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condotta e, successivamente, realizzò una descrizione precisa delle
caratteristiche che presentavano: li definì come bambini con temperamento
violento, rivoltoso, inquieto, distruttivo, incapaci di fissare l’attenzione e di
reagire davanti ai castighi; essi presentavano problemi scolastici in assenza di
deficit intellettuali, mostrando movimenti coreiformi e anomalie congenite
minori. Secondo tale autore, queste alterazioni erano il risultato di un danno pre
o post natale che colpiva una qualità umana che chiamò “Controllo Morale”.
Tredgold , nel suo libro Mental deficiency descrisse una serie di bambini con
problemi di comportamento, classificandoli dentro il gruppo dei deficienti
mentali – non idioti – incapaci di ricevere benefici dall’insegnamento ordinario,
però capaci di fare progressi con lezioni individuali e particolari. Questi bambini
mostravano segni fisici peculiari, come dimensione e forma anormale della
testa, anormalità nel palato e segni neurologici lievi. Tredgold considerava che
la causa di tali problemi fosse il risultato di un’anossia durante la nascita che
non era stata evidenziata in tempo e produceva un danno in un’area del
cervello, area dove risiedeva, secondo l’autore, il sentimento morale. Le
conseguenze di questo danno, in accordo con Tredgold, potevano trasmettersi
da una generazione all’altra e adottare forme diverse come l’iperattività,
l’emicrania, l’epilessia, l’isteria e nevrastenia.
La concezione che Still e Tredgold avevano sulla spiegazione del disturbo deve
considerarsi in un contesto sociale e scientifico che era quello dell’epoca.
L’Inghilterra del secolo XIX fu segnata dal potere economico e dalla rivoluzione
industriale; la società inglese si caratterizzava per una struttura gerarchica nella
quale le classi più umili soffrivano frequentemente le conseguenze avverse
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della trasformazione economica, tali come la mortalità infantile, le difficoltà di
apprendimento, la delinquenza ecc. Le definizioni morali e intellettuali della
classe meno abbiente tendevano ad essere identificate come la causa, più che
la conseguenza, di tali circostanze. E’ in questo contesto che Still realizzò la
sua teoria relativa al difetto di controllo morale dei bambini con problemi
comportamentali. Still considerava che la coscienza morale e il controllo morale
erano abilità fragili e specialmente labili a seguito della perdita o del fallimento
durante il loro sviluppo. Questi problemi colpivano principalmente la classe
bassa. La sua ipotesi viene sottolineata dal principio del darwinismo molto di
moda all’epoca. Lo stesso avviene con l’ipotesi di Tredgold, dove il danno
cerebrale sofferto nei primi stadi dello sviluppo dell’individuo rappresentava il
diretto responsabile di molti problemi comparsi durante l’infanzia.
Nella bibliografia psichiatrica del XIX secolo compaiono molti studi di casi
individuali che si interessarono anche di tale fenomeno. L.B. Hoffman,
psichiatra tedesco, descrisse il comportamento di un presunto bambino
iperattivo “Zappel Philipp” in alcuni racconti infantili. Alcuni anni più tardi Ireland
trattò l’argomento nel suo libro “Education treatment of various forms of idiocy”.
Clouston evidenziò l’eccessiva attività e inquietudine come segni caratteristici.
Bourneville descrisse questi bambini come inquieti e “eccessivamente attivi”,
chiamandoli “bambini instabili” termine che successivamente fu recuperato da
Heuyer nel suo trattato “la delinquance juvenile: etude psychiatrique”.
In generale, durante questa prima tappa storica, si attribuisce al disturbo un
origine organica con poca o nessuna influenza ambientale.
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L’epidemia di encefalite del 1917-1918 in America giocò un ruolo determinante
nella spiegazione dell’iperattività. A seguito dell’epidemia, numerosi clinici
notarono che i bambini affetti da tale patologia mostrarono successivamente
sequele comportamentali e cognitive simili a quelle rinvenute in bambini con
iperattività. Infatti, Hohman e Ebaugh analizzarono un totale di 28 bambini che
aveva sofferto di encefalite e in cui provocò una leggera disfunzione cerebrale.
Un anno più tardi, Streker e Ebaugh descrissero sequele neurologiche e
comportamentali di bambini che avevano sofferto di encefalite, quali:
l’iperattività, l’instabilità emozionale, l’irritabilità e problemi di attenzione e di
memoria.
