II
Come accennato sopra, infatti, e come avremo modo di osservare nei
prossimi capitoli, alla fisiologica conflittualità propria del periodo si
vanno ad aggiungere, nei casi in cui si evidenzino disturbi della condotta,
gravi difficoltà nelle relazioni oggettuali e una fragilità della personalità
che frequentemente minano le relazioni educative a partire dai loro
presupposti fondativi, e cioè la possibilità di avviare una relazione.
Convinti che vada riconosciuta ai disturbi della condotta una dignità di
sofferenza psichica, e in questo confortati dai colloqui quotidiani con
adolescenti difficili, crediamo che la psicoanalisi, o comunque una
chiave di lettura psicodinamica, possa fornire un utile strumento di
comprensione anche per l'educatore, onde poter meglio elaborare ciò che
osserva e che vive giornalmente. I disturbi della condotta sono infatti
peculiari per il fatto che presentano elementi di provocazione e di
svalutazione delle figure adulte, il che concorre a creare un clima di
tensione che mina, o tenta di minare, la professionalità stessa degli
operatori referenti.
Tenere presente la sofferenza, i vissuti abbandonici e la frammentazione
delle relazioni affettive e, di conseguenza, le dinamiche profonde alla
base dei disturbi della condotta e dei comportamenti violenti veri e
propri di questi adolescenti può, a nostro avviso, non solo fornire
maggiore consapevolezza operativa ma salvaguardare gli operatori
implicati negli interventi con questi soggetti dal cadere nell'ottica
adultomorfa della delinquenza, della cattiva volontà o, peggio, dal
cogliere determinate dinamiche di carattere difensivo come attacchi
personali da parte di soggetti cattivi e opportunisti. Tutto ciò,
ovviamente, senza fuorcludere l'adolescente in difficoltà dalle proprie
responsabilità, in un'ottica, però, non rivendicativa ma di comprensione
empatica.
III
Empatia, della quale purtroppo i soggetti con Disturbo della Condotta
spesso paiono sprovvisti e della quale, probabilmente, hanno un
disperato bisogno.
1
I. L'ADOLESCENZA NELLA STORIA
Tutto fa credere che, ad ogni epoca,
corrisponda un'età privilegiata e
una certa periodizzazione della vita
umana: la giovinezza è l' età
privilegiata del diciassettesimo secolo,
l' infanzia del diciannovesimo,
l'adolescenza del ventesimo
1
1. La comprensione dell'adolescenza nella storia
Solo recentemente il termine adolescenza è entrato a far pare del
linguaggio corrente occidentale. Lo si ritrova infatti raramente nel
Medioevo così come nel Rinascimento. Non se ne hanno che esempi
sporadici fino alla fine del 1800; inoltre tale età della vita, nel
diciassettesimo e diciottesimo secolo, fu spesso coperta da termini con
connotazioni peggiorative e ironiche
2
. Anche nell'iconografia, dal
medioevo all'età moderna, l'adolescenza, e la gioventù in genere, appare
1
Ariès P. Padri e figli nell'Europa medievale e moderna. trad it. Bari, Laterza, 1968. in Neubauer J.,
Adolescenza fin – de – siécle, trad. it. Bologna, Il Mulino, 1997, p. 9
2
Neubauer J., op. cit. p. 14
2
spesso come turbolenta, rumorosa e pericolosa. I giovani non sono
rappresentati isolatamente ma in gruppi o addirittura bande
3
.
Va inoltre ricordata, con Levi e Schmitt, l'opportunità di considerare la
giovinezza come artefatto sociale, perché da un contesto sociale all'altro
e da un'epoca all'altra i giovani assolvono funzioni differenti, così come
differenti appaiono i loro statuti definitori
4
. Non è possibile, invero,
affidarsi a classificazioni esplicite o formali, se non in termini puramente
indicativi, quando si parla di giovani. E' inoltre rilevante il fatto che
mancherebbe una omogeneità di vocabolario durante i vari periodi
storici. Ad esempio il termine «bambino», in alcune epoche può arrivare
a designare un giovane guerriero, mentre la nozione romana o medievale
di juventus sposterebbe verso il basso il limite di ciò che oggi
consideriamo giovinezza. I testi antichi adoperano infatti il termine
«adolescenza» solo in termini biologici, giuridici o simbolici; vengono
altresì ignorate le connotazioni affettive che oggi vengono riferite alle
«crisi adolescenziali»
5
. E' curioso che, come evidenziato da Levi e
Schmitt, lo stesso Cristo non abbia avuto una giovinezza «[…] i Vangeli
lo perdono all'età di dodici anni per ritrovarlo solo a trenta. […] E
tuttavia, Cristo non ha mai smesso di rivolgersi ai giovani […]».
