4
Certo è che oggi si assiste ad una sorta di etnicizzazione generalizzata, che coinvolge
la vita politica, le relazioni umane, e quindi anche lo sviluppo individuale. In questa
chiave che non è più soltanto utilizzata per l’analisi di movimenti a base etnica intesi in
senso tradizionale, viene adottata con le opportune modifiche, anche per interpretare
tutto ciò che riguarda i movimenti migratori: dall’integrazione delle minoranze, alla
formazione delle identità, alle relazioni con gli autoctoni.
Il soggetto scopre la propria identità etnica soprattutto quando si trova a vivere in
condizioni di mutamento e trasformazione della società, cioè in momenti in cui alcuni
aspetti determinanti della sua cultura tradizionale, sono messi a repentaglio da un
processo de “erosione culturale”. Tra le esperienze più diffuse di “erosione culturale” si
annovera quanto avviene in genere nei processi migratori. Quando gli immigrati si
ritrovano in un ambiente straniero e non familiare, caratterizzato da eterogeneità etnica e
da diversità culturale, allora individui e gruppi si trovano costretti a nuovi confronti con
la propria identità, rafforzando spesso forme di distinzione già fissate e definite
favorendo così l’emergere di nuove forme di esclusione e separazione. L’identità etnica
quindi, è una sorta di risorsa a cui l’individuo fa riferimento quando sente il disagio di
avere a che fare con la proposta di un’altra identità, con valori diversi da quelli che
l’individuo ha assimilato nel suo processo di socializzazione: l’individuo scopre la
propria “identità” quando diviene minoranza. D’altra parte, la “scoperta” della propria
identità etnica è esperienza vissuta da tutti coloro che si sono trovati a vivere, per un
periodo di tempo significativo in un ambiente culturale differente; e il fatto che tale
identità vale notevolmente a seconda del paese in cui l’individuo si trova, sottolinea
come essa sia una costruzione sociale. Tuttavia, almeno per quanto riguarda la prima
generazione, l’identità etnica non appare soltanto l’espressione di un atteggiamento
difensivo, ma è fortemente simbolica, anche perché viene meno la rivendicazione di uno
specifico territorio dove l’immigrato chiede di poter vivere e realizzare a pieno la
propria etnicità.
Soprattutto nella fase della socializzazione secondaria, i ragazzi e le ragazze entrano
in contatto con altre proposte identità provenienti dalla comunità di arrivo, anche se
basate sull’elemento etnico. Un’identità etnica proposta in una prospettiva di
assimilazione o di acculturazione è quella dominante nel paese di immigrazione; una
seconda è invece una parodia dell’identità etnica originaria, frutto dei pregiudizi
5
dominanti nel paese di immigrazione, rafforzati anche dall’assenza di una vera politica
di integrazione. In questo caso, il ragazzo e la ragazza sono “condannati” alla loro
diversità, che non è più quella originaria, come potrebbe aspirare la loro famiglia, ma è
una diversità fittizia, simbolica, costruita sull’immagine che la società di arrivo ha della
cultura originaria.
La comunità di arrivo, d’altro canto, sembra proporre agli adolescenti un’identità
etnica basata prevalentemente o sulla discriminazione o su aspetti folckoristici e astorici.
Ne deriva una situazione con notevoli rischi di disagio che i soggetti spesso si trovano ad
affrontare da soli e dove difficile è anche trovare soluzioni alternative.
E’ forse per queste constatazioni che in genere gli studiosi definiscono la seconda
generazione di immigrati, la generazione del “sacrificio”, quella cioè che paga
maggiormente i costi psicologici dell’immigrazione senza riuscire ad ottenere i benefici,
come invece avviene per la terza e per la quarta generazione.
6
1.2 La centralità dell’elemento etnico nella “ricostruzione” dell’identità
Fondamentale è riconoscere la centralità dell’elemento etnico nella formazione
dell’identità degli adolescenti stranieri o di origine straniera. L’elemento etnico è
presente, in posizione di estremo rilievo, in tutti i processi legati alle modificazioni
fisiologiche, che hanno un ruolo fondamentale nella formazione dell’identità poichè
impongono alla ragazza e al ragazzo una ricostruzione dell’immagine del proprio corpo,
che diviene così l’elemento di confronto inequivocabile tra etnicità diverse. Molto
spesso è proprio il corpo a rappresentare il luogo scelto dalle due culture per confrontarsi
e affermarsi: se da una parte i genitori spesso sono propensi a incidervi i segni di
appartenenza etnica che dovrebbero accompagnare il bambino e la bambina per il resto
della vita, dall’altra questi segni corporali possono essere intesi dal paese di arrivo come
mutilazioni - e quindi vietati perché penalmente perseguibili- che comunque rischiano di
rendere ancor più difficile un rapporto sereno sia con il proprio corpo sia con i coetanei.