Kahn e Cohen descrissero la presenza di deficit organici in tre casi in cui il
problema principale era l’iperattività. Secondo tali autori, un’alterazione
nell’organizzazione del tronco cerebrale causata da un encefalopatia prenatale,
(danno prenatale o perinatale) o da un difetto congenito, colpiva la
modulazione del livello di attività cerebrale. Questi autori coniarono il termine
“sindrome da impulsività organica” che si caratterizzava per la presenza di
iperattività, impulsività, condotta antisociale e labilità emozionale, tutto questo
come conseguenza di un’alterazione cerebrale.
Così, durante questo periodo, anni 20 anni 30, si iniziò a riconoscere
l’interazione tra fattori organici e fattori ambientali nella spiegazione
dell’iperattività, comprovando che i bambini vittime di un’encefalopatia
presentavano sequele comportamentali tali da poter sospettare che il
comportamento disinibito e l’eccesso di attività erano conseguenza di una
disfunzione cerebrale.
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La Tavola 1 raccoglie i primi studi nella descrizione del ADHD.
Tavola 1. Tavola-riassuntiva dei primi studi nella descrizione del ADHD
Autori Descrizione Caratteristiche
Still
(1902)
Difetti nel
controllo morale
Temperamento violento Assenza di risposta ai
Rivoltosi castighi
Distruttivi Assenza di deficit
Inquieti intellettuali
Molesti Movimenti quasi
Incapacità nel mantenere coreiformi
L’attenzione Anomalie congenite
fallimento scolastico minori
Tredgold
(1908)
Dentro il
gruppo di
deficienze
mentali non
idioti
Ipercinesia Mancanza di attenzione
Dimensione e forma abnorme Disobbedienza
della testa Comportamento antisociale o
Palato anormale criminale
Assenza di deficit
Vari segni neurologici intellettuale grave
minori Incapacità nel ricevere
Problemi de coordinazione benefici dall’insegnamento
Diminuzione o eccessivo ordinario
livello di attività
Hohman
(1922) e
Ebaugh
(1923)
Sindrome da
instabilità
psicomotoria
Sequele neurologiche e Esibizionismo
comportamentali Precocità sessuale
Sintomi di disfunzione Ipersonnia
leggera nel cervello Reazioni isteriche
Indifferenza
Streker e
Ebaugh
(1924)
Disturbo di
condotta
post encefalica
Instabilità emozionale
Irritabilità Disordinati
Ostinazione Tic
Tendenza a mentire e a Depressione
rubare Controllo motorio povero
peggioramento nel Iperattività
l’attenzione e nella memoria
Kahn e
Cohen
(1934)
Sindrome da
Impulsività
Organica
Iperattività Comportamento antisociale
Impulsività Labilità emotiva
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1.2 Enfasi sul danno cerebrale minimo o disfunzione cerebrale minima
Come evidenziato precedentemente, la relazione tra la condotta dei bambini
vittime di una encefalite e il comportamento dei bambini considerati iperattivi,
fece supporre che l’iperattività fosse frutto di una disfunzione cerebrale
sopraggiunta a seguito di una malattia. Altro fatto ugualmente importante,
durante questo periodo, fu la scoperta dell’“effetto della calma paradossale”
osservato da Bradley nel 1937. Si denominò trattamento psico-stimolante ciò
che si produceva nel comportamento dei bambini con iperattività. Bradley rilevò
che i bambini con iperattività, i quali ricevevano un trattamento con benzedrina,
miglioravano nel comportamento e rendimento rispetto ai bambini senza questo
tipo di trattamento.
La relazione dell’iperattività con l’encefalite letargica e il miglioramento dei
sintomi con il trattamento farmacologico, condusse all’idea che i bambini con
iperattività presentavano un qualche tipo di problema cerebrale. Strauss,
Kephart e Lehtinen e Goldstein nel 1955 designarono la “lesione cerebrale
Minima” considerando il danno cerebrale come unica causa del disturbo. La
popolarità che ci fu intorno al termine di lesione cerebrale minima come
spiegazione dei problemi che presentavano i bambini iperattivi portò
all’incremento delle necessità di individuare precocemente il problema al fine di
poterlo curare adeguatamente, tanto nell’ambito psicologico che educativo.
Autori come Pasamick, Rogers, Lihienfeld; Knobloch e Pasamick aiutarono a
difendere questo concetto.
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Poco a poco il termine “lesione cerebrale” iniziò ad includere un gruppo molto
eterogeneo di bambini con problemi di comportamento e/o di apprendimento.