«Un uomo del XVI e XVII secolo si stupirebbe delle esigenze di stato
civile che noi accettiamo come naturali»
6
.
L'esatta data della nascita è un dato che pare acquisire maggiore
rilevanza nelle società della tecnica, dove questo tipo di dati assume una
importanza peculiare soprattutto dal punto di vista burocratico. Nella
3
Pastoureau M., Gli emblemi della gioventù: la rappresentazione dei giovani nel medioevo, in Levi
G., Schmitt J. C., ( a cura di ), Storia dei giovani. Dall'antichità all'età moderna, Bari,
Laterza, 1994, vol. 1, p. 297
4
Levi G., Schmitt J. C., ( a cura di ), op. cit. p. XIII
5
Levi G., Schmitt J. C., 8 a cura di ), op. cit. p. XV
6
Ivi, p. XVI
3
selva africana, ad esempio, questa nozione pare essere molto oscura e
avere una influenza relativamente scarsa nella vita delle persone.
Si deve risalire al Medioevo per trovare la genesi dell'esigenza di
completare il proprio nome col casato, onde evitare una eccessiva
vaghezza.
Fu Francesco I a imporre ai curati di annotare la data di nascita sui
registri parrocchiali, ma solo dal XVIII secolo i parroci hanno tenuto i
loro registri in maniera rigorosa, dovendo vincere, a questo scopo, una
certa riluttanza di costume.
L'importanza per la specificazione dell'età aumenta progressivamente
già dal XVI secolo, tuttavia permangono curiose sopravvivenze del
tempo, per cui tenere a mente l'età era cosa rara e difficile. Nell'ambiente
della scuola, ad esempio, i bambini sanno la loro età ma, in quest'epoca,
una curiosa regola di buona educazione li obbliga a non dirla se non
dietro molte riserve
7
.
Le età della vita, tuttavia, trovano posto nei trattati pseudoscientifici del
Medioevo, dove vengono utilizzati termini entrati in parte nel nostro uso:
infanzia e puerizia, giovinezza e adolescenza, vecchiaia e senilità.
Invero, l'età dell'uomo era una categoria scientifica risalente alla filosofia
ionica del VI secolo avanti Cristo
8
. Il Grand propriètaire de toutes
choses, compilazione latina del XIII secolo che raccoglieva tutti i dati
degli scrittori del Basso Impero, tratta delle età nel VI libro. Queste
corrispondono ai pianeti e sono 7:
- la prima età va dalla nascita ai sette anni, l'individuo si chiama
infante, cioè non parlante.
7
Ariès P., Padri e figli nell'Europa medievale e moderna. trad it. Bari, Laterza, 1968, p. 11 - 14
8
Ivi, p. 15
4
- la seconda età, detta puerizia, perché l'individuo è considerato
trasparente, innocente.
- la terza età, detta adolescenza, arriva, a seconda delle opinioni del
tempo, dai ventuno ai ventotto, fino anche ai trentacinque anni.
Isidoro dice che si chiama adolescenza perché l'individuo è
abbastanza grande per generare. La persona cresce in quest'età
fino a raggiungere la piena espansione che la natura le accorda, ciò
anche se la crescenza si interrompe anche prima dei ventotto anni.
- la giovinezza è l'età di mezzo e segna il culmine della forza e
anche qui, a seconda delle opinioni del tempo, durerebbe dai
quarantacinque fino ai cinquant'anni.
- l'età matura starebbe poi tra gioventù e vecchiaia, sarebbe l'età di
chi non è ancora vecchio ma non più giovane.
- la vecchiaia, che durerebbe fino ai settant'anni o fino alla morte, a
seconda dei casi, si chiamerebbe così perché la gente diventa, a
questa età, più piccola.
- l'ultima parte della vecchiaia è definita in latino decrepitezza, il
vecchio è afflitto da catarro, tosse e sudiciume, finché non torna
ad essere cenere.
9
Un poema del XIV secolo, Grant kalendrier et compost des bergiers,
narra della relazione fra le età della vita e le scene del calendario:
Gennaio è paragonato ai primi sei anni della vita, in cui difettano virtù e
vigore; Febbraio, che alla fine sbocca nella primavera, rappresenterebbe
l'età dai sei ai dodici anni; Marzo che si trasforma in calda bellezza porta
gli anni a diciotto. Al mese di Ottobre corrisponderebbero i sessant'anni;
9
Ivi, op. cit. p. 18
5
a ottobre infatti è tempo di seminare il grano che costituirà l'alimento per
tutti gli altri mesi.