Così le modificazioni psicologiche e relazionali che avvengono durante l’adolescenza, a
seguito della “scoperta” del mondo extrafamiliare, percepito da una parte come un
ambiente pericoloso e persecutorio e, dall’altra, come carico di fascino ed attrazione,
innescano in genere un acceso conflitto tra ambiente sociale e famiglia. Tale conflitto
sembra dipendere anche dal fatto che la società di immigrazione e la famiglia si basino
su due differenti visioni delle fasi della vita: in molti paesi, ad esempio, il passaggio tra
adolescenza e inserimento nella “comune società adulta” ha una durata assai ristretta,
mentre è più prolungata nelle società occidentali. Questa diversa concezione delle fasi di
vita è strettamente connessa al tipo di organizzazione sociale, con la conseguenza che il
minore si trova a dover vivere in due mondi in cui la sua età viene considerata in modo
assai differente, per cui, a seconda dell’ambiente in cui vive l’adolescente è costretto ad
assumere atteggiamenti o ad avere aspettative assai diverse e spesso anche in netta
contrapposizione, con un evidente rischio di patologia.
Deve essere considerato che spesso nella società di immigrazione non è possibile
praticare i riti di passaggio che nelle società di origine accompagnano le modificazioni
fisiologiche e psicologiche del giovane, e il conseguente problema di una perdita della
famiglia circa il controllo delle fasi della vita dei figli. Proprio l’esistenza di notevoli
differenze tra la comunità di origine e la comunità di arrivo rendono assai difficili le
7
operazioni di mediazione, obbligando spesso i giovani stranieri o di origine straniera a
compiere vere e proprie rotture radicali con una delle due istanze, con tutto ciò che ne
consegue in termini psicologici.
Un discorso più articolato riguarda l’esperienza scolastica: se da una parte essa può
rappresentare un momento di reale socializzazione, è anche indubbio che tale
socializzazione possa innescare un processo di marginalizzazione assai pericoloso.
Infatti, la scuola è spesso il luogo in cui i soggetti “scoprono” che ciò che hanno appreso
in famiglia non ha valore o almeno ha un valore inferiore rispetto all’ambiente
(emblematica è la svalutazione della lingua di origine a seguito dell’esperienza
scolastica, che provoca una svalutazione della famiglia).
Un’analoga centralità dell’elemento etnico con tutte le difficoltà qui evidenziate è
riscontrabile in tutte le situazioni esistenziali significative per la definizione
dell’identità: ciò vale nelle relazioni con il gruppo dei pari, nell’innamoramento, nelle
prime esperienze lavorative, ecc.
8
1.3 Difficoltà e possibili risposte identitarie dell’adolescente
L’adolescenza ha iniziato ad essere trattata come fase della vita umana attorno al
1900, sia in Europa sia negli USA. In precedenza, la nozione di adolescenza come età di
transizione tra infanzia e vita adulta compariva raramente nella narrativa e nella
letteratura scientifica; trattazioni molto impegnative sull’oggetto “adolescenza” si
imposero, invece, nel passaggio tra i due secoli, in psicoanalisi, in psicologia, in
pedagogia, in sociologia oltre che in letteratura (cfr. Palmonari, 1995). Il termine
adolescenza è stato usato sporadicamente anche nei periodi precedenti, ma l’apparire di
tanti interessi diversi e indipendenti testimonia che soltanto a cavallo del nuovo secolo
fu percepita l’esistenza di questa “nuova” categoria della vita umana.
Per quanto riguarda la psicologia, quel periodo è caratterizzato da un’impostazione
concettuale e metodologica di Stanley Hall che con la sua scuola alla Clark University
raccolse una quantità sterminata di dati sull’adolescenza utilizzando la tecnica dei
questionari.
Come sostiene Keniston nel 1971, Hall è stato il primo che ha colto un cambiamento
rilevante nella natura dello sviluppo umano provocato da un fattore socio-economico
come quello che mise in moto, negli Stati Uniti, profondi cambiamenti negli anni
successivi alla guerra civile (ibidem).
Un ampio contributo di conoscenza relativa allo studio dell’adolescenza è stato
sviluppato da Erik Erikson, il quale sostiene che la vita dell’uomo può essere concepita
come una serie di stadi, ciascuno contrassegnato da un dilemma cruciale che deve essere
risolto per passare allo stadio successivo. Tra questi l’adolescenza risulta essere una
delle fasi di transizione particolarmente carica di cambiamenti, problematiche e
conflittualità. In conseguenza di ciò, la cultura e la società dovrebbero fornire dei punti
fermi che diano stabilità all’adolescente. Questo compito risulta particolarmente arduo
da gestire nei casi di adolescenti immigrati che si ritrovano a vivere una situazione di
“duplice instabilità”: non solo essi hanno il compito di “adattarsi” ai cambiamenti
relativi alla sfera fisica, psicologica, cognitiva, ecc., ma devono farlo in una realtà carica
di valori, usanze, riti, diversi dalla loro cultura di provenienza.
Diversi studiosi, in relazione ai processi legati all’immigrazione si sono riferiti a
quanto sostenuto da Mahler ed hanno suddiviso questi in diverse fasi: