerge come dinamica necessaria,
essa chiude lentamente e inesorabilmente le porte del processo empatico e,
con esso, la possibilità di riconoscere o prevedere l’insorgenza del dolore
negli altri. Il che rende questi individui particolamente “cattivi” nei
confronti dei loro coetanei, proprio perché non riescono psichicamente a
vestire i loro panni e anticipare l’emergere della sofferenza. Il circolo si
chiude (mostrando la sua terribile viziosità) nel momento in cui i bambini
abusati diventano a loro volta genitori, replicando, purtroppo, il più delle
volte, le modalità di rapporto subito durante l’infanzia.
A questo punto le premesse del confronto sono gettate e, nel terzo
capitolo, si prova a mettere in primo piano le devianze in quanto tali
(almeno quelle più comuni) alla luce delle due interpretazioni, tentando
altresì di evidenziare sia gli aspetti positivi che quelli eventualmente
contraddittori presenti in entrambe.
L’impianto risulterà oltremodo articolato perché, pur partendo dal ristretto
confronto tra le posizioni di Bowlby e Winnicott, saranno frequentissimi i
riferimenti ad una schiera di autori che spaziano dalla psicodinamica alla
sociologia e questo nel tentativo di offrire quella visione multiprospettica
già presentata nel primo capitolo. Col fine non secondario di offrire
un’ipotesi di lavoro che lega devianza, piacere del comportamento a rischio
adottato e cattiva strutturazione psichica. Certo non si pretende di offrire la
parola definitiva sulla questione, tutt’altro, sarà infatti evidenziata al
10
massimo la difficoltà di ritrovare un comune denominatore in grado di
legare tutti i vari elementi dei diversi comportamenti a rischio, tuttavia ci
sembra che il riferimento alla mancanza dei riti di passaggio e le ipotesi di
lavoro presentate nel corso del terzo capitolo potranno se non altro offrire
uno spunto originale all’interno di un ambito problematico oltremodo
variegato.
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1º Capitolo
RITI DI PASSAGGIO E COMPORTAMENTI A RISCHIO
1.0.0. L’ADOLESCENZA
1.0.1. Questioni preliminari
Situata tra l’infanzia e l’età adulta, l’adolescenza è, per antonomasia, la
fase del cambiamento (dal latino adolescere = ‘crescere’), irrompendo nella
vita degli individui tra gli 11 e i 14 anni e comportando una serie di
modificazioni di natura somatica e neuro-endocrina ai quali si accompagna
la costruzione di una identità conforme a tali cambiamenti.
L’adolescenza è anche un’età di crisi, ovvero, come scrive Zuanazzi,
una fase di transizione da una maniera di essere ad un’altra, una transizione
che, soprattutto «porta con sé difficoltà e turbamenti». (1995, p. 7), in
quanto si avvicendano una successione di equilibri instabili, temporanei,
fino a quando l’intero apparato della fanciullezza viene spazzato via e si
cerca di modellare una struttura identitaria definitiva, il cui
raggiungimento, ovviamente, coincide con la fine di questo periodo.
Secondo gli psicogenetisti, a dire il vero, l’inquietudine adolescenziale
sarebbe semplicemente una tra le tante situazioni di “crisi” che si
manifestano nel corso della vita di un individuo e non andrebbe perciò
enfatizzata più del necessario. D’altronde, le reazioni degli adolescenti di
fronte ai radicali mutamenti esistenziali cui vanno incontro sono molteplici
e molti affrontano il periodo “critico” con sufficiente tranquillità; mentre
altri incontrano differenti gradi di difficoltà, i quali possono manifestarsi
con reazioni di irrequietezza, indisciplina, disobbedienza (solitamente
12
considerate caratteristiche dell’età), fino alla messa in atto di condotte
estremamente trasgressive che contemplano anche la violenza auto ed
eterodiretta.
Erikson (1968) paragona la crisi dell’adolescente al salto del trapezista
che rischia di non riuscire ad afferrare l’attrezzo dopo aver lasciato la linea
di partenza, sottolineando in tal modo la forte contraddizione tra il
desiderio di autonomia e indipendenza a cui aspira ogni adolescente e il
bisogno ancora vivo di coccole e protezione che caratterizzavano gli stati di
vita in parte passati ma in parte tuttora presenti.