Fino al XVIII secolo l'adolescenza si confondeva con l'infanzia. Infatti,
seppur già a partire dal XVI secolo si vada profilando un vocabolario
relativo alla prima infanzia, non solo per la lingua latina ma anche per
quella francese e inglese, la differenza tra infanzia e adolescenza rimane
ambigua. L'idea di adolescenza, così come viene intesa oggi, è venuta
formandosi molto lentamente
10
. Questa è generalmente respinta verso
l'infanzia ed è assoggettata ad una identica disciplina all'interno del
mondo scolastico, disciplina che prevede pene corporali e umiliazioni
11
.
Nota infatti Ariès che la popolazione scolastica, nel Seicento e nel
Settecento, era caratterizzata da un miscuglio di età: ragazzi dai dieci ai
venticinque anni frequentavano le stesse classi. Il periodo tarda infanzia -
adolescenza è venuto differenziandosi proprio in relazione allo stabilirsi
di una relazione fra età e classe scolastica a partire dall'Ottocento,
soprattutto per le classi borghesi
12
. Tra la fine del XVII e l'inizio del
XVIII secolo l'adolescente è messo in evidenza dalla coscrizione seguita
dal servizio militare. «Lo scolaro, tra il Cinquecento e il Settecento, sta a
una infanzia lunga come il coscritto dell'Ottocento e del Novecento sta
all'adolescenza»
13
.
A questo proposito si può affermare con Schindler che «solo con
l'affermarsi dell'obbligo scolastico generale agli inizi del XIX secolo
venne adottata quella cesura del quattordicesimo anno di età che
10
Ariès P., op. cit. pp. 11 - 27
11
Ivi, pp. 301, 302
12
Ivi, p. 274
13
Ivi, p. 386
6
introdusse una chiara linea di demarcazione tra infanzia e gioventù
[…]»
14
.
Se, come si può inferire, fino all'inizio dell'età moderna e oltre, l'inizio
della fase giovanile adolescenziale è difficilmente definibile con
precisione, la sua fine era delineata, come in parte accade ancora oggi,
soprattutto in talune realtà culturali, dal contrarre matrimonio e dal
fondare una propria casa
15
.
La separazione tra infanzia e gioventù era, per altro, attuata dai gruppi
giovanili stessi, interessati a difendere i propri privilegi nei confronti dei
"piccoli". Tale demarcazione avveniva con rigide norme rituali di
ammissione e di iniziazione. Tali riti prevedevano anche le azioni
notturne spesso compiute da gruppi di adolescenti con lo scopo di
spaventare la gente o mettere in atto forme di corteggiamento di gruppo,
atte a favorire la conoscenza con l'altro sesso. Era cura dei giovani, ad
esempio, l'organizzazione del Carnevale. Ricorrenza, questa, funzionale
ad offrire proprio ai più giovani l'occasione di potersi abbandonare al
godimento sfrenato e liberatorio, assolvendo così la funzione di valvola
di sfogo.
Certo esisteva, da parte della società una qualche consapevolezza circa il
bisogno adolescenti di spazi propri, tuttavia si vennero spesso a creare
per tutta l'età moderna situazioni di tensione per il comportamento dei
giovani, considerati spesso aggressivi e irriverenti nei confronti dei tutori
dell'ordine.
Nell'età moderna non esiste un ideale positivo di gioventù che risulta
invece specifico del XX secolo; questa fase della vita viene piuttosto
considerata il luogo dell'irrequietezza. Tuttavia il modello di pensiero del
14
Schindler N., I tutori del disordine: rituali della cultura giovanile agli inizi dell'età moderna, in
Levi G., Schmitt J. C., ( a cura di ),op. cit. p. 310
15
Ivi., p. 312
7
tempo era più semplice e coltivava forse aspetti meno difensivi rispetto a
quello odierno: la gioventù era associata al concetto di ambivalenza e
transizione; una visione capace di associare ai giovani la lente dell'ironia
prima che tutto diventasse "definitivamente serio". Emerge
inaspettatamente negli adulti del tempo la certezza della transitorietà del
periodo giovanile e, di conseguenza, una notevole tolleranza per le
trasgressioni e le monellate dei giovani
16
.