Parallelamente, intorno agli anni 50 si crearono negli Stati Uniti un gran numero
di programmi educativi speciali per quei bambini che soffrivano qualche tipo di
lesione cerebrale. Questi bambini erano collocati strategicamente in ambienti
piccoli e chiusi (cubicoli) con la finalità di non distrarsi con stimoli estranei.
Alla fine di questa epoca, e dopo molti studi realizzati per provare la relazione
tra danno cerebrale e iperattività, la spiegazione del danno cerebrale come
unica causa del disturbo iniziò a cambiare, considerato il fatto che non si riuscì
a dimostrare che l’iperattività potesse provocare qualche tipo di danno
cerebrale. Negli anni 60 si continuava a considerare come causa probabile del
disturbo qualche tipo di disfunzione cerebrale, anche se non si affermava
chiaramente l’esistenza di un danno cerebrale nell’iperattività.
Il cambio del termine “danno cerebrale” a “disfunzione cerebrale” venne
auspicato dal lavoro affidato a Clements nel 1966 dal dipartimento Americano
di Salute, Educazione e Benessere. Clements difendeva l’idea che la
disfunzione cerebrale Minima associata a disfunzioni del Sistema Nervoso
Centrale, era responsabile dei disturbi del comportamento e dei problemi di
apprendimento dei bambini con intelligenza normale. Secondo tale autore
l’eziologia del quadro si doveva a variazioni genetiche, biochimiche, danno pre
o perinatale, o lesioni prodotte nella maturazione del sistema nervoso centrale.
Secondo questa concezione, i bambini iperattivi presentavano scomposizioni
percettivo-motorie, instabilità emozionale, deficit generali nella coordinazione
visivo-manuale, deficit di memoria, difficoltà specifiche di apprendimento
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(lettura, scrittura e matematica) e/o irregolarità elettroencefaliche con origine
organica.
La tavola 2 raccoglie le caratteristiche della sindrome da lesione cerebrale e da
disfunzione cerebrale minima, entrambi considerate ovviamente come origine
dell’iperattività.
Tavola 2. Caratteristiche della sindrome da lesione cerebrale e da disfunzione
cerebrale
mínima Autori Denominazione Caratteristiche
Strauss,
Kephart,
Lehtinen,
Goldstein
(1947)
Sindrome da
lesione cerebrale
Problemi di percezione Scarsa attenzione
Problemi nel linguaggio Impulsività
Problemi emozionali Poco perseveranti
Iperattività Importanti deficit
(“Disinibizione motoria”) cognitivi
Clements e
Peters
(1962)
Disfunzione
Cerebrale Minima
Difetti percepiti Disturbo di attenzione
Alterazioni di Impulsività
apprendimento Disturbo di memoria
Alterazioni di condotta Alterazione d’apprendimento
Buona risposta a droghe Disturbo del linguaggio e del
e no a psicoterapia l’ascolto
Iperattività Segni neurologici
Deterioro percettivo minori
motorio Elettroencefalogramma
Labilità emozionale irregolare
Déficit generale nella
Coordinazione
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1.3 Enfasi sulle caratteristiche comportamentali come l’iperattività o
mancanza di attenzione
All’inizio degli anni ’70 l’insoddisfazione per il termine “disfunzione cerebrale
minima” iniziò ad aumentare. Durante quest’epoca si osservò una crescente
tendenza a concettualizzare l’iperattività come sindrome marcatamente
comportamentale, non avendo potuto dimostrare, in maniera soddisfacente,
l’esistenza di una lesione organica o di una disfunzione cerebrale minima come
base eziologia responsabile del disturbo. Questo fatto unito all’impulso dei
programmi educativi speciali portati a termine in nord America e la
scolarizzazione obbligatoria, incentivò la ricerca di nuove definizioni più
funzionali del disturbo, che si soffermassero di più sugli aspetti
comportamentali e cognitivi del problema e che aiutassero a delineare una
terapia da seguire. A ciò contribuirono autori come Morrison e Steward,
Cantwell, Needleman, Gunnue e Lenton, Wielgerberg e Shaffer. Questi autori
enfatizzarono i fattori psicologici e ambientali nella definizione del disturbo.
Durante questo stesso periodo nacquero moltissime ricerche sui fattori di
rischio in relazione all’iperattività. Morrison e Steward, per esempio,
segnalarono la presenza di qualche tipo di patologia nei genitori, come
l’alcolismo e/o problemi affettivi, quali fattori di rischio. Questa idea fu raccolta,
anni più tardi da Needleman, Gunnue e Lenton per riferirsi ai bambini con
iperattività.