Invero l’adolescenza è ciclicamente sotto i riflettori a causa del forte
contrasto che negli ultimi decenni si è innescato tra i modi, le scelte, i
valori e le aspettative delle nuove generazioni nei confronti delle
generazioni precedenti, ma non si deve credere –come osserva Di Pietro
(1995)– che è solo per il bene dei giovani che si prova a dissezionare fino
in fondo le loro ragioni e il loro malessere. A volte quel che si insegue è il
quieto vivere di genitori e familiari o di un’intera società che vuole vivere
secondo una sorta di principio “felicifico” e non perdona chi tende a
minacciare questo stato di cose. Così accade spesso che si cerchi di
penetrare nella personalità degli adolescenti non per interesse verso il loro
benessere, bensì per accertarsi (e tranquillizzarsi) che i loro modelli di vita
attuali e anche i progetti di una società futura, sebbene appariscenti o sopra
le righe, corrispondano sostanzialmente al modello di società attualmente
dominante. Soprattutto considerando l’aspetto utilitaristico che discende da
una continuità sostanziale coi tratti dell’attuale società consumistica: un
adolescente in linea con l’edonismo del capitalismo post-moderno può
essere facilmente manipolato e piegato ai bisogni (profitti e dinamismo) del
consumo.
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A parte ciò, le linee d’indagine sull’universo adolescenziale attualmente
in atto, sono, grosso modo, riconducibili a quattro diversi modelli
interpretativi: 1) fisiologico, 2) psicoanalitico, 3) cognitivo e 4)
sociologico; tuttavia, affrontando ciascuno un aspetto differente dello
sviluppo adolescenziale, tali modelli possono in qualche modo coesistere e
quindi concorrere insieme a disegnare un quadro quanto più possibile
esauriente della fase evolutiva in questione.
2.0.0. MODELLI TEORICI
2.1.0. Il modello fisiologico
L’approccio fisiologico accentra la sua attenzione su tutti quei
cambiamenti che trasformano un ragazzo in adulto. D’altronde sono
proprio i mutamenti morfologici a palesare l’inizio della rivoluzione
adolescenziale. Le date (tra i 10 e gli 11 anni per le ragazze e tra i 12 e i 13
per i ragazzi) sono assolutamente indicative, dal momento che le
trasformazioni sia fisiche che psichiche sono direttamente influenzate dalla
costituzione individuale oltre che da fattori ereditari, ambientali e culturali.
Qualunque sia l’intervallo temporale, è all’interno di questo range che ha
luogo la maturazione degli organi sessuali e quindi anche l’erotizzazione
del sistema nervoso, come sottolineava già molti anni fa Renzo Canestrari
(1984).
Nelle giovani adolescenti la maturazione sessuale si accompagna
all’accrescimento della statura, all’aumento del volume del seno,
l’allargamento del bacino, l’arrotondamento dei fianchi, la comparsa dei
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peli pubici ed ascellari ecc., finché, al culmine delle trasformazioni,
compare il menarca ed inizia una fase di assestamento.
Oltre alla statura e alla peluria nei ragazzi si sviluppa la muscolatura,
cambia il timbro della voce, aumenta la statura e naturalmente si ha la
maturazione degli organi sessuali che risultano ormai in grado di
procreare
1
.
La caratteristica più sorprendente di queste metamorfosi è la
straordinaria rapidità con cui esse si realizzano, la loro eclatante vistosità e
allo stesso tempo l’estrema variabilità con cui punteggiano la loro
insorgenza da soggetto a soggetto; aspetti che non possono non
ripercuotersi nella coscienza dei ragazzi, i quali, per molti versi avvertono
profondamente il distacco dal precedente schema di riferimento (intessuto
attorno al proprio corpo preadolescente), mentre per altri vengono
inesorabilmente sospinti verso la nuova identità già in itinere, alla ricerca di
una prossima e più idonea situazione di stabilità.