Il secolo dell'adolescenza è il XX. Ci si comincia a chiedere che cosa
pensi la gioventù, che si presenta come depositaria di valori nuovi e
capaci di vivificare una società invecchiata e fossilizzata. Sarà la
coscienza della gioventù dopo la seconda guerra mondiale, intorno agli
anni '60, ad essere protagonista del costume e del pensiero sociale. Si
passerà cosi da un'epoca senza adolescenza ad un'epoca dove essere
adolescenti è condizione privilegiata. In concomitanza si assiste ad una
progressiva scomparsa del concetto di vecchiaia come luogo della
infermità o della marginalità sociale, a sua volta scalzato dai concetti di
3 a e 4 a età, espressione di una idea tecnologica della conservazione
17
.
16
Schindler N., op. cit. p. 314
17
Ariès P., op. cit. pp. 28 - 30
8
2. I giovani nella Grecia antica
Come si è potuto osservare la distinzione fra infanzia e
adolescenza non si presenta prima del XVIII secolo. Le distinzioni si
possono osservare altresì in relazione ai ruoli sociali, attribuiti a seconda
delle età.
Nella Grecia antica, antecedente la polis, prima che la città inventasse la
paidèia, si ha notizia di un gruppo, quello dei kouroi. Tuttavia, i confini
delle età dei suoi componenti sono incerti. Tale gruppo di giovani si
contrappone ai gherontes, i Padri o gli Anziani, che assieme a loro
compongono l'esercito. In questo caso, a differenza del medioevo,
quando le classi scolastiche vedevano assieme giovani dai dieci ai
venticinque anni, il gruppo dei kouroi era caratterizzato dalla pari età
18
.
A Creta e Sparta il ruolo delle classi di età è decisivo.
Dopo la fanciullezza i giovani cretesi vengono reclutati nell' aghèle,
formando un gruppo sotto il controllo di un capo. Il sistema di
addestramento si suddivide in tre attività: caccia, corsa e simulacro di
combattimento. Si giunge così per l'adolescente cretese alla tappa
decisiva dell'iniziazione. Tale iniziazione prevede il rapimento dello
stesso, per pratiche omosessuali allora diffuse e riconosciute come parte
integrante del rapporto pedagogico, da parte di un amante adulto che lo
terrà con se per due mesi, dopodiché lo lascerà liberò. L'adolescente a
questo punto riceverà in dono un equipaggiamento militare. L'essere
stato un kleinòs costituirà inoltre ragione d'onore, così come l'essere stato
oggetto di rapimento da parte di un adulto amante, un philètor. A Sparta
18
Schnapp A., L'immagine dei giovani nella città greca, in Levi G., Schmitt J. C., (a cura di), op. cit,
p. 5 e sgg.
9
i giovani destinati alla iniziazione sono i kryptòi e anch'essi partecipano
a una forma di pederastia
19
. In Atene ritroviamo la classica istituzione
dell' efebia come luogo di addestramento e istruzione dei giovani.
Sul corpo dei giovani si concentra l'interesse della città greca; il vigore e
bellezza sono oggetto di interesse, non solo per l'educazione ma anche
per l'arte. La paidèia deve contribuire a formare cittadini completi, così
come descritto nelle Leggi di Platone
20
.
La caccia costituisce la conclusione del programma educativo, dove il
cacciatore di lepri è nella maggior parte dei casi un giovane imberbe.
I pittori greci cercano di esprimere questa età della vita attraverso
immagini di giovani appena formati che fronteggiano l'animale
21
. La
cattura degli animali, in particolare di cuccioli che si cerca di
addomesticare, è uno dei motivi ricorrenti di questa iconografia connessa
alla giovinezza e all'eros.
22
Terminata l'efebia il giovane godeva di uno status di cittadino a pieno
diritto, tuttavia era considerato ancora con attenzione dai cittadini, in
quanto rappresentava quella condizione transitoria di maturità e bellezza
fisica che si manifestava nei giochi, nelle gare o nelle imprese militari
23
.
Era insomma riservata al giovane un'attenzione particolare; quasi ad
anticipare, da parte della Grecia antica, la cura particolare per quelli che
dal XIX secolo sono stati considerati adolescenti e di cui il XX secolo,
come sottolinea Ariès, si è fatto garante.
Nell'arte greca del periodo classico la paidèia è rappresentata quale
educazione dei corpi e dello spirito. Temi predominanti rispetto agli
19
Schnapp A., op. cit., p.11 e sgg.
20
Ivi, pp. 18, 19
21
Ivi, p. 30
22
ivi, p. 32
23
Ivi, p. 23
10
esercizi fisici, alla caccia, all'erotismo costituiscono le rappresentazioni
artistiche del periodo arcaico, antecedente il V secolo
24
.