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L’evento importante in questo periodo fu la relazione presentata da Douglas ed
i suoi collaboratori presso l’Associazione Psicologica Canadese. In questa
conferenza si sottolinearono gli aspetti cognitivi del disturbo e si precisò che la
deficienza di base dei bambini iperattivi era generata da un’incapacità a
mantenere l’attenzione e controllare l’impulsività e non dalla eccessiva attività
motoria. La definizione proposta dal gruppo di Montreal costituì uno dei
precedenti più vicini alla definizione del disturbo proposta dal DSM III (APA
1980) che introdusse nuovi criteri per lo studio del disturbo, denominandolo
“deficit d’attenzione con o senza iperattività”. In questa nuova definizione si
pose maggiore enfasi sugli aspetti relativi all’attenzione.
I nuovi criteri proposti nel DSM-III per il disturbo furono ben accolti dalla
comunità scientifica, anche se non furono esenti da critiche di chi si opponeva
a considerare l’iperattività come disturbo, dicendo che i sintomi descritti in tale
quadro non erano specifici di questa sindrome, ma erano sintomi che si
manifestano in altri tipi di disturbi della psicologia infantile.
Autori come Barkley arrivarono addirittura a proporre una nuova definizione di
iperattività, precisando che i deficit di attenzione che presentavano questi
bambini si estendevano al controllo dell’impulsività e all’autocontrollo del
proprio comportamento (obbedienza, autocontrollo e soluzione di problemi).
Il Disturbo non era conseguenza diretta di altri disturbi come il ritardo
intellettuale, le alterazioni gravi del linguaggio, i problemi emotivi o le
imperfezioni sensoriali o motorie.
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La critica rispetto alla classificazione nosologica del DSM III produsse una
revisione dei suoi criteri che si materializzò nella pubblicazione della terza
edizione revisionata del DSM nel 1988. Il DSM-III.R raggruppò i sintomi in un
unico sottotipo, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Neanche questa
nuova modifica alla concettualizzazione del disturbo fu esente da critiche, tra
queste lo scarso riferimento a strumenti o mezzi necessari per valutare il
disturbo, l’assenza di criteri psicometrici che potessero definire l’alterazione, la
scarsa attenzione posta al grado di gravità comportamentale necessaria per
considerare un bambino iperattivo, la scarsa specificità del criterio temporale,
ecc. la tavola tre raccoglie l’evoluzione della denominazione del disturbo a
partire dalla decade degli anni ’70.
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Tavola 3. Evoluzione della denominazione del disturbo a partire dagli anni 70
Autori Denominazione Caratteristiche
Douglas
(1972)
Deficit
di attenzione
Difficoltà a Incapacità a mantenere
detenersi, osservare l’attenzione
Impulsività
Si distrae con facilità
DSM-III
(1980)
Disturbo da
Deficit di
Attenzione e
iperattività
No finisce le cose che Cambia con eccessiva
inizia frequenza di attività
Non sembra ascoltare Ha difficoltà a
Si distrae con facilità organizzare il suo lavoro
Ha difficoltà a Necessita supervisione
concentrarsi nel lavoro costante
scolastico e nel gioco bisogna attirare la sua
Agisce prima di pensare attenzione costantemente
Sembra che sta sempre
“in marcia”
DSM-III-R
(1988)
Disturbo da
Deficit di
Attenzione e
Iperattività
Inquietudine frequente Difficoltà a giocare con
Difficoltà a tranquillità
rimanere seduto Logorroico
Mancanza di attenzione Interrompe attività di
Difficoltà ad aspettare il altri
proprio turno Non ascolta ciò che gli si
Frequenza di risposte dice
precipitate Perde cose necessarie
Difficoltà a seguire per un lavoro
istruzioni Pratica attività fisiche
Difficoltà a mantenere pericolose
L’attenzione Frequenti cambi di
attività
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DSM-IV
(1994),
Disturbo da
Déficit di
Attenzione e
Iperattività
Difficoltà a Muove troppo mani e
mantenere l’ attenzione piedi
sembri non ascoltare Abbandona il suo posto in
Non segue istruzioni classe quando ci si aspetta
Difficoltà a che stia seduto
organizzare lavori Corre o salta eccessivamente
Evita lo sforzo mentale Difficoltà a giocare
sostenuto tranquillamente
Perde cose necessarie sembra che “sia in
a realizzare lavori marcia”
Frequenti distrazioni parla eccessivamente
trascurato nelle Si precipita nel dare
attività giornaliere risposte
Interrompe o si inserisce
nelle attività degli altri