Le dimensioni e le proporzioni di alcune parti del corpo sono gli
elementi che maggiormente preoccupano i giovani di entrambi i sessi ed
influiscono notevolmente sulla propria autovalutazione, soprattutto sulla
base dei confronti che costantemente si istituiscono coi coetanei; così, se
uno sviluppo sessuale tardivo può essere fonte di preoccupazione, di
sentimenti di inquietudine e di inferiorità, uno fin troppo precoce può
generare discrasie fra la percezione dell’ambiente circostante e la propria
considerazione di sé, magari ancora non del tutto slegata dalla
strutturazione infantile.
1
Generalmente le femmine raggiungono prima dei maschi lo sviluppo puberale, ed è per questo
che a 12 anni appaiono già cresciute e mature rispetto ai ragazzi che sembrano ancora dei
bambini. La diversità di sviluppo si ripercuote notevolmente sulle relazioni reciproche tra i
sessi: ragazzi e ragazze hanno modi di fare, di pensare, di agire disomogenei ed è per tale
motivo che scelgono compagnie dello stesso sesso. I loro destini torneranno ad incrociarsi
quando anche i ragazzi avranno raggiunto lo stesso sviluppo puberale.
15
2.2.0. Il modello psicoanalitico
L’approccio psicoanalitico nei riguardi dell’adolescenza focalizza
l’attenzione sui conflitti intrapsichici generati dall’attinta maturazione
sessuale che moltiplica l’energia libidica, riattualizzando vecchi desideri e
formulando una pressante richiesta per una rapida dissipazione di tale
energia.
All’interno di questa linea interpretativa l’adolescente non è in grado di
fronteggiare le nuove pulsioni genitali, ma non sa neppure come gestire le
vecchie pulsioni pregenitali che, dopo il lungo periodo di latenza, tornano a
farsi sentire. Riuscire a controllare questo complesso bagaglio pulsionale è
un compito oltremodo difficoltoso, dinanzi al quale è facile che
l’adolescente avverta la propria inadeguatezza, indeciso se appagare o
meno la tumultuosa successione dei desideri.
Secondo Freud (1905) durante questa fase ricompaiono l’angoscia
edipica, la paura e la vergogna dell’incesto e, a causa di ciò, il ragazzo o la
ragazza, ora maturi sessualmente, tendono ad allontanare, a contestare
sempre più i propri genitori e a rifiutare le identificazioni attuate durante
l’infanzia.
Più tardi Anna Freud (1936) asserirà che l’Io adolescenziale è
costantemente impegnato a reprimere i desideri sessuali, sicché la pubertà
sarebbe caratterizzata dall’impegno e dalle capacità che ogni adolescente
dimostra nel tollerare gli attacchi pulsionali. L’eccitazione sessuale e il
conseguente cambiamento fisico costituiscono gli elementi di maggiore
preoccupazione per l’adolescente. Le nuove pulsioni genitali comportano
ora grandi turbamenti, riattivando le vecchie angosce di castrazione e il
senso di colpa associato ad episodi di masturbazione.
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Sempre a detta di Anna Freud i meccanismi di difesa messi in atto sono
l’intellettualizzazione e l’ascetismo. Attraverso il primo gli adolescenti
provano a staccarsi dalle pulsioni sessuali esaltando le facoltà del pensiero
e spostando in tal modo l’attenzione su altri aspetti della vita. Ma anche nel
caso dell’ascetismo, i compiti (corse, lunghe sedute di lettura, esercizi
muscolari, ecc.) o le rinunce (digiuni, astinenza dai giochi, ecc.) con cui gli
adolescenti si cimentano hanno lo stesso fine di tenere a freno il montante
istinto sessuale.
Va aggiunto, comunque, che i meccanismi di difesa individuati da Anna
Freud non colmano l’intero spettro delle possibilità e non solo possono
configurarsi vari livelli di situazioni conflittuali ma contestualmente
possono individuarsi molteplici meccanismi difensivi con differenti
gradazioni di intensità.