Si può inoltre constatare che dall'età arcaica all'età classica le
rappresentazioni pittoriche raffiguranti giovani ragazzi e fanciulle
passano dalle immagini raffiguranti i giovani nelle selve a
rappresentazioni che vedono gli stessi immersi nella realtà della polis,
quasi a esaltare il valore di civilizzazione che tale ingresso starebbe a
significare
25
.
24
Schnapp A., op. cit., p. 41
25
Ivi, p. 48
11
3. I giovani nel periodo romano
Al centro del mito romano troviamo due giovani, Romolo e Remo,
che assieme ai loro compagni, giovani adolescenti anch'essi, decidono di
fondare una città per conto proprio
26
. La particolarità, dai tratti
inquietanti, del racconto di Plutarco e Tito Livio circa la fondazione di
Roma rispecchia lo statuto dei suoi fondatori, Romolo e Remo appunto,
che, oltre ad essere giovani imberbi hanno altresì avuto una infanzia e
un'adolescenza del tutto particolari. Essi sono svezzati da una lupa e
allevati in un mondo di pastori. Amano le selve e il vagare incessante, la
loro passione per la caccia ricorda la condizione degli efebi ateniesi così
come quella dei giovani cretesi e spartani
27
.
Da quanto pervenutoci degli scritti di Varrone, a Roma la pueritia
arrivava fino ai quindici anni, l'adulescentia andava dai quindici ai
trenta, la iuventus dai trenta ai quarantacinque anni. Tuttavia, all'inizio
del VII secolo d. c, Isidoro di Siviglia riferisce una suddivisione per età
che vedrebbe nell'antica Roma l'infantia come categoria fino ai sette
anni, la pueritia dai sette ai quattordici anni, l'adulescentia dai
quattordici ai ventotto, la iuventus dai ventotto ai cinquant' anni.
Un' adolescenza e una giovinezza che a Roma si protraggono oltremodo,
fino alla soglia dei trent'anni per l'una e dei cinquanta per l'altra. Un
simile prolungarsi dell'adolescenza ben oltre i limiti biologici parrebbe
spiegarsi, secondo Fraschetti, se si considera che a Roma vigeva l'istituto
della patria potestà, secondo il quale il padre aveva diritto assoluto sui
figli.
26
Fraschetti A., Il mondo romano, in Levi G., Schmitt J. C., (a cura di), op. cit. p. 55
27
Ivi, pp. 56, 57
12
L'adolescenza e la giovinezza sarebbero quindi protratte quasi a voler in
qualche modo protrarre il potere dei padri sui figli
28
.
Per quanto concerne le donne, a Roma esse non erano suddivise per età
ma piuttosto in base alla condizione fisica e sociale: fisicamente erano
definite virgines prima del matrimonio; divenivano socialmente uxores
dopo il matrimonio; matronae se avevano avuto figli. Il termine anus ne
designava la vecchiaia. Nonostante, come si può facilmente inferire, a
Roma esistessero articolate suddivisioni per età spesso i termini iuvenis e
adulescens venivano usati indifferentemente per indicare una stessa
persona. Anche nel mondo dell'antica Roma si ritrova una certa
indifferenziazione nei termini usati per definire i vari stadi della vita;
indifferenziazione, lo ripetiamo, propria di tutto il periodo storico che
dall'età arcaica arriva alle soglie del XIX secolo.
Per quanto riguarda i ragazzi maschi questi, tra i quindici e sedici anni,
in pieno periodo adolescenziale, si vedevano protagonisti di una
cerimonia attraverso la quale, sempre sotto la legge della patria potestà,
venivano introdotti all'interno della città come liberi cittadini. Tale
cerimonia consisteva nell'assunzione, da parte del giovane, della toga
virile. Le insegne della fanciullezza, la bulla appesa al collo e la toga
praetexta, venivano abbandonate, sostituite appunto dalla toga virile (o
toga libera, in onore del dio Libero, identificato da Ovidio con il greco
Bacco, il quale appare sempre fanciullo e giovane). La cerimonia
prevedeva un corteo che accompagnava il ragazzo al Foro o al
Campidoglio, a simboleggiare una vera e propria iniziazione agli affari
pubblici. Tale cerimonia rappresentava inoltre un omaggio a Giove e a
Juventas, la dea dei giovani
29
.
28
Ivi, pp. 69, 70
29
Fraschetti A., op. cit. pp. 72, 73