2.2.1. L’Ideale dell’Io
Dal punto di vista psicologico e possibile individuare durante la fase
adolescenziale un nuovo investimento di tipo narcisistico, benché di natura
diversa rispetto ai vissuti di onnipotenza del bambino nelle sue prime fasi
di vita. Ogni adolescente, infatti, manifesta un certo grado di disinteresse
nei confronti del mondo esterno (egoismo) e nutre un’immagine grandiosa
di sé (megalomania). E’ un fenomeno che, sia pure in gradi diversi,
interessa tutti i ragazzi durante questa fase e si enuclea nella ricerca di
un’immagine soddisfacente di se stessi, un sostegno di tipo narcisistico che
porta alla costruzione di un Ideale dell’Io e compare contemporaneamente
al Super-io, dopo la scomparsa del conflitto edipico. Esso contiene
immagini ed attributi che l’Io si sforza continuamente di acquisire ed è
frutto di una triplice idealizzazione: l’idealizzazione dei genitori da parte
17
del bambino, quella del bambino da parte dei genitori e infine quella del
bambino riguardo alla realizzazione del proprio sé.
Ad ogni modo la ricerca della propria identità da parte dell’adolescente,
è certamente uno degli aspetti fondamentali di questa fase evolutiva, sia
che la si consideri – come fa Erikson (1968)– un processo lungo e graduale
e praticamente senza soluzione di continuità dall’infanzia all’età adulta, sia
che la si interpreti come strettamente connessa ad un momento circoscritto
di rottura e ricostruzione –come fa Male (1982).
Più vicino a questa seconda visione, Blos (1970) parla dell’adolescenza
come di un secondo processo di separazione, ovvero, nell’adolescente,
secondo Blos, si riattiva il doloroso e antico conflitto con la madre che se
originariamente aveva portato alla rinuncia della vita simbiotica con chi
l’aveva procreato, adesso induce il ragazzo o la ragazza a incamminarsi
sulla strada dell’autonomia.
2.3.0. Il modello cognitivo
Le trasformazioni adolescenziali non si fermano agli aspetti fisiologici e
psicologici, anche a livello intellettuale si verificano delle consistenti
modificazioni, attentamente indagate da Jean Piaget.(1936).Il ricercatore
svizzero parla di intelligenza operativa formale, le cui strutture entrano in
funzione verso i 12–13 anni, sostituendo il pensiero “concreto”, tipico della
fanciullezza, col pensiero “astratto”, proprio della mentalità adulta;
quest’ultimo definito anche pensiero ipotetico–deduttivo, potendo tener
conto sia delle situazioni direttamente percepibili sia di avvenimenti
meramente possibili: per l’intelligenza astratta, cioè, il significato di un
evento si estende anche all’universo del possibile e un tale allargamento di
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prospettiva non può non riverberarsi sullo sviluppo della personalità
dell’adolescente che, difatti, inizia i suoi commerci con le nozioni di
proporzionalità, probabilità e casualità nella costruzione di sistemi
combinatori che, a loro volta, aprono spazi di curiosità ed esigenze in
precedenza sconosciuti. In pratica ogni giovane nella fase puberale acquista
una capacità di ragionamento che gli permette di uscire dalla sua esistenza
particolare e slanciarsi verso la conquista del mondo anche attraverso il
linguaggio, la fantasia, e la capacità d’astrazione.
Già a partire dai dodici anni i ragazzi sono in grado di formulare i loro
ragionamenti seguendo un processo logico-deduttivo, e utilizzare la
modalità dell’esperimento a riprova delle loro convinzioni. Con il passare
degli anni le argomentazioni possono essere integrate dal calcolo delle
probabilità, ma ciò che maggiormente si accresce è il bagaglio lessicale e
morfosintattico che, ampliandosi e articolandosi, consente elaborazioni
concettuali sempre più complesse. In conseguenza di tali trasformazioni,
muta anche l’approccio al gioco e al divertimento: si abbandona il mondo
dell’infanzia popolato da pelouches, soldatini, avventure variamente
fantasticate da soli o in compagnia e prendono il sopravvento giochi
strutturalmente più complessi come quelli da tavola o gli sport di squadra;
mentre contemporaneamente cresce il desiderio di sperimentarsi in
riflessioni o anche intense dispute su temi di grossa portata.
E’ ovvio che questa prorompente crescita intellettuale finisce col
ripercuotersi anche nella vita scolastica, dove l’ormai notevole capacità
d’apprendimento può sospingere ogni ragazzo verso una piena acquisizione
della complessità del sapere, portandolo ad aderire ad un sistema di valori
già esistente oppure ad apportare delle modifiche personali che finiscono
col prospettargli un’interpretazione abbastanza personale del mondo
circostante. Nella visione cognitivista, questa grandiosa crescita
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intellettuale è lo strumento principe per l’organizzazione delle nuove
modalità somatiche, affettive e relazionali che l’adolescente convoglia
verso la ristrutturazione della propria identità.
2.4.0. Il modello sociologico
In uno studio prettamente psicologico i fattori sociali tendono ad essere
posti in secondo piano, tuttavia non si può certo ignorare l’influenza che
indubitabilmente esercitano su molteplici aspetti della fase adolescenziale:
ogni epoca e, conseguentemente, ogni cultura incidono notevolmente su
questa fase evolutiva, tanto da farle assumere caratteristiche profondamente
diverse a seconda dei tempi e dei luoghi in cui si essa si manifesta.
L’adolescenza, come è intesa attualmente, è in un certo senso un
prodotto dei paesi industrializzati, anticamente non esisteva, anzi i bambini
di colpo si trasformavano in piccoli uomini, cominciavano a vestirsi da
grandi e ad assumere le mansioni che si addicevano agli adulti; le tappe
erano bruciate, il salto dall’infanzia all’età adulta avveniva molto
rapidamente. Con l’avvento del benessere questa fase della vita si è
prolungata sempre di più, i ragazzi sono stati esclusi dall’attività produttiva
e in larga misura dal mondo degli adulti. Nella società occidentale
raramente la maturità sessuale corrisponde alla maturità sociale. E’ per tale
motivo che i giovani, “emarginati” dagli spazi significativi dell’esistenza
(almeno rispetto al modello strutturato dagli adulti), vivono il loro tempo
circondati essenzialmente da coetanei, tanto da costituire quasi una classe a
sé stante e una vera sottocultura giovanile che presenta caratteristiche
peculiari. Lo stesso modo di parlare, di vestirsi, di acconciare i capelli, gran
parte dei loro atteggiamenti hanno il preciso scopo di marcare
20
l’appartenenza alla propria generazione e a sancire le differenze con il
mondo adulto.
Alcuni autori hanno evidenziato la correlazione tra il grado di
complessità della società e la tipologia di adolescenza che le si affianca, nel
senso che tanto più una società è complessa, maggiormente l’adolescenza
sarà lunga e conflittuale; benché altri ricercatori abbiano invece sostenuto
l’eterogeneità dei modelli adolescenziali anche all’interno di uno stesso
sistema sociale.
2.4.1. Modello dei “Sistemi Ecologici “di Bronfenbrenner
Con il termine “ecologia” Bronfenbrenner si riferisce alle strutture
ambientali di cui l’individuo fa esperienza e a cui è direttamente
(microsistema e mesosistema) o indirettamente (ecosistema e
macrosistema) legato, sottolineando che lo sviluppo puo’ essere compreso
solo in relazione alle condizioni ambientali effettivamente esperite.
Esistono una moltitudine di scenari ambientali. I microsistemi sono
rappresentati ad esempio dalla famiglia, dal gruppo dei pari, dalla scuola
ecc., mentre i mesosistemi costituiscono il gradino gerarchico del loro
insieme, laddove l’interdipendenza fra microsistemi è ovviamente scontata.
Gli ecosistemi contemplano i contesti che esercitano forme di influenza
più larvata, come nel caso degli atteggiamenti genitoriali in funzione delle
condizioni di lavoro di uno o entrambi i membri; mentre i macrosistemi
veicolano gli elementi più astratti della vita sociale, come i valori, le
ideologie, le istituzioni, ecc., la cui influenza si manifesterà più in là nel
tempo L’articolato quadro interpretativo proposto da Bronfenbrenner
appare oggi abbondantemente confermato da numerose ricerche empiriche
(Bronfenbrenner,1979).